Terra bruciata terra dell’Eden

Introduzione

Nuove richieste per una nuova società

Torino, dicembre 2005

TAV = più posti di lavoro? Sì, per gli oncologi

Non ci ruberete il futuro

La valle di Susa non è un corridoio e non deve diventare un deserto

Scanzano Jonico, novembre 2003

La nostra terra è vita, se la toccate per noi è finita

Giù le mani dal giardino d’Italia

Voghera (Pavia), novembre 2000 e maggio 2002

Sindaco medico: più pazienti con le centrali

Sono qui per difendere il futuro dei miei figli

Non vogliamo vivere in una terra bruciata

Siamo stufi di pagare le scelte di chi non vive qui

Quelli riportati sono alcuni degli slogan comparsi sugli striscioni dei partecipanti a manifestazioni pubbliche di protesta contro i progetti di realizzazione, rispettivamente, del percorso ferroviario per l’alta velocità in Valle di Susa, di un deposito per scorie radioattive in Basilicata e di una concentrazione di centrali elettriche e di uno smaltitore per rifiuti liquidi speciali in un ristretto territorio della provincia di Pavia.

Tutti pongono immediatamente l’attenzione su alcuni temi che negli ultimi anni sono diventati oggetto di approfondimento sociologico e che con sempre più forza sottolineano la necessità di una riflessione che sia anche politica: si tratta dei temi della salvaguardia dell’ambiente e della salute e della sostenibilità delle scelte rispetto alle generazioni future, invocate da cittadini che lamentano la distanza dalle sedi decisionali e rivendicano il diritto a partecipare al processo di decision making.

Sono i nuovi temi al centro del dibattito in quella che, nel saggio Democrazia ecologica, Daniele Ungaro definisce «società ecologica»: una società costituita «da coloro che detengono una posta in gioco relativamente alle decisioni che vengono prese [stakeholdersndr], ma non influiscono su tali decisioni»((Cfr. Daniele Ungaro, Democrazia ecologica, Roma, Laterza 2004, p. 33.)). Nella «nuova divisione sociale dell’età contemporanea»(( Cfr D. Ungaro, op. cit., p.60.)), gli stakeholders si contrappongono agli shareholders, coloro che prendono decisioni rilevanti e che detengono il potere economico e politico, come le istituzioni, le banche, le imprese.

Non è questa la sede per ripercorrere le tappe che hanno portato a delineare questo tipo di società(( Per una trattazione approfondita dell’argomento si vedano: D. Ungaro, op. cit., capitoli 1-3 e Bruna De Marchi, Luigi Pellizzoni e Daniele Ungaro, Il rischio ambientale, Bologna, Il Mulino 2001, capitoli 1 e 4.)): è tuttavia importante sottolineare qui almeno due aspetti. Il primo è che la società ecologica affonda le sue radici in quella che il sociologo tedesco Ulrich Beck nel 1986 aveva definito la «società del rischio»((Cfr Ulrich Beck, La società del rischio. Verso una nuova modernità, Roma, Carocci 2000.)). Quest’ultima, a sua volta, segna il passaggio da una prima modernità caratterizzata da enorme fiducia nell’industrializzazione pesante, nelle capacità della scienza e nelle potenzialità di sviluppo a una seconda modernità in cui, grazie a una serie di eventi – a partire dal drammatico impiego della bomba atomica sulla città di Hiroshima – la percezione collettiva della scienza e della tecnologia è radicalmente cambiata e in cui si sono fatte strada le nuove richieste dei movimenti ambientalisti. Il secondo aspetto riguarda proprio la scienza e la sua percezione da parte del grande pubblico. Da un lato, scienza e tecnologia hanno dimostrato davvero la loro potenza, ma l’hanno fatto in modo ambiguo, perdendo la propria innocenza. Dall’altro, l’incidente della centrale nucleare di Chernobyl, nell’aprile del 1986, ha mostrato al mondo scienziati ed esperti impreparati di fronte a una catastrofe nucleare e incapaci di accordarsi su dati e fatti. Oltre a questo, negli ultimi anni è emersa sempre più chiaramente una peculiarità della scienza contemporanea, vale a dire l’allungamento della distanza tra una causa e un effetto: «Non si può più sapere quali siano le conseguenze di determinate innovazioni tecnologiche sulla salute dell’uomo, sul clima del pianeta, sull’inquinamento complessivo dell’ambiente, se non dopo anni di sperimentazioni, controlli e raccolte di dati»((Cfr D. Ungaro, op. cit., p. 29.)).

In questo contesto, la gestione – anche dal punto di vista della comunicazione – delle situazioni di rischio (o di quelle che vengono percepite come tali), come per esempio il “rischio organismi geneticamente modificati”, il “rischio rifiuti” o il “rischio inquinamento”, si configura come una delle grandi sfide sociali, culturali e politiche del nostro tempo((Cfr. Ben Duncan, Public Risk Perception and Successful Risk-Communication, Institute for Prospective Techological Studies Report, Joint Research Centre – European Commission, marzo 2004, pp. 26-30.)). Casi come quelli di Scanzano Jonico o della Valle di Susa hanno dimostrato chiaramente la volontà di partecipazione popolare a decisioni che riguardano problemi di natura tecnica e scientifica. Hanno dimostrato che oggi non è più possibile imporre dall’alto soluzioni prese nel chiuso delle stanze degli esperti: sul tema della gestione politica dei problemi ecologici e scientifici si pone invece, più forte che mai, la necessità di un dialogo, di una comunicazione incessante tra istituzioni e cittadini, tra esperti e non esperti, tra shareholders e stakeholders((Cfr. Gail Charnley, Democratic Science: Enhancing the Role of Science in Stakeholder-Based Risk Management Decision-Making,  Report for the American Industriale Health Council and American Chemistry Council, luglio 2000 (http://www.riskworld.com/Nreports/2000/Charnley/NR00GC00.htm#Foreword).)),((Cfr. Ragnar Löfstedt, Risk Communication and Management in the Twenty-First Century, International Public Management Journal, 2004, vol. 7, pp.335-346.)).

Scopo della tesi e piano del lavoro

Dato questo panorama, scopo di questo lavoro di tesi è stato quindi quello di indagare le modalità della discussione nata attorno alla proposta di realizzazione, in un piccolo territorio della provincia di Pavia facente capo ai comuni di Voghera e di Casei Gerola, di due centrali elettriche e di uno smaltitore per rifiuti liquidi speciali pericolosi e non. Di ricostruire, cioè, la mappa della comunicazione svoltasi tra i vari gruppi di interesse coinvolti per confrontarla con quella già descritta in casi analoghi, per esempio quello della centrale a turbogas di Ferrara((Cfr Ilaria Fazi, Comunicazione in caso di rischio ambientale. Il caso della centrale a turbogas di Ferrara, tesi del master in comunicazione della scienza della Sissa di Trieste, Trieste 2005.)) o dell’impianto di rigassificazione del metano a Monfalcone((Cfr. D. Ungaro, op. cit., cap. 5.)) e per cercare di inquadrarla in una più ampia cornice teorica.

Così, il primo capitolo presenta una ricostruzione cronologica delle vicende trattate, mentre nel secondo sono illustrate le ragioni proprie dei vari gruppi di interesse coinvolti e le strategie comunicative utilizzate per esporle. Il terzo capitolo riassume i casi di Monfalcone e di Ferrara, entrando nel merito delle analisi compiute da Ungaro e Fazi e utilizzandole anche per commentare e confrontare quelle di Casei Gerola e Voghera. La tesi si conclude infine con una discussione di carattere generale.

La ricostruzione del case study è stata condotta sulla base di materiali di diversa natura: dagli articoli pubblicati da due giornali locali (La Provincia Pavese, quotidiano e il Giornale di Voghera, settimanale), a volantini e brochure d’informazione, dai documenti ufficiali ai testi di interviste realizzate ad alcuni degli attori coinvolti: Aurelio Torriani (sindaco di Voghera), Ezio Stella (sindaco di Casei Gerola), Graziella Zelaschi (presidentessa dell’associazione vogherese Orizzonti Oltrepò), Annamaria Zuffi (rappresentante del circolo Legambiente di Voghera), Antonello Brunetti (rappresentante del Comitato intercomunale di opposizione allo smaltitore e alle centrali), Stefano Romano (redattore della Provincia Pavese), Pietro Para (redattore del Giornale di Voghera) e Andrea Pestoni (ufficio stampa Comune di Voghera e Asm Voghera).

Tutte le interviste sono state condotte di persona in luoghi indicati dagli intervistati: ufficio per Torriani, Romano, Para e Zelaschi; sede del circolo Legambiente di Voghera per Zuffi; abitazione per Brunetti e Stella. Solo Stella, Brunetti e Romano si sono presentati all’incontro con materiale relativo ai temi in discussione, in parte per darmene visione e in parte come appoggio per ricordare i fatti. L’intervista proposta era di tipo semistrutturato e verteva attorno a cinque domande fondamentali: 1) Come si sono svolti i fatti in questione? 2) Quali sono state le strategie comunicative scelte per comunicare agli altri attori in campo la propria posizione? 3) Come si pensa sia stata recepita la comunicazione attuata? 4) Che ruolo hanno giocato dati scientifici e opinioni di esperti nelle scelte comunicative attuate e in generale nel dibattito? 5) Quali si pensa siano state le linee principali attorno a cui si è svolta la comunicazione sulla questione trattata?

I

I Fatti

1.1 Un caso di studio a livello locale

Nell’aprile 1999, la ditta Cerestar Bioproduct Italia, specializzata nella produzione di amidi e derivati e di dolcificanti, lamentando gravi perdite nel settore dell’acido citrico avvia la procedura di messa in mobilità dei 201 dipendenti dello stabilimento di Casei Gerola, in provincia di Pavia, dedicato appunto alla produzione di acido citrico ed eritritolo. E poiché la Cerestar è una delle principali ditte componenti quello che potremmo definire come il polo industriale di Casei Gerola – piccolo comune di 2.535 abitanti – si apre un periodo di incertezze e tensioni sul destino degli occupati.

Un anno dopo, il 22 marzo 2000, due gruppi industriali presentano al Ministero dell’industria (oggi Ministero delle attività produttive) due progetti per l’acquisizione e il rilancio del sito ormai ex-Cerestar e di tutto il territorio circostante: si tratta della Solchem, società del gruppo SIR industriale Spa con sede in provincia di Lodi e di Edison Termoelettrica Spa. In particolare, la prima acquista l’intero stabilimento chimico con il duplice intento di avviare la produzione di prodotti di chimica fine e di intermedi farmaceutici e di utilizzare il depuratore biologico presente per il trattamento dei reflui interni anche per quello di reflui provenienti dall’esterno e appartenenti alla categoria di «speciali e pericolosi». L’Edison invece acquista un’opzione sui terreni adiacenti con il progetto di realizzarvi una centrale termoelettrica a cogenerazione a ciclo combinato alimentata a metano da 760 MW.

Quella di Casei Gerola, però, non è una situazione isolata. All’incirca nello stesso periodo, infatti, vengono presentati altri due progetti di centrali: uno da parte di Enipower per la realizzazione all’interno della Raffineria Agip-Petroli di Sannazzaro De’ Burgondi di una centrale elettrica a ciclo combinato con gas naturale e syngas da 1.200 MW e uno da parte di Foster Wheeler e ASM-Voghera per la realizzazione a Voghera (zona Torremenapace) di una centrale a cogenerazione a ciclo combinato alimentata a metano da 400 MW. Sannazzaro De’ Burgondi dista da Casei Gerola circa 12 km e Voghera meno di sette: questi ultimi due Comuni, inoltre, distano meno di sette chilometri dal confine con la Regione Piemonte (figura 1), in particolare rispetto ai territori comunali di Castelnuovo Scrivia e di Pontecurone, entrambi in provincia di Alessandria.

Poiché l’interesse di questa tesi è rivolto soprattutto alle discussioni nate intorno allo smaltitore di Casei Gerola e alla centrale di Voghera, nei paragrafi successivi saranno descritte a grandi linee queste due vicende in particolare.

Fig. 1: Mappa stradale del territorio della Provincia di Pavia teatro delle vicende descritte in questa tesi: in particolare, i Comuni di Casei Gerola e Voghera sono indicati con un cerchio rosa e quello di Sannazzaro De’ Burgondi con un cerchio giallo. È anche indicato il Comune di Castelnuovo Scrivia (cerchio azzurro), situato in provincia di Alessandria.

1.2 La vicenda dello smaltitore di Casei Gerola

Il 31 luglio 2000 la Solchem inoltra al Comune di Casei Gerola la richiesta di autorizzazione ad avviare negli impianti sede dell’ex-Cerestar varie attività di chimica fine e farmaceutica e quella di uno smaltitore di rifiuti speciali liquidi pericolosi e non, anche per conto terzi. Secondo il progetto, lo smaltitore dovrebbe quotidianamente ricevere da terzi 400 metri cubi di rifiuti liquidi di cui il 90% definiti pericolosi. Dopo lo stoccaggio, le analisi e i processi di depurazione, il materiale liquido verrebbe scaricato nel rio Calvenzolo e di qui nel torrente Scrivia e infine nel fiume Po.

Per quanto riguarda la prima parte della richiesta, il Comune (guidato allora da un’amministrazione di centrosinistra retto dal sindaco Ezio Stella), sentita l’Asl, concede il nulla osta all’esercizio nel giro di pochi mesi.

Più complessa, invece, la questione relativa all’attività di depurazione per conto terzi, la cui autorizzazione spettava nel 2000 alle regioni, acquisiti i pareri degli enti locali, cioè comune e provincia interessati (oggi la procedura autorizzativa è invece di pertinenza delle province). Regione Lombardia e Provincia di Pavia (guidate allora come oggi da giunte di centrodestra) si dichiarano subito favorevoli a un utilizzo dell’impianto di smaltimento anche per reflui provenienti dall’esterno e la stessa posizione è tenuta, almeno all’inizio, anche dal Comune di Casei Gerola, interessato soprattutto al destino dei lavoratori ex-Cerestar che, secondo il progetto presentato dalla Solchem, dovrebbero essere tutti riassorbiti nella nuova struttura: in una Conferenza dei servizi tra le istituzioni tenuta alla fine del 2000 viene quindi approvata l’autorizzazione allo smaltimento anche per conto terzi.

Questo è però il periodo in cui sta cominciando a organizzarsi un Comitato intercomunale di protesta che raccoglie le voci di opposizione nei confronti del progetto della centrale Edison di Casei Gerola da parte sia di cittadini casellesi sia di cittadini dei comuni circostanti, in particolare di quelli del territorio alessandrino posti lungo il confine Lombardia-Piemonte. In realtà, diversi comitati di cittadini della provincia di Alessandria sono da tempo molto attivi nella protesta ambientalista: tra questi il Gruppo Ambiente di Castelnuovo Scrivia, di cui è esponente di spicco Antonello Brunetti, insegnante di lettere alla scuola media locale. È proprio Brunetti, insieme a Giovanni Aldegheri, tecnico informatico in pensione di Casei Gerola e a Giuseppe Stella, agricoltore di Molino Dei Torti, a dare vita al Comitato intercomunale che si oppone alla centrale Edison. Da questa protesta a quella contro lo smaltimento di rifiuti per conto terzi il passo è breve: anzi, ben presto – con la minaccia dello smaltitore che diventa sempre più incombente, mentre quella della centrale appare più lontana – diventa quest’ultima quella dominante((Nel maggio 2003, tutti i comitati della zona danno origine a un sito internet che avrà soprattutto funzione di coordinamento (http://www.comtiatiscrivia.it, dal nome del torrente Scrivia che attraversa i territori interessati).)).

L’attività del comitato comprende riunioni periodiche di discussione e coordinamento tra membri e sostenitori e l’organizzazione di assemblee pubbliche di discussione cittadina. In particolare, il Comitato organizza il 31 gennaio 2001 a Casei Gerola un’assemblea a cui sono invitati a partecipare, oltre alla cittadinanza, i rappresentanti dell’amministrazione di Casei Gerola, i dirigenti Solchem ed Edison e le rappresentanze sindacali dei lavoratori del settore chimico in provincia di Pavia.

A questo punto bisogna però ricordare che all’epoca della costituzione del Comitato, l’amministrazione comunale era ormai prossima alla scadenza del mandato, essendo le nuove elezioni previste per maggio 2001. Va quindi sottolineato che, almeno all’inizio, il Comitato aveva una forte componente politica contraria all’amministrazione: uno dei suoi esponenti di spicco era infatti candidato sindaco per la lista contrapposta. Almeno nelle prime fasi, quindi, i rapporti tra Comune e Comitato sono all’insegna di una notevole tensione((L’esito delle elezioni è favorevole alla lista corrispondente alla giunta uscente: il nuovo sindaco è Ernesto Cucinotta, mentre Ezio Stella riveste la carica di vice-sindaco. In seguito al decesso di Cucinotta nel novembre 2003, Stella ricoprirà poi anche la carica di sindaco pro tempore fino alle elezioni successive. Dopo le elezioni del 2001 viene meno la componente più politicizzata del comitato, la cui gestione passa praticamente in mano ai membri dei comitati provenienti dalla provincia di Alessandria. Con questi cambiamenti, il rapporto tra comitato intercomunale e Comune di Casei si fanno più distesi e positivamente interlocutori.)).

Il primo dato da segnalare riguardo all’assemblea del gennaio 2001 è la vastissima partecipazione popolare: in sala erano infatti presenti più di 500 persone, un numero molto alto per un comune di 2.500 abitanti.

L’assemblea si svolge secondo il classico modello della successione di interventi dei vari attori in gioco: amministrazione comunale, sindacalisti, dirigenti Solchem, rappresentati del Comitato. In particolare, il Comune si limita a spiegare le ragioni del suo appoggio al progetto, relative quasi esclusivamente alla crisi occupazionale e quindi in accordo con quelle dei sindacati, mentre il Comitato espone le proprie preoccupazioni ambientali: in breve, non si vuole «l’arrivo da ogni dove di chissà quali strane sostanze»((Dall’intervista ad Antonello Brunetti, insegnante di lettere alle scuole medie di Castelnuovo Scrivia e tra i membri più attivi del Comitato intercomunale di opposizione, Castelnuovo Scrivia, 29 dicembre 2005.)), in un territorio peraltro già sacrificato per la presenza di numerosi impianti di varia natura. «Era comunque abbastanza evidente – ricorda Stella – che, escluse le frange più politicizzate, sempre pronte a cercare lo scontro, l’opposizione del Comitato era rivolta in particolare contro i sindacati». L’elemento più significativo della serata, però, è la netta opposizione della popolazione partecipante al progetto di depurazione di reflui esterni, opposizione che appare una chiara manifestazione della sindrome nimby (acronimo dell’espressione inglese Not In My BackYard, utilizzata per indicare il rifiuto da parte di una popolazione di impianti considerati rischiosi localizzati nel proprio territorio). Chi protesta non mostra alcuna intenzione di avviare un processo di negoziazione: semplicemente, non vuole che sul proprio territorio transitino camion ripieni di rifiuti pericolosi e che le acque dei propri torrenti possano venirne inquinate.

Così, proprio mentre è in arrivo l’approvazione del progetto Solchem da parte dell’Ufficio di valutazione di impatto ambientale della Regione Lombardia (che verrrà infatti emessa il 26 febbraio), il Comune si trova di fronte la protesta compatta della sua cittadinanza. Per questo emette, a fine febbraio, una delibera in cui si dichiara favorevole a un uso solo interno della depurazione e alla quale si associano altri tre comuni lombardi, tra cui Corana e Silvano Pietra e dieci dell’alessandrino.

Le attività del comitato, intanto, continuano, allo scopo di difendere la posizione del “no” di fronte a quella di Provincia e Regione, che continuano a essere favorevoli al progetto originario. Tra queste, c’è la richiesta a un esperto ritenuto indipendente e considerato degno di fiducia, di produrre una relazione sullo stato del depuratore ex-Cerestar: si tratta del chimico Carlo Scotti, ex direttore di uno stabilimento chimico di Voghera e a conoscenza, per ragioni private, delle caratteristiche dell’impianto. La relazione tecnica di Scotti denuncia l’impossibilità di utilizzare l’ex-depuratore Cerestar, così com’è, per i fini previsti nel progetto Solchem: per farlo, occorrerebbero modifiche che invece non sono state previste.

Nonostante il parere negativo del Comune interessato, comunque, il 19 febbraio 2002la Provincia di Pavia approva per intero il progetto Solchem e lo stesso farà il 20 settembre 2002 – dopo mesi di silenzio – la Regione Lombardia. A questo punto, perché le attività vengano avviate manca soltanto la stipula di un protocollo d’intesa su modalità e procedure di controllo tra Provincia, Comune, Arpa (Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente) e ditta.

Nel frattempo, però, non mancano nuovi colpi di scena: il 24 settembre 2002, infatti, la Solchem presenta al Tribunale di Voghera una denuncia contro ilComitato di opposizione (che in merito alla questione aveva intanto presentato un esposto alla Procura della Repubblica, indicando i rischi rappresentati dall’impianto previsto, la sua mancanza di idoneità e il parere negativo espresso in proposito dal Comune interessato) e in particolare contro quattro dei membri (Antonello Brunetti, Giovanni Aldegheri Silvio Marchetti e Giuseppe Stella) che lo hanno indirizzato e gestito pubblicamente, accusati di azione denigratoria e di boicottaggio industriale. La società chiede quindi i danni per ritardato avvio di attività produttiva e conseguente mancato guadagno e l’accertamento dei reati di diffamazione e calunnia. Nella citazione, la Solchem sostiene che i componenti del Comitato ne hanno reiteratamente leso la reputazione commerciale attraversoil «ricorso ad esposti, denunce, stampa e volantinaggio»((Atto di citazione 1300/02 del 24 settembre 2002 promosso da Solchem italiana Spa (poi Solmag) contro il Comitato di opposizione allo smaltimento rifiuti speciali e pericolosi.)) e contesta inoltre l’esistenza di «un’intima connessione tra il Comitato e un particolare ceto imprenditoriale e politico: connessione che spiegherebbe la ragione della perseveranza di un’opposizione che non può trovare ragionevolmente supporto nella ricerca della tutela della salute e del territorio»((Cfr. nota n. 4.)).

Poche settimane dopo, un comunicato a firma della Provincia di Alessandria, delle sezioni alessandrine delle tre associazioni agricole (Coldiretti, Unione Agricoltori, Confederazione italiana agricoltura) e dei sindaci di sei comuni piemontesi ne ribadisce la ferma protesta per la mancata attenzione della giunta regionale lombarda all’unanime parere negativo espresso da vari comuni, tra cui quello direttamente interessato, al progetto di smaltimento per conto terzi. Il comunicato rinnova inoltre piena solidarietà «a coloro che sono stati trascinati in vicende giudiziarie che stravolgono un principio di fondo democratico sancito dall’art. 21 a tutela del diritto di critica e libertà di parola, deprecando l’atteggiamento intimidatorio insito nella richiesta di milioni di euro nei confronti di comitati e di cittadini che esprimono il loro dissenso in modo legale, documentato e pacifico».

Il 20 novembre 2002, poi, la Regione Piemonte presenta al Tar di Torino un ricorso in cui chiede la sospensiva nei confronti dell’avvio dell’impianto di smaltimento rifiuti liquidi per conto terzi, in virtù dell’art. 11 del Dpr 12-4-1996 secondo cui «le regioni assicurano la definizione delle modalità di partecipazione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di regioni confinanti nel caso di progetti che possano avere impatti rilevanti anche sul loro territorio»(( Articolo 11, Decreto del Presidente della Repubblica 12-4-1996.)): una procedura che in questo caso non è stata seguita. Poiché il Tar di Torino si dichiara non competente in materia, il ricorso viene ripresentato in data 30 dicembre 2002 al TAR della Regione Lombardia.

Intanto, una delibera di questa Regione stabilisce di delegare alle province le competenze per gli impianti di smaltimento rifiuti speciali pericolosi: di conseguenza, eventuali revisioni dell’impianto Solchem dovranno essere di competenza della Provincia di Pavia. E le revisioni potrebbero davvero essere necessarie: nei primi mesi del 2003, infatti, la Solchem ha chiesto alla ditta che aveva realizzato il vecchio impianto di depurazione della Cerestar di valutarne l’effettiva adeguatezza alle nuove lavorazioni previste, nonostante nel progetto già approvato avesse dichiarato che la natura dei rifiuti speciali per i quali richiedeva l’autorizzazione allo smaltimento era tale da non richiedere alcuna modifica dell’impianto. Invece, l’elaborato tecnico della ditta prevede (come del resto aveva già fatto la relazione di Scotti) proprio sostanziali varianti impiantistiche. «Ma allora – denuncia il Comitato – cosa diavolo ha approvato la Regione Lombardia? Con tutte queste varianti occorre come minimo un nuovo iter autorizzativo che, tra l’altro, deve coinvolgere anche la Regione Piemonte»((Cfr. Il punto della situazione Solchem, Comitati Scrivia, 15-02-2003 (www.comitatiscrivia.it).)).

Proseguono intanto le riunioni tra Provincia di Pavia, Comune di Casei Gerola, Arpa e Solchem (che nel frattempo ha assorbito la Mag di Garbagnate, diventando Solmag) al fine di definire un protocollo d’intesa sulle modalità di controllo dell’impianto: l’accordo giunge nel maggio 2004, ma senza la firma del Comune di Casei Gerola. E poiché il Comune stesso non ritiene valida una votazione a maggioranza, visto che la delibera regionale che delegava alle province il potere decisionale in merito agli smaltitori prevedeva un accordo tra tutte e quattro le componenti, presenta al Tar Lombardia un ricorso – tuttora pendente – per sospensione e annullamento dell’esecuzione della determinazione della Provincia di Pavia. Proprio mentre lo stesso tribunale, con sentenza del 21 luglio 2004, respinge il ricorso della Regione Piemonte, con la motivazione che «essendo l’impianto ancora in fase di realizzazione, al momento attuale non sussiste alcun danno grave e irreparabile».

Nonostante tutto, però, l’attività di smaltimento di reflui provenienti dall’esterno non è mai cominciata e sembra ormai sempre più improbabile, dati gli elevati costi di un adeguamento degli impianti. Anzi, nei primi mesi del 2005 la Solmag ha addirittura sospeso la produzione chimico-farmaceutica, dichiarando ai sindacati di non poter assicurare l’attività futura per gli attuali dipendenti.

1.3 La «questione centrali» tra Casei Gerola e Voghera

Nel marzo del 1999 l’Italia, con il decreto numero 79 (detto «decreto Bersani» dal nome dell’allora Ministro dell’Industria Pier Luigi Bersani), recepisce la direttiva europea sulla liberalizzazione del mercato energetico. Il decreto sancisce la fine del monopolio Enel nella produzione, trasmissione e vendita di energia elettrica e l’apertura del mercato anche ad altre imprese che possono operare in competizione tra loro, sotto il controllo della nuova Autorità dell’energia e del gas, garante della promozione della concorrenza. Ha allora inizio quella che si potrebbe definire una vera e propria corsa alle centrali: nel giro di pochi mesi, vengono presentate alla società pubblica che gestisce i flussi dell’alta tensione ben 550 richieste di costruzione di centrali elettriche((cfr. Luca Piana, I nuovi padroni dell’électricité, L’Espresso, 25 gennaio 2002.)). Di queste, ben tre interessano un ristretto lembo della provincia di Pavia, al confine con la provincia piemontese di Alessandria: quella Edison di Casei Gerola, quella Foster Wheeler-ASM di Voghera e quella Enipower di Sannazzaro De’ Burgondi. In questo paragrafo vedremo in particolare come si sia giunti alla bocciatura della centrale di Casei Gerola e alla travagliata realizzazione di quella di Voghera. L’impianto di Sannazzaro De’ Burgondi, oggi l’unico in funzione a pieno regime, ha invece avuto un iter completamente autonomo e peculiare, forse perché previsto all’interno della già esistente raffineria Agip-Petroli, una delle più grandi dell’Europa meridionale, in grado di dare occupazione a tutto il comune che la ospita e a molti abitanti di comuni circostanti. In effetti, né il progetto né l’impianto stesso sono mai stati contestati dagli abitanti del paese e neppure le associazioni e i comitati impegnati nella campagna contro le altre due centrali e lo smaltitore Solchem sono intervenuti in merito, «preso atto che non esiste sul territorio interessato alcuna forma di opposizione o di perplessità»((cfr. Il punto sulle centrali, Comitati Scrivia, 1° giugno 2002 (www.comitatiscrivia.it).)).

Per questi motivi, non intendo discutere le vicende di questa centrale, salvo sottolineare il fatto che comunque la sua presenza ha necessariamente influenzato il dibattito intorno alle altre due, dato che il principale motivo di scontro era proprio relativo all’eccessiva concentrazione di impianti in un unico territorio. Una motivazione ripresa in più livelli di discussione, compresi quelli istituzionali: nel luglio 2002, per esempio, nell’ambito di un dibattito all’interno della sesta Commissione ambiente della Regione Lombardia, passa una mozione della maggioranza regionale che impegna la giunta Formigoni a stabilire e adottare un Piano energetico regionale che tenga conto della salvaguardia del territorio e dell’ambiente nel suo complesso. La mozione, inoltre, sollecita la giunta ad attivarsi presso il governo affinché anche i ministeri delle Attività produttive e dell’Ambiente sospendano le procedure autorizzative di nuove centrali elettriche in corso.

Per quanto riguarda Casei Gerola, la vicenda può in breve essere riassunta in questi termini: in una prima fase e sempre nell’ottica dei benefici occupazionali, amministrazione comunale e minoranza appaiono favorevoli alla realizzazione dell’impianto. Anche l’opinione pubblica appare possibilista, forse perché quando viene depositato il progetto Edison ancora non si parla delle centrali di Voghera e Sannazzaro. In più, inizialmente non è ben chiaro che i progetti Solchem ed Edison sono ben distinti e l’opinione che circola in paese è che la centrale servirà prima di tutto a dare energia alle attività di chimica: uno scopo che sembra renderla più accettabile.

Nel giro di pochi mesi, però, il contesto generale cambia profondamente: viene approvata senza difficoltà la realizzazione della centrale di Sannazzaro; si comincia a capire che anche Voghera avrà la sua centrale e, infine, si scopre che gli impianti Solchem ed Edison non sono affatto collegati. Si delinea così una nuova situazione caratterizzata dalla nascita di un Comitato intercomunale di opposizione alle centrali e allo smaltitore Solchem.

L’amministrazione comunale – che, come abbiamo visto sopra, ha quasi subito raccolto il rifiuto allo smaltitore – nei confronti della centrale continua per un po’ a rimanere possibilista. In generale, infatti, non si dichiara contraria alla centrale in sé, quanto piuttosto all’accumulo di centrali in un unico territorio. Così, è solo con una delibera del gennaio 2004 (quando peraltro la Commissione di valutazione di impatto ambientale del ministero dell’Ambiente aveva già espresso, nel novembre 2003, un giudizio positivo sulla centrale Edison) che l’amministrazione comunale di Casei Gerola chiede alla Regione Lombardia di riesaminare la collocazione della centrale prevista a Casei Gerola, in quanto sono in fase di ultimazione quelle di Voghera e Sannazzaro De’ Burgondi, situate a pochi chilometri dal territorio comunale.

Richiesta accolta: anzi, con una delibera del 13 marzo 2004, la Regione Lombardia boccia definitivamente l’impianto, «stante che la proposta progettuale non risponde ai criteri di priorità e di compatibilità a base di sopravvenuti atti di programmazione regionale in tema energetico».

Ancora diverso, invece, il caso della centrale di Voghera, cittadina dell’Oltrepò di quasi 38.000 abitanti. Quando nell’aprile 2000 la nuova lista di centrodestra vince le elezioni trova ad attenderla due progetti presentati già nel corso dell’amministrazione precedente: uno per una centrale a cippato di legna e uno per una centrale a metano, da insediare nel territorio della frazione Torremenapace, ai confini con i territori dei comuni di Silvano Pietra e di Corana (figura 1). L’amministrazione decide per quest’ultima e, insieme a Provincia e Regione avvia immediatamente le procedure autorizzative. Si delinea subito quello che, per tutta la vicenda, sarà il tema fondamentale contestato dall’opposizione, vale a dire la scarsa trasparenza delle operazioni. Già nel luglio del 2000, infatti, gli abitanti di Torremenapace, coordinati dal circolo Legambiente di Voghera, presentano al sindaco una petizione sottoscritta da un centinaio di firme (in pratica, una per ogni famiglia), in cui chiedono la convocazione di un Consiglio comunale aperto sulla questione energetica, visto che «finora nessuno ha mai spiegato quali possano essere i vantaggi dell’insediamento di una mega centrale, nessuno ha mai risposto alle domande relative all’inquinamento dell’aria, all’enorme consumo di acqua, al rischio elettromagnetico»((Cfr. Centrale, «freno» popolare, La Provincia Pavese (quotidiano locale, gruppo editoriale L’Espresso), 6 luglio 2000.)).

La giunta però non raccoglie e resta invece in attesa: «si aspetta che il ministero si esprima sull’impatto ambientale, si aspetta senza precludere alla città e all’Asm di Voghera che del progetto è parte essenziale, la possibilità che la centrale si faccia sul serio»((cfr Donatella Zorzetto, Centrale, un appello alla Regione, La Provincia Pavese, 9 luglio 2000.)). Un atteggiamento che arriva addirittura a spaccare la minoranza di centrosinistra: al Consiglio Comunale del 3 novembre, infatti, parte della minoranza abbandona l’aula accusando la giunta di non voler trattare con i cittadini il tema energetico. «Questa spaccatura sul tema centrale, con una parte della minoranza disposta ad appoggiare il progetto, rimarrà per tutta la legislatura e porterà addirittura, alle elezioni successive, alla presentazione di due candidati per il centrosinistra», commenta Stefano Romano, redattore della Provincia Pavese. La spaccatura nel centrosinistra, comunque, compenserà in parte quella nel centrodestra: alcuni membri della maggioranza, particolarmente vicini agli agricoltori, infatti, si dichiarano da subito contrari al progetto.

L’iter, intanto, procede e nel giugno 2001 la Commissione per la valutazione di impatto ambientale del Ministero dell’Ambiente approva il progetto della centrale di Voghera, di cui nel frattempo è cambiato anche l’assetto proprietario che ora vede la partecipazione di tre elementi: Foster Wheeler e il gruppo belga Electrabel con il 40 per cento ciascuno più Asm Voghera con il 20 per cento. Sul progetto appena approvato si legge che la nuova centrale per la produzione di energia a ciclo combinato e alimentata a gas naturale avrà una potenza elettrica di 400 MW e una termica di 700 MW e un’efficienza del 55-56%.

Anche il Ministero per le attività produttive nel marzo 2002 autorizza la costruzione e gestione dell’impianto: a questo punto manca solo il voto del Consiglio comunale sulla variante del Piano Regolatore, che converta i terreni previsti per la costruzione da agricoli a industriali, variante che viene finalmente approvata nel Consiglio comunale del 28 maggio 2002, anche grazie ai voti della minoranza. La modalità del voto – posto all’ultimo punto dell’ordine del giorno e avvenuto alle tre del mattino – viene vivacemente contestata dal fronte del no. Per quanto riguarda la sola città di Voghera, questo fronte è composto in particolare dall’associazione cittadina Orizzonte Oltrepò, dal circolo locale di Legambiente, dal Consiglio del quartiere Nord-Ovest e da alcuni cittadini non organizzati. Ad opporsi, in un contesto territoriale più ampio, sono però anche comitati cittadini di altri comuni (in particolare dell’alessandrino), le tre associazioni agricole pavesi, la sezione pavese dell’associazione ambientalista Italia Nostra, i Comuni confinanti di Corana e Silvano Pietra.

Durante la seduta, gli oppositori distribuiscono in aula un «modulo di autocertificazione sanitaria» indirizzato a Voghera Energia e ad Aurelio Torriani. Così recita il volantino:

Il sottoscritto, sotto la propria responsabilità, dichiara di essere in buone condizioni di salute; fatto che sarà comprovato, nei prossimi giorni, dalla trasmissione del relativo certificato medico. Manifesta altresì l’intenzione di intraprendere, in sede penale e civile, le azioni che riterrà opportune se, dal momento dell’insediamento e messa in funzione della centrale a termogenerazione di Torremenapace dovessero manifestarsi patologie di varia natura collegabili alla stessa.

Visto l’esito del Consiglio, il fronte del no annuncia di essere pronto a usare ogni mezzo, dal referendum ai ricorsi, per osteggiare la linea presa dall’amministrazione.

Detto, fatto. Nell’ottobre 2002, infatti, vengono presentati al Tar due ricorsi con richiesta di annullamento della delibera comunale di Voghera che autorizza in pratica l’avvio dei lavori a Torremenapace: uno da parte dell’Associazione Orizzonte Oltrepò, le tre associazioni agricole pavesi, Legambiente, il Consiglio di quartiere Nord-ovest Voghera, alcuni cittadini e Italia Nostra, l’altro da parte dei Comuni di Corana e Silvano Pietra. La sentenza arriva il 22 maggio 2003 e, per la prima volta, gli eventi sembrano prendere una piega favorevole al fronte del no: il tribunale dichiara infatti di accogliere tutti i ricorsi anticentrale, ad eccezione di quello del Consiglio di quartiere e impone la sospensione dei lavori.

Per il Tar, la delibera comunale è nulla per motivi procedurali: innanzitutto perché la variante urbanistica è stata approvata senza l’assenso della Regione Lombardia e poi perché non sono stati consultati i Comuni vicini – Silvano Pietra e Corana – affinché esprimessero una valutazione ambientale.

L’entusiasmo dei ricorrenti, però, è di breve durata. Nel frattempo, infatti, Voghera Energia (la nuova società proprietaria della centrale e formata per l’80 per cento dal gruppo Acea-Electrabel e per il 20 per cento da Asm Voghera) ha presentato a sua volta ricorso al Consiglio di Stato che, con una sentenza del 30 luglio 2003, cancella la sospensiva. Voghera Energia decide di correre il rischio e prosegue con i lavori, in attesa di una decisione definitiva del Consiglio di Stato, che arriverà il 30 gennaio 2004, confermando quella precedente. Una sentenza che sono in molti a definire «politica» perché motivata non da ragioni inerenti al caso, ma dal generale bisogno d’energia del nostro Paese, considerato che la centrale di Voghera è un tassello importante del piano energetico nazionale (ed è forse bene far notare che la decisione definitiva viene proprio i due grandi blackout del 2003).

Il fronte del no comunque non si dà per vinto: «Ora che l’impianto non si può più bloccare, pretendiamo controlli ambientali e massima trasparenza sui risultati»((Dall’intervista ad Annamaria Zuffi, tecnico presso l’Ufficio di ecologia della Provincia di Pavia e membro del circolo vogherese di Legambiente, delegata a riferire sulla questione dal presidente del circolo, Voghera, 28 dicembre 2005.)), sostiene Legambiente. In base alle disposizioni di legge, questo compito spetta a un’apposita Commissione tecnica e così, nel dicembre 2004, il Comune ne insedia una «per la sorveglianza della salute dei cittadini e dell’ambiente a seguito della costruzione della centrale termoelettrica di Torremenapace». Della Commissione, presieduta da Cesare Meloni, ordinario di igiene all’università di Pavia e già consulente Enel, fanno parte i sindaci di Voghera, Silvano Pietra e Corana, un esperto in materia ambientale della Regione e, in qualità di medico, il capogruppo di Forza Italia in Consiglio comunale.

La poderosa macchina della centrale, quindi, sembra ormai definitivamente avviata. A novembre ci sono i primi test di prova, con l’impianto al massimo e il giorno del battesimo è il 18 marzo 2005. Nello stesso mese, intanto, nasce Voghera Vendita, società del gruppo Asm destinata a vendere l’energia prodotta a Voghera, insieme a un’altra società a sua volta composta da Voghera Vendita e da Acea Electrabel.

Fine? Non ancora. Perché l’autorizzazione ministeriale prevedeva il controllo, tramite apposite centraline, delle concentrazioni di ossido di azoto e di ozono sia nelle situazioni ante operam sia successivamente all’entrata in funzione dell’impianto. Secondo Cesare Meloni, però, i dati iniziali mancano: essendo quindi impossibile eseguire un raffronto, Meloni si dimette. Il 4 agosto 2005, poi, la Procura di Voghera mette sotto sequestro la centrale e indaga sei persone ai vertici della società Voghera Energia «per non avere osservato le prescrizioni dell’autorizzazione ministeriale». Secondo l’ipotesi investigativa, infatti, il monitoraggio ambientale preventivo che il Ministero per le attività produttive aveva imposto autorizzando la costruzione dell’impianto non è stato portato a termine. Voghera Energia ricorre, ma il Tribunale del riesame di Pavia, con sentenza del settembre 2004, boccia il ricorso. Nel frattempo, la Procura ha indagato altre 11 persone, tra cui controllori dell’Arpa lombarda e i titolari degli studi che hanno vidimato il collaudo della centrale.

Oggi rimane pendente il ricorso alla Suprema corte da parte di Voghera Energia: intanto, però, la centrale è ancora ferma.

II

Ragioni e comunicazione

Il capitolo riporta un’analisi qualitativa delle principali strategie comunicative messe in atto dai vari attori in campo e componenti, sia nel caso dello smaltitore sia in quelli delle centrali, i fronti del sì e del no, insieme ai commenti dei protagonisti ricavati da interviste dirette agli stessi((Per le modalità delle interviste, cfr. p. 4.)).

2.1 Il caso dello smaltitore di Casei Gerola

2.1.1 Il fronte del sì

Quando la Solchem presenta il suo progetto di riconversione del sito industriale ex-Cerestar, trova subito un compatto ed esteso «fronte del sì» disposto ad accoglierlo, costituito dai sindacati del settore chimico della provincia di Pavia e da tutte le istituzioni (Comune, Provincia e Regione Lombardia). Le ragioni del sì sono di carattere puramente occupazionale: il progetto infatti sembra garantire il rilancio dell’impianto dimesso e il recupero di tutti i lavoratori in mobilità.

Afferma l’allora sindaco Ezio Stella:

Forse perché venivamo da una tradizione politica particolarmente attenta ai bisogni dei lavoratori abbiamo subito accolto con entusiasmo questa prospettiva, i cui vantaggi ci sembravano quasi auto-evidenti, senza interrogarci su altre possibili conseguenze((Dall’intervista a Ezio Stella, insegnante di matematica in un istituto tecnico di Voghera e sindaco all’epoca dei fatti, Casei Gerola, febbraio 2005.)).

Così, l’amministrazione comunale non mette in atto alcuna iniziativa particolare (assemblee, volantini o altro) per comunicare alla cittadinanza le decisioni prese in sede istituzionale a favore dell’insediamento di uno smaltitore anche per rifiuti provenienti dall’esterno. Perché? Ecco cosa ne pensa Stella:

Abbiamo sempre discusso la questione in sede di Consiglio comunale, che ritenevamo la massima manifestazione democratica della vita politica cittadina. Trascurando – ce ne siamo resi conto dopo – il particolare che ai consigli in realtà non partecipa mai nessuno((Cfr. nota 2.)).

E del resto neppure la minoranza aveva mai espresso, in sede istituzionale, un parere contrario o critico allo smaltitore per conto terzi.

Dal canto suo, la Solchem-Solmag mantiene, almeno all’inizio, un profilo molto basso, visto che le sue richieste sono difese con forza da altri. Solo in secondo momento, quando l’opposizione diventa attiva e decisa, la società interviene con un atto potente e di sicuro effetto: la citazione in giudizio del Comitato e dei suoi membri più attivi e visibili.

2.1.2 Il fronte del no

Il fronte di opposizione allo smaltitore Solchem di rifiuti liquidi provenienti dall’esterno nasce prima di tutto come fronte di opposizione al progetto di realizzazione della centrale Edison di Casei Gerola. A esprimere parere contrario (o, quantomeno, critico) alla centrale sono gruppi di cittadini di Casei Gerola e comuni limitrofi preoccupati dal possibile inquinamento atmosferico (anche in considerazione della vocazione agricola del territorio circostante) ed elettromagnetico della centrale: per trasportare l’energia prodotta sarà infatti necessario costruire un nuovo elettrodotto in parte in territorio alessandrino, a fianco di uno già esistente. È, questa, quella che potremmo definire come l’anima più sinceramente ambientalista della protesta

Poco a poco, i critici si associano spontaneamente in comitati locali, che poi convergono in un unico Comitato intercomunale di opposizione. A questo si aggiunge ben presto una componente più politica, animata da esponenti della minoranza o da persone a essi vicine, che cerca di cavalcare la protesta in vista delle elezioni amministrative di Casei Gerola del maggio 2001. Che l’operazione sia chiaramente politica lo dimostra il fatto che, prima della manifestazione del malcontento popolare, la minoranza non aveva mai espresso parere contrario allo smaltitore in sede istituzionale. «Anzi – ricorda Stella – avevano sempre appoggiato le nostre posizioni. Eppure, una volta formato il Comitato, ne sono stati attivi partecipanti fino alle elezioni successive, salvo poi – perse queste – ritirarsi quasi completamente dalla scena»((Cfr. nota 2.)).

L’opposizione si nutre però anche di una terza anima, costituita da chi si unisce alla protesta soprattutto perché ritiene di non essere stato consultato sull’argomento.

Molti – racconta di nuovo Stella – dichiaravano di essere venuti a conoscenza dei dettagli del progetto non da noi, dall’istituzione, ma da conoscenti che lavoravano all’Asl di Voghera e che avevano avuto modo di visionarlo e per questo pensavano di essere stati appositamente tenuti all’oscuro dei passaggi della vicenda((Cfr. nota 2.)).

2.1.3 Il sì diventa no

Preso atto della forte opposizione della popolazione e del fatto che, per poter assolvere anche la funzione di smaltitore conto terzi, l’impianto esistente avrebbe avuto bisogno di consistenti modifiche, contrariamente a quanto scritto nel progetto originario, l’amministrazione Comunale di Casei Gerola decide di ritirare il proprio appoggio al progetto.

Nel 2000, a un anno dalla messa in mobilità dei dipendenti Cerestar, la nostra unica preoccupazione era quella di conservare quei posti di lavoro e il progetto Solchem ci sembrava davvero capitato al momento giusto. Invece abbiamo fatto un errore di valutazione: non abbiamo intuito che il paese stava chiedendo un’altra cosa. Così, all’assemblea del gennaio 2001 siamo stati travolti dall’ondata di protesta e siamo stati costretti a correre dietro a nuove esigenze. La morale della vicenda è che oggi i cittadini sono molto più sensibili di un tempo alle questioni ecologiche e in particolare al rischio ambientale legato alla salute. Sono elementi di cui un’amministrazione oggi dovrebbe tenere conto a priori, facendo il percorso contrario a quello che abbiamo fatto noi e cioè iniziando prima di tutto con il sentire il polso della gente, per esempio attraverso forme di sondaggio o assemblee pubbliche e solo in un secondo momento andando nelle istituzioni. Perché qui sta il nostro secondo errore: quello comunicativo. Ci siamo sempre sentiti al sicuro dall’accusa di aver agito di nascosto, perché tutti i passaggi decisionali erano stati presi in sede di Consiglio comunale, senza pensare però che il Consiglio è sempre praticamente deserto: ormai è una scatola chiusa, è autoreferenziale: in pratica, abbiamo parlato solo a noi stessi e abbiamo dovuto subire il dibattito successivo, mentre avremmo dovuto organizzarlo((Cfr. nota 2.)).

2.1.4 Il fronte del no: un’analisi

Ma quali sono, più in dettaglio, le ragioni dell’opposizione contro lo smaltitore e come vengono comunicate? Ecco il commento di Antonello Brunetti, uno degli esponenti più attivi del Comitato intercomunale di protesta:

All’inizio, la nostra era semplicemente una reazione di difesa nei confronti del nostro territorio, un territorio già interessato da altri insediamenti industriali di grande impatto, ma che tenta di mantenere una vocazione agricola. Era una reazione tipicamente nimby, indipendente da considerazioni più approfondite sul reale potere inquinante dello smaltitore e del traffico di rifiuti circolante sulle nostre strade: non lo volevamo e basta. Solo in un secondo momento sono intervenute ragioni di rifiuto più motivate, legate in particolare alla convinzione che così com’era, l’impianto sarebbe stato davvero inquinante((Dall’intervista ad Antonello Brunetti, insegnante di lettere alle scuole medie di Castelnuovo Scrivia e tra i membri più attivi del Comitato intercomunale di opposizione, Castelnuovo Scrivia, 29 dicembre 2005.)).

Il secondo momento è rappresentato dalla presentazione di una relazione tecnica da parte di un gruppo di esperti coordinato dal chimico Carlo Scotti, interpellato dal Comitato stesso((Cfr. Cap. I, p. 9.)): la relazione sostiene che il depuratore esistente possa essere efficacemente utilizzato solo per lo smaltimento dei rifiuti derivanti dalla produzione di acido citrico (quello che faceva durante l’attività della Cerestar), ma che per depurare altri rifiuti occorra costruire nuovi impianti dedicati. La stessa conclusione a cui, pochi mesi dopo, arriva la ditta che aveva costruito l’impianto della Cerestar e che era stata incaricata dalla Solchem di rivedere il progetto.

Per quanto riguarda le strategie comunicative del Comitato, va subito sottolineato che esse vengono destinate a due pubblici diversi: le istituzioni e l’opinione pubblica generale. «Abbiamo subito cercato di coinvolgere il più possibile il sindaco di Casei Gerola e quelli dei comuni limitrofi, inviando loro comunicazioni ufficiali e copia di tutta la nostra documentazione tecnica», afferma Brunetti.

La comunicazione verso il grande pubblico punta invece da un lato a richiamare il più possibile l’attenzione con iniziative ben evidenti e dall’altro a creare informazione e discussione. Così, per esempio, il 5 febbraio 2001, in occasione dell’arrivo a Casei Gerola della commissione del Ministero dell’ambiente incaricata di redigere la valutazione di impatto ambientale per la centrale Edison, Giuseppe Stella, agricoltore ed esponente tra i più attivi del Comitato intercomunale, organizza nel Comune una manifestazione di agricoltori alla quale invita il Gabibbo, inviato della trasmissione televisiva Striscia la notizia. All’iniziativa partecipano circa 300 agricoltori, che ribadiscono la ferma opposizione ai progetti di realizzazione della centrale di Casei Gerola e dello smaltitore Solchem per conto terzi: la trasmissione va in onda il sabato successivo, 10 febbraio 2001((Comunicazione personale da parte di Giuseppe Stella, Molino dei Torti (Al), dicembre 2005.)).

Due, invece, gli strumenti principali in ambito informativo: la distribuzione di volantini, effettuata in genere nei mercati o all’uscita dalla Messa principale della domenica, e l’organizzazione di assemblee.

Di certo, la più significativa e imponente di tutte queste attività è l’organizzazione, in collaborazione con l’associazione vogherese Orizzonti Oltrepò e con le tre associazioni agricole, di una «Marcia per la salute» (18 maggio 2002) a cui sono invitati i cittadini per «far sentire la propria voce» contro la concentrazione di centrali e a favore di un utilizzo solo interno dello smaltitore di reflui della Solchem((Cfr. Allegati n.1 (Manifesto di convocazione alla «Marcia della salute» del 18 maggio 2002), p. I e n.2 (Intervento conclusivo di Marta Santafede alla «Marcia per la salute»), p. II.)). Alla marcia partecipano più di 2.000 persone: per gli organizzatori è un successo.

La componente alessandrina del Comitato, inoltre, fa nascere, nel 2003, un sito internet (www.comitatiscrivia.it):

Oltre alle assemblee, alle marce, ai volantini, ai manifesti, al Gabibbo, ci occupammo anche (e soprattutto) di documentarci tecnicamente sui temi che dovevamo affrontare. […] Non fu facile reperire il materiale e individuare le persone giuste. Ci rendemmo conto dell’importanza dei siti internet dai quali ricavammo indicazioni, notizie, riflessioni su esperienze precedenti. Così pensammo di realizzarne uno noi, i cui obiettivi dichiarati fossero quelli di mettere a servizio degli altri la nostra esperienza e le conoscenze acquisite; di far conoscere le nostre battaglie per avere adesioni e solidarietà e di ricevere consigli o notizie che ci possono servire((Cfr. Perché questo sito, Comitati Scrivia, (www.comitatiscrivia.it).)).

In particolare, il sito raccoglie documenti ufficiali (per esempio testi delle valutazioni di impatto ambientale o di delibere comunali o regionali) e interventi di cronaca o di commento agli eventi redatti dai componenti dei gruppi d’attività. Non sono invece presenti le relazioni tecniche, che vengono però inviate agli interessati che ne facciano richiesta. Documenti e interventi sono raccolti in sezioni in base a due criteri: uno geografico (materiali riguardanti rispettivamente Voghera, Casei Gerola, Castelnuovo Scrivia, Alessandria, Tortona, Novi Ligure, Arquata Scrivia) e uno tematico (smaltitore, centrali, elettrosmog, rifiuti, trasporti, varie).

2.1.5 Analisi tematica del sito internet www.comitatiscrivia.it

In merito alla questione smaltitore, il sito contiene 29 comunicati, che coprono un periodo compreso tra l’ottobre 2002 e il maggio 2005. Da una loro lettura, emergono alcuni temi ricorrenti, che corrispondono più in generale ai temi della campagna di opposizione((Molti comunicati fanno riferimento non solo alla questione smaltitore, ma anche a quella delle centrali elettriche. Alcuni dei temi riportati in questa sezione, quindi, sono comuni alle due vicende e si ritrovano anche nei comunicati della sezione relativa alle centrali.)).

Il tema del «paradiso perduto» contrapposto alla «terra bruciata»

In una delle assemblee pubbliche organizzate dai comitati, un dirigente del gruppo Edison definisce, senza mezzi termini, il territorio circostante Casei Gerola e Voghera una «terra bruciata», per sottolineare il fatto che sono già presenti impianti industriali ad alto impatto e non è quindi possibile invocarne particolari caratteristiche di pregio ambientale o naturalistico. Una definizione cui tutti i comitati si oppongono con forza, rivendicando l’amore per la propria terra, la cui descrizione assume a tratti accenti quasi mitici. Così, ogni volta che si parla di questo territorio, i comitati si riferiscono alla «fertilissima terra di confine fra Lombardia e Piemonte», alla «fiorente economia agricola locale», alla «plaga fertilissima della pianura padana», a «una delle zone agricole più fertili d’Italia». In un intervento dell’ottobre 2002 si fa addirittura riferimento alla ricchezza del territorio in epoca rinascimentale:

Un tempo, nel Quattrocento, i nostri paesi erano denominati i paesi delle cocagne (di gualdo)((Il gualdo è una pianta erbacea della famiglia delle crucifere dalle cui foglie si estrae un colorante blu che per secoli è stato l’unico presente in Europa. Fino al XVI secolo è stato intensamente coltivato in tutto il Piemonte: la lavorazione prevedeva lo sminuzzamento della massa vegetale delle foglie essiccate fino a ottenere una pasta viscosa che veniva modellata in forma di piccoli globi, detti appunto cocagne.)) ossia della cuccagna e lor signori concordano poiché, con le premesse sopra citate, diventerebbe ancora – almeno per loro – una ‘terra della cuccagna’ con elevatissimi profitti. […] Per chi l’abita, per le centinaia di aziende agricole, per tutti noi, diverrebbe però terra bruciata((Cfr. Intervista ad Antonello Brunetti, Comitati Scrivia, 11 ottobre 2002 (www.comitatiscrivia.it))).

Il tema del ricatto occupazionale

Nel corso della protesta, il fronte d’opposizione viene spesso accusato dai sindacati di insensibilità, demagogia ambientalista e strumentalizzazione. La risposta è duplice. Da un lato ci si difende, rivendicando l’impegno nei confronti degli operai ex-Cerestar ancora in mobilità:

Abbiamo ricordato che la Solchem si era impegnata al totale recupero qualora avesse avuto l’autorizzazione per le attività chimiche e farmaceutiche (cosa che ha da tempo ottenuto senza alcuna opposizione). Abbiamo proposto a Comuni, Province e Regioni e all’Eni di Sannazzaro De’ Burgondi di farsi carico dell’assunzione di questi operai((Cfr. nota 14.)).

Dall’altro, però, si accusa:

È il solito vecchio discorso del ricatto occupazionale: ti inquino il territorio e metto a repentaglio la tua salute, ma nello stesso tempo dò lavoro a qualche disoccupato. […] A questo punto c’è da chiedersi, al di là della giusta preoccupazione per i lavoratori ancora in mobilità, quali interessi tutelino questi specifici signori [i rappresentanti dei sindacati pavesi di categoria, ndr]((Cfr. nota 14.)).

Il tema del furto del futuro

È uno dei temi (ma forse sarebbe più appropriato dire degli slogan) più utilizzati nella campagna. Non a caso, infatti, è il tema con cui si chiude – nelle parole di una ragazza che rappresenta appunto le nuove generazioni – la «Marcia per la salute»:

Sono preoccupata perchè ho l’impressione che l’aria, l’acqua, il cibo, il mondo (anche nei suoi valori spirituali) non sarà più quello che voi avete ricevuto dai vostri nonni. […] Non mi pare proprio che queste tre gigantesche centrali e questo smaltitore di sozzerie varie siano un bel regalo che fate a me, che fate ai miei coetanei vogheresi e tortonesi e, più in generale, che fate alla mia generazione((Cfr. Intervento di Marta Santafede alla Marcia per la salute del 18 maggio 2002 (allegato n.2, p. II).)).

Il tema della distanza istituzionale e della richiesta di democrazia

È uno dei temi più diffusi: la critica investe ogni livello istituzionale, dalle amministrazioni locali alla Regione Lombardia (accusata di aver risposto con il silenzio a una «reale richiesta di democrazia»((Cfr. La solidarietà dei Comitati, Comitati Scrivia, ottobre 2002 (www.comitatiscrivia.it)))) ai politici che siedono a Roma. Ecco alcuni esempi:

La Regione Lombardia non ci ha mai ascoltato, non ha mai dato risposta ai sindaci che ci rappresentano, ha ignorato le richieste di coinvolgimento presentate dal presidente della nostra Regione [Piemonte, ndr]. Nella delibera della Regione Lombardia non c’è una parola sull’esistenza di Comitati dissenzienti. Insomma se c’è una cosa certa è che per la Lombardia noi contiamo meno del due da picche((Cfr. Intervento di Brunetti, Comitati Scrivia, 22 novembre 2002 (www.comitatiscrivia.it).)).

Non dimentichiamo che in occasione della Marcia della salute le cosiddette autorità avevano risposto affermando che a Voghera sarebbero calati gli Unni, i black bloc e avevano rifiutato l’accesso alle zone vicine alla chiesa e al municipio((Cfr. nota 18.)).

In merito ai mesi di silenzio che passano tra la delibera di approvazione del progetto Solchem da parte della Provincia di Pavia e quella della Regione Lombardia si può inoltre leggere:

Nonostante i vari incontri avuti con i rappresentanti della Regione Lombardia, non si riuscirà mai a capire perchè la delibera è ferma e che cosa sta avvenendo. Parlamentari e politici vari avevano assicurato che sarebbero state presentate interpellanze in merito; ma mai la questione smaltitore è arrivata al dibattito nelle sedi politiche. A Roma era stato garantito che lo smaltitore avrebbe avuto l’onore di una valutazione di impatto ambientale collegata con gli altri ventilati insediamenti industriali: mai visto nulla! Viene il sospetto che si lasciasse trascorrere un po’ di tempo per far sbollire gli animi, calare la tensione, diminuire l’attenzione e poi, ecco che… zac… ce l’hai in quel posto!»((cfr. Cronistoria smaltitore dicembre 2004, Comitati Scrivia, 7 gennaio 2005 (www.comitatiscrivia.it).)).

 
Fig. 2: Uno dei cartelli esposti alla «Marcia per la salute» del 18 maggio 2002

Il tema della libertà d’opinione e dell’azione in nome del bene di tutti

La citazione in giudizio da parte della Solchem di alcuni membri del Comitato scatena un coro di proteste che puntano il dito contro il tentativo d’intimidazione rappresentato da questo atto ed esprimono grave preoccupazione contro l’attacco al «diritto al dissenso nei confronti del potere economico e politico», alla «libertà di opinione», al «dovere del cittadino di battersi per ciò che ritiene il bene della comunità in cui vive».

C’è inoltre il tentativo di generalizzare la discussione:

Questa vicenda non riguarda solamente le quattro persone coinvolte, ma anche tutti i cittadini che in qualsiasi parte d’Italia si uniscono a difendere territorio, salute, ambiente e qualità della vita. Coinvolge tutti i Comitati, gruppi, associazioni che vogliono essere partecipi a scelte che dovranno poi subire sulla loro pelle((cfr. nota 24.)).

Le perizie tecniche

C’è un tema che sembra il grande assente dai comunicati del sito web ed è il tema scientifico: solo un paio di interventi, infatti, riportano obiezioni puramente tecniche al progetto di smaltimento dei rifiuti((Cfr. La consulenza Degremont alla Solchem e Prosegue il processo Solchem, Comitati Scrivia, 28 febbraio 2003 e 21 gennaio 2004 (www.comitatiscrivia.it) .)).

Eppure, la scienza non è per niente assente dalla discussione: anzi, è lo stesso Comitato di opposizione a richiedere a esperti perizie e consulenze tecniche, producendo così sapere scientifico autonomo. Un sapere che è necessario, perché è legittimante, ma che non viene utilizzato nella comunicazione pubblica, come viene esplicitamente dichiarato nella presentazione del sito web:

Abbiamo prodotto molti documenti e siamo certi dell’efficacia di queste relazioni tecniche sia sui sindaci che sulla stessa controparte. Documenti complessi e ponderosi relativi ai temi trattati. Relazioni che non appaiono sul nostro sito, ma che siamo pronti ad inviarvi in copia se ce ne farete richiesta((Cfr. Perché questo sito, Comitati Scrivia, (www.comitatiscrivia.it).)).

Una dichiarazione da cui emerge chiaramente che i destinatari privilegiati della comunicazione tecnico-scientifica non sono – negli intenti del Comitato – la cittadinanza o il grande pubblico, ma le istituzioni, in una sorta di dialogo tra esperti di diverso tipo, che esclude chi invece non ha né esperienza scientifica né esperienza istituzionale.

Cosa c’è dietro questo atteggiamento? Di certo, il fatto che «è molto difficile comunicare dati scientifici al grande pubblico»((Dall’intervista ad Antonello Brunetti, Castelnuovo Scrivia, 29 dicembre 2005.)), ma non solo. C’è anche, ed è forse il motivo più importante, il fatto che – come dimostra l’analisi tematica dei comunicati del sito web – lo scontro può giocarsi sul terreno dei valori e dei diritti, in primis libertà e giustizia: due elementi decisamente più forti dei pur importanti dati scientifici.

2.2 Il caso della centrale di Voghera

2.2.1 Il fronte del sì

Alle elezioni comunali di Voghera del maggio 2000 vince la lista guidata dal medico Aurelio Torriani, iscritto nelle file di Forza Italia, sconfiggendo l’uscente amministrazione di centrosinistra, che aveva già cominciato a discutere sui progetti di due tipi differenti di centrale elettrica: una cippato di legna e una a turbogas.

A questo punto si trattava di decidere: abbiamo partecipato a varie Conferenze dei servizi sia in Regione sia ai Ministeri dell’Industria e dell’Ambiente; abbiamo letto la documentazione tecnica relativa all’impatto ambientale delle due tipologie di impianto e alla fine abbiamo scelto di promuovere la realizzazione di quello a turbogas((Dall’intervista ad Aurelio Torriani, medico e sindaco di Voghera, Voghera, novembre 2005.)).

Il sito scelto per costruire la centrale si trova decentrato rispetto alla città, su terreni localizzati nella frazione Torremenapace, al confine con i Comuni di Silvano Pietra e Corana.

Come già nel caso dello smaltitore di Casei Gerola, quindi, la decisione viene presa in sede esclusivamente istituzionale, senza prevedere alcuna forma di consultazione della popolazione né, come spiega Andrea Pestoni, addetto stampa sia del Comune sia dell’azienda municipalizzata multiservizi Asm Voghera, oggi proprietaria del 20 per cento dell’impianto, alcun piano di comunicazione relativo al progetto centrale. Proprio come a Casei Gerola, sulla questione non viene neppure indetta un’assemblea pubblica. Anzi, sia Torriani sia Pestoni, nel corso delle interviste, tendono a sottolineare più volte il fatto di non aver mai intrapreso iniziative comunicative dirette, ad eccezione della pubblicizzazione, alla vigilia dell’avvio della centrale, della Commissione per la salvaguardia della salute e dell’ambiente((Sull’argomento cfr. per esempio La centrale sta per accendere le luci, dal giornale comunale Voghera – Il Comune, febbraio 2005, p. 16 (allegato n.3, p. III))), il cui insediamento è peraltro previsto per legge. In realtà, questo non è del tutto vero: già nel 2000, per esempio, il sindaco aveva accompagnato una delegazione di circa cinquanta studenti delle scuole superiori vogheresi a visitare a Bruxelles una centrale analoga a quella prevista per Voghera, dichiarando all’epoca di averlo fatto per tranquillizzarsi e tranquillizzare sull’effettivo impatto ambientale di un simile impianto. Evidentemente, siamo di fronte a una concezione piuttosto originale del concetto di comunicazione, se un atto così potente dal punto di vista comunicativo come l’organizzazione di un viaggio in Belgio per conoscere da vicino una centrale simile a quella di Voghera non viene affatto percepito come tale.

È vero comunque che per tutta la durata della vicenda l’amministrazione non avrà mai un ruolo propositivo o d’attacco, ma si limiterà a spiegare le proprie ragioni sia nell’ambito di incontri pubblici organizzati dal fronte d’opposizione sia con commenti (interviste o comunicati) rilasciati al quotidiano locale La Provincia Pavese.

In entrambe le situazioni, i punti fondamentali su cui l’amministrazione comunale si concentra per sensibilizzare l’opinione pubblica sono i seguenti:

1) Più sviluppo per il territorio: il progetto metterà in moto una serie di attività produttive collegate direttamente o indirettamente a esso e che costituiranno l’elemento catalizzatore dello sviluppo economico per Voghera e il suo territorio.

2) Più occupazione: non solo per quanto riguarda la centrale in sé ma soprattutto per l’indotto, sia nell’immediato (ditte di costruzione o di piantumazione dell’area circostante) sia in futuro (il fatto di avere la centrale vicina abbasserà i costi del rifornimento energetico per le imprese circostanti, che potranno quindi investire in sviluppo e occupazione).

3) Più entrate per il Comune: la realizzazione della centrale prevede il versamento di un contributo di compensazione quantificabile tra gli otto e i dieci milioni di euro. Ogni anno, poi, diverse centinaia di migliaia di euro entreranno nelle casse del Comune sottoforma di imposte.

4) Bassissimo impatto ambientale, minimo rischio possibile:

Per quanto riguarda l’ambiente non abbiamo alcuna paura perché, come abbiamo constatato nel corso della visita alla centrale elettrica di Bruxelles, l’impianto vogherese, di simile realizzazione, non potrà provocare ripercussioni sull’ambiente. Se vogliamo fare un esempio, inquinerà più un’automobile della centrale. Va considerato inoltre il fatto che non c’è la necessità di costruire elettrodotti in quanto verranno utilizzati quelli esistenti. […] Dal punto di vista del presunto inquinamento ambientale ritengo si sia parlato in modo abbastanza strumentale: per rendersi conto di come stanno le cose basta visionare gli impianti già in funzione altrove((Cfr. Donatella Zorzetto, Torriani: «Dalla centrale solo benefici», La Provincia Pavese, 31 gennaio 2002.)).

Per dare maggior validità a queste affermazioni, l’amministrazione si avvale anche di esperti (in realtà, tutti ex-tecnici di gruppi di produzione di energia elettrica), che hanno il compito di illustrare lo stato di fabbisogno energetico italiano e di rassicurare sulla bontà dell’impianto di Voghera, basato sulle più moderne tecnologie disponibili, spiegando anche come si sia deciso di sostituire il raffreddamento ad acqua previsto nelle prime fasi del progetto con uno ad aria.

Oltre che dal Comune, il fronte del sì è ovviamente costituito anche da Voghera Energia, la società proponente l’impianto composta per l’80 per cento da Acea Electrabel e per il 20 per cento da Asm Voghera. Da parte sua si segnala, nel corso dell’intera vicenda, un’unica iniziativa di comunicazione al grande pubblico: l’esposizione per due anni consecutivi (2003 e 2004) in uno stand dell’annuale Fiera locale di un plastico della centrale, accompagnata dalla distribuzione di una brochure in cui se ne spiegano il funzionamento e le ricadute positive. «Il plastico però non ha mai suscitato particolare interesse nel pubblico della fiera», ammette l’addetto stampa Andrea Pestoni((Dall’intervista ad Andrea Pestoni, addetto stampa del Comune di Voghera e dell’azienda municipalizzata multiservizi Asm-Voghera, Voghera, novembre 2005.)).

 2.2.2 Il fronte del no

Il panorama di chi non vuole la centrale a Voghera è abbastanza eterogeneo. Le prime voci critiche a levarsi sono quelle del circolo locale di Legambiente, che sostiene e coordina le richieste di chiarimento da parte degli abitanti della frazione di Torremenapace che, nel luglio 2000, presentano al sindaco una petizione per la convocazione di un Consiglio comunale aperto sulla «questione centrale».

Altro partecipante fondamentale al fronte del no è l’associazione Orizzonte Oltrepò, nata per volontà di un gruppo di amici interessati al tema dello sviluppo del territorio.

Obiettivo dell’associazione – spiega l’allora presidentessa Graziella Zelaschi – non è mai stato quello di remare contro la centrale per partito preso: volevamo invece capire di più sulle caratteristiche dell’impianto e sull’iter burocratico-amministrativo cui questo sarebbe andato incontro. In un secondo tempo, poi, abbiamo assunto il compito di coordinamento dei vari gruppi di opposizione al progetto, in particolare le associazioni ambientaliste (Legambiente e Italia Nostra) e quelle degli agricoltori, per presentare in modo compatto le nostre richieste all’amministrazione locale. Amministrazione che, però, non ha mai fornito le informazioni che chiedevamo((Dall’intervista a Graziella Zelaschi, direttrice didattica del Primo circolo scolastico di Voghera e presidentessa dell’associazione Orizzonte Oltrepò, Voghera, dicembre 2005.)).

Ad opporsi alla centrale sono, infine, altri piccoli gruppi di cittadini, i Comuni limitrofi di Silvano Pietra e Corana e il Comitato intercomunale nato a Casei Gerola per protesta contro il progetto della centrale Edison e dello smaltitore Solchem, critico in particolare sulla prospettiva di troppe centrali in un unico territorio. Diversamente dalla situazione di Casei Gerola, in questo caso manca invece al fronte del no una componente chiaramente politica: in realtà, sia l’approvazione sia il rifiuto alla centrale vengono espressi in modo abbastanza trasversale nell’ambito delle varie forze politiche.

2.2.3 Le ragioni dell’opposizione

Ma quali sono le motivazioni della contestazione da parte del fronte del no? C’è, innanzitutto, la preoccupazione per l’inquinamento atmosferico e, quindi, per le possibili ricadute sulla salute dei cittadini, ma anche sull’economia agricola della zona. Già da tempo infatti, data la crisi delle produzioni di bassa qualità, l’agricoltura di questo territorio ha deciso di puntare sulla qualità, vale a dire su produzioni certificate sul campo. E va da sé che la presenza di una centrale nei dintorni potrebbe provocare l’abbassamento della qualità del prodotto. Alcuni contestano anche le ragioni economiche utilizzate dal fronte del sì: non è vero – sostengono – che la centrale di Voghera produce per Voghera, abbassando i costi dell’energia per le imprese locali. Al contrario, l’energia prodotta in città verrà inserita, come tutta quella prodotta nel resto d’Italia o in Europa, nella rete nazionale di distribuzione e il suo prezzo sarà stabilito quotidianamente sul mercato. E c’è, poi, chi protesta per la mancata trasparenza con cui l’amministrazione comunale ha condotto l’iter burocratico della centrale: a non convincere sono soprattutto le operazioni di vendita dei terreni di Torremenapace su cui sorgerà l’impianto, che paiono associate a una forte speculazione sui prezzi. I Comuni di Silvano Pietra e Corana, infine, contestano in particolare il fatto di non essere stati consultati durante l’iter autorizzativo, pur essendo confinanti con i terreni su cui sorgerà l’impianto. Non è dato sapere, però se dietro questa contestazione si nasconda reale risentimento per la via burocratica scelta dal Comune di Voghera, sincera preoccupazione ambientale o, piuttosto, malcontento per le misure di compensazione economiche previste, ritenute troppo esigue.

Come già per lo smaltitore di Casei Gerola, anche in questo caso, un’analisi dei comunicati pubblicati sul sito web del Comitato intercomunale (www.comitatiscrivia.it) può aiutare ad approfondire alcuni temi della discussione. Oltre alle posizioni già descritte e a temi già sottolineati nell’analisi dei comunicati relativi allo smaltitore (in particolare quelli del «paradiso perduto», del furto del futuro, del ricatto occupazionale e delle richiesta di democrazia), si trova per esempio il nuovo tema della contestazione del bisogno d’energia. Molti interventi contestano infatti la versione istituzionale della necessità di centrali per colmare il fabbisogno energetico del Paese, riferita con particolare enfasi soprattutto dopo i blackout del 2003. La contestazione avviene in genere in termini molto dettagliati, come illustra l’esempio seguente:

L’Italia ha una capacità produttiva di 75.900 MW mentre la domanda di punta più elevata, registrata nella giornata di martedì 11 dicembre 2001 alle ore 17, è stata di 53.300 MW. Questa capacità, calcolata come rapporto tra margine di riserva e domanda di punta in Italia è pari al 53%, contro il 38% della Germania e il 50% della Spagna: è vero che la capacità installata non rappresenta un indice del tutto certo della effettiva disponibilità poiché ci sono dei limiti fisici della rete di trasmissione, […] il che conferma che non esiste un problema di produzione elettrica, ma casomai di trasporto e di distribuzione. È altrettanto vero che gli impianti collegati con la caduta d’acqua in questi ultimi tempi sono a produzione limitata vista la secca dei bacini idrici. Tuttavia è dimostrato che, pur tenendo conto di tutti gli elementi negativi, il margine di sicurezza è ancora superiore al 20%((cfr. Cinque nuove centrali? No grazie, Comitati Scrivia, 7 aprile 2002 (www.comitatiscrivia.it).)).

Collegato a questo sono inoltre i temi della contestazione della privatizzazione del mercato dell’energia e di quella della legge-obiettivo, la cui introduzione

chiarisce come il nemico venga individuato nelle comunità locali, nelle associazioni e nei comitati, tutti quanti percepiti come ostacoli democratici da spazzare via per la realizzazione di opere che quelle comunità non vogliono siano realizzate o chiedono siano realizzate diversamente((cfr. Centrali e legge obiettivo, Comitati Scrivia, aprile 2002 (www.comitatiscrivia.it).)).

A differenza del caso smaltitore, poi, un certo spazio viene dedicato anche a descrizioni tecnico-scientifiche del funzionamento delle centrali previste e del possibile inquinamento conseguente. Si tratta di passi in cui in genere viene dato grande risalto (anche attraverso l’uso del grassetto) a numeri che, nelle intenzioni di chi scrive dovrebbero probabilmente allarmare il lettore. Ecco per esempio come viene presentata la centrale prevista a Casei Gerola:

Brucerà 140.000 metri cubi di metano all’ora (per un raffronto, il consumo in pieno inverno di un paese di 6000 abitanti come Castelnuovo è di 2.000 m. cubi di metano), consumerà un milione e 500.000 m.cubi di aria all’ora e 92.000 litri di acqua all’ora; da due gigantesche torri di 7 metri di diametro, alte 100 metri, verranno espulsi vapori caldi, ossido di carbonio e ozono che andranno a ricadere sino a 40 chilometri di distanza con ovvie alterazioni sul microclima((cfr. Tre centrali in sette chilometri di raggio, Comitati Scrivia, marzo 2002 (www.comitatiscrivia.it).)).

2.2.4 Il fronte del no: la risposta

Il primo passo compiuto dai componenti del fronte del no (soprattutto Legambiente e Orizzonte Oltrepò) è la raccolta della documentazione relativa da un lato all’iter autorizzativo del progetto e, dall’altro, alle caratteristiche tecniche della centrale e ai possibili rischi per l’ambiente e la salute dei cittadini. Queste ultime informazioni vengono raccolte soprattutto attraverso i consulenti «prestati» da Legambiente e da Italia Nostra, tra cui, rispettivamente, Daniele Fraternali, ingegnere chimico((In qualità di collaboratore di Ambiente Italia, società di consulenza di Legambiente, Fraternali è stato anche redattore dello studio di impatto ambientale della centrale a turbogas di Ferrara.)) e Paolo Ferloni, docente di chimica fisica all’università di Pavia. Il Comitato intercomunale, invece, si rivolge in particolare ad Andrea Schubert, docente di fisiologia vegetale all’università di Torino e a Dante De Faveri, docente di impiantistica alimentare a quella di Piacenza. Secondo Graziella Zelaschi, «si tratta di una fase necessaria soprattutto per chi si impegna su base volontaria, che deve in qualche modo costruirsi la credibilità di essere portatore di informazioni scientifiche»((Dall’intervista a Graziella Zelaschi, Voghera, dicembre 2005..)). Anche in questo caso come già in quello dello smaltitore, quindi, emerge il fatto che dati tecnici e scientifici ed esperti appaiono indispensabili in quanto legittimanti agli occhi del pubblico.

Il secondo passo è rappresentato dalla discussione interna tra tutti i componenti del fronte del no e dal tentativo di trasmettere alla cittadinanza le informazioni acquisite nella fase precedente. Tentativo che viene effettuato soprattutto nel corso di assemblee pubbliche e attraverso interventi (interviste, comunicati, lettere) sui giornali locali. «Abbiamo anche raccolto delle firme e contribuito all’organizzazione della Marcia per la salute», ricorda Graziella Zelaschi: «Molto di più però non potevamo fare, perché comunicare richiede una disponibilità economica che noi non avevamo»((Cfr. nota 34.)).

Tra le assemblee pubbliche, la più significativa è sicuramente quella organizzata da Legambiente il 16 marzo 2001 nella sala congressi del centro sportivo di Voghera. Significativa perché vi partecipano i due fronti contrapposti al completo, perché viene avviata una raccolta di firme contro la centrale e perché è la più «affollata». In realtà, al dibattito partecipano circa 150 persone: non molte, per una città di quasi 38.000 abitanti, soprattutto rispetto alle 500 che il 31 gennaio 2001 avevano partecipato all’assemblea di Casei Gerola su smaltitore e centrale Edison.

Tra gli interventi, si inserisce anche quello tecnico di Daniele Fraternali, che si concentra sul pericolo per l’ambiente rappresentato dal fatto di avere troppe centrali in un territorio dallo scarsissimo ricircolo d’aria qual è quello della Pianura Padana. Una condizione che – attraverso gli ossidi d’azoto prodotti dalla combustione del gas – favorirebbe l’accumulo di ozono. Di tutt’altro tenore, invece, la risposta del rappresentante per la comunicazione di Voghera Energia: un intervento giocato sul registro dell’«umanità», in cui si sottolinea che la società non ha alcun interesse a «rovinare l’ambiente».

Per quanto riguarda invece le comunicazioni alla stampa, si segnalano in particolare cinque lunghe lettere inviate alla Provincia Pavese da Italia Nostra in un periodo che va dal 9 marzo 2001 all’1 agosto 2003((Cfr. allegati n. 4, 5, 6, 7 e 8, pp. IV-VIII.)). Le lettere esprimono la ferma opposizione al progetto della centrale di Voghera per almeno tre motivi: non servirà affatto a ridurre la dipendenza energetica della Lombardia e dell’Italia, ma rappresenterà invece una spreco di risorse e in particolare di territorio, aria e paesaggio e costituirà un pericolo per l’ambiente e le persone. La prima delle lettere è inoltre polemica nei confronti della stampa, che non riporterebbe sufficienti informazioni sulle valutazioni di impatto ambientale relative all’insediamento delle tre nuove centrali previste nel pavese e sulle ragioni di pubblica utilità degli impianti:

La pubblica opinione sarebbe anche interessata a capire se l’assenza degli elementi di informazione sopra indicati sia dovuta a scarso interesse dei giornali per argomenti di natura squisitamente tecnica come quelli riguardanti la valutazione di impatto ambientale o ad oggettive lacune nella preparazione dei progetti citati((Cfr. Una corsa alle centrali. Ma chi ci dà le garanzie? Lettera inviata dal Consiglio direttivo della sezione pavese di Italia Nostra alla Provinca Pavese, 9 marzo 2001 (allegato n.4, p. IV))).

Nel complesso, sembra quindi che dati tecnico-scientifici ed esperti abbiano giocato nel dibattito pubblico sulla centrale di Voghera un ruolo maggiore di quello rivestito nella discussione sullo smaltitore: vedremo però in seguito come, a detta di tutti, non siano state questioni scientifiche quelle su cui si è giocata la partita.

Tornando infine alle attività del fronte del no, il passo successivo è quello giudiziario, che si concretizza nell’ottobre 2002 con la presentazione di due ricorsi al Tar lombardo per chiedere l’annullamento della delibera comunale che autorizza la costruzione della centrale. L’iniziativa ha successo, il Tar accoglie il ricorso: i lavori si fermano.

Il nostro – ricorda Annamaria Zuffi del circolo Legambiente di Voghera – è stato il primo ricorso in Italia sulla questione centrali a ottenere un riconoscimento positivo da parte di un Tar e, in effetti, quando è uscita la sentenza siamo diventati un punto di riferimento nazionale per chi (comitati, associazioni eccetera) intendeva intraprendere un simile percorso legale((Dall’intervista ad Annamaria Zuffi, tecnico presso l’Ufficio di ecologia della Provincia di Pavia e membro del circolo vogherese di Legambiente, delegata a riferire sulla questione dal presidente del circolo, Voghera, 28 dicembre 2005.)).

Pochi mesi dopo, però, arriva la doccia fredda della sentenza del Consiglio di Stato, cui si era appellata Voghera Energia, che ribalta quella del Tar: la centrale si fa. A questo proposito, Graziella Zelaschi tiene molto a fare una precisazione:

È importante sottolineare che il Consiglio di Stato non ha annullato la sospensiva del Tar dichiarando non valide le nostre ragioni, ma semplicemente in nome del presunto bisogno di energia del Paese. Noi, però, un po’ per demoralizzazione e un po’ perché non ne avevamo i mezzi e gli strumenti, non siamo mai riusciti a far passare alla cittadinanza questa informazione e cioè che nonostante tutto le nostre obiezioni stavano saldamente in piedi((Dall’intervista a Graziella Zelaschi, Voghera, dicembre 2005.)).

L’ultimo passo del fronte di opposizione è, infine, quello di continuare a chiedere controlli rigorosi sul funzionamento dell’impianto e sulle sue emissioni. Anche in questo caso, si tenta comunque di allargare il più possibile la discussione a tutta la cittadinanza. Va in questa direzione, per esempio, l’organizzazione di un incontro dal titolo «Clima, politiche energetiche, salute e difesa dell’ambiente. Quali scelte dopo la centrale?» il cui relatore ufficiale è Luca Mercalli, meteorologo e ospite fisso di una trasmissione televisiva. All’incontro partecipano però solo una settantina di persone: non certo quello che si definirebbe un successo travolgente.

2.2.5 Ma la città da che parte sta?

A questo punto, quindi, diventa legittima una domanda. Ma i cittadini che non aderiscono a comitati, circoli o associazioni, da che parte stanno? Come vivono la prospettiva di ritrovarsi presto all’ombra di una ciminiera?

A differenza di quanto accaduto a Casei Gerola, dove la questione centrale più smaltitore aveva acceso un dibattito cui aveva partecipato buona parte della popolazione, a Voghera la discussione avviene sempre piuttosto in sordina. Certo, la raccolta di firme (all’incirca 4.000) e la Marcia per la salute vengono giudicate positivamente dagli organizzatori, ma si tratta di eventi sporadici e che in realtà non coinvolgono solo vogheresi ma anche abitanti dei comuni limitrofi. Per il resto, si registra una sola presa di posizione spontanea: quella degli studenti delle scuole superiori della città che nel settembre 2002 organizzano una manifestazione di protesta contro la centrale. Nei comunicati preparati per l’occasione, i ragazzi esprimono in particolare preoccupazione per le conseguenze sull’ambiente e la salute della presenza di troppe centrali in un unico territorio e stupore per la mancata considerazione, da parte dell’amministrazione comunale, delle voci contrarie al progetto.

Per il resto, Voghera tace. Non manifesta opposizione né favore, perlomeno in modo diretto((Si può probabilmente leggere come implicita manifestazione di favore la riconferma, alle elezioni comunali dell’aprile 2005, dell’amministrazione uscente.)). Eppure l’argomento interessa e anche molto, al punto da far cambiare i dati di vendita della Provincia Pavese, il più seguito giornale locale: «Quando parlavamo di centrale, le copie vendute aumentavano», dichiara il redattore Stefano Romano((Dall’intervista a Stefano Romano, redattore della redazione vogherese della Provincia Pavese, Voghera, 23 dicembre 2005.)).

In realtà, il silenzio della cittadinanza sulla questione centrale è così presente che viene rimarcato nel corso di tutte le interviste effettuate. «Rispetto ad altre situazioni nazionali siamo stati un’anomalia: non c’è stato un vero e proprio dibattito pubblico» afferma per esempio Annamaria Zuffi((Dall’intervista ad Annamaria Zuffi, Voghera, 28 dicembre 2005.)). Più colorito è invece il commento del sindaco: «Alla cittadinanza non gliene importava niente»((Dall’intervista ad Aurelio Torriani, Voghera, novembre 2005.)).

Perché? Si può solo fare qualche ipotesi. Tanto per cominciare, Voghera non vive a Voghera: la città è ormai un satellite di Milano e molti abitanti sono pendolari. E poi «la centrale è in campagna, decentrata rispetto alla città e quindi è quasi come se non ci fosse. Certo, il camino si vede anche da lontano, ma a parte gli abitanti di Torremenapace, nessuno se la sente incombere addosso»((Dall’intervista a Pietro Para, redattore del settimanale Il Giornale di Voghera, Voghera, 28 dicembre 2005.)) aggiunge Pietro Para, redattore del Giornale di Voghera.

Scava un po’ più a fondo Graziella Zelaschi: «È difficile che ci sia un bel dibattito pubblico se non c’è prima di tutto un bel dibattito politico. Qualche anno fa, le idee circolavano di più, per esempio nelle sedi dei partiti o dei sindacati mentre oggi la vita partitica vogherese è praticamente assente. Mancano, insomma, sia gli spazi sia i modi di una discussione vivace e proficua»((Dall’intervista a Graziella Zelaschi, Voghera, dicembre 2005.)).

III

E nel resto d’Italia? Confronto con i casi di Monfalcone e Ferrara

Dalla protesta antinucleare di Scanzano((Cfr. Pietro Greco, La lezione di Scanzano, JCOM, dicembre 2003 (http://jcom.sissa.it/archive/02/04/E0204-en?set_language=it&cl=it).)) a quella contro l’alta velocità della Val di Susa o contro la discarica di rifiuti di Montecorvino Rovella ((Cfr. Pietro Greco, I rifiuti della comunicazione, l’Unità, 1° luglio 2004.)), negli ultimi anni sono state molte le occasioni in cui cittadini più o meno organizzati hanno fatto sentire la propria voce contro progetti di impianti industriali o di viabilità straordinaria potenzialmente rischiosi per la salute e l’ambiente. Ma quali sono state le modalità comunicative messe in atto in queste occasioni dai vari fronti del sì e del no ed eventualmente in cosa differiscono da quelle attuate a Casei Gerola e Voghera?

Tra i tanti possibili, due casi analizzati di recente possono essere qui ricordati, a titolo di esempio, per valutare questi aspetti: il caso dell’impianto di rigassificazione del metano di Monfalcone((Cfr. Daniele Ungaro, Democrazia ecologica, Roma, Laterza 2004, cap. 5.)) e quello della centrale elettrica a turbogas di Ferrara((Cfr Ilaria Fazi, Comunicazione in caso di rischio ambientale. Il caso della centrale a turbogas di Ferrara, tesi del master in comunicazione della scienza della Sissa di Trieste, Trieste 2005.)).  

3.1 Il caso Monfalcone((cfr. D. Ungaro, op. cit, cap. 5.))

Nel giugno 1995, la Società nazionale per l’approvigionamento del metano (Snam) comunica l’intenzione di realizzare un impianto per la rigassificazione del metano importato in forma liquida a Monfalcone (Gorizia), città già dotata di una vasta area industriale che la qualifica come priva di particolare pregio artistico o ambientale

…….seguono molte pagine su Monfalcone e Ferrara

3.3 Il confronto tra i sì di Monfalcone e Ferrara con Casei e Voghera

I due casi descritti di Monfalcone e Ferrara presentano molti punti in comune con quelli dello smaltitore di Casei Gerola e della centrale elettrica di Voghera.

Anche a Voghera e – per lo meno nella prima fase della vicenda – a Casei Gerola, per esempio, le ragioni delle società proponenti gli impianti (Foster Wheeler, poi sostituita da Electrabel, e Solchem) vengono subito fatte proprie dalle istituzioni locali, che quelle ragioni abbracciano e condividono in pieno. Si tratta di ragioni che seguono una logica d’azione di tipo economico: punti di forza dei progetti sono infatti le prospettive occupazionali e di sviluppo del territorio e, a Voghera, le compensazioni economiche, ma anche ambientali (è infatti prevista la piantumazione di un bosco nei terreni circostanti la centrale). Sia a Voghera sia a Ferrara le istituzioni puntano molto sui concetti tipici della modernizzazione ecologica: i nuovi impianti non costituiranno un problema per la qualità dell’ambiente, perché sono «il meglio del meglio» delle moderne tecnologie, costruite apposta per inquinare, come dice Torriani, «meno di un’automobile»((Dall’intervista ad Aurelio Torriani, Voghera, novembre 2005.)).

Come a Monfalcone e a Ferrara, poi, la scelta operata dai gruppi industriali appare strategica, essendo questo piccolo lembo di territorio della provincia di Pavia già ricco di altri insediamenti industriali che lo qualificano come «terra bruciata». Anche in questo caso, però, i cittadini non ci stanno:

Non ci si permetta più di venirci a raccontare che dobbiamo smetterla di fare tanto i difficili, che tanto questa è ‘terra bruciata’, terra invasa dall’asfalto, dal cemento, dall’inquinamento. Forse sarà vero, ma noi in questa terra che altri considerano una pattumiera ci siamo nati, ci siamo cresciuti. Forse non l’abbiamo difesa con la forza necessaria, ma ne conosciamo ogni aspetto e l’amiamo per quello che è, proprio come si fa con una persona cara ammalata: non ne acceleriamo la morte anzi siamo pronti a tutto per farla guarire e rifiorire((Cfr. La centrale di Casei. Intervento di A. Brunetti, pubblicato sul sito www.comitatiscrivia.it (12 marzo 2002).)).

Anche nei due casi presi in considerazione in questa tesi, inoltre, può essere interessante vedere a che punto della successione diacronica di Fischhoff((Cfr. B. Fischhoff, op. cit.)) si collocano le strategie comunicative messe in atto dalle istituzioni. Come abbiamo visto, questa successione si compone di sette stadi che riflettono i cambiamenti avvenuti nella concettualizzazione del rischio, ovvero «il passaggio dalla considerazione dei modelli quantitativi come uniche fonti legittime di valutazione all’inclusione progressiva di aspetti relativi alla percezione e all’accettabilità del rischio»(( Cfr. B. De Marchi, L. Pellizzoni e D. Ungaro, op. cit, pp. 81.)). In particolare, il primo stadio è caratterizzato dall’assenza di comunicazione: gli esperti lavorano in isolamento e si dedicano a compiti tecnici per migliorare il funzionamento delle tecnologie. Se però la questione del rischio viene posta pubblicamente, il silenzio diventa dannoso, perché viene interpretato come tentativo di nascondere. Ecco quindi il secondo stadio, rappresentato dal tentativo di comunicare «i numeri», cioè i dati scientifici. Neppure i numeri, però sono oggettivi, per cui diventa necessario spiegare cosa si intende con i numeri, fornirne un’interpretazione. Anche in questo caso possono nascere difficoltà: spesso, infatti, «la gente non chiede numeri, ma risposte alle proprie curiosità o preoccupazioni»((Cfr. B. De Marchi, L. Pellizzoni e D. Ungaro, op. cit, pp. 82.)). Nei due stadi successivi, quindi, si cerca da un lato di mostrare alla gente che in passato ha accettato rischi simili a quelli in discussione e, dall’altro, che in ogni caso la nuova proposta è un buon affare per tutti. Il sesto stadio, il cui motto è «tutto ciò che bisogna fare è trattare gentilmente gli interlocutori», esprime la nuova necessità di tenere conto dei bisogni, delle aspettative, delle percezioni della gente, mentre in quello successivo il cambiamento è ancora più radicale. I cittadini vanno «resi partner», riconoscendo loro un ruolo più attivo nelle questioni del rischio e della sicurezza.

Per quanto riguarda la vicenda dello smaltitore di Casei Gerola, in pratica si può vedere come l’intera successione venga condensata in una vicenda della durata di pochi mesi: è evidente infatti che si passa dalla completa assenza di qualunque forma di comunicazione del rischio al riconoscimento del diritto della cittadinanza a partecipare a decisioni che riguardino l’ambiente e la salute. Da una fase in cui la Solchem propone un proprio progetto di riconversione dell’ex-Cerestar e l’amministrazione, senza troppi approfondimenti, lo approva in nome del diritto al lavoro, a uno in cui è lo stesso sindaco a dichiarare che, in casi simili, occorrerebbe prima sentire il polso della gente.

Voghera, invece, sembra non essersi ancora posta il problema della partecipazione popolare, anche perché – forse – è la partecipazione popolare stessa a non esserci. La battaglia è condotta quasi esclusivamente da piccoli gruppi organizzati di cittadini che, però, non riescono a raggiungere una massa critica in grado di attrarre altri gruppi: la stragrande maggioranza della popolazione, infatti, tace. In questo contesto, l’amministrazione non ha alcun bisogno di comunicare: anzi, farlo potrebbe essere addirittura controproducente, potrebbe accendere un dibattito che non c’è. Certo, qualcuno si oppone: «Del resto è facile giocare sul sentimento ambientalista: tanta gente si fida di quello che dicono gli ambientalisti, ha paura delle innovazioni tecnologiche», afferma il sindaco Aurelio Torriani((Dall’intervista ad Aurelio Torriani, Voghera, novembre 2005.)). Gli stadi che prevedono di «trattare gentilmente gli interlocutori» e di «renderli partner» sembrano ancora lontani: meglio limitarsi a puntare sugli slogan occupazionali e di sviluppo, insistendo sul fatto che la centrale sarà un buon affare per tutti.

3.4 Il confronto tra i no

L’organizzazione di un fronte del no segue, a Casei Gerola e Voghera, due dinamiche differenti. Nel primo caso, si possono facilmente ripercorrere le tappe della mobilitazione collettiva descritte da Ungaro per Monfalcone: la massa critica, per esempio, è costituita dai tre fondatori del Comitato intercomunale di opposizione allo smaltitore e alla centrale a loro volta provenienti da comitati più piccoli sparsi sul territorio. A promuovere la mobilitazione sono in particolare ragioni ideali legate all’interesse ambientalistico: c’è, in più, la possibilità, per cultura e posizione professionale, di sostenere i costi di partecipazione e informazione sulla questione.

Vengono poi i sostenitori solidaristici e quelli opportunistici, vale a dire gli altri membri del Comitato tra cui gli attori politici interessati a contrastare l’amministrazione in carica e a utilizzare eventuali riconoscimenti derivanti da questa partecipazione per una futura carriera politica. E c’è, infine, la seconda maggioranza, costituita da tutti coloro che hanno partecipato all’assemblea del 31 gennaio 2001 e che hanno preso parte alla Marcia per la salute.

A Voghera, invece, la massa critica è costituita dai membri del locale circolo di Legambiente: sono loro a sostenere le prime richieste di chiarimenti da parte degli abitanti della frazione Torremenapace, a documentarsi e a fornire consulenze sulla questione e a organizzare le prime assemblee pubbliche. L’associazione Orizzonte Oltrepò, che raccoglie semplici cittadini ma coordina anche le attività delle associazioni agricole e di altri gruppi ambientalisti come Italia Nostra, invece, può essere considerata come un sostenitore solidaristico. La seconda maggioranza, infine, è costituita dai cittadini che firmano la petizione per la sospensione dell’iter della centrale e partecipano alla Marcia della salute. Non si tratta, però, di una maggioranza davvero significativa come quella presente a Casei Gerola. In realtà, a Voghera non c’è nessun movimento di opposizione alla centrale che possa davvero essere definito «di massa».

Ma quali sono le ragioni rivendicate da questi gruppi di opposizione? Innanzitutto, sia a Voghera sia a Casei Gerola, si tratta di ragioni eco-logiche, come il diritto a difendere la propria terra dall’accumulo di ulteriori rischi ambientali e di ragioni politiche, di rivendicazione del diritto di partecipare al processo di decision-making((A Monfalcone questa rivendicazione non era stata necessaria, perché era stata la stessa amministrazione a indire un referendum popolare sulla questione ambientale.)). A Voghera, poi, vengono chiamate in causa anche ragioni economiche, che insistono sulla vocazione agricola del territorio e contestano le ragioni economiche avanzate dal fronte del sì.

Per quanto riguarda le azioni messe in campo dai vari fronti del no, da Casei Gerola a Ferrara, da Voghera a Monfalcone, si può dire che siano sempre le stesse: assemblee, volantinaggio, manifestazioni pubbliche, siti internet e, naturalmente, un’accurata documentazione tecnica. Ma che fine fanno, poi, questi dati scientifici nella comunicazione pubblica?

3.5 Quale ruolo per dati scientifici ed esperti?

Nella sua tesi, Fazi identifica gli scienziati (o esperti) come attori protagonisti della vicenda ferrarese: sia le imprese (con le istituzioni) da un lato, sia i comitati civici dall’altro cercano il sostegno della scienza per dare validità alla propria posizione. Gran parte della discussione ruota attorno alla questione messa in luce dal ricercatore del Cnr Nicola Armaroli e dal medico dell’Asl di Bologna Claudio Po nel loro articolo su La chimica e l’industria, vale a dire la produzione di polveri sottili da parte di una centrale elettrica a turbogas. È vero, come sostengono Armaroli e Po sulla base dei dati riportati in letteratura, che una centrale delle dimensioni di quella di Ferrara emetterebbe 290 mila tonnellate di particolato fine all’anno, pari a quello prodotto da una città di 300 mila abitanti? Oppure è vero, come sostengono i tecnici dell’impresa, ma anche esperti che dovrebbero essere super partes, che questo tipo di emissioni è praticamente nullo e che, come dichiara il direttore dell’Istituto per l’inquinamento atmosferico del Cnr di Roma Ivo Allegrini, «un autobus che emette fumo nero può essere peggio di una centrale»((Da una dichiarazione rilasciata all’agenzia di informazione Adn Kronos nel dicembre 2003.))?

A Casei Gerola e a Voghera, invece, le cose sono andate diversamente.

Cominciamo dal caso smaltitore, riassumendo le posizioni: il fronte del sì ha sempre giustificato la sua adesione al progetto in nome dell’occupazione, senza dare rilievo alla discussione di eventuali questioni ambientali né prestando attenzione, almeno nelle prime fasi, alla percezione di tali questioni da parte della popolazione.

Il fronte del no, dal canto suo, o si è opposto per ragioni che esulavano la preoccupazione ambientale (ragioni di comodo politico o di protesta al sistema di governance applicato) oppure, soprattutto all’inizio, si è opposto in modo pregiudiziale, in nome della difesa di un territorio che nelle descrizioni fatte sembrava acquisire caratteristiche quasi mitiche, da «paradiso perduto».

Eppure, spazio per una discussione basata su dati tecnico-scientifici ci sarebbe stato, sulla base delle relazioni prodotte da tecnici specializzati. Queste relazioni, però, non vengono impiegate per la comunicazione pubblica: vengono invece inviate agli uffici responsabili dell’Arpa di Pavia e dell’Asl di Voghera e ai rappresentanti delle istituzioni. Passano cioè dalle mani di un tipo di esperti a quelle di un altro tipo di esperti. Perché? Ecco cosa ne pensa Antonello Brunetti, uno degli esponenti di punta del Comitato intercomunale di opposizione allo smaltitore:

Innanzitutto perché sintetizzare una relazione tecnica per il grande pubblico non è facile: molto meglio puntare su slogan d’effetto che colpiscano l’immaginazione. Così, per esempio, ci siamo limitati a produrre un volantino con l’elenco di tutte le porcherie che sarebbero arrivate nel nostro territorio, sottolineando che solo due di esse potevano effettivamente essere depurate((Dall’intervista ad Antonello Brunetti, Castelnuovo Scrivia, 29 dicembre 2005.)).

Ma c’è di più:

I dati e la tecnica difficilmente possono rappresentare la soluzione del problema. Le due parti in conflitto possono anche portare elementi tecnici a sostegno delle proprie posizioni, ma è difficilissimo confrontarli: personalmente, non credo molto all’efficacia di tavoli di concertazione e osservatori. Anzi: noi abbiamo addirittura rifiutato il confronto chiesto a un certo punto dalla Solchem, perché credevamo (e crediamo) che le nostre posizioni e quelle di chi vuole costruire uno smaltitore di rifiuti pericolosi siano inconciliabili. Credevamo e crediamo – anche in base a esperienze precedenti, locali e non – che non esistano depuratori sicuri e non inquinanti e a maggior ragione se lavorano anche rifiuti provenienti dall’esterno. E in ogni caso, anche se fossero sicuri, è davvero il nostro il territorio migliore in cui realizzare nuovi impianti? Non è già abbastanza sacrificato? In questo contesto, il punto centrale della questione si sposta necessariamente dai dati tecnici relativi a un singolo impianto al più generale tema dello sviluppo, su cui noi abbiamo un’idea che non è conciliabile con quella di chi opera solo per trarre profitto(( Cfr. nota 26.)).

Nessun ruolo possibile, quindi, per scienza e tecnica?

Non nel senso di strumenti adatti a convincere la maggioranza dei cittadini. I dati, piuttosto, servono per coprirsi le spalle rispetto a chi potrebbe accusare, in loro assenza, di superficialità, incompetenza o scarsa serietà.

E a Voghera? Come descritto nel capitolo 2, sembra che in questo caso i dati tecnico-scientifici e gli esperti abbiano partecipato di più alla discussione. L’amministrazione, per esempio, ha spesso sottolineato – in realtà in modo abbastanza generico – l’esistenza di studi scientifici sull’intrinseca sicurezza dell’impianto in discussione, ottenuto secondo le tecnologie più moderne e come tale poco inquinante. D’altra parte, alle assemblee organizzate da Legambiente sono stati invitati esperti per spiegare il pericolo ambientale rappresentato dalla concentrazione di troppe centrali in un territorio chiuso come la Pianura Padana, mentre gli esperti di Italia Nostra hanno inviato alla Provincia Pavese lettere in cui illustravano le loro obiezioni «tecniche» al progetto((Cfr. allegati n. 4, 5, 6, 7 e 8, pp. IV-VIII)). Anche sul sito web del Comitato intercomunale (www.comitatiscrivia.it) sono apparse descrizioni tecnico-scientifiche del funzionamento delle centrali a turbogas e del possibile inquinamento conseguente.

Perché questo peso maggiore rispetto al caso smaltitore? Si possono suggerire almeno due ipotesi: per quanto riguarda il fronte del sì, può darsi che l’amministrazione comunale abbia sentito subito il bisogno di ricorrere a dati ed esperti per rassicurare la popolazione su un progetto potenzialmente rischioso che non presentava vantaggi immediati per i cittadini. A Casei Gerola, invece, l’istituzione non aveva neppure preso in considerazione il tema del rischio, perché riteneva l’argomento occupazionale abbastanza forte da riuscire da solo a convincere dell’opportunità della sua realizzazione. E forse anche perché, in fin dei conti, non si trattava di costruire ex novo una centrale ma semplicemente di riadattare un vecchio impianto chimico a una nuova funzione.

Per quanto riguarda il fronte del no, invece, va sottolineata una differenza fondamentale tra Casei Gerola e Voghera: nel primo caso, infatti, l’opposizione è guidata da un comitato spontaneo di semplici cittadini che devono costruire praticamente da zero il proprio background scientifico e i contatti con persone qualificate. Nel secondo caso, invece, la battaglia viene portata avanti soprattutto da associazioni ambientaliste, come Legambiente o Italia Nostra, che possono fare riferimento a una rete nazionale di esperti di fiducia disponibili a partecipare a incontri e a produrre relazioni tecniche. 

In ogni caso, neppure a Voghera, a differenza di Ferrara, si può dire che la scienza abbia rivestito nel dibattito un ruolo da protagonista. E non solo per la difficoltà intrinseca a comunicare i dati scientifici, che pure è stata ribadita nel corso delle interviste da Annamaria Zuffi e Graziella Zelaschi. In realtà, come hanno riconosciuto tutte le persone intervistate, dal sindaco alle rappresentanti di Legambiente e Orizzonte Oltrepò, ai due redattori della Provincia Pavese e del Giornale di Voghera, i fronti su cui si è giocata la partita sono stati decisamente altri, a partire da quello economico, in particolare nell’intreccio tra economia, sviluppo e ambiente.

All’istituzione che illustrava i vantaggi che sarebbero venuti dall’impianto in termini di occupazione e sviluppo, i comitati d’opposizione rispondevano infatti sia contestandone direttamente le motivazioni (non è vero che avere vicino una centrale abbasserà i costi dell’energia elettrica né che ci sarà un effetto così evidente sui livelli di occupazione), sia difendendo interessi economici già esistenti, cioè quelli di un territorio a vocazione agricola.

Altri punti fondamentali di contestazione hanno poi riguardato l’iter amministrativo della centrale e in particolare l’approvazione della variante del piano regolatore che ha trasformato i terreni di Torremenapace da agricoli a industriali facendone lievitare il prezzo in modo un po’ oscuro e l’assetto proprietario definitivo della centrale. L’Asm di Voghera, infatti, ne ha sempre detenuto il 20 per cento: è però diverso farlo in un contesto, come quello di partenza, in cui ci sono altri due partner ognuno al 40 per cento oppure in uno con un solo partner all’80 per cento((Dall’intervista a Pietro Para, redattore del settimanale Il Giornale di Voghera, Voghera, 28 dicembre 2005.)).

Da non dimenticare, infine, il fronte giudiziario della discussione, aperto con i due ricorsi al Tar da parte dei comitati d’opposizione e dei comuni confinanti, a cui hanno fatto seguito una sentenza del Consiglio di Stato interpellato da Voghera Energia e, infine, il sequestro della centrale da parte della Procura vogherese. In particolare, ricordiamo che alla base di quest’ultimo provvedimento c’è l’inosservanza delle prescrizioni previste dall’autorizzazione ministeriale per il controllo delle concentrazioni di ossido di azoto e di ozono prima e dopo l’accensione della centrale. L’obiezione viene quindi posta in merito a una procedura relativa a questioni tecniche: neppure questo fatto, però, riesce a riportare i dati tecnici e scientifici al centro della discussione.

3.6 E la stampa?

Nella vicenda ferrarese, un ruolo particolare è quello rivestito dalle pagine locali del Resto del Carlino, il quotidiano che più segue – e talvolta alimenta – il dibattito sul polo chimico e sulla centrale, pubblicando inchieste sulle sostanze pericolose lavorate nel polo, sottolineando – almeno all’inizio – la mancanza di dati sulla nuova centrale e dando ampio risalto ai risultati dell’indagine di Armaroli e Po. «La stampa – scrive Fazi – non più cassa di risonanza della comunicazione istituzionale, assume un ruolo attivo, di stimolo al resto della comunicazione»((Cfr. I. Fazi, op. cit., p. 45.)).

Ma che ruolo ha avuto la stampa nella discussione pubblica dei casi dello smaltitore di Casei Gerola e della centrale di Voghera? Per entrambi, il giornale di riferimento è il quotidiano La Provincia Pavese, in particolare nelle pagine dedicate alla Cronaca di Voghera e Oltrepò((La Provincia Pavese è un quotidiano del gruppo editoriale L’Espresso. Ha una tiratura media di circa 28.000 copie.)).

Dal novembre 2001 al dicembre 2004 sono una ventina gli articoli della Provincia Pavese che si occupano dell’impianto Solchem (poi Solmag) nel complesso. Di questi, una decina trattano in modo specifico la questione dello smaltitore e in tutti il taglio è fortemente cronachistico: vengono riportati l’iter amministrativo dello smaltitore, le posizioni istituzionali e le iniziative del Comitato di opposizione. Nessuno spazio, in pratica, è lasciato a dati tecnico-scientifici o all’opinione di esperti: solo in un articolo sono riportate interviste a Carlo Scotti, il chimico che aveva redatto la perizia per il Comitato e a un tecnico della Solchem. Nella trascrizione giornalistica, però, gli interventi si limitano a ribadire rispettivamente l’inadeguatezza dell’impianto esistente per lo smaltimento di reflui conto terzi o, al contrario, la sua idoneità.

Per quanto riguarda la centrale di Voghera, invece, sono circa 50 i numeri della Provincia Pavese che, dal luglio 2000 all’agosto 2005 ospitano uno o più articoli dedicati all’argomento. Nella metà dei casi, l’argomento viene trattato in un solo articolo che riporta o un fatto di cronaca, per lo più di natura amministrativa (per esempio l’autorizzazione alla costruzione da parte del Ministero delle Attività produttive o la prima riunione della Commissione tecnica per la sorveglianza della salute)((Cfr. allegati n. 9 e 10 (pp. IX e X).)) oppure un intervento di natura istituzionale, come un’intervista al sindaco o un intervento del presidente di Asm Voghera((Cfr. allegati n. 11 e 12 (pp. XI e XII).)). Nell’altra metà dei casi, invece, la pagina presenta una costruzione abbastanza tipica in cui, accanto al resoconto di un fatto di cronaca di varia natura (da manifestazioni organizzate dal fronte del no a eventi istituzionali particolarmente movimentati, come la seduta del Consiglio in cui venne approvata la variante al piano regolatore), si trovano articoli più brevi in cui sono riportate le opinioni a favore e contro l’impianto e, spesso, anche riassunti cronologici della vicenda((Cfr. allegato n.13. (p. XIII))).

Molte volte abbiamo tentato di costruire la pagina attorno al doppio titolo: uno per il pro e uno per il contro. D’altra parte, un giornale locale non è un grande quotidiano nazionale. La sua linea deve essere quella di riportare tutte le opinioni in campo. Certo, non è facile scrivere pezzi neutri, ma bisogna cercare di non essere pregiudizialmente favorevoli o contrari alla questione in discussione. Il motto deve essere: mettere a disposizione del lettore tutto quanto è a disposizione del giornale, in modo che il lettore stesso possa farsene un’idea autonoma((Dall’intervista a Stefano Romano, redattore della Provincia Pavese, Voghera, 23 dicembre 2005.)).

Solo belle parole? Forse, anche perché nel corso dell’intervista Romano si lascia sfuggire che comunque la redazione era «più favorevole che contraria al progetto». Eppure, nessuno degli altri attori coinvolti nella questione ha dichiarato di essersi riconosciuto nel giornale, un fatto che può forse essere considerato come segnale di un’informazione abbastanza imparziale. In particolare, sia il sindaco Aurelio Torriani sia Antonello Brunetti, hanno affermato di aver sempre sentito contro la posizione della Provincia Pavese. Annamaria Zuffi e Graziella Zelaschi, invece, hanno riconosciuto al giornale di aver «fatto quello che poteva», pur avendo spesso, per ovvie ragioni, dedicato più spazio alle posizioni istituzionali.

Va comunque sottolineato il fatto che, nella maggior parte degli articoli pubblicati, il merito degli interventi era per lo più di natura amministrativa (l’iter burocratico della centrale) e politica, per esempio in riferimento alle spaccature che si sono verificate in Consiglio comunale.

Pochissimo, spazio, invece, è stato dedicato ad argomenti tecnico-scientifici. Se ne parla, per esempio, in occasione del già citato articolo di Armaroli e Po: la questione viene tuttavia impostata in modo fortemente dubitativo («La centrale inquina? Per ora solo teorie»((Cfr. S. Romano, «La centrale inquina? Per ora solo teorie», La Provincia Pavese, 7 novembre 2003, allegato n.14 p. XIV.)), recita il titolo) e la descrizione dei risultati dello studio viene riportata in un box di non più di mille battute. Di certo, non si tratta di una pubblicazione capace di influenzare il dibattito come accaduto a Ferrara.

Perché questa scarsa attenzione ai dati scientifici? Da un lato torna, nelle parole di Romano, il problema della loro incomunicabilità: «Proprio perché si trattava di comunicare dati troppo complessi, una completa conoscenza dei fatti scientifici è rimasta proprietà degli addetti ai lavori»((Cfr. nota 35.)). Dall’altro, c’ è il fatto che i temi ambientali e scientifici non sono mai stati al centro della discussione: «Il giornale – che deve anche seguire gli umori e gli interessi generali della popolazione – non aveva quindi interesse a insistervi»((Cfr. nota 35.)).

3.6.1 Il caso particolare del Giornale di Voghera

Dopo La Provincia Pavese, uno dei giornali locali più diffusi a Voghera è Il Giornale di Voghera, settimanale edito da una cooperativa cattolica (Cooperativa editoriale Oltrepò)  che vende circa 2.000 copie alla settimana. Come annuncia la testata, si tratta di un giornale concentrato quasi esclusivamente sulle vicende vogheresi e in particolare sugli aspetti istituzionali, artistico-culturali e sportivi della città.

Dal 2001 al 2005, Il Giornale di Voghera pubblica circa 60 pezzi sulla questione della centrale di Torremenapace (toccando talvolta anche quelle relative alla centrale e allo smaltitore di Casei Gerola). Nella metà dei casi, si tratta di articoli di cronaca che seguono il filo delle vicende burocratico-amministrative e giudiziarie della centrale. La restante metà si compone in maggioranza (circa il 35 per cento) di editoriali non firmati (redatti per lo più dal direttore Antonio Airò o dal redattore Pietro Para)((Dall’intervista a Pietro Para, Voghera, 28 dicembre 2005.)) e in minima parte (15 per cento) di comunicati inviati da associazioni (Orizzonte Oltrepò e Legambiente) o da segreterie locali di partiti politici e pubblicati come tali.

La linea del giornale, come emerge in particolare dagli editoriali, è fortemente critica nei confronti del progetto e delle posizioni dell’amministrazione:

Una volta si diceva che chi sbaglia l’allaccio del primo bottone sbaglia tutta la bottoniera. Parlando di centrale, è buona cosa che gli imprenditori locali costituiscano consorzi, cooperative o società per promuovere le attività del territorio. Ma se le attività non beneficiano il territorio e la gente che lo abita, allora le cordate sono malefiche perché amplificano e potenziano i malanni piuttosto che i risultati positivi. Il primo bottone allacciato male è il giudizio che la centrale sia una buona operazione per Voghera, poi tutto il resto va da sé((Cfr. L. M., Centrale: amaro in bocca per ambiguità e un pizzico di dubbio, Il Giornale di Voghera, giugno 2002.)).

Al centro della contestazione, in realtà, non c’è la centrale in sé, quanto piuttosto la scarsa trasparenza delle operazioni politiche che hanno accompagnato l’approvazione del progetto. Ma c’è anche la volontà di provare a innescare una discussione che in città langue: «non è che vedessimo negativamente l’idea di un polo energetico. In qualche modo, però, bisognava colmare l’assenza di voci critiche, soprattutto da parte delle rappresentanze politiche e in particolare della minoranza», afferma Pietro Para((Cfr. nota 39.)).

Così, sulle pagine del settimanale si susseguono interventi polemici nei confronti della modalità di approvazione della variante del piano regolatore per i terreni di Torremenapace, della mancanza di un piano di governo del territorio che abbia almeno un respiro regionale, del silenzio nei confronti di una «richiesta corale di procedere a una programmazione ampia che tenga conto dell’opinione degli enti locali e dei cittadini»((Cfr. Centrale: incompatibile o incostituzionale?, Il Giornale di Voghera, 28 febbraio 2002.)). Della richiesta, insomma di una governance partecipata.

E la scienza? Anche in questo caso, come nella Provincia Pavese, non c’è spazio per interventi di tipo scientifico. Le ragioni sono sempre le solite: «la difficoltà a comunicare dati e il fatto che la discussione verteva comunque su altri aspetti»((Dall’intervista a Pietro Para, Voghera, 28 dicembre 2005.)).

L’unica occasione in cui si dà alla scienza diritto di comparsa è quella solita della pubblicazione dell’articolo di Nicola Armaroli e Claudio Po sull’inquinamento delle centrali a turbogas, ripresa in un pezzo di grande interesse, perché pone in maniera molto chiara il dilemma attorno al quale ruota tutto il tema del rischio ambientale:

Contano di più le preoccupazioni motivate dalla scienza o le insicurezze istintive dei non addetti ai lavori? […] Sul problema sono balzate alla cronaca due valutazioni in forte contrasto: la prima è il frutto dello studio di un autorevole ricercatore del Cnr diffuso su una prestigiosa e competente rivista scientifica, l’altra è del sindaco di Voghera che confuta le conclusioni scientifiche sull’onda di una sicurezza istintiva che ha il supporto della sentenziosità affettiva, ma non quello della dimostrazione oggettiva. […] Se la considerazione del ricercatore è veritiera – e al Cnr i problemi si studiano sperimentalmente e nessuna conclusione viene diffusa senza ragione e per il gusto di creare allarmismo – c’è di che preoccuparsi seriamente. «La tecnologia risolverà anche i problemi, ammesso che esistano, legati alla produzione di energia con le turbine a gas», ribatte il sindaco liquidando la questione con esagerato ottimismo. La tecnologia ha risolto tantissimi problemi, ma non tutti e quindi la speranza che ne sappia risolvere ancora tanti non può tradursi in certezza che per ogni evenienza sappia trovare la soluzione urgente e soddisfacente»((Cfr. L. M., In attesa del Consiglio di Stato: la centrale inquina o non inquina?, Il Giornale di Voghera, giugno 2003.)).

Una difesa appassionata della validità del metodo scientifico e dell’utilità della scienza – ma, attenzione, non della tecnologia – nell’affrontare e risolvere i problemi. Ancora una volta, insomma, si riconosce il primato della scienza e si invoca la partecipazione dell’elemento scientifico, oggettivo e autorevole, al processo decisionale, per contrastare posizioni prese sull’onda dell’emotività o, peggio, in base a interesse privati. Anche in questo caso, però, alla scienza non viene concesso il diritto di entrare a far parte della comunicazione pubblica. 

3.7 Esiti differenti tra cooperazione e competizione

Secondo Daniele Ungaro, Monfalcone ha rappresentato un caso di processo cominciato in modo collaborativo grazie alla negoziazione tra Snam e città e finito invece in modo competitivo, con la remissione della decisione a un referendum popolare((Cfr. D. Ungaro, op. cit.)). Il passaggio tra le due modalità, inoltre, ha visto il cambiamento di un attore in gioco: alla fine, la Snam non si è trovata contro le istituzioni in generale, ma la massa della popolazione mobilitata dal comitato «No Terminal» in particolare.

Il gioco di Ferrara, invece, si è svolto in modo collaborativo tra l’impresa, che ha infine ottenuto l’autorizzazione a costruire l’impianto e la città, che ha ottenuto in cambio compensazioni di tipo economico. Sono rimasti esclusi i comitati d’opposizione: nonostante l’esistenza di strumenti deputati allo scopo, come il Forum di Agenda 21 locale, sembra cioè che non si sia trovato un modo concreto per ottenere la piena partecipazione popolare al processo di decision making.

A Casei Gerola, il processo inizia in modo cooperativo: la Solchem propone la realizzazione dell’impianto e l’amministrazione lo approva, ritenendo di ottenere in cambio un vantaggio, vale a dire la risoluzione di una situazione occupazionale critica. In un secondo momento, però, l’amministrazione – avendo «avvertito» il parere contrario della maggioranza della popolazione – cambia fronte e decide di non cooperare più, ritirando il proprio appoggio al progetto. In realtà, lo smaltitore conto terzi proseguirà comunque il proprio iter in virtù dell’approvazione da parte di Provincia e Regione e se alla fine l’impresa deciderà di non utilizzarlo, sarà per altri motivi Ciò che importa qui sottolineare, però, è la differenza tra il caso di Monfalcone, in cui le istituzioni decidono di «non decidere» rinviando la decisione al referendum e quello di Casei Gerola in cui invece le istituzioni – sentito il parere della cittadinanza – si assumono la responsabilità di cambiare fronte rispetto a una decisione già presa.

Ancora diverso, invece, è il caso di Voghera: certo, anche qui come a Ferrara il gioco appare pienamente cooperativo, con Voghera Energia che ottiene l’impianto e il Comune che ottiene compensazioni economiche e ambientali. In questo schema si inserisce però un elemento «di disturbo», rappresentato da azioni giudiziarie che impediscono il pieno raggiungimento del risultato ottenuto. Un esito che chiama in causa un ulteriore fattore – quello giudiziario – come partecipante al processo decisionale.

IV

Conclusioni

Obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di ricostruire le vicende legate alla proposta di realizzazione di impianti industriali potenzialmente rischiosi per la salute e l’ambiente nel territorio dell’Oltrepò pavese, con particolare attenzione per le strategie comunicative attuate dai vari gruppi di interesse coinvolti.

La vicenda dello smaltitore per reflui liquidi pericolosi di Casei Gerola ha rappresentato un chiaro esempio di richiesta popolare di partecipazione a un processo decisionale relativo alla gestione di una situazione di rischio. Richiesta accolta dalle istituzioni che, dopo una fase di ascolto ed elaborazione delle ragioni dell’opposizione, sono passate da una posizione di accettazione del progetto a una di rifiuto.

Quello che sembra qui importante sottolineare però, non è tanto l’esito in termini di «esercizio» di democrazia ecologica, quanto il fatto che, attraverso la costruzione di un dialogo continuo con le esigenze della cittadinanza, l’amministrazione sia arrivata a cogliere l’esistenza di una «questione ecologica». Ad apprezzare il cambiamento da un contesto sociale caratterizzato dalla particolare rilevanza dell’aspetto occupazionale a uno in cui anche le tematiche del rischio ambientale e sanitario e dello sviluppo sostenibile sono interessi fondamentali della cittadinanza.

Non solo: questa vicenda segna anche il passaggio da un contesto in cui le decisioni potevano essere prese dall’alto, senza dover sentire l’opinione dei cittadini, a uno in cui ci si rende conto che tutto ciò non è più possibile e che servono nuove vie per promuovere la partecipazione popolare al processo di decision making. Casei Gerola non offre soluzioni innovative, ma è già molto significativo il fatto che si ponga domande: «Come affrontare in futuro casi simili? Come ottenere una governance davvero partecipata, se i luoghi tradizionali della discussione democratica, come il Consiglio comunale, sono diventati solo scatole autoreferenziali?»((Dall’intervista a Ezio Stella, sindaco all’epoca dei fatti, Casei Gerola, febbraio 2005.)) si chiede il sindaco Ezio Stella.

Emerge così un nervo scoperto delle società democratiche contemporanee, vale a dire l’ingresso sulla scena di questioni ecologiche che pongono con forza un problema politico, mettendo in crisi un sistema di sviluppo non sostenibile e reclamando nuove forme di partecipazione. O, almeno, un nuovo modo di utilizzare quelle esistenti, visto che – come ha dimostrato il caso della centrale a turbogas di Ferrara – non basta avere strumenti appositamente dedicati alla discussione tra istituzioni, imprese e cittadini, come il Forum di Agenda 21 locale, per farne un uso davvero proficuo.

A determinare l’inversione di rotta istituzionale di Casei Gerola è stata un’estesa mobilitazione della cittadinanza, innescata da una massa critica costituita soprattutto dai membri fondatori del Comitato intercomunale di opposizione allo smaltitore e alla centrale Edison. Il Comitato si dimostra particolarmente attivo nel ricorrere alle perizie tecniche, nel tentativo di costruirsi un sapere scientifico autonomo, ritenuto in grado di conferire credibilità e legittimità agli occhi della cittadinanza e, quindi, necessario per potersi confrontare con le istituzioni. Perizie, relazioni, interventi di esperti costituiscono così le solide fondamenta dell’attività del Comitato, ma raramente sono utilizzate per la comunicazione pubblica: lo scontro, infatti, non avviene su perizie tecniche relative al tema del rischio. Avviene piuttosto sul piano dei valori: il ricatto occupazionale, il diritto al futuro, la richiesta di democrazia, la libertà d’opinione sono tutti temi in grado di mobilitare la gente. Di spingerla a protestare nelle piazze o in affollate assemblee pubbliche, promuovendo la coesione del gruppo di fronte allo scontro, molto più di quanto potrebbe fare una discussione tecnica su un presunto pericolo.

Di segno opposto a questa, invece, è stata la vicenda di Voghera, dove è mancata non solo una forma estesa di protesta organizzata, ma addirittura una vera e propria discussione pubblica sull’argomento. Perché? Si possono suggerire diverse ipotesi.

Graziella Zelaschi, presidentessa dell’associazione Orizzonte Oltrepò, chiama in causa l’assenza di vita partitica: «Storicamente, sono sempre state le sedi dei partiti politici quelle in cui si discutevano i problemi della città. Da Tangentopoli in poi, però, queste sedi si sono andate progressivamente svuotando e con esse è scomparso il dibattito pubblico»((Dall’intervista a Graziella Zelaschi, presidentessa dell’associazione Orizzonte Oltrepò, Voghera, dicembre 2005.)).

Neppure la stampa ha rivestito un particolare ruolo di stimolo al dibattito: ci ha provato, con i suoi editoriali polemici, Il Giornale di Voghera che però non è bastato, da solo, a inaugurare una tendenza. Del resto, in cinque anni, il principale giornale locale, La Provincia Pavese, ha dedicato alla questione centrale soltanto una cinquantina di articoli. Meno di dieci all’anno, meno di uno al mese.

Niente discussione politica e niente stampa, insomma, mentre l’amministrazione ha sempre fatto di tutto per evitare il confronto con i cittadini: viene il sospetto che a Voghera la partecipazione popolare non ci sia stata perché è mancata prima di tutto l’informazione. Di cosa discutere se non si sa bene che cosa sta accadendo?

In realtà, la partecipazione non c’è stata perché chi si è fatto carico della protesta (associazioni ambientaliste e Orizzonte Oltrepò innanzitutto) non è riuscito a raggiungere una massa critica in grado di innescare una mobilitazione collettiva. Lo scontro in questo caso non si è giocato, come è accaduto a Casei Gerola, sui grandi valori della libertà d’opinione, della giustizia o della richiesta di democrazia. A Voghera si è puntato molto di più sul tema economico, tentando di dimostrare l’inconsistenza dei presunti vantaggi decantati dai proponenti e di difendere l’interesse economico già esistente degli agricoltori, e sulla polemica contro le modalità dell’iter amministrativo della centrale. A differenza che a Casei Gerola, poi, si è puntato di più anche sul presunto rischio per l’ambiente e la salute rappresentato dall’impianto.

Evidentemente, la lotta in difesa di un interesse economico particolare e non collettivo, la polemica contro eventuali «trucchetti» di un’amministrazione comunque amata (al punto che stravincerà le elezioni comunali del 2005) e il riferimento a dati scientifici in un contesto in cui la scienza non appare più come una certezza assoluta, dal momento che le parole di un esperto possono tranquillamente essere contraddette da quelle di un altro esperto, non sono bastati a mobilitare la cittadinanza.    

Di certo, c’è che se si considera la democrazia ecologica non come semplice richiesta da parte di gruppi particolari di persone con spiccato interesse per la salvaguardia dell’ambiente, ma piuttosto come valore assoluto e imprescindibile della società contemporanea, allora non possiamo che valutare quello di Voghera come caso evidente di fallimento di pratica democratica.

Bibliografia

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Ungaro D, Democrazia ecologica, Roma, Laterza 2004

World Commission on Environment and Development, Our Common Future, Oxford University Press, 1987

Allegato n.1

Manifesto di convocazione alla «Marcia per la salute» del 18 maggio 2002

  “MARCIA PER LA SALUTE “
CASTELNUOVO – CASEI – VOGHERA
 
NON VOGLIAMO CHE
– in un cerchio di 7 km. di raggio (già caratterizzato da tre aziende ad alto rischio, da servitù di elettrodotti-oleodotti-metanodotti, da due autostrade, da varie forme di inquinamento) si concentrino ben tre grandi centrali termoelettriche (Sannazzaro, Casei, Voghera) per complessivi 2530 megawatt, ossia il 5% del consumo energetico in Italia, e con un inquinamento da combustione gas pari a quello di una città di 1.500.000 abitanti;
– nei nostri paesi transitino continuamente camion-cisterna colmi di rifiuti liquidi speciali e pericolosi provenienti da ogni dove e destinati all’enorme impianto di smaltimento Solchem di Casei, con pesanti ricadute sull’ambiente, sull’economia, sulla viabilità e soprattutto con il pericolo di distruggere per sempre il più grande patrimonio della nostra zona: le ricche falde idriche.
CHIEDIAMO
– venga bloccato l’iter procedurale relativo a questa “concentrazione” di centrali;
– l’introduzione di una norma che stabilisca una distanza minima di 40 km. fra due centrali;
– il rispetto di quanto richiesto dai Comuni in merito allo smaltimento dei rifiuti liquidi che va riservato esclusivamente ai reflui prodotti all’interno della Solchem di Casei;
– che i politici e gli amministratori eletti nella nostra zona prestino una costante attenzione affinchè vi sia una linea di sviluppo ecocompatibile che tuteli l’ambiente e abbia come presupposto fondamentale la difesa della salute.
FACCIAMO SENTIRE LA NOSTRA VOCE !!!
SABATO POMERIGGIO
18 MAGGIO
Partecipiamo alla “MARCIA PER LA SALUTE” che si avvierà da Castelnuovo verso Casei Gerola e si concluderà a Voghera con una grande manifestazione
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castelnuovo scrivia
Raduno ore 14,30
Partenza ore 15,00casei gerola
Arrivo ore 16
Partenza ore 16,15voghera
Arrivo intorno alle 17,15
Conclusione in p.za Duomo
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Ogni mezzo è valido: a cavallo,col trattore, in bici. Le auto attendono alle porte di Voghera (piazza Meardi) da dove i partecipante si aggregheranno al corteo. Ore 18 conclusione in piazza del Duomo
 
Comitato intercomunale piemontese-lombardo “Orizzonte Oltrepo” di Voghera
Associazioni agricole alessandrine e pavesi ( Coldiretti, Confagricoltura, Confeder. Italiana Agricoltori )

Allegato n.2

Intervento conclusivo di Marta Santafede alla «Marcia per la salute» del 18 maggio 2002

Mi chiamo Marta, sono una ragazza di Castelnuovo Scrivia, figlia di agricoltori, ho 18 anni e frequento il liceo linguistico di Tortona.

Non salgo su questo palco per esibizionismo, ma per rivolgere a tutti voi un appello che rispecchia il punto di vista di un giovane di fronte a questa emergenza ambientale.

Io vivo in un paese che, come tutte le realtà minori, conserva ancora aspetti di vita legati alla solidarietà, alla attenzione ai vicini di casa, ai luoghi del passato un tempo importanti per i nostri nonni, quali la chiesetta del quartiere, la piazza, il torrente, i filari di alberi, certi aspetti della campagna.

Ritengo che essere moderni, che volere lo sviluppo, non equivalga inevitabilmente a spazzare via tutto, compresi certi valori di vita fondamentali, che io ritrovo nella mia famiglia; costringere i nostri occhi a vedere tutt’attorno ciminiere anzichè campanili, distese di cemento anzichè colture, enormi centri commerciali anzichè cascinali; costringere i nostri polmoni a depurare miasmi e aria contenente porcherie varie.

Ci deve pur essere una via intelligente per vivere meglio, con più giustizia e maggiore benessere senza sacrificare l’ambiente e il rapporto di grande rispetto che l’umanità ha sempre avuto, in passato, con la natura. Gli adulti dicono che noi giovani, pur agevolati in tutto, non siamo riconoscenti e non sappiamo dare il giusto valore ai tanti sacrifici che hanno fatto per noi. È vero che ci offrite un lungo periodo in famiglia, pieno di comodità, che ci portate a spasso continuamente nei centri commerciali ove tutto è a nostra disposizione. Vorrei, però, prendendo spunto dal famoso detto cinese “Ad un povero è meglio insegnare a pescare che non offrire un pesce”, far presente che ci sommergete di pesci, ma non ci insegnate a pescare, anzi fate di peggio: distruggete la vita nei fiumi e nei mari e quindi, qualora volessimo imparare a far da soli, non troveremmo neanche più i pesci.

Se ci insegnate ad approfittare del momento, ad essere egoisti, a pensare al proprio profitto, a ricavare ora il più possibile dalla natura – ammesso che si rinsavisca – come potremo cambiare logica quando tutto sarà spremuto? Fra qualche anno avrò anch’io dei figli, li voglio! Ma sono preoccupata perchè ho l’impressione che l’aria, l’acqua, il cibo, il mondo (anche nei suoi valori spirituali) non sarà più quello che voi avete ricevuto dai vostri nonni.

Perchè dico queste cose qui a Voghera? (con tanta paura addosso, lo confesso) Beh…anzitutto perchè me lo hanno chiesto, e poi perchè – proprio per i motivi che vi ho appena detto – non mi pare proprio che queste tre gigantesche centrali e questo smaltitore di sozzerie varie siano un bel regalo che fate a me, che fate ai miei coetanei vogheresi e tortonesi e, più in generale, che fate alla mia generazione.

Una scelta vostra, una scelta assunta nelle “stanze dei bottoni”, di cui noi subiremo le conseguenze per i decenni a venire.

Chiedo scusa per il disturbo.

Grazie!