Popolazione, consumi, tecnologia
Ecologia, 2, (7), 39-41 (novembre 1972)
I lettori di Ecologia hanno trovato, nel numero di luglio 1972, la traduzione dell’articolo di Barry Commoner((Commoner, B., «II costo ambientale dello sviluppo economico», Ecologia, 2, (5/6), 3-17 (luglio 1972): il lavoro originale, «The environmental cost of economic growth», è apparso nella rivista Chemistry in Britain, 8,((Commoner, B., Corr, M. e Stamler, P.J., «The causes of pollution», Environment, 13, (3), 2-19 (aprile 1971))), 52-65 (Febbraio 1972)))sugli effetti ecologici dell’aumento dei consumi, un problema che lo stesso autore aveva trattato anche in un precedente esauriente articolo (2) e nel recente libro: «The closing circle»((Commoner, B., «The closing circle. Nature, man and technology», Knopf, New York, 1972. (Appare in questi giorni in edizione italiana «Un cerchio da chiudere» Garzanti)))(di cui presto apparirà la traduzione italiana da Garzanti).
Le idee di Commoner non trovano tutti consenzienti, anzi sono al centro di una vivace polemica: il grande antagonista di Commoner è Paul Ehrlich – autore a sua volta di un fortunato libro: “The population bomb »((Ehrlich, P., «The population bomb», Ballantine, New York, 1966, 1968))- il quale sostiene che l’attuale crisi ecologica ha la sua principale causa nel rapido aumento della popolazione: la popolazione mondiale è oggi di circa 3700 milioni di individui e aumenta in ragione di poco meno de! 2 % all’anno, il che significa che, se continua tale tasso di accrescimento, raddoppierà ogni 35 anni.
Se non si vuole che questa massa di individui, con la sua richiesta di alimenti, di acqua, di minerali e con la sua produzione di rifiuti, eroda e avveleni il pianeta, l’unica cosa da fare – secondo Ehrlich – è imporre un limite alla popolazione, anche con mezzi coercitivi((Cfr. Anche: Ehrlich, P.R. e Ehrlich, A.H., «Population, resources, environment», Freeman, San Francisco, 1970)).
Commoner ha cominciato a polemizzare con Ehrlich fin dal 1970, dapprima in forma blanda, poi in termini sempre più vivaci: secondo lui la posizione di Ehrlich e dei fautori di una limitazione anche coercitiva delle nascite (fra questi vi è Garrett Hardin, un altro noto biologo((Delle numerose opera di questo autore si veda, in particolare: Hardin, G. (editor), «Population, evolution and birth control. A collage of controversial ideas», Freeman, San Francisco, 1964 e 1969)), è inaccettabile moralmente e politicamente, è repressiva e dittatoriale. La soluzione va invece vista, secondo Commoner, in una modificazione degli ideali e degli obiettivi della società capitalistica (privata o di stato), in una revisione delle scelte tecnologiche e delle scelte delle materie prime, in una disciplina dei consumi e degli sprechi.
Ehrlich ha ribadito il suo punto di vista in un articolo pubblicato, in collaborazione con John Holdren, sulla rivista americana Science((Ehrlich, P.R. e Holdren, J.P., « Impact of population growth », Science, 171, 12121217 (26 Marzo 1971); sivedano anche le «lettere» alla rivista pubblicate in Science, 173, 278 e 280. (1971))): per questi autori l’impatto, l’effetto negativo sull’ambiente, I, è dato, nella forma più semplice, dal prodotto di due grandezze, la quantità della popolazione, P, e un fattore, F, proporzionale alla quantità di merci consumate da ciascun individuo, al tipo di tecnologia impiegata, ecc.
I = P x F
Anzi, sostiene Ehrlich, il contributo individuale all’effetto negativo sull’ambiente è a sua volta funzione della popolazione perché un aumento della popolazione rende possibili economie di scala: se aumenta la produzione di una merce, infatti, ne diminuisce (in generale) il costo unitario, quindi ne aumenta il consumo e la produzione e così via; per cui è più esatto scrivere
I = P x F(P)
Ne deriva che il vero cardine dei problema ambientale è rappresentato dall’indiscriminato aumento della popolazione ed Ehrlich e Holdren concludono che «il controllo della popolazione, l’uso di differenti tecnologie, il passaggio dagli attuali cicli produttivi aperti ad altri in cui i rifiuti vengono riutilizzati, la equa distribuzione delle possibilità e dei benessere, sono misure che debbono essere tutte adottate se si vuole avere un futuro che meriti di essere vissuto. Trascurare anche una sola di queste misure significa sabotare tutta l’impresa» (7).
Riassumerò brevemente la risposta di Commoner (1) (2) (3) che i lettori già conoscono: il deterioramento ambientale, I, deriva dal prodotto non di due, ma di tre fattori: la popolazione, P, il livello di vita e di benessere, schematizzabile come consumo pro capite, C, e un indice dei cattivo uso della tecnologia, T, che può essere espresso come deterioramento ambientale per unità di merce consumata((Di questa affermazione Commoner (2) dà credito ad un articolo di P. Ehrlich e J. Holdren, «The people problem», Saturday Review, 4 Luglio 1970, p. 42.L’analisi degli stessi autori, apparsa alcuni mesi dopo (7), impostava le cose nel modo meno preciso che sì è detto)).
L’equazione di Ehrlich deve essere quindi corretta nella forma:
I = P x C x T
Come unità di misura, I potrebbe essere dato dai chilogrammi di agenti inquinanti immessi in un anno nell’ambiente; P dal numero di persone; C dal numero di chilogrammi di merce consumati ogni anno da ciascuna persona, e T dal numero di chilogrammi di agenti inquinanti immessi nell’atmosfera quando viene fabbricato un chilogrammo di merce.
Si tratta, naturalmente, di una semplificazione che non tiene conto dell’’inquinamento dovuto al calore, al rumore, alfa radioattività e a «consumi» non materiali come i servizi, i trasporti, ecc.; inoltre non tiene conto (9) dei deterioramento dell’ambiente diverso dall’’inquinamento, come erosione dei suolo, effetti negativi dei diboscamento, turbamenti degli ecosistemi, ecc.
Tenendo presenti questi limiti dell’analisi e sulla base dell’equazione sopra riportata, Commoner rileva che la popolazione e i consumi sono certamente due cause della crisi ecologica, ma non le uniche e le più importanti: la vera causa importante dei deterioramento ambientale è il cattivo uso della tecnologia che è stata finora ispirata da un tipo di società ad economia di rapina. Infatti, se ci si riferisce agli Stati Uniti, dal 1946 ad oggi la popolazione è aumentata di 1,42 volte mentre le sostanze inquinanti sono aumentate di dieci volte, cioè la produzione di sostanze inquinanti pro capite è aumentata di sette volte; tale aumento è dovuto non all’aumento della produzione di beni essenziali (cibo, vestiti, ecc.), ma all’aumento di beni non strettamente necessari e all’introduzione, al posto di merci non inquinanti, di altre molto più inquinanti – in altre parole ad un uso più scadente della tecnologia.
Fra i numerosi esempi citati da Commoner a sostegno di questa tesi ne ricorderò due, sempre relativi agli Stati Uniti. Dal 1949 al 1968 la produzione agricola è aumentata di 1,45 volte mentre l’uso dei fertilizzanti azotati è aumentato di 7,5 volte; ciò significa che gran parte di questi fertilizzanti erano inutili, non sono stati utilizzati dalla vegetazione e si sono dispersi nel terreno diventando sostanze inquinanti per le acque sotterranee e superficiali. E ancora: i prodotti sintetici (materie plastiche, fibre sintetiche, ecc.) che sostituiscono la carta, il legno, il cuoio, le fibre tessili naturali, a parità di utilità per il consumatore e a parità di peso, per la loro non biodegradabilità inquinano molto di più dei corrispondenti prodotti naturali.
In queste trappole siamo caduti perché abbiamo ubbidito all’illusorio mito che progresso sia l’aumento delle merci e dei profitto (per il capitalista privato, equivalente all’efficienza dei burocrate dei capitalismi dì stato) senza alcuna cura per la natura e per la qualità della vita dell’uomo. Commoner conclude che il danno all’ambiente dovuto all’aumento della popolazione e dei consumi di beni essenziali è modesto se confrontato col danno derivante dal tipo delle merci – spesso inutili – che il consumatore è indotto a consumare e dalla maniera antiecologica in cui la maggior parte delle merci è stata prodotta ed è arrivata al consumatore: non è l’aumento della produzione e del consumo di birra che ha provocato un aumento dell’inquinamento, ma l’uso di lattine e di bottiglie a perdere per portare la birra al consumatore.
E ancora, i danni ecologici veri provengono dallo spreco preso come modello di vita, dalle merci inutili, dallo sperpero di risorse per la produzione di armi, e, indirettamente, dallo sfruttamento dei Paesi poveri, dalla discriminazione razziale, dall’ingiustizia nei rapporti interni e internazionali di ciascun paese, istituzionalizzata in nome dei profitto.
Commoner sostiene non che la popolazione terrestre possa aumentare indefinitamente, ma che l’attribuire le colpe soltanto alla popolazione e ai consumi sarebbe ingiusto e spietato nei confronti soprattutto dei ceti poveri e dei paesi dei terzo mondo che hanno bisogno di alimenti, di indumenti, di abitazioni sane e dignitose, di assistenza medica: quando avranno raggiunto migliori condizioni di vita (in termini di cibo, abitazioni, sicurezza per la salute e per la vecchiaia, istruzione, sicurezza dai pericoli della guerra, ecc.), attraverso una più giusta ripartizione dei beni materiali essenziali disponibili nel mondo, allora quelli che oggi sono poveri, sottosviluppati e che hanno famiglie numerose saranno indotti ad essere più responsabili nei confronti della procreazione e affronteranno la cosiddetta transizione demografica, evitando di avere un numero di figli ai di là della possibilità materiale di assicurare loro una vita dignitosa.
Costringere i genitori a limitare il numero dei figli lasciandoli nella povertà e nell’ignoranza risolve soltanto il problema di non dover spartire con loro il benessere che i popoli ricchi hanno – o almeno di non doverlo spartire subito perché la situazione risultante ha in sé i germi dell’instabilità e della protesta.
Tanto più che, ricorda Commoner, alla esplosione della popolazione nei paesi del terzo mondo hanno contribuito anche i paesi colonialisti introducendo bruscamente la loro tecnologia nei paesi soggetti: per esempio la diminuzione della mortalità aveva anche lo scopo di disporre di abbondante mano d’opera locale per lo sfruttamento delle risorse e delle materie prime; cessata la colonializzazione; i paesi industriali, quelli che adesso hanno improvvisamente scoperto la saggezza demografica (per gli altri), hanno prodotto per sintesi i surrogati delle materie prime (gomma, legname, fibre tessili naturali) ricavate fino allora dalle ex colonie, lasciando queste ultime in piena espansione demografica e in miseria per la crescente difficoltà di esportare tali materie prime locali.
Ehrlich e Holdren non hanno tardato a replicare al libro di Commoner con una lunga recensione critica che è stata fatta circolare nei primi mesi dei 1972, fra gli studiosi interessati. A questo punto la polemica si tinge di giallo: la rivista “The Bulletin of the Atomic Scientists” propone di pubblicare la recensione e offre a Commoner la possibilità di replicare nel numero successivo; Commoner chiede invece che la sua replica sia pubblicata nello stesso fascicolo contenente la recensione e chiede un po’ di tempo, per cui il “Bulletin” decide di rimandare la pubblicazione della recensione e della replica al fascicolo di maggio 1972.
Con meraviglia di tutti, invece, nel fascicolo di aprile 1972 di “Environment”, la rivista che praticamente fa capo a Commoner, appaiono insieme recensione e replica((«Dispute: The closing circle», Environment, 14, (3), 23-52 (Aprile 1972); la recensione di P.R. Ehrlich e J.P. Holdren occupa le pagine 24, 26, 31-39, la risposta di Commoner le pagine 25, 40-52)). (Ma nel numero di giugno 1972 la rivista “Environment” chiede scusa a Ehrlich e Holdren per aver pubblicato il loro testo senza permesso).
Ehrlich e Commoner o i rispettivi fautori si sono scontrati anche nel Forum di Stoccolma, la sede delle manifestazioni spontanee e non ufficiali che si sono svolte parallelamente alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano.
Se si guarda bene, la polemica è meno radicale di quanto sembri, tanto che una persona un po’ perfida potrebbe pensare che sia giovata soprattutto al lancio o al rilancio pubblicitario dei due personaggi e dei loro libri; in definitiva sia Ehrlich che Commoner riconoscono che occorre rallentare l’aumento della popolazione e dei consumi e orientare l’economia e la tecnologia verso fini sociali attenti ai problemi ambientali. La differenza è che la priorità e la primaria importanza è attribuita da Ehrlich alla limitazione della popolazione((Ehrlich ha due figli e si dice che si sia fatto sterilizzare per dare un esempio del tipo di famiglia necessaria alla crescita zero della popolazione (ZPG, Zero population growth) raccomandata dall’associazione, ZPG appunto, di cui è animatore. È noto che una popolazione resterebbe stazionaria se ogni coppia avesse in media due figli)), da Commoner alla modificazione della tecnologia e dei tipo di merci prodotte.
Sarebbe perciò, secondo me, difficile classificare – secondo quanto siamo subito portati a fare noi in Italia – i due studiosi secondo delle precise ideologie, dire per esempio che Ehrlich è un uomo di destra e Commoner è un uomo di sinistra, perché entrambi sembrano considerare che il tipo di democrazia parlamentare in cui vivono sia correggibile verso strutture più consone ad assicurare, per Ehrlich, una disciplina della popolazione e dei consumi e per Commoner, una correzione delle attuati tecnologie distorte.
Il discorso sui metodi per arginare la crisi ambientale è stato, naturalmente, portato avanti anche da noi, anche senza il rilievo pubblicitario che ha avuto lo scontro fra Ehrlich e Commoner: molto approssimativamente si possono individuare tre posizioni. Quella che minimizza la constatazione che le risorse del pianeta sono limitate e che quindi considera non necessaria una politica diretta a limitare la popolazione mondiale: su questa posizione si trovano certi comunisti (e la stessa Unione Sovietica) e certi cattolici. La seconda posizione, quella «alla Ehrlich » della urgente necessità di un controllo della popolazione, anche più o meno coatto, è diffusa in ambienti culturali liberalmoderati, ma anche fra alcuni studiosi di sinistra.
Infine una posizione più vicina a quella di Commoner e centrata sulla critica alla tecnologia e ad un certo tipo di consumi è assunta da una parte dei cattolici (lo stesso documento sulla “Giustizia nel mondo» del Sinodo ricorda che le risorse del pianeta sono limitate), da una parte degli studiosi di sinistra, da molti studiosi dei problemi dello sviluppo sulla base di varie considerazioni: la nascita di chi deve essere limitata?
Presumibilmente quella dei figli dei poveri, degli affamati, dei sottosviluppati, dei negri, dei meridionali, di coloro che procreano in maniera irresponsabile, e viene il sospetto che questo sia un metodo per ridurre il numero di coloro con cui i ricchi, i saggi, i sani corrono il rischio di dover spartire il benessere accumulato per sè e per i propri figli (il cui numero è volontariamente e saggiamente controllato).
Il discorso è tanto più sospetto quando la saggezza demografica per i paesi sottosviluppati è gestita, come suggerisce Ehrlich (3; p. 241)((Ehrlich, P.R., «The population explosion: facts and fiction», in Johnson, H.D. (editor), «No deposit – No return», Addison-Wesley, Reading, 1970, p. 44)), dagli Stati Uniti attraverso la concessione degli aiuti finanziari soltanto a chi pratica il controllo delle nascite((Si veda anche quanto esposto nel libro di Paddock W. E Paddock, P., «Famine 1975», Little, Brown, Boston, 1967, p. es. p. 226)), il quale finisce così per apparire un metodo per limitare i futuri potenziali scontenti e rivoluzionari.
D’altra parte non vi è dubbio che le risorse del pianeta sono limitate e non sono disponibili per una popolazione illimitata, per cui un freno all’aumento della popolazione va posto, una paternità responsabile va in tutti i modi incoraggiata e raccomandata, ma i metodi e i tempi richiedono scelte politiche ancora tutt’altro che chiare.
L’approfondimento delle interrelazioni fra popolazione, consumi, tecnologia, sviluppo, economia e conservazione di quella «casa » senza la quale popolazione e sviluppo non hanno senso, si sta facendo tanto più urgente in quanto si sta rapidamente avvicinando la Conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione che si terrà a New York dal 19 al 30 agosto 1974: una delle sezioni riguarderà precisamente i problemi della popolazione in relazione allo sviluppo, all’ambiente e alla disponibilità di risorse naturali visti nell’ambito delle singole nazioni e dei rapporti internazionali, naturale prosecuzione della III Conferenza sul commercio e lo sviluppo di Santiago del Cile e della Conferenza di Stoccolma sull’ambiente.
Anche questa volta i governi saranno invitati ad inviare delle relazioni nazionali; abbiamo visto tutti come il governo italiano nella sua relazione nazionale alla Conferenza di Stoccolma abbia eluso i principali problemi ambientali del paese. Succederà lo stesso per i problemi della popolazione? Speriamo che i responsabili della relazione nazionale seguano il dibattito che una parte della cultura mondiale e anche italiana sta sviluppando.