Sliding doors. Carriere e conflitti di interesse fra pubblico e privato
Il fenomeno delle sliding doors (porte scorrevoli; è usato anche il termine revolving doors, porte girevoli) è ben conosciuto negli Stati Uniti e anche in Francia dov’è chiamato pantouflage. Si tratta di un passaggio rapidissimo e sovente sospetto da un’onorata carriera di alto livello nelle istituzioni o nella pubblica amministrazione verso i vertici di aziende e società private dello stesso settore nel quale si operava nel pubblico. I casi in Italia non mancano: il più irritante – visti il ruolo e le scelte fatte dal protagonista dentro le istituzioni con il decreto legge Minniti-Orlando del febbraio 2017 (convertito dalla Legge n. 46 del 13/4/2017), che ha ridotto la possibilità di ricorso per i migranti contro un diniego del diritto d’asilo, ha eletto a garanti della giusta esecuzione della legge giudici istituiti ad hoc, ha istituito la prassi dei colloqui videoregistrati e il passaggio dai CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) ai CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio) – è stato quello dell’ex ministro degli interni, Marco Minniti, che ha assunto la presidenza dalla nuova fondazione Medi Or promossa dal gruppo di tecnologie militari Leonardo (9,2 miliardi di euro di fatturato 2021) – parole chiave: difesa, sorveglianza, intelligence, confini, tradotte nello Statuto Medi Or in formazione e scambio culturale con i paesi africani e medio orientali. Minniti aveva lasciato il seggio di deputato del Pd alla Camera alla fine del mese di febbraio 2021 per andare a presiedere la nuova fondazione di Leonardo, ex Finmeccanica, partecipata dallo Stato, che opera nei settori di difesa, aerospazio, sicurezza (cyber e no). L’ex ministro dell’Interno era stato parlamentare ininterrottamente negli ultimi vent’anni, era entrato alla Camera nel 2001 ma la sua ultima “elezione” – dopo aver perso nel collegio uninominale di Pesaro contro un candidato dei 5 Stelle (espulso dal Movimento già durante la campagna elettorale) – fu garantita solo dal ripescaggio nel proporzionale in Campania.
Il caso più recente è quello di Andrea Urbani, che il 1 luglio 2022 ha lasciato l’incarico di Direttore generale della Programmazione del Ministero della Salute, assegnatogli nel 2017, per andare a ricoprire il ruolo di Amministratore delegato dell’IRCCS San Raffaele di Milano, uno dei maggiori ospedali privati italiani con un fatturato annuo vicino a 2 miliardi di euro, come già avevano fatto altri ex ministri dell’Interno e della Giustizia: Angelino Alfano, presidente del Gruppo ospedaliero milanese San Donato dal 2019 e – ancor più grave per il suo ulteriore ruolo come governatore della Lombardia, regione che rappresenta un Eldorado per la sanità privata in Italia dai tempi della presidenza di Roberto Formigoni – Roberto Maroni entrato nel CDA del San Donato nel 2020. Anche Giovanni Maria Flick, ex ministro di Giustizia è stato Consigliere di amministrazione e poi presidente della Fondazione San Raffaele fra il luglio 2011 e maggio 2012.
Per il momento Urbani si è autosospeso, in attesa che l’Autorità nazionale Anti Corruzione (ANAC) chiarisca i contorni di questa vicenda denunciata dai sindacati medici ANAAO ASSOMED, che pongono questioni sulla opportunità politica di una tale nomina e denunciano la mancanza di sensibilità istituzionale e delle qualità morali minime richieste ai servitori dello Stato, se non un vero e proprio pantouflage ai limiti della legalità.
Il divieto di pantouflage nell’ordinamento giuridico italiano è citato nell’art. 53, comma 16-ter introdotto nel Decreto Legislativo n. 165/01 (c.d. “Testo Unico del Pubblico Impiego”) a opera della legge n. 190 del 2012 c.d. “Legge Anticorruzione” (Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione) espressamente finalizzata ad attuare l’art. 6 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ad ottobre 2003. La legge dispone che i pubblici dipendenti che, nel corso degli ultimi tre anni di servizio, abbiano esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto di una delle pubbliche amministrazioni di cui al medesimo D.Lgs. 165/01 (art. 1, comma 2) non possono, per i tre anni successivi al termine del rapporto di lavoro pubblico, prestare attività lavorativa o professionale per quei soggetti privati destinatari dei medesimi poteri esercitati per conto dell’amministrazione (primo periodo). Per pubblici dipendenti devono intendersi anche i soggetti con il quale “l’ente pubblico o l’ente privato in controllo pubblico” ha intrattenuto un rapporto di lavoro autonomo o subordinato.
Un classico caso irrisolto di sliding doors è stato quello dell’architetto Mario Virano, a lungo responsabile per nomina diretta del governo dell’Osservatorio per la nuova linea TAV Torino – Lione divenuto poi nel 2015 presidente, tuttora in carica, di Trans Europe Turin Lyon (TELT), ovvero la stessa compagnia di cui era controparte governativa e che dovrà gestire la costruzione del tunnel transfrontaliero lungo 35 km sotto il massiccio alpino dell’Ambin, da Susa in Italia a Saint Jean de Maurienne in Francia. Contro le proteste pubbliche e anche contro il provvedimento n. 25765 preso dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella sua Adunanza del 10 dicembre 2015 che stabiliva “l’incompatibilità post-carica prevista dall’art. 2, comma 4, II periodo, della legge n. 215/04”, in difesa di Mario Virano si spese l’allora governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, il quale dopo aver assunto ripetuti incarichi come sindaco del capoluogo piemontese (dal 2001 al 2011), prima di diventare Governatore della Regione Piemonte (2014-2019) è stato anche presidente della Fondazione Compagnia di San Paolo, principale azionista del gruppo bancario Intesa Sanpaolo – e anche principale ente finanziatore privato di tutte le amministrazioni pubbliche guidate da Chiamparino – fra il 2012 e il 2014.
Carriere scientifiche e ricompense garantite
Particolarmente preoccupanti sono le conseguenze dei meccanismi della sliding doors in campo scientifico, con riferimento soprattutto ai settori della tutela di ambiente e salute. Il caso di conflitto di interesse maggiormente scandaloso è stato quello di Sir Richard Doll, epidemiologo inglese di fama mondiale, celebrato per gli studi sugli effetti dannosi per la salute del fumo di tabacco ma che a metà degli anni ‘80 dello scorso secolo ricevette in silenzio e per più di 20 anni incarichi di “consulenza” dalla Monsanto pagati profumatamente (si parla di 1.500 dollari al giorno). In quel periodo Doll scrisse alla Commissione Reale Australiana che stava indagando sulla pericolosità dell’agente Orange (prodotto da Monsanto e utilizzato dagli USA come defogliante in Vietnam) affermando l’assenza di prove di cancerogenicità della sostanza. Secondo il Guardian, Sir Richard avrebbe anche ricevuto 15.000 sterline dalla Associazione dei Produttori Chimici, dalla Dow Jones e dalla Imperial Chemical Industries per la compilazione di un articolo di rassegna sul Cloruro di Vinile che negava ogni correlazione con l’insorgenza di forme tumorali diverse dal cancro al fegato – conclusione confutata dall’Organizzazione Mondiale per Sanità – e che fu usato dai produttori per oltre un decennio in difesa della loro produzione.
Situazioni meno eclatanti ma simili, intorbidiscono molto più frequentemente di quanto non ci si aspetti gli scenari della ricerca scientifica e tecnologica per esempio nei campi della valutazione di tossicità delle sostanze pericolose, delle metodologie e procedure analitiche da utilizzare per la loro ricerca negli alimenti e nell’ambiente e perfino nella selezione delle terapie mediche più adeguate per il riconoscimento delle malattie associate e della loro cura.
In Italia, alcuni tentativi di rilancio della produzione nucleare, maldestramente sostenuti dalla lobby nuclearista, sono riusciti a dare spazio perfino all’ipotesi meno che improbabile dei fenomeni “piezo-nucleari” (per dirla con semplicità: l’induzione di trasformazioni nucleari mediante applicazione di sforzi meccanici). Uno degli scienziati principali artefici di questa boutade, Alberto Carpinteri, professore Ordinario di Scienza delle Costruzioni nel Politecnico di Torino, socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, nominato nel 2011 dall’allora ministro del MIUR Maria Stella Gelmini presidente di un Istituto Nazionale di Ricerca come l’INRIM di Torino, con un curriculum vitae smisurato e una invidiabile quantità di premi accademici, ha probabilmente stabilito un record mondiale avendo visto nel 2015 la bellezza di 11 proprie pubblicazioni ritirate unilateralmente dalla rivista scientifica internazionale “Meccanica” a causa di un possibile conflitto di interessi che avrebbe “compromesso il processo editoriale” al tempo della loro pubblicazione originaria – si veda https://www.wired.it/scienza/lab/2015/04/17/ritirati-articoli-fissione-piezonucleare/ e si noti bene che la pubblicazione di dati scientifici alterati di per sé non costituisce reato.
Una delle lobby maggiormente capaci di approfittare della presenza di propri affiliati in ruoli chiave di regolamentazione della produzione industriale a tutela dei rischi per ambiente e salute è quella dell’amianto, attiva e interferente su ogni livello: da quello delle analisi chimiche, alla valutazione di pericolosità, alla discussione nelle aule di tribunale sui meccanismi della cancerogenesi indotta dalle fibre di amianto. Si consideri che il minerale amiantifero crisotilo – in attesa dal 2006 di una rivalutazione – è ancora ammesso al commercio dalla Convenzione di Rotterdam che regola gli scambi internazionali di sostanze pericolose, che per la ricerca di fibre di amianto nel talco cosmetico – come nel noto borotalco della Johnson & Johnson, usato per l’infanzia e al centro di migliaia di richieste di risarcimento negli USA, ritirato dal mercato in USA e in Canada, ma non in Europa – si utilizzano strumentazioni analitiche considerate obsolete dagli anni ‘70 del ‘900. Si consideri inoltre che la Commissione nominata dalla Farmacopea statunitense per la definizione dei metodi di analisi dell’amianto nel talco, che sta tergiversando da almeno vent’anni, è composta per la maggior parte da rappresentanti di compagnie produttrici di talco: i documenti emessi da questa Commissione riportano dichiarazioni esplicite di Conflitto di interesse da parte del 50 % dei firmatari (9 su 18). Perfino la Società Italiana di Medicina del Lavoro (SIML), infine, ha prodotto un Position Paper((P. Apostoli, P. Boffetta, M. Bovenzi, P. L. Cocco, D. Consonni, A. Cristaudo, G. Discalzi, A. Farioli, M. Manno, S. Mattioli, E. Pira, L. Soleo, G. Taino, F. S. Violante, and C. Zocchetti, “Position Paper Amianto”, in “Medicina del Lavoro”, 2019, 110, 6, pp. 459-485.)) sull’amianto decisamente controverso, ma firmato fra gli altri dai migliori luminari italiani al servizio dell’industria.
Non va dimenticato che il proprietario dell’Eternit, Stephan Schmidheiny, uno degli uomini considerati da Forbes fra i più ricchi del mondo con un patrimonio personale nel 2021 superiore a 2 miliardi di euro, ama presentarsi come filantropo e benefattore dell’umanità. Fu infatti invitato e partecipò, seppure fra molte proteste, come fondatore del World Business Council for Sustainable Development e della Fondazione Avina (associazione “filantropica” latinoamericana che lavora per lo sviluppo sostenibile in America Latina incoraggiando alleanze tra leader sociali e imprenditoriali), alla Conferenza di Rio sullo Sviluppo Sostenibile (20 – 22 giugno 2022).
L’industria dell’amianto è potente, ma non è l’unico caso di lobby assiduamente attiva in campo politico-scientifico, capace di distorcere o censurare evidenze scientifiche grazie ai meccanismi delle Sliding Doors, a consulenze tecniche pagate profumatamente e a una capacità di controllo propagandistico dell’informazione. Un’ottima analisi esplicativa delle strategie adottate dalle industrie multinazionali – definita “scienza in difesa del prodotto” – è stata offerta dalla rivista The Ecologist quando nel 1998 riprese il caso della Monsanto((J. Ferrara, “Revolving Doors: Monsanto and The Regulators”, in “The Ecologist” Vol. 28, No. 5, 1998, p. 280.)), osservando come a fronte del rapidissimo sviluppo delle tecnologie OGM, passate dagli studi in laboratorio alla produzione commerciale in meno di un decennio, il governo USA in sostanziale accordo con le multinazionali della produzione agroalimentare scelse di non regolamentare un settore che vedeva e vede gli USA leader mondiali, per evitare di “intralciare” la possibilità di nuove scoperte scientifiche con pratiche burocratiche eccessive. In effetti, i regolamenti poi messi in campo per la gestione delle biotecnologie sono risultati certamente restrittivi, antiliberali e contrari alle pratiche del libero mercato, ma per la tutela degli interessi e dei diritti di proprietà intellettuale industriali, non di ambiente e salute. Era l’epoca della competizione iper-tecnologica fra Stati Uniti e Giappone – secondo Jennifer Ferrara e The Ecologist – il governo federale USA non avrebbe mai emesso normative restrittive, nemmeno in campo agroalimentare, che potessero inficiare la competitività statunitense sul mercato mondiale dei prodotti bio-tecnologici.
Negli USA il primo ente che stabilì linee guida per la ricerca biotecnologica fu l’Istituto Nazionale per la Salute (NIH) nel 1976, ma essendo un’agenzia di consulenza e non di regolamentazione, non aveva alcun potere per prescriverne l’obbligo. Inoltre, non avendo l’NIH competenza diretta sulle biotecnologie, per la stesura delle linee guide dovette affidarsi all’esperienza e al lavoro volontaristico della comunità scientifica e sulla volontà autoregolazione dell’industria, dando avvio a una tendenza che ancora continua.
Da allora, infatti, il sistema di regolazione nei settori della produzione agroalimentare, così come nella farmacologia e nelle scienze mediche, per la valutazione dell’impatto e dei rischi su salute e ambiente delle pratiche tecnologiche si basa sostanzialmente sui contributi parziali e inadeguati (perché incompleti) tarati sulle produzioni scientifiche delle stesse industrie che prestano il lavoro di professionisti dei loro staff a Enti e Istituzioni nazionali e internazionali – come il REACH per le sostanze chimiche, l’EFSA per i prodotti alimentari, la Farmacopea per l’industria farmaceutica e cosmetica – dove svolgono su base volontaria il compito di valutazione e approvazione di protocolli, standard e procedure.
A questa distorsione, si aggiunge lo scavalcamento e l’esclusione – per non-pertinenza o non-competenza – di altre istituzioni tradizionalmente chiamate a svolgere il compito di tutela dell’interesse pubblico nazionale e internazionale. Mentre le multinazionali sviluppavano massicciamente brevetti e produzione nel campo dell’ingegneria genetica, le linee guida dell’NIH inseguivano tentativi di regolamentazione sia delle sperimentazioni sia della produzione di sostanze OGM. Fra il 1977 e il 1978, il Congresso USA discusse 16 proposte di legge per la regolamentazione della ricerca genetica: nessuna di quelle fu approvata e le linee guida dell’NIH – che si limitavano ai prodotti della ricerca medica e farmaceutica, senza alcun riferimento al principio di precauzione – rimasero l’unico riferimento di regolamentazione della ricerca bio-tecnologica.
Era anche l’era della deregulation introdotta dalle amministrazioni Reagan/Bush, che ha sviluppato i riferimenti quadro entro cui i prodotti di bioingegneria, incluso il cibo, sono “regolati” oggi in campo internazionale ed è difficile dubitare che sia il profitto industriale, non la sicurezza collettiva, il filo conduttore e la priorità delle scelte politiche relative. I funzionari pubblici nelle agenzie di controllo, nei dipartimenti ministeriali del commercio e dello sviluppo così come nei principali istituti che sovrintendono le politiche scientifiche e tecnologiche hanno sostanzialmente due mandati: non “ostacolare” lo sviluppo e non mandare il “segnale sbagliato” al mercato. Restrizioni e ostacoli sono concessi, ma solo per tutelare gli interessi corporativi delle multinazionali. Infatti – sostiene Jennifer Ferrara nel già citato articolo del 1998 apparso su The Ecologist – la deregulation aveva favorito sviluppi e garantito rapidamente frange di mercato anche a piccole compagnie. Come reazione i colossi del settore spinsero per introdurre regolamenti non di prevenzione ma di immagine, che richiedevano ai prodotti industriali di essere accompagnati da una pletora di dati scientifici costosi da produrre per la certificazione da parte delle agenzie di controllo, riducendo così la competitiva delle compagnie più piccole, che venivano poi sistematicamente comprate e inglobate dai colossi, e dando al pubblico l’impressione di una valutazione di sicurezza affidabile e perciò capace di garantire la sicurezza dei prodotti.
Il primato della partecipazione
Purtroppo, sono invece numerosissime le smentite rispetto a una visione di controllo e affidabilità sulla coerenza fra evidenze scientifiche e regolamenti d’uso di sostanze pericolose. Secondo un’inchiesta pubblicata su Le Monde nel 2017((S. Horel, “Cancer au travail. La Commission européenne complice de l’industrie”, “Le Monde”, 24.2.2017.)), gli “esperti” legati all’industria dominano anche nel Comitato di Consulenza dell’Unione Europea per l’adozione dei limiti di esposizione lavorativa (occupazionale) a sostanze tossiche. Il nostro pensiero è che non vi sia un limite di sicurezza, e che l’unico valore limite ammissibile di esposizione nei luoghi di vita e di lavoro a sostanze pericolose sia “zero” (Ndr), ma seguendo comunque i risultati dell’inchiesta di Le Monde, scopriamo come 15 dei 22 componenti del Comitato Scientifico sui Valori Limite Occupazionali (SCOEL) dell’UE avessero legami con compagnie industriali operanti in settori che sarebbero stati danneggiati dai piani di adozione di nuovi limiti di esposizione professionale a sostanze cancerogene o mutagene. L’autore dell’inchiesta, il giornalista Stéphane Horel, è stato in grado di riconoscere correlazioni fra 15 degli esperti SCOEL e multinazionali come BASF, Shell e Monsanto, oppure con organizzazioni che rappresentano cartelli di industrie – come quella delle industrie produttrici di fibre minerali.
È chiaro che una tale scoperta abbia sollevato dubbi e preoccupazioni sull’affidabilità dei limiti di esposizione dei lavoratori adottati dall’UE. I sindacati e diverse ONG hanno immediatamente osservato come in realtà alcuni dei limiti proposti dall’UE – come quello riguardante il cromo esavalente – fossero inferiori a quelli già adottati da diversi singoli stati dell’Unione Europea. Laurent Vogel, ricercatore dell’Istituto Sindacale Europeo (ETUI) ha aggiunto che i limiti di esposizione eccessivamente elevati creano un falso senso di sicurezza nei lavoratori che si ritengono protetti, mentre in pratica corrispondono a una licenza di uccidere concessa alle multinazionali.
Potremmo continuare con esempi di distorsione dei dati scientifici e di conflitti di interesse che minano la credibilità delle istituzioni, scientifiche e no, poste a tutela della salute della collettività e dell’integrità dell’ambiente. L’unico baluardo vero – al di là della esplicitazione dei legami di interesse fra esperti e industria – è quello della partecipazione diretta delle popolazioni interessate ai processi decisionali, senza delega a nessun esperto di qualsivoglia disciplina. Occorre riprendere e attualizzare quanto affermava Giulio Maccacaro: “un padrone o un medico non fa differenza se la scienza del medico è quella del padrone”((G.A. Maccacaro, “Lettera al Presidente dell’Ordine dei Medici di Milano e Provincia”, prefazione al volume di J. C. Polack, La medicina del capitale, Milano, Feltrinelli, 1972.)). Non ci sarebbe Sliding Door in grado di funzionare se la difesa degli interessi di tutti e di ciascuno fosse davvero guidata dal primato della partecipazione pubblica, che infatti comincia a essere inserita e sostenuta nei documenti internazionali di valutazione dei rischi connessi a grandi produzioni industriali, grandi infrastrutture e altre opere impattanti sul territorio.
Per esempio, le Linee guida per la valutazione di impatto sanitario((D.L. 104/2017, Rapporti ISTISAN 19/9, 2019.)) affermano che “La procedura di VIS – Valutazione di Impatto Sanitario, Ndr – come proposta e promossa dalla Conferenza di Gothenburg, si ispira ai principi di trasparenza, etica, eguaglianza, partecipazione, sostenibilità e democrazia” e che è fra gli obiettivi delle VIS “includere una forma di partecipazione degli stakeholder secondo modalità e tempi opportuni e interagire con le figure amministrative e politiche ai fini della migliore definizione del progetto e delle raccomandazioni”, infine che “per la corretta predisposizione di una VIS è quindi necessario che il proponente coinvolga, dalle fasi iniziali, esperti del settore ambientale e sanitario, istituzioni locali e altri attori della comunità, facilitando anche la partecipazione della popolazione”.
Al momento, la reazione tipica è quella di negare il diritto di partecipazione affermato dalla legge attraverso le procedure di attuazione della stessa. Per esempio, per quanto riguarda i cantieri della linea ferroviaria ad Alta Velocità più contesa d’Italia, il già qui citato TAV Torino-Lione, al tavolo di pilotaggio della Valutazione di Impatto Sanitario, a fronte di una ventina di partecipanti, rappresentanti di TELT (affidataria dei lavori), Regione, ARPA e ASL interessate, nonostante le ripetute richieste dei sindaci, è ammesso un unico delegato tecnico come rappresentante di 29 comuni della Val di Susa, oltre al comune di Torrazza Piemonte, che insieme raccolgono un totale di quasi 100mila abitanti. Inoltre, 7 dei comuni interessati dai cantieri del TAV (Bruzolo, Bussoleno, Giaglione, Salbertrand, San Didero, Susa e Torrazza Piemonte) sono attualmente Siti Strategici di Interesse Nazionale (Decreto Legge 121/2021, comma 9-ter, articolo 3), ovvero luoghi soggetti a controllo militare, nei quali non hanno libero accesso né esponenti della stampa e dell’informazione, né rappresentanze politiche. Dovrebbe essere chiaro che un tale contesto restrittivo risulta ostativo a una corretta e ponderata valutazione delle documentazioni e informazioni discusse in tale sede.
Riteniamo dunque che i conflitti di interesse, le porte scorrevoli, gli incarichi gestiti da lobby di ogni sorta non siano questioni da gestire mai solo sul piano tecnico e scientifico, senza una forte azione politica di contrasto a interessi corporativi. Ancora riprendendo le parole di Giulio Maccacaro((G.A. Maccacaro, relazione pronunciata in apertura del convegno costitutivo di Medicina Democratica tenutosi a Bologna il 15-16 maggio 1976, disponibile anche su questa stessa rivista.)), ci sembra condivisibile ipotizzare che “alla partecipazione autentica non basti mai l’articolato di una legge ma occorra sempre l’impegno di una lotta: che si sviluppa continuamente nell’identificazione dei suoi obiettivi, che si accresce progressivamente nell’allargamento del suo campo, che non riconosce limiti a questo campo né ammette che esista l’ultimo di quegli obiettivi” e che in questa lotta “l’unico e sacrosanto estremismo è la salute collettiva” e che a questa infine – e solo a questa “salute collettiva” – va riconosciuto il primato politico sopra ogni altro qualsivoglia interesse privato o pubblico.