Salute e sicurezza: una prospettiva internazionale

Grazie per avermi invitato a Brescia a parlare in un’aula dell’Università a studenti di Giurisprudenza e di Economia. Sono particolarmente felice di parlare con voi per due ragioni: la prima è che quando ero io a studiare giurisprudenza,tanti anni, fa rimanevo sempre frustrato per il fatto che le questioni di salute e sicurezza fossero considerate come un’appendice molto piccola del diritto del lavoro. Sembravano un’appendice tecnica, senza nessuna teoria, senza nessuna ricerca,come se si trattasse di materia amministrativa che si doveva studiare per superare gli esami e che però non aveva vera importanza. Invece, nella vita reale, il fatto di non perdere la vita per ciò che accade sui luoghi di lavoro è qualcosa di tremendamente importante e che purtroppo vede ogni giorno nuove vittime e nuove malattie. Questa mia considerazione può sembrare, tristemente, una banalità, eppure le risposte del diritto che noi stavamo studiando all’università erano veramente povere. Si diceva in sostanza:“C’è una legislazione che si deve applicare e che sfortunatamente non è sufficientemente applicata”. Non c’era mai una riflessione sul perché la legislazione – che esisteva e continua a esistere e svilupparsi – non era pienamente applicata. Purtroppo, il fatto che esista una legislazione dedicata alla sicurezza sul lavoro, che è spesso perfino ambiziosa, ma che non viene applicata integralmente alle imprese o è applicata in modo poco efficace, rimane una questione reale, sia in Italia, sia negli altri paesi europei, come anche nel resto del mondo.

La seconda ragione che mi rende felice di essere qui è che quando ho cominciato a studiare e poi a lavorare sugli argomenti di salute e sicurezza, mentre all’università ho imparato pochissimo, ho poi imparato quasi tutto dall’Italia. Perché dalla fine degli anni ‘60 fino ad almeno metà degli anni ‘80 dello scorso secolo, l’Italia è stata sicuramente il paese più all’avanguardia sulle tematiche di salute e sicurezza. Lo è stata per le lotte sindacali e sociali, non è stata un’iniziativa dello Stato né dei giuristi. Lo è stata perché nelle fabbriche e nelle strade la questione della salute sul lavoro era diventata una priorità. In questi giorni, domenica scorsa per esempio, ci sono state in diversi paesi europei manifestazioni centrate sul tema della violenza contro le donne. Lo slogan usato oggi è “non una di meno”. In quell’epoca l’idea che dovesse esserci “non uno di meno” era legata alle morti sul lavoro.

L’evoluzione delle condizioni di lavoro; determinanti sociali, politici e tecnologici

In Italia si è creata anche una terminologia che continua ad essere molto significativa: si parla per esempio di “omicidi bianchi” per indicare i morti sul lavoro. Non è una questione tecnica. Non è una questione di fatalità. Le morti e le malattie causate dal lavoro dipendono invece da un rapporto sociale che va cambiato con diversi strumenti. Per questo, fra i tanti possibili,vorrei focalizzare l’attenzione su tre elementi principali. Il primo elemento è quello della evoluzione delle condizioni di lavoro in Europa che hanno un impatto immenso sulle crescenti disuguaglianze sociali di salute nelle diverse parti del mondo. In Europa abbiamo disponibili moltissime inchieste, possiamo provare a fare degli studi e possiamo vedere come le condizioni di lavoro sono una condizione determinante,direi anzi strutturale, delle condizioni di salute. Un elemento insomma molto importante per le nostre vite. Viviamo in una società dove ci sono tante diseguaglianze, nella scuola,nell’abitazione casa, nel carcere,nei redditi e in tante altre questioni, ma una di queste diseguaglianze è quella che si esplica addirittura con un maggiore rischio di morte e di danni alla salute derivanti dalle condizioni di lavoro che sono perciò un fattore determinante delle diseguaglianze sociali.

Fra i determinanti sociali delle condizioni di salute vi è anche un fattore politico, molto importante. Non è qualcosa in più che si sovrappone ai determinanti sociali della salute; il fattore politico fa parte di questo insieme multifattoriale e interagisce permanentemente con gli altri determinanti. Vista l’attuale tendenza reazionaria dell’Europa,credo che se si vuol fare prevenzione, si deve anche pensare criticamente ai fattori politici, all’assetto politico della società europea. Questo pensando di dover necessariamente fare i conti con ipotesi di riattivazione delle mobilitazioni sociali attorno al tema fondamentale del lavoro. Tutti voi avrete a breve qualche esperienza nel mondo del lavoro. Ne avrete sempre di più negli anni prossimi. Allora la questione che dovrete affrontare è come fare per proteggere le vostre vite su un luogo di lavoro che condizioni politiche e sociali rendono non solo non facilmente accessibile ma addirittura sfavorevole al benessere. La questione insomma è cosa si può fare per rilanciare la tutela del mondo del lavoro nel campo della salute.

Si può partire da una rappresentazione della situazione, mostrando i risultati di un lavoro collettivo che abbiamo raccolto tre anni fa, quando abbiamo pubblicato con più di quaranta colleghi un volume sui rischi nel mondo del lavoro a livello internazionale (A. Thébaud-Mony, P. Davezies, L. Vogel, S. Volkoff, Les risques du travail. Pour ne pas perdre sa vie à la gagner, La Découverte, Paris 2015). Si può partire da ricerche collettive come questa, sull’evoluzione delle condizioni di salute e sicurezza nel mondo del lavoro per proporre strategie politiche e sociali tali da poter migliorare la prevenzione sul continente europeo e anche a livello mondiale.

Partiamo dalle diseguaglianze sociali di salute. Un elemento fondamentale, quando si parla di salute e sicurezza, è che non si tratta di materia tecnica, non è una questione biometrica. Certamente,ci sono aspetti tecnici e ci sono aspetti medici e altri ancora ma l’elemento principale da cui partire è che salute e sicurezza sui luoghi di lavoro sono un fattore di diseguaglianza nella società. Se prendiamo i tumore professionali, sappiamo perfettamente che il rischio non è lo stesso in funzione della categoria sociale, del posto occupato nella gerarchia dell’impresa. Per un manager i rischi di tumore professionale sono bassi, invece per un operaio dell’edilizia o per una donna che fa le pulizie i rischi sono alti e a volte altissimi. Così l’elemento dal quale dobbiamo partire è che se non si fa salute e sicurezza, se non c’è una tutela efficace della salute, qualunque cosa facciamo non potrà che contribuire alla creazione e al mantenimento di un mondo diseguale su un terreno fondamentale che è quello della vita.

Non è una cosa da poco essere diseguali quando si tratta delle nostre vite. Per analizzare meglio questo dato, per calcolare come il lavoro contribuisce alle diseguaglianze sociali di salute, ci sono almeno tre dimensioni da considerare. Purtroppo troppo sovente la prevenzione si ferma alla prima dimensione che è quella delle condizioni di lavoro materiali nel senso stretto. Oltre ai fattori materiali –come l’interazione con dei prodotti chimici o con un macchinario – ci sono infatti anche quelli immateriali, legati per esempio a un certo orario o a una certa intensità del lavoro. In genere si fa prevenzione sui primi, sui fattori materiali – non abbastanza ma su questi almeno si fa prevenzione – mentre già sui secondi, i fattori immateriali, la prevenzione si fa ma è già più complicata.

Poi ci sono le condizioni di occupazione, che non sono elementi neutrali rispetto alla salute e alla sicurezza. Se io sono interinale o,peggio ancora se sono bracciante africano in Italia senza documenti di soggiorno, anche se conosco i rischi lavorativi la mia possibilità di difendermi e bassissima. Alcuni anni fa viaggiavo in Sicilia su un treno dove ho incontrato alcuni ragazzi senegalesi; abbiamo incominciato a parlare, erano diplomati, uno era infermiere. Facevano la raccolta delle arance, così siamo arrivati a discutere dell’esposizione ai pesticidi,e mi hanno raccontato che non era successo a loro ma che ad alcuni di loro compagni era accaduto di subire conseguenze molto gravi. Così ci siamo poi incontrati sui loro luoghi di lavoro e siamo andati insieme a parlare con il loro padrone, che era un piccolo produttore italiano. Gli abbiamo spiegato la storia dei pesticidi e della loro pericolosità. Per lui tutto era nuovo, il prodotto però gli sembrava efficace per far crescere bene le arance. Così i ragazzi gli hanno spiegato i rischi che correvano, soprattutto il ragazzo diplomatosi da infermiere spiegava che si trattava di sostanze pericolose, che contaminavano anche l’acqua che dovevano bere. Insomma che in quei campi le condizioni di lavoro erano drammatiche. Mi hanno poi detto che dopo la mia partenza il proprietario è tornato in casa poi è uscito di nuovo ma con un fucile in mano e ha detto loro “cosa volete, il lavoro o che vi ammazzo?”. Questo è un esempio piccolo e parzialissimo,ma drammaticamente dimostra come le condizioni di occupazione possono aumentare o ridurre la possibilità di difendere la propria salute nel lavoro.

C’è poi la questione del precariato, che è giustamente molto studiata perché rappresenta un problema che si estende oltre il lavoro,su tutte le dimensioni di vita. Il lavoro precario, infatti,implica per la salute non solo una analisi delle condizioni di rischio materiali e immateriali, ma anche una analisi delle difficoltà che non permettono a chi le subisce di programmare la propria vita e concentrarsi verso il futuro. Questa mancanza di prospettive sul futuro è un fattore di grande nocività. Accade anche nelle Università, un luogo solitamente ritenuto sicuro. Uno studio recente ha rivelato che nelle università italiane sono molte le giovani ricercatrici che hanno dovuto rinviare o rinunciare alla maternità per il problema del lavoro precario;sapevano che se avessero avuto il figlio a una certa età avrebbero messo a rischio la possibilità di un contratto a tempo determinato. È complicato dover scegliere fra un figlio o un posto di lavoro, che per molti non verrà mai. Questo studio mostra come anche lavoratrici che non corrono grandi rischi materiali per la loro salute e sicurezza, ma che hanno un’occupazione precaria,subiscono comunque un effetto di peggioramento delle loro vite dovuto alle condizioni di instabilità del lavoro. Il lavoro precario è un fattore di nocività di massa.

Ho ripreso alcuni studi di Jukka Takala, esperto mondiale di statistica delle condizioni di lavoro. Ogni anno per problemi di salute e sicurezza muoiono quasi tre milioni di persone; praticamente, a livello mondiale,i numeri fanno pensare a una guerra permanente. Takala parla didue milione e ottocentomila persone che muoiono ogni anno in conseguenza della mancanza di salute di prevenzione. È necessario riaffermare che con le conoscenze scientifiche che abbiamo, con le capacità tecnologiche che abbiamo, tutti questi morti possono essere evitati. Non c’è nessuna fatalità; l’utilizzo di un prodotto chimico tossico si può eliminare, si può ridurre e si può controllare, ma non si fa.

Tab. I: Cause di mortalità dovuta alle condizioni di lavoro (Jukka Takala)

  2017 2014
Morti sul lavoro nel mondo: 15.00.00 07.20.00
Infortuni mortali: 388.20.00 347.13.00
Mortalità da malattie legate al lavoro: 08.40.00 17.20.00
Mortalità da tumori dovuti al lavoro: 742.00.00 660.00.00

Un’altra cosa molto importante esplicita in questi numeri è che a livello mondiale fra i 2,8 milioni di morti che si contano ogni anno, 750,000 circa sono dovuti a tumori professionali. Questo dato deve far riflettere; vuol dire che mentre la prevenzione si fa soprattutto sulla tematica degli infortuni, in realtà sarebbe molto più importante farla per evitare i tumori professionali che incidono maggiormente sulla mortalità. Intendo dire che c’è uno sbilanciamento nell’organizzazione della prevenzione se si prende l’infortunio come elemento principale. Logicamente, parlare di tumori professionali ha un significato politico molto più radicale, più acuto, che parlare di infortuni. Perché mentre gli infortuni rappresentano una anomalia rispetto all’organizzazione del lavoro, i tumori professionali sono invece causati dal processo normale di produzione, dalle scelte fatte dal padrone su quali sono i prodotti del lavoro e in quali condizioni si svolge la loro lavorazione, sono insomma il risultato della condizione di subordinazione dei lavoratori alla volontà di chi produce. L’infortunio invece è qualcosa che ha anche il carattere di incidente, un imprevisto,rispetto alla via normale; non è parte caratteristica del ciclo normale di produzione,diversamente dal tumore, come purtroppo dimostrato non così lontano da qui, dai lavoratori di Casale Monferrato,che hanno pagato sulla loro pelle il costo dell’amianto, materiale ancora normalmente prodotto in altre parti del mondo.

C’è quindi l’analisi di distribuzione delle frazioni di morti legate al lavoro attribuibili alle diverse cause nel mondo. In Europa i tumori professionali rappresentano la principale causa di mortalità,anche perché la statistica relativa agli infortuni è più bassa rispetto alle altre regioni del mondo. Peri dati europei, ci sono diverse fonti. C’è anche un’inchiesta periodica a livello europeo ogni cinque anni,che viene effettuata da un organismo che si chiama Fondazione di Dublino e produce materiale molto interessante perché permette di lavorare su un numero di dati statisticamente significativi, grazie ai quali abbiamo un quadro dell’evoluzione delle condizioni di lavoro in Europa. Quello che emerge nel campo delle diseguaglianze fra categorie sociali e professionali su trent’anni di evoluzione del lavoro,è che per alcune di queste vediamo un miglioramento, per altre invece i dati sono preoccupanti. Per esempio,il lavoro è ancora completamente differenziato fra uomini e donne. Per molte donne questa sperequazione è una causa diretta di mortalità o di malattia. Inoltre, fra i 28 paesi dell’Unione Europea sembra purtroppo molto chiaro che il progetto di unificazione non ha portato alla armonizzazione delle condizioni di lavoro. Al contrario, le condizioni di lavoro sfavorevoli in alcuni paesi sono state considerate come un fattore di competitività. La tendenza alla precarizzazione è un riferimento comune in tutta Europa, anche se i livelli non sono gli stessi dappertutto ma sono più importanti in alcuni paesi rispetto ad altri. Nonostante queste osservazioni, si dà per scontato che per l’impatto sulla salute in Europa siano molto più importanti gli infortuni. Questo risulta come cifra comune europea e consegue anche dall’obiezione – corretta – che le condizioni materiali del lavoro in Europa negli ultimi decenni sono migliorate. Tuttavia, con la fluidificazione del lavoro, quello che si è guadagnato con il miglioramento delle condizioni tecnologiche si sta perdendo con la precarizzazione e l’intensificazione del carico lavorativo. Pensiamo alle persone che lavorano nei grandi centri di Amazon,dove tutto è organizzato e pulito ma il lavoro è di un’intensità tale che alla fine il danno può essere anche maggiore di quando le condizioni tecnologiche che non erano così buone come quelle odierne.

Le disuguaglianze di genere

Venendo alla questione delle diseguaglianze di genere,spesso nelle politiche pubbliche, ma anche nel mondo sindacale, c’è una separazione fra l’attenzione alla sicurezza tecnologica e l’attenzione all’uguaglianza di genere; sono due elementi importanti ma sono visti come mondi distinti, quando in realtà esiste una interrelazione permanente fra diseguaglianze di genere e salute e sicurezza. Una prima osservazione è legata a quella che le femministe spagnole hanno chiamato la doppia presenza. La doppia presenza non è semplicemente legato alla doppia giornata di lavoro che le donne completano a casa loro oltre che sul luogo di lavoro. Non è la volontà di separazione del lavoro retribuito in fabbrica o in ufficio da quello non retribuito in casa. È invece legato al fatto che quando c’è un orario atipico, per esempio per una cassiera di un supermercato che deve cambiare orario all’ultimo momento, se quella persona ha dei figli la sua preoccupazione permane sul luogo di lavoro perché non potendo uscire non può organizzare la loro presenza a scuola se non c’è nessun altro per accompagnarli e per occuparsene. Questa preoccupazione persiste anche nel tempo del lavoro retribuito. Non vi è unicamente l’addizione fra il carico di lavoro retribuito e il carico di lavoro da famiglia, ma esiste anche una relazione fra le due situazioni. Inoltre, ancora oggi se andiamo in una struttura di cura, in un ospedale,vediamo che le infermiere hanno un carico di lavoro immenso. Anche perché c’è lo stereotipo che come donne sono naturalmente più capaci di gestire le difficoltà delle altre persone. Questa capacità – presunta o reale – per le donne che lavorano nell’ospedale non è riconosciuto come un surplus di lavoro, e non viene nemmeno riconosciuta come una qualifica. È che sono donne, per cui sembra che la loro capacità di cura sia una cosa naturale, per cui il maggior carico nel periodo di lavoro retribuito viene alla fine solo da questo stereotipo che è a sua volta dovuto alla divisione diseguale del carico della famiglia.

Poi c’è il part-time, spesso presentato come la soluzione per le donne, mediamente, ma non per gli uomini. Invece di una soluzione, il part-time è diventato uno dei principali fattori di precarizzazione per le lavoratrici, almeno in alcuni paesi. In Germania, Olanda,nei paesi nordici è diventato la norma del lavoro femminile almeno per una certa fascia di età, ma è un fattore di precarizzazione perché implica un inserimento meno favorevole nei luoghi di lavoro, meno formazione,meno possibilità di promozione professionale e altre discriminazioni.

Poi c’è l’impatto sulla salute. Ci sono inchieste spagnole sul lavoro femminile, fatte molto bene,che hanno studiato le condizioni di lavoro retribuito da una parte e le condizioni di lavoro in famiglia non retribuito dall’altra parte. Qui si vede che chi accumula le condizioni peggiori nelle due attività si ritrova anche nella situazione di salute meno favorevole.

I fattori politici, infine. Nella mia esperienza, nella mia prospettiva, spesso si dice che c’è una realtà sociale ed economica che possiamo analizzare per individuare tutti i rapporti fra questa realtà e la prevenzione, o la mancanza di prevenzione. Poi c’è anche un quadro politico. Limitarsi a queste osservazioni separate è un modo relativamente artificiale di dividere la realtà, per cui si darebbero separatamente il quadro politico e la realtà sociale ed economico, quando in realtà c’è un’interazione permanente tra l’una e l’altro: dal quadro socio economico verso la politica e dal quadro politico verso la situazione socio-economica.

Per riassumere, in un’inchiesta sul voto fascista in Francia in relazione alle condizione del lavoro (Thomas Coutrot, Démocratie contre capitalisme, La Dispute, Paris, 2005), si mostra che nelle zone dove più il lavoro è centrato senza autonomia in piccole imprese spesso in condizioni di subappalto,più è cresciuto il voto fascista, legato a una situazione quotidiana di mancanza completa di democrazia. Quando ci si abitua a essere sotto il comando dei padroni, quando non c’è spazio né per il sindacato né per la democrazia,si creano le condizioni di voto per i partiti fascisti o anche per leader provvidenzialisti senza chiara definizione politica.

Se prendiamo i fattori permanenti della sicurezza sul lavoro – con il termine permanenti intendo quelli presenti dall’inizio della rivoluzione industriale–osserviamo che c’è sempre stata una separazione fra salute pubblica e salute e sicurezza sul lavoro. Questo è un elemento molto importante da considerare, nel senso che per la salute e sicurezza sul lavoro sui luoghi di lavoro abbiamo accettato una normativa che dà molta meno tutela nei luoghi di lavoro rispetto ai luoghi di vita pubblici. Prendo un esempio molto semplice: nel dibattito europeo attuale sui valori limite per prodotti cancerogeni il livello di rischio tollerato per l’esposizione professionale è molto più alto di quello accettato in qualsiasi altro luogo di vita considerato dalla legislazione Europea. Da poco è stato adottato un nuovo valore limite per il cromo esavalente; il valore proposto dalla Commissione implicava una previsione di incidenza di tumore per ogni dieci lavoratori esposti. Se prendiamo altre tematiche per la legislazione per esempio dalla sicurezza aerea,o della sicurezza stradale,degli alimenti,della qualità dell’aria,dell’acqua nessuno potrebbe accettare un rischio paragonabile a quello di un tumore per ogni dieci persone esposte. Tutti direbbero che è una pazzia, che occorre un livello di tutela molto più elevato. Invece, quando si tratta di lavoratori, si accettano–almeno non io, lo accettano le autorità competenti – livelli di rischio che sono infinitamente superiori a quelli che accettiamo per la sicurezza stradale, aerea,per l’acqua, il cibo, eccetera eccetera. Questa separazione fra ambienti di lavoro e di vita è un fattore strutturale che esiste da almeno due secoli. I luoghi di lavoro sono stati sottratti allo spazio pubblico e in questa storia ci si può ricollegare – come ha fatto anche Michel Foucault – alla costruzione delle carceri, dei manicomi, di tutti quei luoghi sottratti allo spazio pubblico per i quali sono state definite regole a parte. La fabbrica è nata con la rivoluzione industriale già con questa tradizione anteriore del manicomio, dell’ospedale e del carcere,che ha riprodotto fino a un certo punto. Chiaramente è meno tragico che in un manicomio o in un carcere, ma ha riprodotto questa separazione fra quello che vale per lo spazio pubblico e quello che vale per questi spazi speciali. Le fabbriche sono rimaste uno spazio chiuso a lungo e lo sono ancora fino a un certo punto.

A questi fattori strutturali si aggiungono i fattori della fase politica attuale che ci chiama in causa tutti. Ci sono almeno due elementi da considerare: il primo sono le politiche di austerità imposte dall’Unione Europea; il secondo sono le tendenze regressive, nazionalistiche e autoritarie che con forza crescente stanno prendendo piede in Europa. L’Italia purtroppo ne è un esempio, ma non è l’unico,ci sono anche la Polonia e l’Austria. Spesso questi due elementi sembrano contrapporsi,per cui dobbiamo scegliere o la politica dell’Unione Europea o la politica di queste forze nazionalistiche. Questo dualismo è valido solo fino a un certo punto, perché in realtà le politiche di austerità hanno favorito le tendenze nazionalistiche,mentre le tendenze nazionalistiche danno legittimità – o almeno una certa legittimità – alle politiche di austerità dell’Unione Europea. La situazione forse più drammatica di questa contrapposizione è stato il secondo turno delle elezioni francese del 2017, con Emmanuel Macron da una parte che punta a politiche neoliberali radicali e dall’altra parte Marine Le Pen e il Front National. Era veramente una condizione triste quella di dover scegliere fra queste due alternative.

Qual è l’impatto delle politiche dell’austerità: principalmente, precarizzazione del lavoro. Questa è stata veramente la parola che ha dominato il discorso politico europeo. Chiaramente non si parla di lavoro precario, si parla di lavoro flessibile, di flessibilità, di flex security se vogliamo, ma la realtà è quella del lavoro precario. Poi la riduzione della contrattazione collettiva,si tratta anche di questo, non è unicamente una riduzione del numero degli occupati stabilizzati, è anche un cambiamento nei contenuti della contrattazione collettiva. In questa situazione la contrattazione collettiva è nuovamente uno spazio in cui si può mettere in gioco anche la salute. Questa idea è molto forte nel caso francese: con la riforma del lavoro Macron afferma di essere a favore della contrattazione collettiva,ma intende su tutto, anche su salute e sicurezza. Questo significa che nella contrattazione la salute e la sicurezza possono essere in discussione, insieme con l’occupazione, il salario o altri elementi della contrattazione del lavoro. La disoccupazione ha avuto un impatto particolarmente forte sui servizi pubblici, dove le politiche di austerità sono state più pesanti. Di nuovo, questo vuol dire un impatto più negativo sulle donne,perché le donne sono particolarmente colpite essendo più numerose negli impieghi dei servizi pubblici, come la salute, la scuola,il lavoro sociale, ma sono colpite anche come utenti dei servizi, perché ne hanno più bisogno per la gestione del carico del lavoro di famiglia e, logicamente, ne pagano di più le conseguenze.

È drammatico anche, legata alle politiche di austerità, il taglio dell’attività ispettiva e di controllo, nonostante una legislazione molto ambiziosa come quella italiana. Sono elementi che si possono verificare e anche criticare,ma il fondo è inconfutabile: una base giuridico-amministrativa forte e ambiziosa mentre le attività di ispezione e di sanzione invece, non dico che non esistono, ma restano comunque molto deboli.

Ci sono poi le politiche della destra europea. Non sono qualcosa di alternativo all’austerity, ma ne sono la controparte radicale. Le politiche della destra nazionalista sono drammatiche per il mondo del lavoro perché puntano a dividerlo, per esempio su una base etnica. Il fatto che ormai abbiamo in Italia un governo che è fra i più razzisti in Europa ha anche a che fare con la rimozione, nella discussione storica del passato, del ruolo dello Stato nella promulgazione delle leggi razziali. Ha prevalso in Italia subito dopo la Seconda Guerra Mondiale la visione per cui, tutto sommato, le leggi razziali venivano dalla pressione nazista e del quadro internazionale. Venivano soprattutto da Hitler per cui non c’è stato bisogno e non si è mai abbastanza approfondita almeno una discussione storica sui fattori interni in Italia che portarono a quelle leggi. Basta riprendere una delle tante dichiarazioni di Beppe Grillo, leader del Movimento 5 stelle antagonista-alleato della Lega di Matteo Salvini, come quando nel 2014 diceva che gli immigrati riportano in Italia malattie come la tubercolosi per rendersi conto che non siamo distanti dalla difesa della razza del 1938 – e non ricordo se fossero in difesa della razza italiana o ariana. Sono visioni che si ritrovano oggi nelle menti di leader posti molto in alto nelle gerarchie dello stato in Italia. Le politiche razziste hanno un impatto diretto in tema di salute sul lavoro, rendono possibile un maggior sfruttamento dei lavoratori migranti per esempio ma peggiorano anche altri aspetti della loro vita quotidiana fino a proporre come accettabili condizioni che sono invece inumane, come quelle delle baraccopoli, che vengono banalmente giustificate dicendo che anche alcuni italiani non hanno casa e che questa sarebbe la priorità.

Infine, vediamo quali sono le ipotesi di intervento per una nuova legislazione, per convincersi che vi sono delle possibilità di lotta anche in relazione con l’esperienza del lavoro precario che è molto negativa ma può lo stesso produrre una riorientazione del mondo del lavoro basata su nuovi modelli di organizzazione e modalità di lotta. Per esempio in Belgio in Francia in questi ultimi mesi c’è stato uno sciopero molto significativo degli addetti al trasporto urbano,le persone che portano il cibo in casa dai ristoranti e altro. È una cosa magnifica che un settore così non tutelato, anzi per niente tutelato, sia riuscito a organizzarsi. Una cosa modesta, non è un movimento di decine di migliaia di persone ma è un’esperienza molto ricca che permette di vedere come anche in condizioni molto sfavorevoli questi lavoratori sono stati capaci di provare nuove forme di organizzazione e di lotta ottenendo anche qualche conquista. Gli scioperi di Ryan Air sono un altro esempio incoraggiante; c’è combattività anche in un settore dove a priori le condizioni sono difficilissime per organizzare qualsiasi lotta.

Ci sono sempre degli ostacoli insomma, ma c’è anche creatività. Mi è piaciuta molto una campagna sindacale sul precariato in Catalogna, che è partita dall’idea della lotta al fumo. I fattori collettivi di salute hanno una grande importanza per la prevenzione, ma quando si parla di tumore si preferisce ancora rimandare piuttosto alla responsabilità personale; per cui se fumi, se bevi, se non fai ginnastica sei più a rischio. Mescolando queste tematica in Catalogna i sindacati hanno ripreso il tema del fumo per ribadire che la precarietà può uccidere e lo hanno fatto con molti manifesti che riproducevano gli avvertimenti dei pacchetti di sigarette (Figura 1). Hanno avuto molto successo in particolare nei luoghi del lavoro interinale dove hanno messo molti manifesti, perché in realtà tutti parlano del problema del tabacco ma forse bisognerebbe anche parlare della rete del lavoro precario e delle agenzie interinali, perché il costo sanitario correlato alla precarietà e sicuramente alto,non che sia lo stesso del fumo ma comunque va considerato.

Sul sito dell’Istituto Sindacale Europeo (www. ETUI. org) potete trovare riferimenti e documenti al lavoro che facciamo in cooperazione con i movimenti sindacali. Abbiamo un’unità delicata alle questioni di salute e sicurezza a livello europeo. Fra le tematiche su cui lavoriamo c’è anche quella del lavoro in carcere, di cui si è parlato prima del mio intervento. Sono stato molto felice di sentirne parlare perché uno dei progetti che svilupperemo l’anno prossimo è proprio mirato alle condizioni di lavoro in carcere prendendo i tre protagonisti: le persone incarcerate, le persone che intervengono da fuori per esempio con il lavoro sociale, l’educazione, la sanità eccetera, e il personale del carcere. L’idea è di dimostrare che c’è una interazione molto importante fra le condizioni di vita e le condizioni di lavoro che valgono per tutte queste categorie e che solo la capacità di rimettere in discussione il senso e la finalità di ciò che è un carcere potrebbe risolvere i problemi lavorativi che vediamo emergere anche in questa realtà.

Laurent Vogel, European Trade Union Institute (ETUI)