Protezione della natura in questione: una discussione francese

A dispetto della sua evidente provvisorietà il documento che presentiamo qui di seguito ha diversi motivi di interesse.

Si tratta di un appel à communication per un convegno organizzato da diversi enti e sodalizi di ricerca francesi che si terrà nel dicembre 2019 a Parigi, ed è suddiviso in due parti. La prima parte imposta il tema dell’incontro nelle sue linee generali mentre la seconda pone una serie di questioni specifiche sulle quali i relatori sono chiamati a dare il loro contributo.

Il tentativo è quello di ragionare insieme, a partire da diversi punti di vista, sull’evoluzione della protezione della natura in Francia – e naturalmente anche altrove perché il fenomeno ha avuto e ha carattere transnazionale sin dagli inizi – tra la seconda metà dell’Ottocento a oggi.

È facile immaginare che un lettore o una lettrice italiani possano avere qualche difficoltà ad apprezzare pienamente il testo. Un motivo è appunto la sua provvisorietà, il suo carattere problematico e in più punti poco più che abbozzato. Un motivo più profondo è però dato dal fatto che in esso vengono introdotti, connessi e fatti interagire una serie di temi e di filoni di ricerca che in Francia sono oggetto di discussione da anni mentre in Italia sono per lo più sconosciuti. Proprio questo, però, è il motivo principale che ci ha spinto a tradurre e a proporre un documento così anomalo: la possibilità di aprire una finestra su una discussione ricca e avanzata come quella attualmente in corso in Francia sulla storia e sul presente della protezione della natura.

La discussione, coerentemente con uno dei caratteri più tipici della storia ambientale francese, è quasi tutta chiusa dentro i confini della letteratura francofona. Questo è un limite evidente ma permette d’altro canto un confronto organico, basato su solidi fondamenti comuni, tra soggetti anche molto diversi tra loro: figure accademiche provenienti da discipline diverse ma anche protagonisti della protezione della natura operanti “sul campo”. Questa mescolanza di attori è anzi uno dei punti programmatici più originali del principale ente organizzatore del convegno, l’Association pour l’histoire de la protection de la nature et de l’environnement-Ahpne, e l’appel à communication lo richiama in più punti come un’esigenza inaggirabile. E questo è proprio uno degli elementi che rendono il documento interessante per un pubblico come quello italiano, purtroppo non abituato un’impostazione di questo tipo.

Certo: sarebbe stato meglio fornire chiarimenti e riferimenti specifici su molti dei temi appena accennati nel testo, ma al momento pensiamo sia sufficiente invitare ad avvicinarsi per la prima volta a una elaborazione collettiva così ricca e avanzata. Avremo sicuramente il tempo e l’occasione di tornare su questo sofisticato sforzo di ricostruire l’evoluzione dei concetti e delle pratiche della protezione della natura e sui molti elementi chiamati a spiegare tale evoluzione.

DALLA RISERVA INTEGRALE ALLA NATURA ORDINARIA.

LE FIGURE MUTEVOLI DELLA PROTEZIONE DELLA NATURA (SEC. XIX – XXI)

Parigi, 11-12 dicembre 2019

Introduzione

Dalla prima metà del XIX secolo in Francia si sono levate voci per tutelare determinati paesaggi selvaggi identificati come “monumenti naturali”, ma anche alcune specie selvatiche considerate “utili”. Questo è l’inizio della storia della protezione della natura. Da allora in poi, essa continuerà a trasformarsi, a diversificarsi, accompagnando, reagendo o anticipando i cambiamenti nella società fino alla sua istituzionalizzazione in strutture statali e le politiche pubbliche negli anni Sessanta ((Creazione di una divisione della protezione della natura presso il Ministero dell’agricoltura nel 1965, quindi di una direzione generale della protezione della natura nel 1970 di cui sarà erede il Ministero della protezione della natura e dell’ambiente creato nel 1971.)). I modi usati per denominarla nel corso della sua storia sono costituiti di successivi scivolamenti semantici. Il diritto ambientale è a volte il riflesso fedele di queste evoluzioni successive che traducono diversi progetti riguardo alla natura, a volte la forza trainante di sviluppi strategici ((Marie Bonnin, Les corridors écologiques, vers un troisième temps du droit de la conservation de la nature? , L’Harmattan, 2008, 270 p.)). In effetti, i primi passi legali verso la protezione della natura riguardavano la protezione di alcune specie animali ((Decreto del 12 dicembre 1905 in applicazione della Convenzione internazionale sugli uccelli utili all’agricoltura del 19 marzo 1902.)) e di “siti e monumenti naturali”((Legge del 21 aprile 1906 che organizza la protezione dei siti e dei monumenti naturali di carattere artistico, seguita nel 1930 dalla legge sulla protezione dei monumenti naturali di carattere artistico, storico, scientifico, leggendario o pittoresco.)).

In parallelo sono emerse iniziative private per prevenire l’estinzione di alcune specie((Possiamo per esempio citare l’azione della Société nationale d’acclimatation de France attraverso la sua sottosezione costituita dalla Ligue pour la protection des oiseaux che ha permesso la costituzione della riserva dell’arcipelago delle Sept-Îles nel 1912 con lo scopo di evitare la scomparsa delle pulcinelle di mare.)) e sono apparse le prime riserve di caccia ((Decreto del 2 ottobre 1951.)). In seguito la legge del 1 luglio 1957 ha introdotto il concetto legale di riserva naturale. L’articolo 8bis della legge del 20 maggio 1930 prevedeva in precedenza la possibilità di imporre vincoli speciali ai siti classificati ai fini della conservazione e dell’evoluzione delle specie. Poco dopo, la legge del 22 luglio 1960 istituisce i parchi nazionali e introduce il concetto legale di riserva integrale per garantire una protezione più stringente di certe aree all’interno di un parco nazionale ((Ma questa disposizione resta inapplicata fino alla creazione della riserva integrale del Lauvitel nel 1995 nel Parco nazionale degli Écrins.)). A seguito delle innovazioni apportate dalla legge istitutiva del 10 luglio 1976 sulla protezione della natura che ha riformato lo stato delle riserve naturali e da quella del 27 febbraio 2002, il concetto giuridico di riserva soddisfa ora tre qualifiche con gli status rispettivi: riserve naturali nazionali, riserve naturali regionali e riserve naturali in Corsica.

Più recentemente, il diritto ambientale si è interessato alla relazione area-specie per esempio attraverso la nozione giuridica di “trame verte et bleue”((Lo prova la direttiva Habitat del 21 maggio 1992 finalizzata alla costituzione della rete ecologica europea Natura 2000 e più ancora la Legge Grenelle II del 12 luglio 2010 che consacra la nozione giuridica di “trame verte et bleue”.)). Questa terza fase, sostenuta dalle scienze dell’ecologia del paesaggio e dell’ecologia funzionale, ha contribuito a interrogarsi sulla necessità di estendere la portata materiale e spaziale degli strumenti giuridici per la protezione della natura. Ormai il diritto ambientale mobilita maggiormente territori e comunità biotiche entro le quali gli esseri umani evolvono. Benché non esista una correlazione perfetta, la sostituzione delle nozioni giuridiche fornisce un indice della revisione dei contenuti, degli obiettivi e delle politiche ambientali, ed è al tempo stesso ricca di insegnamenti riguardo alle conoscenze mobilitate, ai modelli tecnici e alle pratiche di gestione.

Dalla protezione alla gestione

Dalla fine degli anni Settanta, il termine gestione occuperà un posto sempre più centrale sia nelle politiche pubbliche dell’ambiente che nel campo interdisciplinare delle scienze ambientali. Accompagnando l’affermarsi della nozione di patrimonio, la gestione è ovunque, declinandosi in particolare come “gestione razionale”, “gestione ecologica”, ma anche e soprattutto come “gestione patrimoniale”. Nel 1979, il comitato “Fauna e Flora del Ministero dell’Ambiente” diviene così il comitato “Gestione ecologia e patrimonio naturale” e lancia un programma di ricerca chiamato “Conoscere per gestire meglio”. Ciò contribuisce alla definizione di una concezione di gestione ampia, che integra le azioni umane e si applica alla diversità degli spazi del territorio nazionale.

Come sottolinea Jean-Claude Lefeuvre: “Questa politica di gestione più globale prenderebbe in considerazione l’uomo, il suo saper fare, le sue tradizioni, le sue pratiche sociali, le sue capacità di innovazione tecnologica e il suo ambiente modificato e naturale ((Lefeuvre J.-C., “De la protection de la nature à la gestion du patrimoine naturel”, in H.P. Jeudy (a cura di),Patrimoines en folie, Éditions de la Maison des sciences de l’homme, 2015.)). Sebbene la legge sulla protezione della natura abbia introdotto la protezione normativa della flora e della fauna selvatiche, tuttavia è diventato necessario in seguito mettere in atto la reintroduzione delle specie e le operazioni di miglioramento della popolazione. alcuni altri fino a quando i piani d’azione per specie particolarmente in pericolo nella Lista Rossa Nazionale IUCN. Più recentemente, la nozione di “gestione adattativa” è stata promossa dal Ministero della transizione ecologica e solidale.

Questo passaggio dalla protezione alla gestione, sottolineato da molti autori, ma che potrebbe anche essere riesaminatoin occasione di questa conferenza, farebbe in qualche modo uscire la protezione dagli spazi naturali notevoli per estenderla agli ambienti trasformati dagli uomini, introducendo la necessità di occuparsi anche della natura ordinaria ((Fabiani J.-L., Protection de la nature. Histoire et idéologie, a cura di Anne Cadoret, L’Harmattan, 1985; Mougenot C., Prendre soin de la nature ordinaire, Éditions Quae, 2003; Beau R., Éthique de la nature ordinaire: Recherches philosophiques dans les champs, les friches et les jardins , Publications de la Sorbonne, 2017.)). L’integrazione degli esseri umani nella protezione della natura è in linea con l’idea guida del programma UNESCO Man and Biosphere lanciato nel 1971 con la creazione di “Riserve della biosfera”, concepite per conciliare gli obiettivi di sviluppo umano con obiettivi ecologici. Più tardi, questa logica verrà anche diffusa dalla rete Natura 2000 che afferma che il mantenimento della biodiversità può “in alcuni casi, richiedere il mantenimento, o anche l’incoraggiamento delle attività umane” ((Direttiva Habitat del 21 maggio 1992 finalizzata alla costituzione della rete ecologica europea Natura 2000, “considerando” n° 3.)).

La biodiversità sostituisce la natura

Un altro notevole spostamento semantico importato dagli Stati Uniti è la sostituzione del termine “biodiversità”((In inglese, biodiversity risulta dalla contrazione dell’espressione biological diversity.)) a quello di “natura” alla fine degli anni Ottanta ((Blandin P., De la protection de la nature au pilotage de la biodiversité , Éditions Quae, 2009)). Questo è un vero e proprio cambio di paradigma, consacrato dalla Convenzione di Rio sulla biodiversità del 1992. Secondo Patrick Blandin: “All’inizio del XX secolo, la protezione della natura fu concepita da una manciata di visionari come problema internazionale. All’inizio del XXI secolo, a Johannesburg, dieci anni dopo Rio, non è più la protezione della natura ma la conservazione della biodiversità a divenire effettivamente una questione globale. (…) Il termine ‘biodiversità’ ha un aspetto tecnico. Definisce realtà presumibilmente quantificabili (geni, specie, ecosistemi); gli scienziati possono parlarne con cognizione di causa e i politici credono di poter fare altrettanto”.

La storia della protezione della natura in Francia dal XIX al XXI secolo: tra rottura e continuità

La “modernizzazione” delle politiche pubbliche della protezione della natura è posto sotto il segno della rottura con una tradizione più antica e più conservatrice di protezione della natura, centrata su ambienti che vengono preservati dall’azione umana. Da “grande perturabatore” a “buon manager”, il posto dell’uomo nella natura sarebbe in quest’ottica completamente rivalutato. Secondo alcuni la transizione da “protezione” a “gestione” potrebbe tradursi nel vocabolario dell’ambientalismo americano come passaggio dal modello “conservazionista” al modello “conservazionista”.

Questa presentazione altamente schematica è tuttavia discutibile e merita di essere discussa. Come Olivier Godard e i suoi colleghi hanno sveltamente sottolineato, piuttosto che un principio di integrazione “per quanto riguarda la natura, l’idea di gestione è diventata un crocevia, un punto di equilibrio instabile tra forze opposte” ((Godard O., B. Hubert, G. Humbert, “Gestion, aménagement, développement: mobiles pour la recherche et catégories d’analyse”, Jollivet M. (a cura di), 1992, p. 321-335.)). Da questo punto di vista, il superamento dello schema troppo semplice della successione di due modelli distinti permette di affrontare la gestione della natura come un principio organizzativo che riconfigura – più che non risolva – tensioni teoriche e conflitti pratici molteplici che possono essere essere studiati in modo sincronico e diacronico.

Verso un ritorno del “selvaggio” e della wilderness? ((La traduzione francese approvata dall’Académie française è “sauvageté”: “carattere di uno spazio naturale che l’uomo lascia evolvere senza intervenire; per estensione, questo stesso spazio”.))

L’adozione, il 3 febbraio 2009 al Parlamento europeo, di una risoluzione che chiede una politica comunitaria per la wilderness indica l’emergere di una nuova volontà politica in materia di protezione della natura. Gyula Hegyi, la relatrice ungherese del rapporto che ha portato all’adozione della risoluzione, dice al riguardo che “abbiamo il dovere morale di permettere alle generazioni future di godere e di trarre profitto dalle aree europee realmente vergini”. La risoluzione chiede alla Commissione, tra l’altro, di definire e mappare “le ultime aree naturali vergini in Europa”, di studiare il valore e i servizi ecosistemici forniti, di elaborare una strategia comunitaria per queste aree al fine di “sviluppare le zone di natura vergine” e meglio articolare queste aree con il regolamento Natura 2000 che in realtà mira a proteggere le specie o gli habitat piuttosto che lasciare che la natura evolva liberamente. Dal 2009, tali iniziative si sono moltiplicate.

Così, ad esempio, la Commissione delle aree protette del comitato francese IUCN ha istituito un gruppo di lavoro “Wilderness and Wildlife” nel 2013. Filosofi e gestori di spazi protetti rinnovano in questo modo la riflessione accademica sulla natura, al centro della quale viene profondamente messa in discussione la questione dell’interventismo gestionale((Maris V., La Part sauvage du monde, Seuil, 2018; C. e R. Larrere, Penser et agir avec la nature. Une enquête philosophique , La Découverte, 2015; R. Beau, Éthique de la nature ordinaire, op. cit.)). Su questa falsariga Annick Schnitzler e Jean-Claude Genot, con il loro libro La France des friches. De la ruralité à la féralité pubblicato nel 2012, sostengono un’argomentata rivendicazione della natura selvaggia o “inselvaggita”.

Anche qui, piuttosto che una dinamica di successione di modelli diversi, questi nuovi obiettivi testimoniano dell’apparizione di una nuova figura della protezione della natura che si deve articolare con le precedenti. Ognuno di questi modelli in quanto idealtipo può anche, a sua volta, essere discusso nel corso del convegno.

In generale è questo il significato del nostro invito a esplorare di nuovo la storia della protezione della natura dal diciannovesimo al ventunesimo secolo, attraverso i suoi obiettivi, le sue pratiche, la sua conoscenza mobilitata, le sue istituzioni, i suoi attori umani e non umani, al fine di mettere in prospettiva le figure che cambiano.

Al di là della Francia: uno spazio geografico aperto

Per quanto il colloquio sia inteso principalmente per studiare la storia della gestione della natura in Francia, non intende escludere proposte centrate su altri spazi. Saranno particolarmente incoraggiate le comunicazioni sulla storia della conservazione della natura nei paesi limitrofi alla Francia o sulle analisi transfrontaliere.

Temi di ricerca

Le pratiche di gestione della natura

L’idea di gestione evoca una concezione progressiva e positiva della protezione della natura((Lefeuvre J.-C., “De la protection de la nature à la gestion du patrimoine naturel”, op. cit.)) . Essa sembra in questo modo voler contrastare la persistente accusa di voler “portare la natura sotto vetro “, accompagnando su un altro versante la parziale scomparsa del riferimento alla natura in favore di altri concetti come la biodiversità o i servizi ecosistemici. La gestione sembra a prima vista essere un principio di azione piuttosto che un’astensione, e quindi un punto di svolta verso pratiche sempre più interventiste((Genot J.-C., La nature malade de la gestion, Sang de la terre, 2008, vol. 1.). Questo “prendere il controllo” della natura non si oppone forse alle ambizioni dichiarate di “ecologizzare” i metodi di gestione delle aree naturali? Da questo punto di vista, espressioni come “gestione in riserva integrale” oppure “gestione in evoluzione libera”, che non sono lontane dal suggerire una contraddizione in termini, indicano la difficoltà di riconciliare una politica protezione interventista con l’idea di dare maggior risalto alla libera espressione delle dinamiche ecologiche ((Luglia R., Des savants pour protéger la nature. La Société d’acclimatation (1854-1960), Presses Universitaires de Rennes, 2015.)).

Sarebbe interessante verificare questa ipotesi di un interventismo crescente nelle politiche di protezione della natura attraverso l’analisi diacronica di pratiche concrete di protezione di specie o aree naturali dall’inizio del XIX secolo ad oggi. Più in generale, la diversità dei metodi di gestione contraddistinti da un nome specifico (“gestione del patrimonio”, “gestione sostenibile”, “gestione integrata”, “gestione delle risorse naturali”) potrebbe essere esaminata accordando una particolare attenzione alle pratiche e gli attori che vi si impegnano.

Questa ricerca potrebbe anche portarci ad esaminare le ultime novità nel dibattito sulla relazione tra il concetto di biodiversità e l’idea di natura, quest’ultima che mostra di star riguadagnando terreno in diverse arene scientifiche e politiche.

Il posto degli uomini nella gestione della natura

L’integrazione delle attività umane nel campo della riflessione ambientale appare come una delle principali parole d’ordine della gestione della natura sviluppata a partire dalla fine degli anni Settanta. Le politiche della natura non potrebbero più contentarsi di voler escludere queste attività dalle aree protette, ma dovrebbero anche perseguire l’obiettivo di definire norme sociali o socio-ambientali volte a stabilire una cooperazione più armoniosa tra uomo e natura nelle aree interessate.

Dopo il tempo in cui si presumeva l’esclusione degli umani dalle aree protette, verrebbe quello della riconciliazione con la natura ((Rosenzweig M.L., Win-Win Ecology: How the Earth’s Species Can Survive in the Midst of Human Enterprise , Oxford University Press, 2003.)). Questa riqualificazione altamente schematica del posto degli umani in natura merita di essere messa in discussione, in particolare esaminandola alla luce di casi concreti. La storia della protezione della natura non può sganciarsi dalla sua dimensione sociale. Potrebbe di conseguenza essere interessante evidenziare la distribuzione territoriale della gestione della natura con la sua dimensione sociale e democratica. La giustizia ambientale e la conservazione della natura sono necessariamente un “matrimonio contro natura”((D. Lapointe et G. Gagnon, “À l’ombre des parcs: la conservation comme enjeu de justice environnementale”, in D. Blanchon, J. Gardin, S. Moreau (a cura di), Justice et injustices environnementales, Presses Universitaires de Paris Ouest, 2011, p. 153.))? Oppure, al contrario, è possibile andare oltre le fratture che a volte separano gli spazi vissuti, abitati e gestiti?

Natura autonoma

L’idea di gestione della natura può in definitiva apparire come una riformulazione del progetto moderno che incorpora il dominio della natura. Essa trasmette l’immagine di una natura, se non passiva, almeno dominabile, “gestibile”. “Conoscere per gestire meglio” era il titolo di un programma di ricerca condotto dal già citato comitato “Ecologia e gestione del patrimonio naturale”. Ciò è rivelatore dello scientismo che affiora di frequente nelle politiche di gestione della natura. Sarebbe interessante analizzare il modo in cui la serena fiducia nella capacità degli esseri umani di gestire la natura attraverso lo sviluppo delle conoscenze scientifiche e delle tecniche possa essere indebolita dalla natura medesima. Delle comunicazioni potrebbero trattare casi di fallimento delle politiche di gestione della natura la cui causa principale fosse la recalcitranza degli esseri naturali presi di mira, che si tratti di animali, piante o ecosistemi.

Questa riflessione sulle resistenze della natura potrebbe essere accompagnata da una ricerca sui “perdenti” della gestione umana degli spazi naturali. Al di là dei fallimenti, non è vero forse che tutte le pratiche di gestione della natura portano a privilegiare determinati tipi di specie o spazi a scapito degli altri? Può la gestione umana, al contrario, incorporare obiettivi di protezione che vanno oltre le relazioni di commensalismo?

Le statistiche e gli inventari

La gestione del patrimonio è strettamente associata all’idea di una contabilità nazionale applicata all’ambiente((Si vedano al riguardo i lavori (1978-1982) della Commissione interministeriale dei conti del patrimonio naturale; le collezioni dell’INSEE (série C 137J38) – Comptes et Planifications déc. 1986.)). Richiede quindi lo sviluppo di statistiche ambientali che consentano di monitorare quantitativamente l’evoluzione del patrimonio naturale nazionale e incoraggia il trattamento numerico di specie e ambienti naturali ((Devictor V., Nature en crise: penser la biodiversité, Seuil, 2015.)), dei quali si potrebbero esaminare metodi e obiettivi. Sarebbe particolarmente interessante analizzare l’evoluzione dei metodi di monitoraggio quantitativo del patrimonio naturale, dagli inventari naturalistici degli inizi del diciannovesimo secolo fino alla produzione di basi di dati digitali((Arpin I., F. Charvolin, A. Fortier, “Les inventaires naturalistes: des pratiques aux modes de gouvernement”,Éudes rurales, 1 septembre 2015, no 195, p. 1126.)). Gli obiettivi ((Da ricollegare a quelle della piattaforma intergovernativa scientifica e politica sulla biodiversità s sui servizi ecosistemici (IPBES).)) di tale produzione, gli attori – professionali e non – di questi inventari, il ruolo delle scienze partecipative, nonché i rischi associati all’uso di questi dati, potrebbero essere indagati utilizzando esempi concreti.

La professionalizzazione

La professionalizzazione dei lavoratori della natura è una dinamica importante nella storia della protezione della natura. La figura del “manager della natura”, schematicamente chiamata a succedere allo scienziato e all'”esperto naturalista” ((Granjou C., I. Mauz, e A. Cosson, “Les travailleurs de la nature: une professionnalisation en tension”, SociologieS, 2010.)), è il prodotto dell’istituzionalizzazione della protezione alla fine del XX secolo. Analisi comparative potrebbero essere condotte con attori più anziani come guardie forestali e guardiacaccia tanto riguardo ai profili sociali, alle abilità tecniche e teoriche quanto riguardo ai valori che guidano le loro azioni in aree naturali. Questa componente potrebbe essere oggetto di cominicazioni proposte dai manager stessi, la cui testimonianza sarebbe in questo caso decisiva.

Ulteriori analisi potrebbero anche considerare le conseguenze della generalizzazione della figura del “gestore della natura” che non costituisce più una categoria omogenea. Negli ultimi anni, il loro profilo evolve tanto quanto il loro campo di azione, che mira ora a comprendere non solo gli spazi naturali istituzionalizzati ma anche l’insieme degli spazi poco antropizzati.

La moltiplicazione delle licenze professionali in materia di gestione del patrimonio vegetale, agronomico, pastorale e urbano, l’emergere di percorsi formativi alternativi come quello che consente l’esercizio della professione di “payculteur” o anche lo sviluppo della formazione online aperta a tutti (MOOC) modellano in gran parte la definizione di gestione della natura. Sarebbe quindi interessante chiedersi se la crescente integrazione dei metodi manageriali nella formazione dei dirigenti e la massificazione della professionalizzazione all’incrocio tra scienze umane e scienze sociali non corrisponda a una forma di spostamento del nucleo della professione verso un ruolo di mediatore tra gli umani, in altre parole verso la gestione umana.

Nel momento in cui viene istituita l’Agenzia francese per la biodiversità, che mira a ristrutturare direttamente o indirettamente l’intera galassia di attori pubblici in questo campo d’azione e che combina origini, culture e saperi professionali diversi, sarebbe interessante interrrogarsi sul modo di mettere condividere questa storia della protezione della natura tra i suoi vari attori. L’attuale progetto di fusione dell’Agenzia con l’Ufficio nazionale per la caccia e la fauna selvatica rafforza la rilevanza di questa domanda. Inoltre, sotto questo aspetto della professionalizzazione, i rapporti tra attori privati e pubblici potrebbero essere esaminati in un contesto di crescente domanda di studi di impatto, richiesti in ragione dell’attuazione di misure di compensazione ecologica.

Aprire uno spazio di dialogo tra universitari e attori sul terreno

L’obiettivo centrale del convegno sarà quello di caratterizzare le diverse concezioni e manifestazioni delle relazioni tra le società umane e i loro ambienti, quali si manifestano e si rivelano nella protezione della natura. Si tratterà di rintracciare le loro origini e i loro fondamenti, la loro influenza sul governo delle cose, il loro impatto sulla società, i loro effetti attesi e inattesi e i loro cambiamenti dal diciannovesimo secolo ai giorni nostri.

Il secondo obiettivo del colloquio è offrire agli attori del presente una prospettiva storica, confrontata e contestualizzata al fine di:

– indagare le presunte successioni dei paradigmi della protezione della natura;

– riflettere sui metodi di gestione e alla governance delle aree naturali protette, della fauna, della flora e degli ecosistemi;

– esaminare, al di là delle aree protette, la questione della gestione della cosiddetta natura “ordinaria”;

– illuminare gli sviluppi attuali, identificare e/o anticipare le tendenze a medio e lungo termine e percepire meglio le loro cause;

– comprendere meglio le tensioni sociali indotte dalle politiche di protezione e la diversità delle situazioni locali o nazionali.

In questa duplice prospettiva, la conferenza mira a raggiungere un pubblico volutamente diversificato. La selezione delle comunicazioni, effettuata dal comitato scientifico, non si limiterà ai soli accademici affinché essi possano interagire con gli attori sul terreno.

In base allo stesso principio, se da un lato questo colloquio si tradurrà nella pubblicazione di un lavoro collettivo accademico riunente sotto l’egida del comitato scientifico la totalità o una parte delle comunicazioni, un certo numero di testi risultanti dalle comunicazioni e dagli scambi di vedute sarà adattato per la divulgazione presso un pubblico più ampio attraverso riviste, riviste specializzate e piattaforme digitali.