Storie di armi

Nel novembre 2007 si è svolto a Brescia un  convegno molto interessante per i temi di OPAL. Sotto il titolo Storie di armi, i lavori si sono svolti lungo tre giornate: le prime, ospitate nel Salone Vanvitelliano di Palazzo Loggia, sono state dedicate rispettivamente alla produzione, all’acquisto e all’utilizzo delle armi, l’ultima ha riguardato i problemi legati alle fonti, ai documenti e ai reperti e si è tenuta presso la Sala di lettura della Fondazione Micheletti.

Sebbene gli atti del convegno siano in via di pubblicazione,((Presso l’editore UNICOPLI di Milano)) ci è sembrato importante non aspettare la veste editoriale per commentare propositi e risultati di questo evento, riservato sì gli studiosi ma di grande rilevanza per la comunità bresciana.

La presentazione al programma del convegno già indicava i temi di fondo: “La recente ricerca storica sulle armi, non più limitata alla storia delle armi ‘belle’ e antiche, è anche storia della produzione seriale e industriale contemporanea. Cambiato approccio e interesse, la storia delle armi si è però spesso richiusa in nuovi comparti. Gli storici economici ne hanno studiato la produzione, gli storici politici le strategie che erano chiamate a servire, gli storici militari le dottrine d’impiego e l’impiego effettivo: ma troppo spesso ognuno lontano e all’insaputa degli altri. In tal modo gli studi specifici si sono moltiplicati, ma si sono anche settorializzati. Il convegno di Brescia, promosso dal Centro Interuniversitario di Studi e Ricerche Storico-Militari e dalla Fondazione Luigi Micheletti, col fondamentale sostegno del Comune di Brescia, si propone di riunire, per la prima volta in Italia, molti fra i migliori specialisti di questi nuovi studi, mettendo a confronto storici modernisti e storici contemporaneisti, storici dell’economia, della politica e della guerra”.

Per esperienza degli invitati e aree tematiche toccate, il convegno non nascondeva le sue ambizioni.

Nella prima giornata, sotto la presidenza di Livio Antonielli e il titolo monografico di “La produzione delle armi”, hanno parlato Renato Gianni Ridella (Fonditori italiani di artiglierie, in trasferta nell’Europa del XVI secolo), Alessandra Dattero (Le fucine della guerra: l’industria metallurgica nelle valli alpine della Lombardia austriaca del Settecento), Fabio Degli Esposti (Stabilimenti industriali o falansteri? La lunga parabola degli arsenali, 1800-1930), Sergio Onger (L’industria privata di armi da guerra: il caso della Glisenti, 1859-1907), AndreaFilippo Saba (Produrre per la guerra totale. Ansaldo, C.R.D.A., cantieri del Quarnaro, 1895-1939) e David Burigana (L’“atlantista europeista”? L’Italia e la cooperazione aeronautica in Europa, 1955-1978).

Per i temi legati a “L’acquisto delle armi”, moderatore Marco Belfanti, sono poi intervenuti Stefano Levati (Armare l’esercito italico: lo Stato napoleonico e il problema degli armamenti, 1796-1814), Andrea Curami e Paolo Ferrari (Dalla Grande guerra al fascismo: armi leggere per la fanteria), Lucio Ceva (Il fascismo e le grandi imprese), Mimmo Franzinelli (Traffico d’armi: il Servizio Informazioni Militari SIM e il delitto Rosselli), Carlo Tombola (Tra Stato e mercato: il caso delle armi leggere nell’età postbipolare).((A questa sessione avrebbe dovuto intervenire anche Michele Nones con una comunicazione su I piani di ammodernamento delle forze armate nell’Italia repubblicana))

Intorno a “L’utilizzo delle armi”, sotto la presidenza di Giorgio Rochat, hanno quindi parlato Walter Panciera (L’artiglieria sulle galere veneziane ai tempi di Lepanto), Guido Candiani (Novità tecnologica e pressione psicologica: l’introduzione delle galeotte a bombe nella marina veneziana, 1685-1695), Giovanni Cerino Badone (Dalla pietra alla percussione. La potenza di fuoco e l’efficacia delle armi sui campi di battaglia, 1650-1850), Gregorio Paolo Motta (Innovazioni nella tecnologia nelle dottrine d’impiego dei fucili d’ordinanza), Alessandro Massignani (Blitzkriegall’italiana: il binomio corazzati-aerei nelle guerre fasciste), Marilena Gala (L’Italia e il concetto di extended deterrence: il paradosso dell’arsenale da non usare), Virgilio Ilari (Ma le armi servono davvero per vincere?). Infine, moderati da Fortunato Minniti, gli interventi su “Fonti, documenti, reperti” di Daniele Diotallevi (Armerie e musei: per la storia delle armi nell’età moderna), Matteo Paesano (Archivi militari: per la storia delle armi nell’età contemporanea), Maria Rosaria Ostuni (Armi e armamenti negli archivi aziendali), Claudia Cerioli (L’archivio di una grande impresa: l’Ansaldo di Genova), John Ceruti e Antonio Trotti (Armi ieri, beni culturali oggi), Denise Modonesi (La tradizione armiera a Gardone Valtrompia) e Marco Lombardi Scomazzoni (Le collezioni di armi del Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto).

La vastità dei temi toccati e il numero degli studiosi partecipanti ci hanno indotto a rivolgere qualche domanda al prof. Nicola Labanca, uno degli organizzatori del convegno e relatore delle conclusioni.

D. Prof. Labanca, cosa vi ha portato a organizzare un convegno dai temi così variegati e cronologicamente ampi?

R. Il convegno è stato pensato per permettere il confronto, per la prima volta, tra storici modernisti e contemporaneisti, e soprattutto tra storici non tecnici che però si sono occupati di guerra nell’età moderna e contemporanea, sul tema della storia delle armi, affrontato in modo critico e indipendente, cioè non apologetici o interni all’istituzione militare; e per fare, sotto questa angolatura, un bilancio degli studi e segnalare nuovi filoni di ricerca.

Il Comune di BS, nell’allora sindaco Corsini, ha indicato la Fondazione Micheletti come un riferimento importante e già ricco di esperienza nel settore. Di qui il rapporto, squisito, con Pier Paolo Poggio e la Micheletti. Tutti e tre gli enti – l’Università, l’ente locale e un ente di ricerca quale la Micheletti – hanno colto la novità che storici non settorialisti potessero incontrarsi e discutere di queste problematiche, tanto più in una città come BS,

Proprio a BS, ogni anno in occasione di EXA, la nota expo di armi, si riuniscono studiosi ed esperti che si cimentano in alcune comunicazioni specialmente sulla storia del diritto delle armi, su questioni economiche e legislative legate all’uso delle armi, anche retrospettivamente, quindi anche da storici. Però mi pare che, pur talvolta ospitando contributi di illustri studiosi, mai c’era stato un convegno di storici, se non in epoca remotissima, e in questo senso il convegno di Brescia è stato quasi una première.

D. L’università è stata in qualche modo tra gli organizzatori, però attraverso il Centro Interuniversitario di Studi e Ricerche Storico-Militari. Quali sono funzione e scopi di questo centro?

R. Centro Interuniversitario è stato fondato nel 1982 – nel 2007 abbiamo festeggiato i 25 anni di attività – e si è più volte occupato di guerre, episodicamente di alcuni sistemi d’arma e del loro uso, in tempo di pace e di guerra. Ha sede presso il Dipartimento di Studi storici dell’Università di Siena, ed era stato inizialmente promosso da tre Università, ma ora ne fanno parte una dozzina, tra cui le più importanti del paese. Attualmente ne sono il presidente.  Finalità e storia del Centro interuniversitario si possono trovare nel sito internet,((

Vedi all’indirizzo http://www.saul.unisi.it/disco/attivitavisual.php?id=8. Tra l’altro vi si può leggere che  «scopo del Centro è la promozione e lo sviluppo della storia militare in tutte le sue componenti, come la storia delle guerre, la storia delle istituzioni militari, la storia della scienza e della tecnica militare, la storia della storiografia militare, la sociologia militare, più tutti i campi di ricerca utili all’approfondimento della storia militare nazionale e internazionale.

Per raggiungere questo scopo, il Centro si propone di sperimentare e sviluppare, a livello di pratica didattica e di ricerca scientifica, una collaborazione tra studiosi italiani e stranieri, militari e civili, universitari e non universitari, capace di superare ogni forma di separazione tra Paese e Forze Armate, tra storia generale e storia militare. Questa collaborazione si concreta sia in attività didattiche vere e proprie, come seminari e cicli di lezione rivolte agli studenti ed a tutti i cittadini, sia in attività di ricerca scientifica a vari livelli, sempre col concorso di tutti gli enti e studiosi interessati».))

 anche se non molto aggiornato. Ma mai il Centro si era occupato di storia delle armi, un ambito occupato per decenni da storici molto settoriali, informatissimi su alcuni sistemi d’arma o di un certo conflitto, ma che non guardano in maniera complessiva all’interazione tra economia, società e mondo della produzione delle armi, nella congiuntura di pace o di guerra.

Questa era un po’ la novità: non un convegno di storici settoriali, che certo hanno dato importanti contributi sull’AK-47 o sullo Sten o sul Bren o su qualunque altro singolo sistema d’arma, ma a cui manca molto spesso una quadro e una prospettiva di fondo, ma semmai un convegno dove potessero parlare alcuni giovani, che hanno compiuto ricerche innovative sul campo.

Se si fa una storia critica e aggiornata della guerra e della pace, e quindi anche dei sistemi d’arma, si può ampliare il radicamento anche accademico dei temi di storia militare. Se invece si continua a fare una storia settoriale, una storia tecnica ‘interna’, è chiaro che questo non interessa l’Università e il mondo della ricerca, interessa al massimo il mondo delle istituzioni militari e le accademie militari, senza grande appeal e dignità nel mondo universitario.

D. come viene insegnata la storia militare nelle nostre università?

R. l’assetto universitario dopo la riforma, non esistono più cattedre di “storia militare”, anche perché non esistono più “cattedre” e gli insegnamenti vengono affidati ogni anno in base alle esigenze della didattica. Inoltre non c’è una storia militare in quanto tale, ma esistono le grandi campiture della storia (storia dell’antichità, storia greca e romana, storia medievale, moderna e contemporanea), e all’interno di queste – e segnatamente all’interno di storia moderna e contemporanea – esiste la possibilità di istituire l’insegnamento di alcune discipline, tra cui storia militare, in funzione di sottopartizione di storia moderna e di storia contemporanea. L’aggettivo “militare” compare anche in un altro settore, più piccolo, quello della storia delle istituzioni politiche, all’interno del quale possono essere accesi insegnamenti che hanno il nome di storia delle istituzioni militari. Ad esempio. Giorgio Rochat ha insegnato per un decennio a Torino storia contemporanea, poi è passato proprio a insegnare storia delle istituzioni militari. Inoltre l’autonomia universitaria ha permesso alle singole facoltà di aprire nuovi corsi con denominazioni anche originali rispetto a quelle inizialmente previste dal Ministero, purché restassero all’interno di queste grandi campiture, cioè Storia Moderna, Storia contemporanea, Storia delle istituzioni. Per esempio, so che a Roma esiste una Storia della strategia, a Siena io faccio una Storia della propaganda e così via, corsi che evidentemente hanno qualche relazione con la storia della guerra e con la vecchia storia militare.

Complessivamente inteso, l’Italia è uno dei paesi d’Europa dove è più basso il tasso di “militarizzazione” degli insegnamenti storici, ovvero c’è un largo disinteresse delle questioni militari, cosa che è a mio avviso negativa perché intanto priva di competenze civili sia la platea studentesca nazionale sia gli intellettuali sia il ceto politico. Le competenze sulle questioni militari in Italia sono prevalentemente militari, in subordine di uno sparuto nucleo di accademici civili e, terzo, di un assai più vasto e vivace campo di studi extra-universitari. Qui operano numerose ong, da quelle storiche – come l’Archivio Disarmo((L’Archivio Disarmo è un’associazione senza scopo di lucro fondata da Luigi Anderlini nel 1982, e studia i problemi del controllo degli armamenti, della pace e della sicurezza internazionale. Dal suo sito web ((http://www.archiviodisarmo.it/template.php?pag=51699 ) sappiamo che può contare sul lavoro dei soci (una trentina di iscritti) e su uno staff permanente (una segretaria amministrativa e 4 ricercatori), e che la sua attività di ricerca è articolata per gruppi di lavoro (“disarmo e controllo degli armamenti”, “produzione di armamenti e riconversione”, “sociologia applicata”, “indagini demoscopiche”). Gestisce anche la banca dati Disarmonline realizzata con il contributo del Ministero degli Affari esteri e del Comune di Roma. Presidente del Consiglio direttivo è dal 2003 Ivano Barberini, presidente dell’AIC Alleanza Cooperativa Internazionale e già presidente di Coop Italia e della Lega Nazionale delle Cooperative. Dello stesso Consiglio fanno parte professori universitari come Fabrizio Battistelli, Paolo Bellocci e Pierangelo Isernia, e noti ricercatori come Maurizio Simoncelli)) di Roma, il Forum per i problemi della pace e della guerra[5] di Firenze – che essendo stati fondati nei primi anni ottanta sono le più antiche, ad altre che sono sezioni italiane di ong internazionali, come ISODARCO((Il Forum per i problemi della pace e della guerra (vedi al sito http://www.onlineforum.it/) è una ong fondata nel 1984, con sede a Firenze, e costituita da studiosi di diverso orientamento, prevalentemente appartenenti all’Università di Firenze. Opera come istituto scientifico che ha per scopo la produzione, lo scambio e la diffusione di conoscenze sui temi della pace e della guerra. A questo fine esso promuove ricerche, organizza convegni e seminari fra esperti nazionali ed internazionali, nonché corsi di lezioni; cura inoltre la pubblicazione di opere specialistiche o di alta divulgazione. Ne è presidente il prof. Dimitri D’Andrea, filosofo dell’università di Firenze e membro del CUN, il Consiglio universitario italiano)) che è la sezione italiana della rete Pugwash.((ISODARCO, International School on Disarmement and Research on Conflicts, è una ong fondata nel 1966 da due fisici italiani, Edoardo Amaldi e Carlo Schaerf, che si propone di animare il dibattito internazionale sui problemi della sicurezza e di riunire interlocutori con diversi punti di vista (militari e attivisti per la pace, diplomatici e insegnanti, ricercatori del nucleare e storici) e anche provenienti da aree di conflitto. Gli incontri si tengono tradizionalmente ad Andalo (TN) e dal qualche anno anche in Cina. Ha prodotto una ventina di pubblicazioni in inglese, e ricevuto finanziamenti dalle università italiane, in particolare da “La Sapienza” e da “Tor Vergata”, dal CNR, dal Ministero dei Beni culturali, dalle fondazioni Ford, Volkswagen, e MacArthur. Il suo attuale presidente è Carlo Schaerf, segretario Francesco Calogero. Vedi il sito all’indirizzo http://www.isodarco.it/))

D. Il Centro interuniversitario ha contribuito all’organizzazione del convegno di Brescia?

R. Il Centro interuniversitario vive di finanze proprie, non ha mai avuto un finanziamento stabile dal Ministero della Difesa, e non ha mai avuto se non occasionalmente finanziamenti dal sistema della difesa. Il primo contributo proveniente da un’azienda produttrice si deve all’OTO Melara proprio per gli atti di questo convegno bresciano, un contributo prezioso quando, con il cambio dell’Amministrazione comunale, il Comune ha respinto una nostra richiesta di fondi per la pubblicazione. Un piccolo contributo, però, di appena duemila euro, ben poca cosa se consideriamo la dimensione di quest’azienda, e che dimostra – al di là della nostra gratitudine – quanta poca sensibilità ci sia da parte del sistema difesa alla cultura della difesa in Italia.

D. A chi dovrebbe competere, se non alle stesse aziende produttrici, questa cultura della difesa?

R: A un nucleo di civili e di civili indipendenti che si occupi di questioni militari… È evidente che anche le aziende sono disabituate a parlare in pubblico, ad essere chiamate a render conto in pubblico, e sono anzi allarmate se qualcuno parla di loro. Ma ciò non è responsabilità delle imprese, è colpa dei civili che non studiano queste cose, le imprese fanno il loro mestiere, sono i civili che dovrebbero studiare e parlare di questi temi e quindi abituare anche quelle imprese a collaborare a questo forma di controllo pubblico. Tanto più che il gruppo Finmeccanica – di cui OTO Melara fa parte – è ampiamente sorretto dal denaro pubblico, a differenza di altri grandi gruppi internazionali del settore militare che sono società a capitale privato o contano sull’apporto pubblico in senso meno strategico che da noi.

Il primo passo si sta compiendo anche in Italia. Finalmente alcuni giovani storici studiano le armi non da un punto di vista tecnico ma in una visione che è anche economica e politica, e anche coloro che studiano l’efficacia delle armi in combattimento lo fanno in maniera nuova, intanto perché a livello internazionale c’è un nuova impostazione di studio, un’impostazione storico-militare alla dimensione del combattimento, che si giova anche di esperienze tecniche. L’esperienza di guerra non è più vista solamente dal punto di vista culturale ma anche sulla base di specifiche conoscenze tecniche: la singola arma, quale gittata ha, dopo quanti colpi si inceppa ecc., cose che fanno la concretezza del combattimento, di cui è difficile fare storia… Questi giovani storici, utilizzando varia documentazione (regolamenti, ma anche valutazioni, lezioni apprese ecc.) possono parlare di qualcosa di cui è difficile parlare, il combattimento, in maniera innovativa e non tradizionale, come insegna dal 1975 John Keegan, nel suo volume Il volto della battaglia.((Il Saggiatore, 1976 (2005²). Il volume dello storico britannico, per 37 anni docente di Storia militare presso la Royal Military Academy Sandhurst, ha introdotto una nuova visione della dinamica concreta, “operativa”, della battaglia attraverso l’analisi di tre battaglie che ebbero come protagonisti soldati britannici: Agincourt, Waterloo e la Somme.))

Dalla lì è nata la cosiddetta new military history, che si occupa della storia del combattimento non in una prospettiva tradizionale, dall’alto, dal punto di vista dei generali, ma dal “basso”, di come gli uomini e i reparti hanno vissuto questa terribile esperienza del combattimento, in cui morivano, vedevano morire e facevano morire.

D. Nel convegno vi sono state alcune comunicazioni più centrate sulla storia delle imprese, seguendo un po’ l’esperienza della “storia di impresa” ma evidentemente centrata nel campo militare. Questo si deve alla disponibilità degli archivi aziendali?

R. La storia si può fare solo con la disponibilità degli archivi, non si può fare a parole… Per noi la conservazione, la valorizzazione degli archivi sono fondamentali. In alcuni casi di aziende produttrici di armi sono stati conservati, di imprese grandi o piccole non importa. Ovviamente nel convegno non interessava fare la rassegna di tutti gli archivi aziendali disponibili ma solo indicare delle tipologie: grandi imprese come l’Ansaldo, piccole come la Glisenti, a livello nazionale la prima, a livello locale la seconda, che avessero qualche storia da rivelarci. Anche il livello cronologico era diversificato, perché si partiva dall’età moderna per arrivare all’età contemporanea, sino ad oggi. Nel caso della comunicazione sulla cooperazione aeronautica, per es., proprio uno di questi ricercatori più giovani si è avvalso dell’apertura degli archivi internazionali che, a differenza del caso italiano, spesso sono aperti anche fino agli anni sessanta-settanta. E’ riuscito così a studiare la cooperazione tra industrie francesi, inglesi, italiane per il “Tornado”, su archivi sia francesi che inglesi e in parte anche tedeschi. Gli studiosi italiani di questo periodo sono ancora pochissimi perché appunto in Italia gli archivi sono ancora chiusi. Questo spiega perché in altri paesi si può anche studiare il periodo della guerra fredda, mentre in Italia è più facile studiare il fascismo e l’Italia democristiana. Naturalmente, va benissimo che si continui a studiare il fascismo, dobbiamo sempre fare molte riflessioni critiche e autocritiche sul passato nazionale, ma è incredibile che non possa essere studiato il periodo della guerra fredda come merita, e come altrove si fa.

D. Quale può essere il ruolo delle istituzioni militari in questo campo di studi?

R. Nell’ultima giornata conclusiva ha anche preso la parola il col. Paesano, che dirige il neo-istituito Ufficio storico dello Stato Maggiore Difesa. Prima del 2007 esistevano uffici storici solo a livello di forza armata cioè di Esercito, Marina, Aviazione, Carabinieri, Guardia di Finanza ecc. , e ora ci auguriamo che questo ufficio possa ereditare e conservare le carte e gli archivi a livello Difesa, che in Italia sinora non si sa dove siano. Solo in piccolissima parte sono depositate all’Ufficio storico dello S.M. dell’Esercito, le altre si suppone – come tutte le altre carte di cui abbiamo parlato, private, pubbliche, aziendali, ministeriali ecc. – che siano ancora (come si dice in inglese) “ritenute” negli archivi. Quindi da quando esiste il  livello interforze Difesa, non sappiamo dove e se le carte siano state versate e conservate, possiamo supporre che siano state conservate, perché servono per la gestione amministrativa, servono per l’istituzione, e ora speriamo che vengano consegnato a questo Ufficio storico Difesa.

D: Quali sono state le tappe recenti dello sviluppo degli studi storico-militari?

R. Dal secondo dopoguerra in poi c’è stato un grosso sviluppo degli studi storico-militare riferiti a qualunque età, e si trovano ormai tradotti anche in Italia – e talvolta anche a firma di studiosi italiani – ottime storie generali sulla guerra nell’antichità, nel medioevo, nell’età moderna e infine nell’età contemporanea. Per quanto riguarda quest’ultimo periodo storico, la scelta è molto vasta. Per parlare di opere molto generali, considero ancora ottimo un libretto di Michael Howard, La guerra e le armi nella storia d’Europa, tradotto da noi nel 1978 per Laterza, che introduce brevemente a tutti i temi degli studi storico-militari. Un’ottima sintesi si trova anche in un volume di John Gooch, Soldati e borghesi nell’Europa moderna, sempre per Laterza (1982), e un’altra sintesi si trova nel volume curato da Peter Paret, Guerra e strategia nell’età contemporanea di cui ho curato l’edizione italiana per Marietti nel 1992 e che è stata ristampata nel 2006. A questi nomi vanno poi aggiunti i nomi di studiosi italiani importanti, come Piero Del Negro per l’età moderna, Giorgio Rochat per l’Italia contemporanea ecc. Di Rochat è molto importante l’ultimo volume, Le guerre italiane 1935-1943. Dall’impero d’Etiopia alla disfatta, uscito per Einaudi nel 2006, che è una sintesi di tutto quello che Rochat ha scritto negli ultimi quarant’anni; come anche l’altro volume scritto da Rochat con Mario Isnenghi, La grande guerra 1914-1918,sintesi degli studi di ambedue sulla prima guerra mondiale.Poi per le guerre dopo il 1945, sarei incerto tra un volumetto di Geremy Blake, La guerra nel mondo contemporaneo,  edito da il Mulino nel 2006, e un mio libro uscito da Giunti nel 2008, Guerre contemporanee. Dal 1945 ad oggi, che è introduttivo e divulgativo ma che contiene anche informazioni e sintesi aggiornate.

D. E dove si trovano i centri di eccellenza in questo settore degli studi storici?

R. I centri universitari dove si fanno studi storico-militari hanno livelli qualitativi molto differenziati, a seconda dell’area geografica, da soggetto a soggetto, da periodo a periodo, da guerra a guerra, ma comunque a mio avviso la maggiore accumulazione internazionale di conoscenza rimane in Gran Bretagna, anche se non sorprende che negli Stati Uniti – soprattutto grazie alla straordinaria quantità di finanziamenti del bilancio della difesa degli ultimi dieci-quindici anni – ci sia stata un’incredibile crescita. Dunque in testa Londra, e in subordine Parigi. Sullo stato degli studi italiani si possono leggere varie presentazioni. Come Centro interuniversitario abbiamo fatto bibliografie di studi, e ho pubblicato una sintesi dal titolo L’istituzione militare in Italia. Politica e società, presso Unicopli (2002), in cui c’è una rassegna degli studi italiani pubblicati negli ultimi vent’anni.