Scorie radioattive
Il progresso tecnico e merceologico ha offerto agli umani molte “cose” che, sembrate all’inizio “miracolose”, poi si sono rivelate pericolose o dannose. L’elenco di queste trappole tecnologiche è lungo, dal piombo tetraetile, al DDT alla talidomide, eccetera. Ma la liberazione dell’energia dal nucleo atomico è l’esempio più vistoso di un “patto col diavolo” come quello raccontato nel dramma di Faust. Il Faust nucleare ha offerto energia “buona” per le bombe e per le centrali elettriche imponendo alla società umana il compito, difficile e immane, dello smaltimento delle scorie del processo di liberazione dell’energia, elementi artificiali che restano radioattivi e pericolosi per la vita umana subito e nei decenni successivi e nei secoli successivi alla loro formazione. È questo il principale ostacolo al futuro dell’energia nucleare. Dopo il funzionamento per un anno di una centrale di grande dimensione (ce ne sono circa 400 nel mondo), dai reattori nucleari vanno estratte circa 30 tonnellate di “combustibile esaurito”, irraggiato, come si dice, contenente uranio non più utile ma anche oltre mille chili di elementi radioattivi che perdono lentamente la loro radioattività; alcuni di questi elementi restano radioattivi per alcune settimane (iodio), altri per circa un secolo (cesio, stronzio), altri per oltre centomila anni (plutonio).
Nel novembre 2011 ci sono stati in Piemonte movimenti di protesta contro l’apertura di un cantiere per la costruzione di strutture in cui mettere al sicuro le scorie radioattive esistenti in Italia. Il sogno nucleare italiano degli anni sessanta si é dissolto nel 1989, ma le scorie avvelenate delle quattro centrali nucleari che sono state in funzione per alcuni anni e di altri materiali formati nei reattori sperimentali ,restano un incubo per la nostra società. Negli anni passati una parte di tali scorie è stata inviata negli impianti inglesi e francesi in cui vengono separate le varie frazioni più o meno radioattive, che siamo comunque obbligati a riprenderci in Italia; alcune attività di ritrattamento sono state svolte in Basilicata e a Saluggia in Piemonte.
È anzi in questa località, sulle rive della Dora, che sembra si voglia costruire un deposito “nazionale” delle scorie radioattive, in cui concentrare tutte quelle esistenti,sparse in molte località italiane fra Saluggia, appunto, Casaccia vicino Roma, Trisaia in Basilicata. Di roba da sistemare ce n’è tanta: i materiali radioattivi italiani oggi in condizioni insoddisfacenti di sicurezza sono costituiti da molte diecine di migliaia di metri cubi di rifiuti di “seconda categoria”, contenenti nuclei radioattivi che devono essere isolati dalle acque e da qualsiasi contatto con esseri viventi per almeno 10 o 15 mila anni, e di “terza categoria” contenenti nuclei radioattivi che devono essere sepolti e isolati per almeno 150.000 anni: Nel complesso la radioattività di queste rifiuti è equivalente a quella di circa 10 milioni di grammi dell’elemento radio.
Fra gli altri, ci sono 1700 chili di plutonio, l’elemento che si forma dall’uranio durante il funzionamento delle centrali nucleari; dopo 100.000 anni (centomila, avete letto bene) il plutonio emette ancora il 10 % della radioattività che aveva quando è stato estratto da un reattore. Le scorie sono costituite da miscele complesse di elementi radioattivi, di difficile separazione fisica e chimica, che potrebbero rappresentare una tentazione per chi volesse realizzare armi di distruzione di massa, compiere atti terroristici, ricatti, eccetera.
Dove metterli? Una risposta non sono riusciti a trovare né gli Stati Uniti né la Germania, che pure hanno nel sottosuolo rocce e giacimenti geologicamente sicuri; i residui radioattivi, infatti, devono essere sepolti, per decine o centinaia di secoli in zone sotterranee costituite da rocce geologicamente stabili, non esposte a terremoti, senza circolazione di acqua, in condizioni da poter continuamente ventilare il calore che si forma dal decadimento radioattivo. Un simile deposito di scorie, se se ne trovasse uno idoneo, in qualsiasi altra parte del mondo, dovrebbe essere continuamente vigilato per evitare attentati o azioni violente tali da far fuoriuscire le scorie dai depositi. Le agenzie internazionali fanno i loro conti sulla necessità di una vigilanza per almeno diecimila anni.
Si fa presto a dire “diecimila anni”, cento secoli, il doppio del tempo che ci separa dai Faraoni, cinque volte il tempo che ci separa dall’impero romano. Come sarà possibile dare istruzioni ai guardiani di tali scorie, in un lontano futuro, perché vigilino per evitare le intrusioni di malintenzionati nei depositi, per assicurare la continua ventilazione del calore che si libera dal decadimento radioattivo ? Un problema non solo di fisica e ingegneria ma anche di comunicazione e informazione dei terrestri del futuro, che parleranno forse lingue ben diverse dalle nostre. Nel 1984, su incarico dell’agenzia atomica americana, un noto studioso di semiologia (la scienza dei modi e dei mezzi con cui comunicare), Thomas Sebeok, analizzò le possibili soluzioni con cui avvertire coloro che vivranno fra diecimila anni vicino ai depositi di scorie: “Attenzione: non avvicinatevi”. Sebeok suggerì che, per tramandare la leggibilità e il significato del messaggio, avrebbe dovuto essere creata una “casta sacerdotale atomica”, in grado e col compito di tramandare, nel corso delle 300 generazioni che si susseguirebbero nei diecimila anni considerati, la lingua e il significato di quell’avviso apposto sul cimitero dei rifiuti radioattivi.
In Italia la responsabilità della sistemazione delle scorie nucleari è affidata ad una “Agenzia per la sicurezza nucleare” istituita con la legge n. 99 del 23 luglio 2009 ma ancora praticamente inesistente. Tale agenzia dovrebbe proporre alla comunità italiana una località in cui costruire il deposito nazionale dei materiali radioattivi. Negli anni passati i governi hanno fatto circolare varie carte geografiche in cui sarebbero state identificate alcune possibili (ma in realtà improponibili) località rispondenti ai requisiti di essere esenti da terremoti (località difficili da trovare in Italia), di essere geologicamente stabili, di non essere esposte a infiltrazioni di acqua e al pericolo di contatto con esseri viventi, lontane da grandi città e sorvegliabili facilmente. I pugliesi ricordano bene il caso di Scanzano in Basilicata, quando la popolazione contestò duramente l’affrettata e insensata proposta di creare un deposito delle scorie nucleari in un giacimento di sale esistente nel suo sottosuolo. La gente di Scanzano fece presto a dimostrare che il giacimento era di dimensioni inadeguate alle opere e alle condizioni richieste per un sicuro deposito di tali scorie e il governo si rimangiò in tutta fretta la proposta.
Purtroppo queste scorie esistono e non si può nascondere la testa sotto la sabbia e far finte di dimenticarsene. Né si possono cercare furbesche soluzioni di cantieri notturni nell’illusione di distrarre l’attenzione delle popolazioni condannate a ospitare un futuro deposito nazionale.di scorie. Una soluzione parziale del problema delle scorie radioattive in Italia richiede la mobilitazione, per decenni, di centinaia di fisici, ingegneri, geologi, chimici, geografi, i quali dovrebbero essere in grado di spiegare alla popolazione italiana che cosa stanno facendo, i propri successi, i problemi irrisolti. Non ci sono soluzioni miracolose e non si può fermare la radioattività; non si può rimettere il mostro nucleare nella bottiglia magica da cui è uscito. Si può solo smettere nel mondo di costruire centrali nucleari e bombe atomiche e affrontare con coraggio l’esistenza delle scorie in circolazione per renderle almeno meno nocive per il prossimo di oggi e per quello del futuro.