Processo alla crescita

Carla Ravaioli e Bruno Trentin, “Processo alla crescita”, Roma, Editori Riuniti, 2000, 159 pp. 

Una società e una economia “funzionano” (dovrebbero funzionare) col fine di soddisfare bisogni umani: bisogni di abitazione, di cibo e acqua, di respirare aria pulita, di salute e conoscenza, di comunicazione delle proprie conoscenze ad altri; bisogni di libertà e dignità. Per quanto se ne dica, per soddisfare tutti questi bisogni occorrono degli oggetti materiali che possono essere ottenuti soltanto trasformando dei beni naturali – aria, acqua, vegetali, animali, rocce, pietre, minerali, fossili estratti dal sottosuolo – in cose utili mediante il lavoro e mediante strumenti che, da quando è nata la proprietà privata, diecimila anni fa, possono solo essere comprati o venduti in cambio di denaro. 

Chi investe il proprio denaro nella produzione di merci deve essere premiato con altro denaro anche perché è un benefattore: permette ai lavoratori di acquistare più merci che fanno aumentare la produzione e il denaro in circolazione, eccetera. Il progresso non si misura forse con la “crescita” del denaro in circolazione, così bene interpretata dal prodotto interno lordo di un paese? 

Ci volevano dei malinconici brontoloni a spiegare, alla luce dell'”ecologia”, che “il di più” – più merci, più denaro – la crescita, insomma, si scontra con limiti inviolabili, quelli della capacità della natura di fornire nuove materie prime e quelli della capacità dell’aria, delle acque, del suolo, di accettare, sopportare, la crescente massa di scorie e rifiuti che inevitabilmente accompagnano la crescita delle merci e del denaro. 

Da oltre trent’anni si trascina il dibattito fra alcuni che, anche nella sinistra, osservano che la crescita, delle merci e del denaro, in qualche momento deve rallentare (o fermarsi ?); e altri, la maggioranza – i governi ormai di tutto il mondo, gli imprenditori e anche i lavoratori – sostengono invece che, per soddisfare i crescenti e sempre più raffinati bisogni umani, nel Nord e nel Sud del mondo, occorre far crescere il denaro in circolazione, unico agente capace di consentire l’occupazione e la produzione. 

Col libro “Processo alla crescita” Carla Ravaioli, per molti anni senatore della Sinistra indipendente, saggista e una delle voci più attente, a sinistra, ai rapporti fra esseri umani, natura, lavoro e società, continua la serie dei “colloqui” cominciati anni fa con Alberto Moravia sulle donne, con Claudio Napoleoni sul lavoro e, in tempi più recenti, con numerosi economisti internazionali: la raccolta di queste ultime interviste, “Il pianeta degli economisti”, è stata tradotta in inglese ed è citatissima. Questa volta il colloquio è con Bruno Trentin il quale, “da sinistra”, spiega la inevitabilità della “crescita” che egli fa coincidere con “lo sviluppo” umano. 

Dal colloquio emergono tutte le contraddizioni fra crescita e “natura”: i limiti fisici della natura possono essere superati governando lo sviluppo, la sua qualità, rendendolo “sostenibile”, come è di moda dire adesso. Ma la “sostenibilità” non sarà una nuova parola magica per evitare di mettere in discussione la “crescita” merceologica e non sarà destinata anche lei a scontrarsi con i limiti fisici della natura? 

L’altro punto importante riguarda la democrazia: è possibile evitare o rallentare lo sfruttamento delle risorse naturali e dell’ambiente senza ricorrere a tentazioni autoritarie, “reazionarie”, “di destra”, senza condannare le classi povere e i paesi poveri a restare con la propria miseria, nel nome della salvaguardia di valori che sono tali per (o che sono percepiti come tali soltanto dalle) classi agiate? 

Può una sinistra chiedere “oggi” ai lavoratori di accettare minori salari, meno automobili, di consumare meno benzina, per salvare i boschi o lo strato di ozono, perché la distruzione delle foreste e dello strato di ozono, imposta dalla crescita del capitale internazionale, è destinata a provocare “domani” ricadute negative più gravi proprio sulle classi povere e sui paesi poveri? 

Dal colloquio Ravaioli-Trentin emergono anche le linee per alcune proposte: uno scrutinio della qualità delle merci e delle materie prime, alla luce dei vincoli ambientali; una nuova cultura nei bisogni e nei consumi individuali; una educazione critica verso le merci oscene come le armi; un intervento pubblico verso la standardizzazione delle merci perché durino di più, siano più facilmente riciclabili alla fine della loro vita utile; lo sviluppo di tecniche e processi che, invece di moltiplicare merci e bisogni futili, aiutino i paesi poveri ad attenuare la loro cronica mancanza di cibo, salute, acqua potabile, abitazioni decenti, energia, istruzione, libertà. 

Tutto questo non risolve il problema di fondo: non frena la crescita, non allarga i limiti delle risorse naturali, ma almeno richiede innovazione, crea occupazione, alleggerisce la pressione migratoria – e può anche mettere in discussione i dogmi della competitività, dello sfruttamento, del capitalismo, cioè delle condizioni intrinsecamente incompatibili con le leggi della natura. Troveremo una sinistra capace di affrontare una tale sfida?