Presentazione di “I piedi sulla terra”
“I piedi sulla terra” è una rivista on line diretta da Alessandro Montebugnoli, espressione dell’omonimo laboratorio costituito all’interno del CRS – Centro studi per la riforma dello stato (https://centroriformastato.it/scuole-e-laboratori/i-piedi-sulla-terra/il-nostro-magazine/). A oggi ne sono stati pubblicati tre numeri. Il ‘programma di ricerca’ si può riassumere nei punti che seguono.
1. Sotto il profilo delle sue cause prossime e delle sue manifestazioni la crisi ecologica si presenta come un insieme di fenomeni quanto mai complesso, dominato da profili di interdipendenza, retroazione, circolarità…
In proposito, la rivista non presume di fornire contributi originali, autonomi. Piuttosto prevede un lavoro di raccolta, confronto e restituzione in forma ‘piana’ dei risultati ottenuti dalle varie discipline che, in modo sempre più integrato, portano avanti lo studio del sistema-Terra. Non senza coglierne due implicazioni di profondo interesse culturale e politico.
Nessi di causa-effetto largamente contrassegnati da profili di interdipendenza, retroazione, circolarità – in parole povere, la mancanza di cause ‘singole’ – conferiscono alla realtà che li comprende la qualità di un ‘tutto’, di un ‘intero’, comprensibile soltanto in quanto tale, refrattario a qualsiasi approccio di tipo riduzionistico.
Condizioni del genere costituiscono una sorta di fondamento epistemologico del principio-responsabilità, che in effetti ne riceve tanto maggior rilievo, rafforzandosi ulteriormente rispetto al più debole principio-precauzione; e segnano anche l’inadeguatezza di qualsiasi strategia incentrata sulla realizzazione di interventi ad hoc, ovvero di qualsiasi approccio di tipo problem solving.
2. Mentre le sue cause ultime – le sue ‘origini’, le sue radici più profonde – sono da individuare nell’assillo della crescita iscritto nel cuore del capitalismo.
Spesso, nella pubblicistica e nel dibattito corrente, la crisi ecologica è ricondotta al “feticismo del Pil”. Corretto: il legame è senz’altro pertinente e la sua denuncia riveste moltissima importanza. Al tempo stesso, si tratta di un approccio ancora insufficiente: possiamo considerarlo una specie di ‘grado zero’ della critica, al di là del quale restano da fare cospicui passi avanti.
In primo luogo bisogna appunto dire che ‘dietro’ il Pil c’è l’ordinamento capitalistico delle attività economiche. Diversamente, il fatto che il tasso di crescita dell’aggregato sia oggetto di perenni sforzi di massimizzazione sarebbe del tutto incomprensibile: la ragione sta precisamente nel ‘programma fondamentale’ di un’economia internamente governata dal demone dell’accumulazione, incessantemente ordinata alla valorizzazione del valore.
In secondo luogo, mente locale su fatto che il Pil si misura in denaro, mentre quello che conta, di nuovo, è quello che c’è dietro, vale a dire i flussi di materia e di energia incorporati nei beni e nei servizi che entrano nel calcolo ai prezzi di mercato. Di tali flussi, i sistemi di contabilità nazionale non forniscono alcuna rappresentazione: per conseguenza, la loro ricostruzione e l’analisi dei loro rapporti con i processi di valorizzazione del valore sono tra le frontiere più avanzate della ricerca intorno al nesso di economia e ambiente.
3. Alle violazioni dei planetary boundaries non sarà possibile mettere fine senza incidere sulle strutture portanti del nostro ordinamento sociale ed economico…
Come nessun farmaco è esente da controindicazioni, così non esistono tecnologie ‘innocenti’, nessuna manca di fare pressione sull’ambiente. Pertanto, qualsiasi tecnologia, combinata con l’insaziabile demone dell’accumulazione che anima il capitalismo, finisce inevitabilmente per toccare e superare i planetary boundaries. Affinché questo non accada, tecnologie appropriate devono essere impiegate in modi e quantità appropriate – e le variazioni del Pil, però, diventare materia disponibile al vaglio della critica, oggetto di un atteggiamento di tipo riflessivo. Per un orientamento del genere, ‘post-crescita’ sembra un nome migliore di ‘decrescita’.
Il tutto, crucialmente, nel rispetto della questione che verte sulle Common but Differentiated Responsabilities: la severità con la quale le variazioni del Pil dei paesi ricchi devono essere sottoposte al vaglio della critica dipende innanzi tutto dalla condizione che quelli poveri abbiano modo di provvedere alle loro proprie necessità di crescita.
4. Né senza aprire menti e cuori al riconoscimento del rapporto di reciproca appartenenza che ci unisce al mondo in cui viviamo.
Qui si tratta di tenere insieme due istanze, sperabilmente non incomponibili, ma in certo modo opposte.
(a) In primo luogo, il lato dal quale noi apparteniamo alla Terra, alla biosfera, proprio nel senso che ne siamo parte e ne dipendiamo, essendo consegnati agli stessi processi metabolici che hanno luogo presso tutti gli esseri viventi. Il titolo I piedi sulla terra vuole appunto significare questo dato elementare e pregnante di radicamento, disconoscendo il quale si lascia campo libero al dispiegarsi della hybris (largamente congeniale allo spirito del capitalismo) che filosoficamente si può leggere nel darsi della crisi.
(b) D’altro canto, la circostanza che noi siamo anche l’oculus mundi tematizzato dalla filosofia rinascimentale: certamente una parte, alla quale, però, la ‘natura’ si presenta tutta intera, come se il sistema-terra, in noi, nei nostri occhi, venisse a ricongiungersi con se stesso. Difficile negare questa unicità della posizione umana senza tradire un dato elementare e pregnante – ma proprio qui, in effetti, si delinea la possibilità del disconoscimento di cui sopra e, con esso, della funesta propensione a violare i planetary boundaries.
La possibilità, però, non la necessità. Secondo il programma di ricerca, la sintesi di (a) e (b) che è lecito tentare verte sull’idea che la stessa capacità di un rapporto universale con il sistema-Terra, invece che in chiave di dominio, possa essere interpretata in termini di responsabilità e di curanei confronti della sua (e della nostra) salute