Prefazione a L’eco-marxismo di James O’Connor
James O’Connor((Questo testo è una versione ridotta della prefazione al volume di James O’Connor La seconda contraddizione del Capitalismo. Introduzione a una teoria e storia dell’ecologia edito da Ombre Corte nel 2021. Si ringrazia l’editore per aver messo a disposizione questo estratto della prefazione e rinviamo al volume sopra menzionato per una lettura completa. Su richiesta della rivista Altro ‘900 si rende fruibile questo testo allo scopo di dare risalto alla preziosa pubblicazione di O’Connor, uno dei più importanti autori dell’Eco-marxismo.)) (1930-2017) è stato un influente economista statunitense, il cui lavoro teorico e politico risulta fondamentale nella formazione di quella che oggi appare come una delle più prolifiche e promettenti correnti del pensiero critico: l’eco-marxismo. Nell’introdurre i due contributi qui raccolti, originariamente apparsi sulla rivista “Capitalism Nature Socialism. A Journal of Socialist Ecology” (cns) e successivamente ripubblicati con altri interventi nel volume Natural Causes. Essays in Ecological Marxism((James O’Connor, Natural Causes. Essays in Ecological Marxism, New York-London, The Guilford Press, 1998.)), tradotto in numerose lingue – ma non in italiano -, vorremmo fornire alcuni elementi di contesto utili alla comprensione dell’opera di uno dei più importante intellettuali eco-marxisti.
Interrogare il marxismo a partire dalle lotte: O’Connor intellettuale militante
L’eco-marxismo è un campo di ricerca vasto ed eterogeneo, attraversato da un vivace dibattito, ma anche disseminato di conflitti e contrapposizioni teoriche a volte molto aspre((Per una trattazione più approfondita, cfr. Jacopo Nicola Bergamo, marxismo ed ecologia. Origini e sviluppo di un dibattito globale, Verona, ombre corte, 2021 (di prossima pubblicazione).)). Eppure le riflessioni di James O’Connor hanno goduto di un apprezzamento trasversale anche quando sono state giudicate “superate”, facendone uno dei padri nobili dell’eco-marxismo e rendendo il suo contributo un classico con cui è d’obbligo misurarsi per chiunque voglia cimentarsi con l’ecologia politica di stampo marxista. Le sue analisi sono infatti discusse non solo nei contesti americano ed europeo, ma a ogni latitudine – da segnalare un recente interesse in Cina((Cfr. Xueming Chen, The ecological crisis and the logic of Capital, Leiden-Boston, Brill, 2017.)).
Nella ricostruzione storica del pensiero eco-socialista operata da John Bellamy Foster e Paul Burkett, O’Connor occupa una posizione di rilievo in quella che viene definita la “prima fase dell’eco-socialismo”((Cfr. John Bellamy Foster, “Marxism in the Anthropocene: Dialectical rift on the left”, in “International Critical Thought”, vi, 3, 2016, p. 396; Paul Burkett, John Bellamy Foster, Marx and the Earth: An anti-critique, Leiden-Boston, Brill, 2016, p. 3.)). Tale ricostruzione può essere riassunta in questo modo: già dagli anni Cinquanta gli scienziati cominciano a criticare gli effetti dei test nucleari, le proteste poi si estendono all’uso dei pesticidi, come testimoniato dalla pubblicazione, nel 1962, di Silent Spring di Rachel Carson, una sorta di manifesto precursore dei movimenti ambientalisti la cui eco giunge fino ai giorni nostri((Cfr. Rachel Carson, Primavera silenziosa (1962), trad. it. di C. A. Gastecchi, Milano, Feltrinelli, 2016.)). Con il proliferare di criticità ambientali di varia natura, e di significative mobilitazioni sociali, tra gli anni Sessanta e Ottanta del xx secolo prende forma una “fase prefigurativa”, cioè una prospettiva ecologica di matrice marxista, in molti casi mediata da scienziati di orientamento marxista, tra i quali vanno ricordati perlomeno Barry Commoner, Richard Levins e Richard Lewontin. In questa fase, suggeriscono Foster e Burkett, ecologismo e marxismo non paiono necessariamente contraddittori, anzi: la loro convergenza avviene quasi per inerzia, senza necessità di giustificazione.
A mutare lo scenario interviene uno scritto fondamentale, che segna nel profondo una generazione di teorici e militanti marxisti. Si tratta della tesi di dottorato di Alfred Schmidt, Il concetto di natura in Marx del 1962, pubblicata in inglese nel 1971 e in italiano nel 1969.Schmidt, influenzato sia dal suo relatore, Theodor W. Adorno, sia da Max Horkheimer, rifiuta la dialettica della natura seguendo la tradizione del marxismo Occidentale avviata da Gyorgy Lukács e sostenendo che nel progetto illuminista del dominio sulla natura sia caduto anche Marx((Una diversa interpretazione dell’opera di Schmidt è offerta da Riccardo Bellofiore, che sottolinea piuttosto come la sua analisi evidenzi una teoria della conoscenza in Marx che si situa tra Hegel e Kant, per la quale la produzione diviene una “scienza sperimentale”; cfr. Riccardo Bellofiore, “Materialismo, dialettica e prassi emancipatrice: l’attualità inattuale di Alfred Schmidt”, in Alfred Schmidt, Il concetto di Natura in Marx, trad. it di G. Baratta e G. Bedeschi, Milano, Punto Rosso, 2017, pp. 5-35.)). Ancor più incisivo nella prima fase dell’eco-socialismo, sempre secondo Foster e Burkett, è l’emergere negli anni Settanta e Ottanta della cosiddetta Green Theory (una sorta di apparato ideologico dell’ambientalismo middle-class), assai influenzata dal biocentrismo della Deep Ecology e responsabile dell’ampia diffusione del neo-malthusianesimo((Il cosiddetto rapporto Meadows commissionato al Club di Roma da parte del MIT, segnò l’inizio del dibattito scientifico sui limiti della crescita: Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows; Jørgen Randers; William W. Behrens III, I limiti dello sviluppo, trad. it. di F. Macaluso, Milano, Mondadori, 1972.)). Questo sviluppo teorico opererebbe uno slittamento discorsivo a causa del quale marxismo ed ecologia appaiono ora come opposti, quando non inconciliabili. Al primo stadio dell’eco-socialismo, per Foster e Burkett, appartengono dunque quegli autori e quelle autrici di orientamento marxista che avrebbero accettato tale piano di separazione, sforzandosi altresì di ricongiungere il pensiero verde al marxismo – spesso però tacciando quest’ultimo di intrinseco produttivismo o di “prometeismo”. Altre personalità di spicco, in questo gruppo di marxisti critici rispetto a Marx, sono André Gorz((Cfr. André Gorz, Ecologia e libertà, trad. it. a cura di E. Leonardi, Napoli, Orthotes, 2015.)), Joan Martinez-Alier((Cfr. Joan Martinez-Alier, Ecological economics: energy, environment and society, Oxford, Blackwell, 1987.)), Carolyn Merchant((Cfr. Carolyn Merchant, La morte della natura. Le donne, l’ecologia e la rivoluzione scientifica, Milano, Garzanti, 1988.)).
Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei 2000, però, grazie in primo luogo al lavoro degli stessi Burkett((Paul Burkett, Marx and Nature. A Red and Green perspective (1999), Chicago, HaymarketBooks, 2014)) e Foster((John Bellamy Foster, Marx’s ecology. Materialism and Nature, New York, Monthly Review Press, 2000.)), a questa prima fase dell’eco-socialismo sarebbe succeduta una seconda, caratterizzata dalla rettifica del malinteso originario della Green Theory: nell’opera di Marx sarebbe infatti rintracciabile un ecologismo ante litteram, centrale nell’architettura complessiva della critica dell’economia politica e, soprattutto, adeguato tanto al periodo in cui fu elaborato (la seconda metà del xix secolo) quanto ai secoli successivi (pur con gli ovvi adattamenti, per lo più relativi alla nuova fenomenologia della crisi ecologica). Non sorprende che anche un osservatore simpatetico come Andreas Malm abbia riscontrato in questo approccio tracce di “deificazione del padre”((Cfr. Andreas Malm, [Guide de lecture] Le marxisme écologique, Revue Periode 19-07-2017, http://revueperiode.net/guide-de-lecture-le-marxisme-ecologique/ (ultimo accesso 25.11.2020).)).
Non è nostra intenzione negare, o anche solo relativizzare, la meritoria opera di riscoperta di una dimensione ambientale del pensiero marxiano (ma lo stesso potrebbe dirsi della riflessione di Engels((Cfr. Friedrich Engels, Dialettica della natura, trad. it. di L. Lombardo Radice, Roma, Editori Riuniti, 1967; cfr. Kaan Kangal¸ Friedrich Engels and the Dialectics of Nature, London, Palgrave Macmillian, 2020.))) messa in atto da Foster, Burkett e da altre voci appartenenti alla scuola della “frattura metabolica” (Metabolic Rift)((Questa scuola si basa sulla difesa radicale delle posizioni di Marx ed Engels scoprendo nel naturalismo dialettico dei due autori un’autentica posizione ecologista. Foster ritiene che la tradizione del marxismo occidentale abbia commesso l’errore di scindere Marx da Engels, la dialettica della storia da quella della natura, il materialismo ontologico ed epistemologico da quello pratico, compiendo un giro idealista e allontanando il marxismo e la teoria critica dalle scienze naturali. Per Foster, questo processo ha prodotto una difficoltà di intervento sui temi dell’ecologia da una prospettiva autenticamente marxista. Kohei Saito è un altro noto esponente di questa scuola e continua il prezioso lavoro d’indagine delle radici ecologiste nell’economia politica marxiana a partire dalla nuova edizione della MEGA2 (Marx-Engels-Gesamtausgabe), ossia l’edizione critica delle opere complete di Marx ed Engels. Cfr. Karl Marx’s Ecosocialism. Capital, Nature, and the Unfinished Critique of Political Economy, New York, Monthly Review Press, 2017.)). Ciò che invece ci preme sottolineare è che questo tipo di inquadramento storico della vicenda dell’eco-socialismo si concentra esclusivamente sulle strutture discorsive (a-problematicità del rapporto Marx-ecologia nella fase prefigurativa, dagli anni Cinquanta agli Ottanta, Marx vs. ecologia nella prima fase, dai Sessanta a oggi, Marx ecologista nella terza fase, dagli anni Novanta a oggi – con una quarta, e probabilmente ultima, fase “pratica” di applicazione del metodo d’analisi della frattura metabolica((Cfr. Stefano B. Longo, Rebecca Clausen e Brett Clark The Tragedy of the Commodity: Oceans, Fisheries, and Aquaculture, New Brunswick, Rutgers University Press, 2015.))), relegando in secondo piano la congiuntura politica a partire dalla quale il problema del rapporto tra marxismo ed ecologia prima si è dato e poi si è sviluppato((Lo ha rilevato correttamente, in un articolo notevole, Alfredo Agustoni: “di fronte al manifestarsi della crisi ecologica, il sociologo americano opta per una revisione critica del marxismo, piuttosto che per una presa di distanza dallo stesso, come faranno tanti altri – che pure partono da una visione assai più radicale del marxismo – negli stessi anni” (corsivo nostro). Cfr. “Dalla ‘crisi fiscale dello Stato’ alla ‘seconda contraddizione del capitale’: il percorso intellettuale di James O’Connor”, in “Effimera”, http://effimera.org/dalla-crisi-fiscale-dello-stato-alla-seconda-contraddizione-del-capitale-percorso-intellettuale-james-oconnor-alfredo-agustoni/ (ultimo accesso 7.3.2021).)). In particolare, la periodizzazione per così dire “orizzontale” di Foster e Burkett non tematizza a sufficienza il ruolo generativo del conflitto sociale rispetto alle nuove domande che è possibile porre a un archivio ricchissimo e problematico come quello marxista. Eppure non si comprendono né genesi né evoluzione del pensiero di O’Connor se si prescinde dalla sua collocazione nella temperie del ciclo di lotte che si apre con la contestazione della guerra in Vietnam, passa attraverso il 1968 e porta al primo shock petrolifero del 1973, per poi trascinarsi almeno fino alla seconda crisi energetica del 1979. La traccia viva delle mobilitazioni – in particolare quelle contro le nocività industriali – lega implicitamente le tappe che scandiscono la riflessione di O’Connor e trova evidente espressione nella dedica del suo lavoro più fortunato, La crisi fiscale dello Stato, del 1973: “Agli operai, ai disoccupati, ai poveri, agli studenti e a tutti coloro che, con le loro lotte contro lo Stato, hanno reso possibile questo libro”((James O’Connor, La crisi fiscale dello Stato (1973), trad. it. di V. Grisoli, Torino, Einaudi, 1977. Vale la pena di ricordare che la seconda edizione italiana, del 1979, include un’importante prefazione di Federico Caffè.)).
Ciò che ci sembra importante mettere a fuoco è come O’Connor abbia vissuto in maniera inscindibile militanza politica e lavoro scientifico. Occorre ricordare, in primo luogo, il sostegno a Cuba nel processo di stabilizzazione post-rivoluzionario (testimoniato da un volume sulle origini del socialismo cubano((James O’Connor, The origins of socialism in Cuba, Ithaca-New York, Cornell University Press, 1970.)). Altrettanto dirimente fu la sua partecipazione al movimento anti-segregazionista dei Freedom Riders, nonché l’opposizione all’invasione del Vietnam con l’organizzazione delle Facoltà contro la guerra((Cfr. Barbara Lawrance e Salvatore Engel-Di Mauro, “James Richard O’Connor (20 April 1930- 12 November 2017)”, in “Capitalism Nature Socialism”, xxviii, 4, pp. 1-2.)).
Dal punto di vista della produzione scientifica, i suoi contributi sono fondamentali, particolarmente nell’ambito dell’economia politica: ormai un classico è il già richiamato La crisi fiscale dello Stato. Meno note ma altrettanto degne di considerazione sono le successive analisi del concetto di crisi che, sintetizzando punti di vista alternativi sulle tendenze allo squilibrio economico, politico, culturale e psicologico del capitalismo americano degli anni Ottanta, si cristallizzano in due volumi: Accumulation Crisis (1986)((James O’Connor, Individualismo e crisi dell’accumulazione (1986), trad. it. di E. Morlicchio e G. Ricoveri, Roma-Bari, Laterza, 1986.)) e The Meaning of Crisis (1987)((James O’Connor, Crisi e teoria dell’economia (1987), trad. it. di A.M. Sioli, Milano, Edizioni di Comunità, 1989.)).
In La crisi fiscale dello Stato si segnala la rilevanza strutturale della spesa pubblica statunitense per la crescita del settore monopolistico, nonché l’insostenibilità, sul medio-lungo periodo, di un modello di sviluppo fondato tanto sull’accumulazione del capitale sociale quanto sull’aumento delle spese sociali. Una disamina puntuale delle tesi di questo volume ci porterebbe troppo lontano. Occorre tuttavia segnalare che in esso si trova un passaggio, di norma poco discusso, che anticipa la tesi sulla seconda contraddizione: si tratta dell’appendice al capitolo sesto((Intitolato “Le spese sociali di produzione: il warfare-welfare state”.)), intitolata “Le spese sociali dell’inquinamento dell’ambiente”. Oltre alla nota contraddizione tra capitale e lavoro, in questo breve estratto O’Connor prefigura l’insanabile contraddizione tra accumulazione economica e privatizzazione dei profitti, da un lato, ed esternalizzazione dei costi ecologici e loro socializzazione attraverso lo Stato, dall’altro. Vale la pena di riportare il brano per intero:
Le leggi e la persuasione morale non sono che due elementi nella soluzione del problema dell’inquinamento. Il terzo ingrediente essenziale è il denaro governativo […] Nessuna grande azienda agricola può permettersi da sola di pagare le spese per la protezione del suolo, delle acque e della vita vegetale, animale e umana. Nessuna società automobilistica può sobbarcarsi da sola i costi della produzione di veicoli non inquinanti. Nessuna municipalità può concedersi il lusso di costruire adeguati impianti per il trattamento dei rifiuti. Nessuna compagnia aerea può affrontare le spese connesse con l’inquinamento da rumore o con la modernizzazione dei servizi e degli impianti per il controllo del traffico aereo. Anzi, industrie fortemente inquinanti come le cartiere, la chimica, i metalli primari, ecc., non sono in grado di finanziare impianti adeguati per trattare o eliminare gli scarichi senza un aiuto finanziario dall’esterno in una forma o in un’altra.
O’Connor, La crisi fiscale dello Stato, cit., p. 199.
O’Connor posa così la prima pietra dell’edificazione del pensiero eco-marxista, aprendo lo spazio concettuale per una critica ecologica dell’economia politica. Un lavoro che riprenderà sul finire degli anni Ottanta nelle pagine di cns e che proseguirà fino al 2003, anno in cui ne lasciò la direzione.
L’idea di fondare una rivista dedicata all’ecologia socialista era nata a partire da un seminario nell’autunno del 1988, intitolato Capitalism and Nature e animato da militanti ecologisti, ricercatori e studiosi. La direzione di CNS((James O’Connor ha diretto assieme a Barbara Laurance cns finché le sue condizioni di salute non sono peggiorate. L’inscindibilità tra riflessione teorica e militanza politica di O’Connor è dimostrata anche dal fatto che si è impegnato a costruire un network internazionale di riviste: “Ecología Política” pubblicata a Barcellona e fondata da Martínez Alier e Anna Monjo, “Ecologie Politique” fondata in Francia da Jean-Paul Deléage e “Capitalismo Natura Socialismo” rivista italiana fondata da Giovanna Ricoveri e Giorgio Nebbia. Cfr. Giovanna Ricoveri (a cura di), Capitalismo Natura Socialismo, Milano, Jaca Book, 2006.)), ancora oggi punto di riferimento internazionale dell’elaborazione teorica dell’ecologia politica di stampo marxista((Al momento la rivista è diretta da Salvatore Engel-Di Mauro (direttore emerito: Joel Kovel [1936-2018]).)), fu assunta congiuntamente da Barbara Laurence e O’Connor. Nel corso di questo seminario emergono due questioni imprescindibili: in primo luogo la mancanza, fino a quel momento, di una teoria (neo)marxista che avesse organicamente connesso crisi economica e crisi ecologica; in secondo luogo, la mancanza, fino a quel momento, di un’elaborazione critica che avesse dialetticamente articolato storia e natura, collocandosi nell’interfaccia tra scienze naturali e sociali((Cfr. James O’ Connor, “Prospectus: Capitalism, nature, socialism: A journal of socialist ecology”, in “Capitalism Nature Socialism”, 1, 1, 1988, pp. 1-6.)). Il tentativo di colmare questa doppia lacuna è il portato specifico dell’ecologia politica di O’Connor, il cui architrave è senza dubbiola teoria della seconda contraddizione.
La seconda contraddizione del capitalismo
Il primo dei due contributi raccolti è il principale scritto dell’autore sul rapporto tra crisi economica e crisi ecologica, scritto nel 1988 e pubblicato nel primo numero di cns, con il titolo Capitalism nature socialism a theoretical introduction, tradotto l’anno dopo in italiano da Giovanna Ricoveri – cofondatrice dell’edizione italiana di cns – per l’editore Datanews con il titolo L’ecomarxismo.
In questo saggio O’Connor compie un’analisi innovativa del concetto di crisi, per la quale esisterebbero due tipi di contraddizione interni al capitalismo: la prima è quella classica tra le forze produttive e i rapporti di produzione, che economicamente si traduce in una crisi di realizzazione del plusvalore creato nella produzione, detta anche crisi di sovrapproduzione. Questa prima contraddizione è un classico del marxismo ed è schematicamente esposta nella Prefazione del 1859 a Per la critica dell’economia politica di Marx((Cfr. Marx Karl, Per la critica dell’economia politica, trad. it. di E. Cantimori Mezzomonti, Roma, Editori Riuniti, 1971, p. 5.)). La seconda contraddizione, invece, è propriamente eco-marxista e O’Connor la identifica tra forze produttive e rapporti di produzione da un lato, e le condizioni di produzione dall’altro. Le condizioni di produzione sono di tre tipi: 1) le condizioni fisiche esterne, o elementi naturali che entrano nel capitale costante e variabile; 2) la forza lavoro abbondante e separata dai mezzi di produzione; 3) le condizioni comunitarie e generali della produzione, come per esempio i mezzi di comunicazione e lo spazio urbano. Queste sono discusse rispettivamente nei termini di variabilità eco-sistemica, di salute mentale e fisica dei lavoratori e di capitale sociale, infrastrutture, ecc. Questa crisi si traduce in crisi di sottoproduzione o crisi di liquidità((Infra, p. 45. Va segnalato che una struttura discorsiva molto simile, denominata però – forse più adeguatamente – crisi di riproduzione, era stata proposta da André Gorz nel 1977; cfr. Gorz, Ecologia e libertà, cit.)).
O’Connor, analizza il processo della crisi nella contraddizione classica e in quella eco-marxista da lui proposta. Nella prima, il capitalismo non solo è dominato dalle crisi ma ne dipende, poiché esse rappresentano il motore per il rinnovamento delle forze produttive e dei rapporti di produzione. Il risultato è di far nascere forme di produzione più efficienti, trasparenti e cooperative, che possono rappresentare una migliore condizione di transizione al socialismo, senza implicarlo necessariamente((Infra, p. 48 ss.)).
Il punto di vista eco-marxista sul capitalismo come sistema dominato da crisi mette invece a fuoco la distruzione delle condizioni di produzione materiali e sociali. Il capitale inevitabilmente distrugge le proprie condizioni di produzione poiché esse non sono prodotte come merci. Ciò implica la presenza dello Stato come mediatore necessario nel processo di rinnovamento delle condizioni di produzione deturpate, che ha come effetto quello di politicizzarne la rigenerazione, attivando così ulteriori lotte sociali che intervengono contro la capitalizzazione della natura. La trasformazione sociale è il risultato del rapporto tra queste differenti forze. Da questa seconda contraddizione O’Connor deriva l’emersione di tre principali nuovi movimenti in relazione con le tre tipologie delle condizioni di produzione: il femminismo rispetto al corpo; i movimenti ambientalisti rispetto agli elementi fisico-naturali; i movimenti territoriali rispetto alle condizioni comunitarie((Infra, pp. 64-74.)).
Il capitale mina le sue stesse condizioni di produzione non solo a causa dell’inquinamento, ma anche a causa dei costi crescenti delle infrastrutture, aprendo una crisi di sottoproduzione dovuta all’aumento dei costi riproduttivi delle condizioni di produzione. Le esternalità negative, essendo costi improduttivi per il capitale, vengono quindi socializzate attraverso la fiscalità dello Stato. Secondo O’Connor, l’effetto è quello di richiedere nuove modalità di cooperazione tra capitali e Stato verso “forme più socializzate di ‘regolazione del metabolismo tra l’umanità e la natura’, così come del ‘metabolismo’ tra l’individuo e l’ambiente fisico e sociale”((Infra, p. 65.)). Una maggior cooperazione ha l’effetto di rendere le condizioni di produzione ancor più immediatamente politiche, de-feticizzando le relazioni sociali. Per esempio, nel caso della gestione dei parassiti in agricoltura si prevedono forme di coordinamento tra i contadini ma anche training nei programmi educativi pubblici. Un ulteriore effetto sarebbe un incremento della pianificazione. Per esempio, si pianifica come affrontare lo smog urbano attraverso la cooperazione fra gruppi di interesse e Stato. Il punto chiave è che il capitalismo tende a sovvertirsi quando muta verso forme più altamente socializzate di fornitura delle condizioni di produzione, per via politica e/o ideologica. L’adattamento tra rapporti sociali e condizioni riproduttive dei rapporti di produzione è abbastanza fluido e flessibile. Queste forme di maggior socializzazione non sono automaticamente un presupposto del socialismo e non vanno pensate come irreversibili((Infra, p. 67.)). Ciò che conta è tenere ben fermo il punto della contraddizione interna e la necessità del suo superamento.
In conclusione, forme più socializzate dei rapporti di produzione, delle forze produttive e delle condizioni di produzione contengono la possibilità del socialismo. Questa possibilità è indotta dalla crisi, non solo per la tradizionale contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione, ma anche per la contraddizione tra forze/rapporti e le loro condizioni. Il capitalismo perciò non dà una bensì due crisi; allo stesso tempo, insiti nel capitalismo vi sono non uno ma due processi di ristrutturazione e di riorganizzazione indotti dalla crisi, e vanno entrambi nella direzione di forme più socializzate((Infra,p. 69.)).
In un lucido articolo apparso su “Quaderni materialisti”, Paolo Missiroli segnala che affinché la critica ecologica risulti immanente nella versione eco-marxista, e dunque non sia di tipo morale, essa deve essere analizzata a partire dalla produzione capitalistica, evidenziandone la contraddittorietà a livello di logica interna. In questo senso ci si riferisce a una natura internalizzata al capitale. La forza di questa teoria è triplice: 1) spiega la crisi ambientale attraverso una contraddizione immanente alla logica del capitale; 2) offre una teoria della crisi che unifica il punto di vista sociale e ambientale; 3) fornisce una spiegazione della genesi dei nuovi movimenti((Paolo Missiroli, “Il rapporto tra crisi capitalistica e natura nell’eco-marxismo statunitense (O’Connor, Foster, Moore)”, in “Quaderni materialisti”,18, 2019, pp. 233-244.)).
Crisi e rinascita della teoria della seconda contraddizione
Già nel 1990 Riccardo Bellofiore segnalava che la teoria di O’Connor sulla seconda contraddizione, pur essendo un brillante tentativo di effettuare una critica immanente della crisi ecologica, sembra tuttavia affetta da “crollismo” e troppo legata al linguaggio marxiano per effettuare quel necessario raccordo tra movimento operaio e movimenti ecologisti((Cfr. Riccardo Bellofiore, “L’ecomarxismo di James O’Connor”, in “Marx 101”, n.s., 1, 1990, pp. 177-180.)). Si tratta di un rilievo a nostro avviso condivisibile. In generale, dopo un iniziale successo, la teoria della seconda contraddizione ha cominciato a perdere d’importanza nel mondo eco-marxista – in concomitanza con l’affermarsi della scuola Metabolic Rift, che, come abbiamo già accennato, avanza critiche di fondo alle posizioni di O’Connor. I più importanti esponenti di questa scuola, John Bellamy Foster((Pare che Foster abbia mutato le sue posizioni in seguito alle critiche sviluppate da Burkett nei confronti di O’Connor nel 1999, o comunque che abbia sviluppato un progressivo distacco solo nella seconda metà degli anni Novanta. Quando ancora non aveva maturato una piena critica delle posizioni di O’Connor, Foster definiva la seconda contraddizione come “l’assoluta legge generale della degradazione dell’ambiente sotto il capitalismo” (John Bellamy Foster, “The absolute general law of environmental degradation under capitalism”, in “Capitalism Nature Socialism”, iii, 3, 1992, pp. 77-81).)) e Paul Burkett, accusano la teoria della seconda contraddizione di funzionalismo e dinon cogliere le crisi ecologiche per ciò che sono, ma solo come riflesso di crisi economiche quando minano le condizioni di riproduzione delle condizioni di produzione. Per Foster e Burkett, quella della seconda contraddizione è una semplificazione che assume un immediato meccanismo di feedback tra la degradazione della natura e la crisi economica attraverso la socializzazione dei suoi costi, con effetti nella realizzazione del valore capitalistico. Ciò è possibile, si dice, ma non necessario. Il capitale potrebbe benissimo continuare a degradare la natura minando alcuni settori e aprendone di nuovi, alimentando semplicemente un meccanismo predatorio e di esaurimento delle risorse. Anzi, è addirittura possibile vedere come le esternalità negative della produzione sull’ambiente non si traducano necessariamente in un aumento dei costi per il capitale. Per esempio, Foster evidenzia come l’attuale fenomeno dello scioglimento dei ghiacci della calotta polare artica stia aprendo possibilità inedite per la costituzione di nuove vie commerciali, lo sfruttamento di nuovi giacimenti energetici fossili e l’estensione dell’agricoltura((“Il Climate Action Report 2002 on global warming, pubblicato dall’Environmental Protection Agency (epa) ha riconosciuto i pericoli per la vita e le condizioni di vita rappresentati dal riscaldamento globale, ma ha sottolineato che negli Stati Uniti i danni ambientali saranno più visibili nello scioglimento delle nevi in montagna e simili. Per quanto riguarda le condizioni di produzione dell’agricoltura, il riscaldamento globale potrebbe addirittura aumentare la produttività agricola complessiva. Questa mancanza di una chiara connessione tra il danno ambientale e il danno alle condizioni economiche di produzione è stata utilizzata (attraverso un’analisi standard costi-benefici) per giustificare una politica di adattamento al riscaldamento globale piuttosto che adottare misure per diminuire l’emissione di gas serra – poiché queste aumenterebbero i costi di produzione. Ne consegue che non esiste un meccanismo di feedback naturale che trasformi automaticamente la distruzione dell’ambiente in un aumento dei costi del capitale, per quanto possa essere un costo per la natura e la società. E se i movimenti sociali cercano di contenere i danni ‘regolando’ il capitalismo, non c’è alcuna garanzia che ciò possa comprimere seriamente i margini di profitto sul lato dei costi costringendo il capitale a riformarsi – o che ciò non fornisca, di fatto, modi del tutto nuovi di trarre profitto dalla distruzione ambientale. Quindi, ci sono tutte le ragioni per dubitare dell’inevitabilità di una crisi economica nel prossimo futuro che scaturisca principalmente da tali cause” (John Bellamy Foster, “II. Capitalism and Ecology. The Nature of the Contradiction”, in “Monthly Review”,liv, 4, settembre 2002, p. 11). Si veda anche Burkett, Marx and nature, cit., pp. 193-197. Paul Burkett, John Bellamy Foster, Marx and the Earth, cit., pp. 5-7.)). Per Foster questa teoria presenterebbe inoltre un ulteriore difetto: possedendo due differenti letture della crisi – che generano differenti soggetti di lotta, la classe lavoratrice e i movimenti per la democrazia radicale – essa divide artificiosamente il movimento anticapitalista. Inoltre questa concezione fallirebbe nell’intento di internalizzare la natura al capitale perché la inserirebbe solo a monte come tap (letteralmente “rubinetto”), ossia come problema delle risorse e dell’innalzamento dei costi,e come sink (letteralmente “lavandino”), ossia come problema dei rifiuti a valle; pertanto la questione resterebbe solo parzialmente analizzata((Cfr. Foster, “II. Capitalism and Ecology”, cit.)).
Un’altra possibile critica alla teoria della seconda contraddizione di O’Connor è quella che ne indica il limite storico-epistemico: quello di non aver fatto – o forse sarebbe meglio dire “potuto fare” – i conti con la cosiddetta green economy, cioè con il tentativo capitalistico di trasformare il vincolo ecologico in una strategia di accumulazione((Cfr. Emanuele Leonardi, Lavoro Natura Valore. André Gorz tra marxismo e decrescita, Napoli-Salerno, Orthotes, 2017.)). È ciò che è accaduto a partire dagli anni Novanta quando, in particolare per quanto riguarda le questioni del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità, le varie convenzioni onu hanno tentato di gestire le esternalità negative della produzione tramite i mercati finanziari (carbon markets da un lato, payments for eco-system services dall’altro). Si tratta di una strategia che a più di vent’anni dalla prima implementazione dimostra tutta la sua fallibilità, ma che rimane al centro delle politiche ambientali a livello internazionale. Attorno a sé, però, la green economy ha visto crescere un’impressionante ondata di proteste, coagulatasi attorno gli scioperi climatici del 2019. Leggere O’Connor nel 2021, dunque, significa riaprire l’archivio eco-marxista dalla prospettiva di un ciclo di lotte che possiamo definire di “giustizia climatica”: è a questo livello che il nodo tra questione sociale e questione ambientale torna a porsi, in forma rinnovata (e forse più urgente che mai).
Non è perciò un caso che il messaggio di O’Connor stia conoscendo una parziale rinascita, dovuta a due differenti ordini di ragioni. Il primo, teoretico, si deve alle ricerche di Jason W. Moore(Cfr. Jason W. Moore, Capitalism in the Web of Life. Ecology and the accumulation of Capital, London-New York, Verso, 2015.)) che, pur non facendo esplicitamente riferimento alla teoria della seconda contraddizione, recupera quel meccanismo di feedback che lega crisi ecologica e crisi economica all’interno di una concezione ontologica “ibrida” ispirata parzialmente a Bruno Latour e finalizzata all’analisi della complessità socio-ecologica attraverso l’ecologia-mondo((Cfr. Jason W. Moore, Antropocene o Capitalocene? Scenari di ecologia-mondo nella crisi planetaria, trad. it. di Alessandro Barbero e Emanuele Leonardi, Verona, ombre corte, 2017; Jason W. Moore, Ecologia e crisi del capitalismo. Natura, potere e ricchezza nella dissoluzione del mondo moderno, trad. it. a cura di Gennaro Avallone, Verona, ombre corte, 2015.)). Il secondo ordine di ragioni, di natura pratica e più che mai attuale, riguarda la crisi pandemica in corso. Attraverso studi di epidemiologia evolutiva Rob Wallace ha mostrato come lo sviluppo capitalistico, con i suoi effetti degradanti sull’ambiente, sia causa diretta dell’emergere di nuove epidemie. La massiccia deforestazione delle zone equatoriali dovuta alle monocolture è all’origine del sempre più frequente fenomeno della zoonosi, ossia il salto evolutivo che i virus compiono dai loro ospiti originari agli umani. Così come l’allevamento intensivo ha come esternalità negativa quella di costituire un terreno di coltura perfetto affinché virus e batteri accrescano la propria contagiosità e virulenza. Inoltre, le catene globali del valore sempre più allungate, nonché la sempre maggiore ramificazione del trasporto di merci, giocano un ruolo fondamentale nel diffondere focolai locali fin nel cuore degli agglomerati metropolitani((fr. Rob Wallace, Dead Epidemiologists. On the Origins of CO-VID-19, New York, Monthly Review Press, 2020.)). Nel dibattito eco-marxista attuale c’è chi si è dunque spinto, pur con le dovute cautele, a definire la crisi attuale come “la prima crisi O’Connor” in quanto esplicitamente radicata nello scompenso delle condizioni di produzione((Andreas Malm, Corona, Climate, Chronic Emergency. War Communism in the Twenty-First Century, London-New York, Verso, 2020; Andreas Malm, “La pandemia è la prima vera ‘crisi O’Connor’. Intervista di Emanuele Leonardi a Andreas Malm”, in “Global Project”, 30.6.2020, https://www.globalproject.info/it/in_movimento/la-pandemia-e-la-prima-vera-crisi-oconnor-intervista-di-emanuele-leonardi-ad-andreas-malm/22886 (ultimo accesso 30.11.2020). Per una critica intelligente, cfr. Salvo Torre, “Il valore e il mondo nuovo: la prima crisi di riproduzione complessiva del sistema,” in “Le parole e le cose”, 2020, http://www.leparoleelecose.it/?p=39135 (ultimo accesso 15.2.2021).)). Ci si potrebbe dunque spingere ad affermare che, per quanto il meccanismo di feedback possa non essere una necessità, e dunque nessun crollo del capitalismo sia automaticamente all’orizzonte, man mano che ci si addentri nella dimensione catastrofica della crisi ecologica sarà sempre più complicato interpretare l’accumulazione capitalistica con schemi consolidati.
In conclusione, sia per ragioni attuali legate alla crisi in corso, sia per ragioni storiche legate all’evoluzione del pensiero eco-marxista, James O’Connor resta un autore imprescindibile. Chi intenda affrontare con spirito critico il presente della crisi ecologica troverà nei due saggi qui proposti una risorsa fondamentale.