Torio
Quando il mineralogista norvegese Jens Esmark trovò una roccia contenente un minerale che non riusciva ad identificare non trovò di meglio da fare che mandarlo al grande chimico svedese Jacob Berzelius (1779-1848) che aveva già scoperto nuovi elementi come il silicio, il selenio, il cerio. Berzelius si mise al lavoro e, nel 1828, riconobbe nel minerale la presenza di un nuovo elemento metallico che chiamò torio, in onore del dio Thor, una divinità scandinava. Il torio non ebbe grandi applicazioni per molto tempo fino al 1892 quando l’inventore austriaco Carl Auer (1858-1929) scoprì che, ponendo delle reticelle di fili di torio intorno ad una fiamma, questa reticella forniva una intensa luce bianca, migliorando l’illuminazione fornita dalle lampade a gas. Ma anche questa ondata di interesse ebbe breve vita; poco dopo venivano introdotte in commercio le lampade elettriche ad incandescenza con filamento di tungsteno che fornivano una luce intensa senza fiamma.
Dopo un altro periodo di limitato interesse commerciale il torio ha ricevuto di nuovo attenzione come possibile “combustibile”, o meglio materia prima, per i reattori nucleari. Il torio fa parte di una famiglia di elementi, chiamati ”attinidi” ad alto peso atomico, gli ultimi della tabella di Mendeleev, che si trovano subito dopo il radio (peso atomico 226 volte superiore a quello dell’idrogeno). Il primo elemento della serie è appunto l’attinio e il successivo, nella casella numero 90, è proprio il torio, peso atomico 232, dotato di un nucleo contenente 90 protoni e 142 neutroni. Fra gli attinidi si trovano tutti gli elementi coinvolti nell’energia nucleare, l’uranio e poi il nettunio, plutonio, americio, eccetera.
La scoperta della fissione nucleare, cioè della possibilità di ottenere energia dalla “frantumazione” di un nucleo atomico in nuclei più piccoli, fu fatta da Enrico Fermi (1901-1954) nel 1939; il mondo si rese subito conto che la fissione dei nuclei atomici avrebbe potuto fornire energia a fini commerciali, ma anche in forma “esplosiva” a fini militari. Stava intanto arrivando la seconda guerra mondiale e negli Stati Uniti fu avviato un programma di ricerche per studiare tutte le possibili strade con cui ottenere energia dai nuclei atomici; fra l’altro gli scienziati videro che, in seguito all’urto dei neutroni sui nuclei del torio non si aveva fissione e liberazione di energia, come nel caso dell’uranio e del plutonio, ma si aveva la formazione di un isotopo dell’uranio, l’uranio-233, che era fissile e poteva essere utilizzato come fonte di energia.
Mentre la maggior parte dell’interesse fu rivolto, dal 1943 in avanti, all’uranio e al plutonio, più “facili” da ottenere e utilizzare anche per bombe atomiche, il gruppo diretto dal fisico americano Alvin Weinberg (1915-2006) studiò dei reattori nucleari funzionanti con il ciclo torio-uranio. Furono anche costruiti dei reattori con tale ciclo; quello di Elk River, nello stato del Minnesota è abbastanza noto da noi perché l’allora Comitato Nazionale per l’Energia Nucleare aveva avviato un programma per il trattamento del “combustibile” usato in questo reattore. Il reattore funzionò soltanto dal 1962 al 1968 e fu poi abbandonato, ma intanto le sue scorie radioattive erano state spedite in Italia e sono ancora qui, a Trisaia, sul Mar Jonio, con la loro inutile e costosa e pericolosa radioattività.
I reattori funzionanti col ciclo torio-uranio furono abbandonati anche perché durante la guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica, i due paesi avevano interesse a costruire bombe nucleari a base di plutonio e dal 1946 in avanti tutti i reattori militari e commerciali furono realizzati quindi col ciclo basato sull’uranio che forniva, come sottoprodotto, appunto il “prezioso” plutonio. La guerra fredda è finita ormai da un quarto di secolo ma i reattori nucleari continuano a funzionare col ciclo uranio-plutonio e anche quelli previsti sono a base di uranio. Gli inconvenienti dei reattori a uranio-plutonio sono molti: i costi di costruzione e di funzionamento sono elevati; le riserve di uranio sono limitate; durante il funzionamento si formano grandi quantità di scorie che restano radioattive per centinaia di secoli e che nessuna so dove mettere; c’è il continuo pericolo che il plutonio radioattivo venga rubato a fini militari o di terrorismo.
È perciò rinato un interesse per i reattori a torio che alcuni fabbricanti propongono come fonti di “energia nucleare verde”. Per quanto se ne sa, il torio in natura sarebbe più abbondante dell’uranio; il suo principale minerale, la monazite, è il sottoprodotto della lavorazione di sabbie contenenti minerali di titanio e zirconio e si trova in Australia, India, Stati Uniti, Canada, Norvegia, Groenlandia, Brasile, Sud Africa. Dalla monazite si estraggono già le “terre rare”, importanti metalli industriali, e il torio sarebbe quindi il sottoprodotto di attività già in corso. Il lavoro con reattori a torio-uranio sono ripresi attivamente in India, Russia, Canada. I reattori nucleari a torio sono abbastanza simili a quelli attuali; una carica di torio, addizionata con piccole quantità di uranio fissile, viene sottoposta a “bombardamento” con neutroni; il torio si trasforma in uranio-233 che subisce fissione liberando energia e con formazione di neutroni che producono altro uranio-233 e prodotti di fissione radioattivi, anche se la radioattività di tali scorie è minore e diminuisce più rapidamente di quella delle scorie del ciclo uranio-plutonio.
L’uranio-233 è fissile, e quindi adatto per bombe nucleari, ma la sua separazione e recupero è difficile perché si tratta di un elemento molto radioattivo e quindi è meno esposto a tentativi di furti e sabotaggi e a pericoli di proliferazione nucleare. È abbastanza evidente che, davanti alle critiche rivolte ai reattori a ciclo uranio-plutonio, il complesso militare-industriale mondiale cerca di sopravvivere tentando di presentare i reattori a torio come “verdi”. Ma “verdi” non sono affatto e gli inconvenienti dell’energia nucleare restano tutti anche col torio e non vale far credere che “questo” nucleare ci libererà dal petrolio e dal carbone senza bisogno di energie rinnovabili!