Roberto Finelli, ‘Un parricidio compiuto. Il confronto finale di Marx con Hegel’, Jaca Book, Milano 2014
La più grande crisi economica dal dopoguerra, ormai prossima al decennio, in cui il mondo intero è immerso, e di cui non si vede la fine (né mai la si vedrà proseguendo con le politiche che la perpetuano), ha prodotto una vastissima bibliografia di varia natura (politica, economica, filosofica, sociologica, antropologica) volta a cogliere conseguenze e origini di essa, molte volte servendosi, superficialmente, di categorie marxiane la cui conoscenza approssimativa ha impedito di giungere a risultati conoscitivi rilevanti. L’esatto opposto della riflessione di Roberto Finelli, la cui “frequentazione” con Marx è del tutto “non contingente”, essendo impegnato da ormai 40 anni nello studio critico del “corpus” marxiano. Il frutto ultimo di questo sforzo è ora racchiuso nel suo libro Un parricidio compiuto. Il confronto finale di Marx con Hegel (Jaca Book, pp. 400, € 35,00). In questo testo le originali acquisizioni teoriche di Finelli sono proposte con rinnovata radicalità. Si tratta, infatti, niente di meno che di lasciarsi alle spalle il Marx della contraddizione, l’interpretazione più celebrata del marxismo, fondata sul contrasto tra forze produttive e rapporti di produzione, che stringe il rapporto capitale-lavoro dentro una relazione intrinsecamente contradditoria tale da assegnare alla classe operaia un oggettivo antagonismo e capacità rivoluzionaria, per mettersi sulle tracce del fantasma dell’astrazione e della sua funzione di svuotamento del concreto. Far emergere cioè e condurre a coerenza il Marx che riesce a mettere a tema un’astrazione reale come orizzonte e soggetto della modernità. Il Marx del Capitale, quello che riesce a compiere il parricidio del grande maestro Hegel, avendone finalmente compreso la più profonda lezione, dopo averlo mancato in gioventù – dove in realtà non ne era stato all’altezza rimanendone inevitabilmente subalterno – nell’irruenta impazienza di liberarsi dell’ingombrante figura (si veda sul punto la dettagliata analisi sviluppata da Finelli nel Un parricidio mancato. Hegel e il giovane Marx, Bollati Boringhieri, 2004, che si può considerare il primo atto della sua rappresentazione filosofica di Marx). Bisogna cioè rendere esplicito l’implicito, liberare la riflessione matura di Marx dalla sua stessa autocomprensione che gli fa presentare e legittimare la scienza del Capitale secondo modalità proprie del suo pensare giovanile. Diversamente da Althusser, con la sua cesura tra Marx giovane e Marx maturo frutto della rottura epistemologica con relativa “espulsione” di Hegel, Finelli riconosce la contemporanea presenza nella riflessione matura di Marx del paradigma della contraddizione e di quello dell’astrazione, con il primo che in qualche modo “oscura” e “ostacola” l’emersione del secondo. Per questo si incammina sulle tracce del fantasma dell’astratto attraverso un serrato corpo a corpo con l’incandescente cantiere marxiano. Primo passo è la critica radicale del materialismo storico, così come emerso dalle celeberrime pagine dell’ Ideologia Tedesca. Il congedo di Finelli da tale paradigma è definitivo. Questa dottrina .è costruita sull’evidenza di una percezione sensibile (che si pretende più vera di qualsiasi altro fattore spirituale), sul primato ontologico di una prassi (materiale), cioè il lavoro, sulla cui base si edificherebbe la costruzione struttura-sovrastruttura così come l’ugualmente fondamentale snodo forze produttive-rapporti di produzione, come presupposto e fondamento di ogni vita storica visto il suo legame con presupposti materiali empiricamente evidenti, per cui è attraverso il lavoro che si formano sia le relazioni tra uomini e cose che quelle tra gli uomini. Se dunque il lavoro è il fondamento, il generatore della vita umana « tutti gli aspetti e le forme più significative dell’esistenza sociale e storica non possono che spiegarsi attraverso un’elaborazione-trasformazione interna a quello stesso principio ». Tale trasformazione è rappresentata dalla divisione del lavoro, che diviene così il principio unico di spiegazione di ogni vita storica, dalla nascita delle classi fino alla distinzione dei ruoli nella famiglia. La solidità di questa costruzione è però per Finelli solo apparente. Se si afferma, come nell’Ideologia Tedesca, la falsità di ogni teoria, poiché separata dall’unica fonte di verità costituita dalla prassi, allora anche il pensare racchiuso nel materialismo storico deve esserlo, a meno che esso non si sottragga a quanto esso stesso enuncia come legge generale. I tentativi di spiegazione dati di tale aporia (che essendo il materialismo storico la filosofia dei comunisti e del movimento operaio, la teoria marxista è stata pensata per trasformare il mondo e non per contemplarlo, Tesi su Feuerbach docet) non inficiano per Finelli la svalorizzazione del teorico in favore del pratico che si compie nell’Ideologia Tedesca, in contrapposizione al primato dell’ Idea in Hegel, e tale finalità pratica e politica è così radicale da non ammettere eccezioni. Questa contraddizione, risalita fino all’origine, conduce alla vera fonte del materialismo storico, là dove Marx, nei primi anni ’40, sostituisce, in modo affrettato, Hegel con Feuerbach. Così facendo contrappone due paradigmi di scienza e di verità profondamene diversi, sostanzialmente opposti: quello hegeliano del circolo del presupposto-posto – che poi riprenderà nel Capitale – per cui perché vi sia scienza ogni presupposto del pensare non deve essere estrinsecamente imposto, cioè nascere da un ipotizzare solo soggettivo e individuale, ma posto, cioè generato e prodotto dallo stesso campo d’indagine assunto come oggetto della teoria, e quello feuerbachiano del soggetto-predicato, che assume come principio un presupposto immediatamente vero e certo, per cui nella sua autosufficienza di essenza e fondamento (di soggetto), spiega la realtà come una predicazione, una specificazione della sua esistenza sostanziale. Tutta la costruzione del materialismo storico è per Finelli, nonostante l’esplicita presa di distanza di Marx nell’Ideologia Tedesca dal materialismo feuerbachiano, ancora edificata sulle fondamenta della visione organicista di Feuerbach, caratterizzata dalla filosofia della Gattung (del Genere). Si è però detto come in questo libro si cerchino fantasmi, attraverso il rimosso, il non detto, l’implicito. Per questo Finelli ci invita a guardare al di sotto dell’imponente costruzione del materialismo storico, là dove arde il pensiero più profondo, le intuizioni più fulminanti dell’incessante attività speculativa di Marx, così “radicale” anche rispetto a quanto edificato esplicitamente da non riuscire totalmente a emergere, nemmeno alla sua autocoscienza. Ed è in un punto marginale, scarsamente frequentato dell’opera marxiana che Finelli comincia a intravedere le tracce dello spettro che insegue. Si tratta dei Quaderni 4° e 5° dei Grundrisse titolato dagli editori Formen (Forme che precedono la produzione capitalistica). In queste poche pagine (circa 18 del Manoscritto originale) Finelli ravvisa il venir meno di buona parte della dottrina del materialismo storico, con l’emersione di una scienza della storia non più fondata sulla coppia struttura/sovrastruttura ma sulla coppia categoriale, assai diversa, del presupposto/posto . Qui, infatti, per Marx la caratteristica comune di tutte le società precapitalistiche «è il fatto che in esse il presupposto della socializzazione, il principio dell’integrazione e della riproduzione sociale, non è mai stato un posto, un prodotto del lavoro». In tutti questi tipi di società il vero principio dell’essere sociale, che condiziona e informa di sé tutto il processo di lavoro, è l’identità sociale e comunitaria del singolo, molto prima che quella economica. Il presupposto che guida la produzione materiale, e che il processo lavorativo deve riprodurre, non è mai la ricchezza in astratto e la sua accumulazione, ma sempre una figura determinata dell’individualità, sempre un ruolo del singolo definito e mediato da una codificazione di rapporti e valori sociali che sono precedenti all’atto lavorativo. In più luoghi dei Grundrisse (sia precedenti che seguenti alle pagina delle Formen), nota Finelli, Marx afferma che solo nella società moderna l’economico conquista la sua autonomia, e ciò perché il capitale si struttura come una totalità che produce i propri presupposti. L’interpretazione dei Grundrisse di Finelli è opposta a quella data dalla scuola (post) operaista (in questo senso esemplare è quella di Toni Negri): mentre questi ultimi li hanno letti “contro” il Capitale, Finelli li legge come esplicitazione metodologica della logica più profonda del Capitale. Ed è infatti in esso che Finelli ci conduce per vedere se l’iniziale abbozzo del presupposto/posto intravisto nelle pagine delle Formen sia sopportato nell’opera matura di Marx. Sono queste pagine dense, con notevoli riferimenti filosofici e non solo, teoricamente pregnanti, in cui Finelli raccoglie i fili del ragionare marxiano per portare alla luce e a coerenza l’essenza più profonda e vera dell’opera matura di Marx attraverso il serrato confronto critico con le strutture e le categorie del pensiero di Hegel. Di tale ricco percorso teoretico si tenterà di indicare le linee fondamentali. A iniziare dal “cominciamento” del Capitale, le cui caratteristiche sono le stesse di quelle che Hegel ha assegnato al cominciamento del pensiero scientifico per sottrarlo all’ambito dell’opinione e del pensare meramente soggettivo. Anche se, ci avverte subito Finelli a conferma del suo assunto di fondo, accanto all’incedere marxiano sulla scorta di Hegel, permane il modello feuerbachiano soggetto-predicato, dove soggetto del reale sono gli esseri umani con le loro alienazioni e reificazioni, fonte per Finelli della teoria marxiana del feticismo che si giustappone a quella hegeliana del circolo. Il “cominciamento”, dunque, non può che essere, appunto nel senso più propriamente hegeliano, fenomenologico, collocandosi così necessariamente all’interno della circolazione che è formata solo da merci e soggetti individuali che scambiano. Il punto di vista è quello dell’operatore del mercato che nulla sa ancora di quel che succede nella produzione, e per il quale il lavoro astratto appare una convenzione artificiale messa in atto tra tutti gli operatori del mercato. Se si rimane nell’ambito della circolazione e dello scambio delle merci la misurazione del contributo e della partecipazione di ciascuno alla ricchezza di tutti non può che essere affidato alla quantità di merce che ognuno riesce a vendere e alla quantità di denaro e di merce altrui che riesce a comprare, secondo la configurazione che Hegel aveva assegnato alla società civile moderna come sistema dei bisogni, dove istituto fondamentale è il lavoro e non il capitale e i soggetti sono gli esseri umani che lavorano e si scambiano all’interno di una reciproca uguaglianza, soddisfacendo i loro bisogni tramite la mediazione reificata del denaro. Per il Marx maturo però, afferma Finelli, è il capitale il soggetto fondamentale della storia moderna, formato da una ricchezza astratta, impersonale, solamente quantitativa e, per queste caratteristiche non antropomorfe, tendenzialmente illimitata e universale. Per giungere a tale conclusione è necessario il passaggio marxiano dal denaro al capitale che prende come modello il passaggio hegeliano dal Sein (Essere) al Wesen (Essenza) ma, precisa Finelli, solo secondo analogia e non secondo omologia poiché nel Capitale «non è l’Essere con il Nulla, bensì è il valore di scambio che si deve mediare e compenetrare con il valore d’uso, anziché alternarsi con esso: nel senso appunto che deve essere prodotto e confermato proprio attraverso l’uso e il consumo del valore d’uso». L’argomentare di Marx sulla negazione appare del tutto diverso da quello di Hegel. L’opposto che il denaro (la ricchezza in generale) deve incontrare e con cui si deve scambiare al fine di diventare capitale è la forza-lavoro, cioè la povertà assoluta. Ed essa è tale «perché la sua esistenza storico-sociale coincide con l’esclusione di ogni rapporto possibile di proprietà e di uso/consumo con il mondo-ambiente. Per questo essa è ciò che è massimamente utilizzabile, il valore d’uso in quanto tale: perché nella totale astrazione/separazione dal mondo-ambiente è ciò che può essere messa al lavoro e utilizzata dall’Altro, per produrre tutti gli utilizzabili possibili». Così la persona, senza relazione-mediazione con il mondo esterno, è ridotta a solo corpo. La libertà moderna, dove il lavoratore è il libero proprietario della sua capacità lavorativa che liberamente mette sul mercato, mostra ora il suo fondo paradossale costituito dalla povertà assoluta e dalla assolutezza della dimensione corporea, svelando come il tempo moderno è sempre più coincidente con il tempo del capitale, che trae la sua vita e valorizzazione (il plusvalore) proprio dall’incontro e dalla connessione con il freie Arbeit (lavoro libero). Per spiegare l’irrompere sulla scena della forza-lavoro Marx, afferma Finelli, abbandona l’esposizione dialettica usata per l’esposizione della circolazione, e passa all’esposizione storica. Si consuma la distanza da Hegel: l’apparire della forza-lavoro come merce libera su un libero mercato rimanda a un processo di separazione/astrazione comprensibile solo mediante un percorso storico molto lungo, concreto, attraverso una diacronia, mentre le categorie della Scienza della Logica hegeliana hanno uno svolgimento sincronico. Con la forza-lavoro si passa dalla circolazione alla produzione. Attraverso il rapporto tra macchina (che si autonomizza dal lavoro umano, costituendosi in sistema organico e meccanico di movimenti), tecnologia (modalità con cui i mezzi di produzione nel loro complesso, forza-lavoro compresa, devono essere utilizzatati e consumati dentro quel luogo sociale che è la produzione) e forza-lavoro, Finelli ci conduce nel nucleo fondamentale del Capitale. Collocare il lavoro astratto nel cuore della produzione della società capitalistica fa del lavoro concreto e di tutto quel che appare alla superficie della società moderna, non l’alienazione ma la dissimulazione da parte del contenitore del suo più proprio contenuto. Astrazione significa quindi svuotamento dell’interiore e sovradeterminazione dell’esteriore: «Il capitale produce, attraverso lo svuotamento del concreto da parte dell’astratto, la relazione sociale fondamentale nella sua invisibilità, il mondo visibile delle rappresentazioni. E proprio per questa capacità di triplice produzione – del mondo invisibile, del mondo materiale e del mondo rappresentativo, si costruisce a principio totalitario, anzi, per dir meglio, totalitaristico, della società contemporanea». E’ la realtà della nostra vita postmoderna, dunque, che per Finelli dà pienezza e conferma di realtà all’astrazione reale di Marx e alla sua doppia funzione di svuotamento del contenuto e di surdeterminazione della superficie, interpretando il Capitale come una sorta di memoria del futuro, come un’anticipazione di ciò che sarebbe avvenuto. In questo senso il circolo presupposto/posto conferma per Finelli la sua potenza epistemologica, dato che è il prodotto/posto della nostra prassi di vita che ritorna a illuminare di verità la presupposizione marxiana originaria per cui nell’immane raccolta di merci che caratterizza la società moderna non è questione solo del concreto (soggetti umani che soddisfano con oggetti i loro bisogni) ma è anche e fondamentalmente questione dell’astratto come valore di scambio, come principio moderno di socializzazione, la cui genesi non è nella circolazione e nello scambio di beni tra esseri umani liberi e indipendenti ma nella produzione come luogo del dominio tra classi e del lavoro obbligato e desoggetivizzato.