Renato Musto (1939-2012)
Menti “capaci del passato e del futuro”, menti capaci di ritenere in forma creativa il passato per immaginare un futuro liberato dagli errori del tempo. Non si può che pensare allo spirito baconiano dell’Amleto di Shakespeare alla notizia della scomparsa di Renato Musto, insigne studioso e docente di Fisica Teorica all’Università Federico II di Napoli, ma anche indimenticato umanista, prezioso amico, collega, interlocutore di tanti di noi che si sono occupati e si occupano di storia, musica, letteratura. Digiti il suo nome nel web e ti trovi dinanzi una bibliografia sterminata, che spazia dalla questione delle interazioni fondamentali in teoria quantistica di campo all’analisi della struttura musicale del Flauto Magico mozartiano (Una favola per la ragione, Feltrinelli, 1982, scritto col musicologo, ma anch’egli fisico di formazione, Ernesto Napolitano). Musto era uno straordinario esempio di dialogo e ibridazione fra saperi diversi, da lui concepiti e vissuti come un tutto unico perché di tutto era curioso, come pochi capace di ascoltare e proprio per questo poi sollevare domande cruciali e farsi ascoltare, con la sua voce lucida e sensibile.
Nato a Napoli nel 1939, si era laureato in fisica nell’ateneo di quella città, per poi conseguire, giovanissimo, il dottorato alla Syracuse University, negli Stati Uniti. Ma dalla lunga esperienza d’oltre Atlantico aveva tratto anche un grande libro di storia sociale, Gli I.W.W. e il movimento operaio americano (Theleme, Napoli, 1975, oggi consultabile su questo sito come numero 15). Ne erano protagonisti, sullo sfondo dell’America di inizio Novecento, i lavoratori immigrati dall’Italia e dall’Europa meridionale e orientale, i tagliatori di legna neri della Louisiana, e gli hobos, gli stagionali in movimento lungo la costa dell’Ovest nella grande “fabbrica a cielo aperto” del bracciantato agricolo, del taglio dei boschi, dei lavori di costruzione in ferrovia. A loro, agli hobos avrebbero dedicato brani indimenticabili Woody Guthrie, prima, e Bob Dylan, poi. E infatti di Bob Dylan, del Dylan di Times they are-achangin’ parlava spesso Musto nelle sue riflessioni su come sviluppare un sapere creativo, un sapere che consentisse la piena espressione e la liberazione delle migliori energie giovanili in un mondo odierno nel quale esse appaiono invece così mortificate dalla rigidità sociale, dalle inerzie politiche, dalle ingiustizie economiche.
Figlio critico e appassionato degli anni Sessanta, nutrito di grandi letture, studioso di Mozart e di Goethe, Musto perseguiva un sapere senza confini, su cui fondare una convivenza civile aperta a tutti e un futuro vivibile e dignitoso per tutti. Non è retorica dire che ci mancherà, e molto.