Signora Biblioteca

Come i lettori avranno visto, la Fondazione Micheletti è nata col fine di salvare dalla dispersione documenti e archivi, del periodo della guerra e delle Lotte di Liberazione, poi dei movimenti popolari, operai e ambientalisti. Di tale politica si fa interprete questa rivista telematica.

Quanto siano grandi i pericoli di dispersione di carte, libri, documenti, è testimoniato dall’articolo, scritto nell’agosto 1994, da Silvio Ceccato (1914-1997; si veda anche <www.altronovecento.quipo.it> n. 3) dopo aver costatato che “migliaia di volumi della biblioteca di Cesare Musatti (1897-1989), il padre della psicanalisi in Italia, sono stati ‘svenduti’ in una bancarella, fra bleu jeans e paccottiglia varia. Ma anche gli oggetti hanno un’anima, come dimostra questo racconto”

Siamo lieti di riprodurre, dissepolto dall’oblio, il racconto di Silvio Ceccato.

“Venduta a peso. Ma si può finire così ?”

Ero una volta, appena cinque anni fa, una biblioteca. Anzi una Signora Biblioteca.

Quanto mi ha amata il mio signore-padrone. Mi aveva presa che sgambettavo già; insomma voglio dire che una parte di quei primi libri erano già appartenuti a suo padre, l’avvocato Elia Musatti. Era un vanto per me poter esibire tali natali. Mica come certe mie colleghe che non hanno nessuna storia, comperate giusto perché fa fine averle in casa. Poverette, mai una parola d’amore per loro, solo una tiritera della padrona di casa allorché deve spolverarle.

Il mio, di padrone, invece, non solo mi spolverava, ma mi accarezzava. Non passava giorno senza che uno dei miei libri non venisse accarezzato, letto, sottolineato. Che allegra brigata eravamo. Libri di psicoanalisi, di matematica, di musica, di teatro, di politica, romanzi, riviste di cinema. Eh si, il mio padrone aveva mille interessi, mille curiosità.

Non lo disco per vantarmi, anche lui scriveva. E per me era il massimo dell’onore quando giungeva fra di noi un suo nuovo libro, fresco fresco di stampa …

E i viaggi, poi, dico io, quante biblioteche possono vantare i viaggi che ho fatto io? Quanti traslochi in novant’anni! E mai che dimenticasse di portarmi con sé. Neppure un volumetto tralasciava. Anche se ormai ero diventata grande, enorme, a dismisura. Anzi so per certo che io non ero estranea alla decisione di quei traslochi. Lo sentii una sera borbottare con tenerezza: qui non c’è più posto per i libri, bisognerà cambiare casa ancora una volta. E la cambiammo.

Passavano gli anni, i suoi capelli sempre più bianchi, molte mie pagine sempre più gialle. Com’è dolce crescere ed invecchiare insieme. Ogni mio libro era lì a testimoniare una lunga storia condivisa. Il Liceo, l’Università, il Primo Amore. Abbiamo vissuto sulla nostra pelle le crudeli leggi antirazziali, i primi successi accademici, i tanti palpitar di cuore. Abbiamo studiato insieme e insieme abbiamo talvolta riso. Ci siamo commossi, qualche volta persino annoiati. Non contento dei miliardi di parole stampati …

Adesso lui non c’è più. Mi ricordo ancora l’ultima mano amorosa, femmina, che venne a me per scegliere un libro da leggere al Maestro. Era tanto stanco nelle ore supreme. Questione di un attimo, il compagno della vita se ne andò. Dove? Non so. Se soltanto che ben più dolorosa fu la mia di sorte e morte.

Per qualche mese nella casa ci fu un gran via vai. Architetti che parlavamo di ristrutturazione. Manacce che frugavano fra gli scaffali. Questo va tenuto, questo va buttato.

Mi ritrovai un dì in un mercato. Fra banchetti di blue jeans e paccottiglia varia. Venduta a peso, smembrata. Ho pianto, lo confesso. E di disperazione ho peccato, in quel sabato assolato. Oggi io non ci sono più. Dispersa per il mondo. Alcuni miei figli ancora imballati in scatoloni nella cantina di un mercante. Ma forse non tutto è perduto. Perché sì, gli eredi possono uccidere una biblioteca, ma non l’amore.

Riconobbi una mano, quel dì. Una mano di donna. Era venuta a darmi l’estremo addio. E lei che non ha mai imparato a memoria le tabelline, dal banchetto scelse e comprò un libro di matematica difficile. I “Logaritmi” che erano già appartenuti a Benussi (*). Era il Maestro del mio padrone. Nessuno, salvo lui, me e lei, poteva conoscere il “valore” di quelle pagine. Ma questa, forse, è un’altra storia.

La Signora Biblioteca

(*) Il riferimento è a Vittorio Benussi (Trieste 1878 – Padova 1927) che, dopo aver condotto ricerche a Graz, nel 1918 fu nominato professore di Psicologia sperimentale nell’Università di Padova e fu insegnante di Musatti.