Traversine ferroviarie

Alcuni anni fa Edward Tenner, docente e giornalista scientifico americano, pubblicò un libro intitolato: “Perché le cose ci rimbalzano addosso”, col sottotitolo: “Le vendette dell’innovazione tecnologica” (tradotto in italiano da Rizzoli). La tesi è che molte scoperte e invenzioni, salutate come rivoluzionarie e liberatorie, si sono spesso rivelate, col tempo, fonti di danni e guai ambientali e umani. Casi tipici sono il DDT, che ha liberato milioni di persone e tanti paesi dalla malaria e che, col tempo, ha dovuto essere vietato perché rivelatosi nocivo a molti ecosistemi planetari; o, da noi in Italia, la diga del Vajont, “perfettissima” ma costruita in una valle con le pareti geologicamente instabili, tanto che una frana a monte della diga ha provocato un’ondata che ha scavalcato la diga stessa (la quale ha resistito all’urto) e ha allagato e spazzato via i paesi vicini provocando duemila morti. L’avvertimento del libro è che forse è bene, quando viene introdotta una innovazione, pensare alle possibili conseguenze future.

Il discorso mi viene in mente leggendo le notizie sulla pericolosità delle traversine ferroviarie dismesse, impregnate di creosoto; proprio grazie a questo agente protettivo sono resistite sul terreno per decenni e hanno sostenuto le rotaie su cui sono circolati i treni che hanno trasportato innumerevoli persone e merci. Anzi si può dire che i trasporti e le telecomunicazioni e la diffusione dell’elettricità, gli strumenti della società moderna, insomma, sono stati possibili su così larga scala dopo che, nei primi dell’Ottocento, si è scoperto che il legno delle traversine e dei pali poteva resistere a lungo nel terreno se impregnato con certi derivati del catrame di carbon fossile.

Il legno è un meraviglioso materiale da costruzione, disponibile praticamente dovunque, adatto a fabbricare navi, case, ponti e innumerevoli altre “cose”; anzi, prima dell’avvento del ferro, è stato per millenni il principale materiale da costruzione dell’umanità. Purtroppo il legno, a contatto con l’acqua e esposto all’aria, è suscettibile di decomposizione e di attacco da parte di microrganismi che degradano le molecole dei componenti del legno stesso. Fin dai tempi più antichi gli uomini hanno cercato di proteggere il legno con agenti chimici o con trattamenti fisici. Lo dice anche il Dio della Bibbia quando ordina a Mosè (nel VI capitolo del Genesi) di costruire un battello di legno protetto, dentro e fuori, “da pece”, kofer in ebraico, pece o bitume che gli Ebrei conoscevano perché ne esistevano giacimenti in Palestina. Successivamente il legno è stato protetto con vernici, resine, sali, fino alla rivoluzione industriale quando sono divenuti disponibili i sottoprodotti della distillazione sia del legno sia del catrame di carbon fossile.

Agli inizi del 1700 l’inglese Abraham Darby (1677-1717) aveva scoperto che, per riscaldamento del carbone fossile, si otteneva il carbone coke (un’operazione che viene fatta ancora oggi negli stabilimenti siderurgici) adatto a trasformare i minerali di ferro in ferro negli altiforni. Nelle cokerie si formavano dei sottoprodotti liquidi e catramosi inquinanti; nel 1788 l’inglese Archibald Cochrane (1749-1831), anticipando l’attuale tendenza a combattere l’inquinamento col riciclo dei rifiuti, scoprì che da tali residui catramosi, scaldati, si potevano ottenere moltissimi composti “aromatici”, come benzolo, fenolo, cresoli, naftalina, antracene, anilina, eccetera, tutti di interesse commerciale, adatti per la produzione di coloranti, esplosivi, medicinali, disinfettanti, eccetera. Nello stesso inizio dell’Ottocento cominciavano a diffondersi le ferrovie, le linee telefoniche e telegrafiche, le linee elettriche. La prima linea ferroviaria è del 1825 e già nel 1830 fu scoperto che le traversine di legno, su cui venivano appoggiati i binari di ferro, potevano essere protette impregnandole con creosoto, un derivato della distillazione del legno, o con una simile frazione della distillazione del catrame di carbon fossile. Il creosoto era (ed è ancora oggi) costituito da una miscela di fenolo e suoi derivati. A dire la verità che qualcosa non andasse del tutto bene si vide presto; molti operai che maneggiavano il catrame e alcuni derivati si ammalarono di tumore; anzi la scoperta delle sostanze responsabili di molte malattie dei lavoratori cominciò proprio analizzando le componenti del catrame di carbon fossile, fra cui alcune, come gli idrocarburi aromatici policiclici, si sono rivelate fra le sostanze più cancerogene esistenti.

Con la diffusione delle linee ferroviarie in tutto il mondo si moltiplicarono gli studi e le invenzioni per proteggere meglio il legno delle traversine e dei pali elettrici e telegrafici, anche se il creosoto, pur nocivo anche lui, ha continuato ad essere usato su larga scala. Tra le sostanze non catramose che si prestavano per la protezione del legno furono sperimentati sali di cromo e di arsenico e il pentaclorofenolo, ottenuto per reazione del cloro col fenolo, uno dei prodotti della distillazione del catrame, impiegato a partire dal 1930, e oggi anche lui vietato. A poco a poco, per motivi non ecologici, ma tecnico-pratici, le traversine ferroviarie di legno catramato e trattate con agenti chimici, sono state e sono sostitute con traversine di cemento; a questo punto le traversine di legno dismesse si sono trasformate in milioni di tonnellate di rifiuti di legno contaminato da sostanze nocive, abbandonate in Italia e in Europa e da smaltire in qualche modo. Il primo pensiero sarebbe quello di bruciarle, ma se contengono creosoto si formano sostanze inquinanti, se contengono pentaclorofenolo si formano diossine; se si lasciano all’aria c’è il rischio che una parte delle sostanze impregnanti finisca nel terreno e inquini le acque sotterranee; questi residui sono in parte oggetto di smaltimento e commerci clandestini o di esportazioni talvolta fraudolente; un gran problema destinato a farsi sempre più grave. E così le traversine e i pali catramati, che hanno reso possibile il cammino della civiltà dei trasporti e delle comunicazioni, ci stanno rimbalzando oggi addosso.