Un caso di “memoria lacerata”: l’Italia degli anni Settanta nei manuali di storia

La sollecitazione di Sergio Bologna ((Si rimanda qui all’intervento di Sergio Bologna su Il lungo autunno: il conflitto sociale degli anni Settanta tenuto il 7 giugno 2016 alla Casa della Cultura di Milano, nel quadro del ciclo di incontri a cura di Franco Amatori intitolato “L’approdo mancato”)) a rivedere il giudizio sugli anni settanta in Italia come periodo buio e negativo, periodo di gravi errori collettivi, di occasioni mancate, potrebbe essere utilmente raccolta per affrontare un ambito a cui la storia accademica (la “storia degli storici”) guarda superficialmente, quello dei manuali scolastici. Da quella sollecitazione origina la presente incursione tra i libri di testo per le scuole superiori, per capire come i volumi dedicati alla storia del Novecento abbiano trattato il decennio post-68 e i temi propri di quel periodo, e di quale memoria sono portatori.

Per la sua struttura produttiva e per il peculiare profilo del proprio mercato, l’editoria scolastica si presta bene alla nostra analisi. La maggior parte dei testi in commercio, infatti, non è il frutto di originali impostazioni di specialisti di didattica né di personali interpretazioni di storici di professione, peraltro raramente toccati dal dono della prosa divulgativa; è prodotto, invece, del lavoro – in gran parte “esterno” – di équipe redazionali che fanno capo ai maggiori gruppi editoriali, tre dei quali da soli (Pearson, Mondadori Education e Laterza) controllano il 55% dell’offerta nel segmento della storia per le superiori. Fatte salve le differenze nelle scelte grafico-espositive e la pletora di materiali sussidiari di cui sono variamente dotati, i libri di testo possono dunque efficacemente testimoniare quali siano le versioni prevalenti, i dati, le considerazioni, i bilanci da consegnare agli studenti sul tema degli anni settanta, tenendo conto che per gran parte delle famiglie italiane il manuale di storia rimarrà il primo e spesso il solo libro di storia che avranno a disposizione.((Secondo dati del 2010, la “saggistica storica” rappresenterebbe appena il 2,2% del mercato editoriale complessivo. Cfr. Roberto ROVEDA e Chiara VILLA, La storia d’Italia (mal) raccontata agli italiani, in «Limes», n° 2, mag. 2011. Roberto Roveda è co-autore di libri di testo di storia per le superiori pubblicati dal gruppo Pearson))

Ancor più, visto il meccanismo “adozionale” su cui prospera l’editoria scolastica italiana, di cui i veri “clienti” non sono le famiglie acquirenti bensì gli insegnanti che adottano il libro di testo per le classi in cui insegnano, i libri di testo di storia rispecchiano le opinioni prevalenti in una popolazione professionale di docenti che occupa (o dovrebbe occupare) un ruolo chiave nella trasmissione della memoria collettiva. Non possiamo conoscere, purtroppo, la graduatoria delle vendite dei testi, poiché – nonostante l’adozione sia decisa dall’istituzione scolastica ma si traduca in acquisto obbligato per le famiglie degli studenti – i dati sulle quote di mercato per titolo non sono pubblici, anzi sono gelosamente riservati agli addetti ai lavori sotto l’attenta supervisione dell’Associazione Italiana Editori, che li raccoglie direttamente dalle scuole italiane.

Riportiamo qui, per dare almeno un ordine di grandezza quantitativo, alcuni dati tratti da fonti indirette e non aggiornati. La seguente classifica delle adozioni di storia nel triennio risale all’a.s. 2008-09, ed è stata ricavata da una tesi di dottorato sul tema. ((Vedi Milena ROMBI, La conoscenza della storia del Novecento in uscita dalla scuola secondaria di II grado.Un’indagine empirica su livelli di conoscenza ed esperienze didattiche degli studenti neo-diplomati dell’Università “Sapienza” di Roma, a.a. 2010-11, in seguito pubblicata con lo stesso titolo da Editrice Nuova Cultura, Roma, 2013, pp. 238.))

Fonte: Milena ROMBI, cit., p. 176 (il testo segnalato come * era di nuova pubblicazione)

Secondo questa classifica, la storia si conferma come un segmento peculiare dell’editoria scolastica italiana, più frammentato rispetto al mercato nazionale complessivo: una situazione che non dovrebbe essere mutata sino ad oggi, cioè fino a che non si concretizzerà una posizione dominante del gruppo Mondadori, accreditato dopo la recente fusione con Rizzoli al 25% del mercato e seguito da Zanichelli con il 17%. ((Cfr. il comunicato ANSA del 6.3.2015, riportato dal sito http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=17075

))
Quanto all’orizzonte economico-finanziario entro cui opera l’editore di un libro di storia per le scuole, possiamo riprendere le parole di uno dei massimi dirigenti della Bruno Mondadori, nonché co-autore di un testo di storia leader di mercato: un corso di storia per le superiori di 1500 pagine, considerate come dimensione media (complessiva per 3 volumi), per l’editore significava – nel 2003 – un costo medio a pagina di 70-80 euro, e quindi un investimento di 100-120.000 euro: tenendo conto delle copie in saggio per i docenti, significava un punto di pareggio intorno alle 12-15.000 copie vendute. ((Cfr. Emilio ZANETTE, Comunicare con il manuale, intervento al convegno del SISSCO Società italiana per lo studio della storia contemporanea, Pisa, aprile 2003. Emilio Zanette è oggi il direttore editoriale di Pearson Italia)) In altri termini, secondo queste cifre il successo commerciale viene garantito dall’adozione consigliata da un numero relativamente esiguo di docenti, tra 180 e 200. È molto probabile che la situazione odierna non sia molto diversa da quella di una dozzina di anni fa, pur in presenza di una chiara tendenza alla concentrazione del mercato nelle mani dei maggiori gruppi editoriali.((Ripetuti sono stati gli interventi dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato circa le infrazioni commesse dagli editori italiani di scolastica. Si veda tra gli altri il suo provvedimento n° 18286 del 24.4.2008, in cui il Garante ha affermato che l’AIE e le aziende aderenti avevano «messo in atto un’attività di coordinamento tesa a definire linee d’azione comuni, anche nella forma di reazioni volte a concertare o ostacolare la possibile introduzione di elementi di novità nel mercato italiano dell’editoria scolastica». La stessa Autorità, del resto, asseconda la strutturale opacità di un mercato totalmente sostenuto dalle famiglie sulla base di decisioni d’acquisto prese dalle istituzioni scolastiche. Se ne veda il comportamento, ad esempio, nella delibera di avvio dell’istruttoria circa la fusione Mondadori-Rizzoli, con la quale l’Autorità garante della concorrenza ha reso sì pubblici i dati essenziali del mercato e delle quote di mercato dell’editoria scolastica per i principali operatori, però rendendoli illeggibili (ogni dato numerico è stato trasformato in un range privo di valore informativo): cfr. delibera n° C12023 del 21.1.2016))
Qui di seguito, riportiamo alcune schede di analisi dei più significativi volumi di storia del Novecento destinati alle scuole superiori, e delle parti più specificamente dedicate agli anni settanta e alle lotte del lavoro, prese come campione e test dell’impostazione didattica e storica. Nelle citazioni testuali, le sottolineature sono nostre, a indicare le scelte lessicali o le costruzioni più vaghe, indeterminate, allusive, che rendono astratto il discorso storico e nascondono le scelte, gli interessi, le politiche dietro una patina impersonale e “oggettiva”.

1.
M. FOSSATI, G. LUPPI, E. ZANETTE, La città della storia, vol. 3 “Il Novecento e il mondo contemporaneo”, Milano, Ed. Scol. B.Mondadori/Pearson, ed. 2012, pp. 504
Leader nella classifica nazionale delle adozioni, in circolazione da un decennio, ora in cinque edizioni (tra digitale e on-line), tipico prodotto dell’équipe redazionale – tanto che il testo è opera quasi integralmente del direttore editoriale del gruppo Pearson -, il volume è anche il più ridotto in pagine tra quelli presi in considerazione.
Seguendo l’impostazione grafico-didattica dell’intero corso, la metà superiore della pagina accoglie il testo principale su due colonne, quella inferiore gli “approfondimenti”.
Nell’unità 33 (“L’Italia repubblicana”, interamente opera di Luigi Luppi), il capitolo 3 si intitola significativamente “Gli anni settanta e ottanta. Dagli ‘anni di piombo’ al blocco del sistema politico”, dieci pagine esatte (pp. 387-396), in cui il testo rappresenta il 47% dell’impaginato, cioè approssimativamente 27.000 battute.
Come sempre, il testo principale è su due colonne e suddiviso in brevi capitoletti, che qui non superano mai le 2.400 battute ciascuno. La sequenza degli argomenti è la seguente: La crisi degli anni settanta; 1975: inflazione e recessione; Spesa pubblica, evasione fiscale, debito pubblico; Gli “anni di piombo”; Il terrorismo “nero” e il terrorismo “rosso”; Berlinguer e la strategia del “compromesso storico”; Il Pci nella maggioranza di governo e il rapimento di Moro; La morte di Moro e la fine dell’unità nazionale [sic!]; La “marcia dei quarantamila” e la ripresa del conflitto sindacale; Gli anni ottanta: la ripresa economica e i suoi limiti; I modelli culturali degli anni ottanta: individualismo e ambientalismo; Il pentapartito e i governi Craxi; Il blocco del sistema politico e il declino del Partito comunista.
Gli “approfondimenti” riguardano nell’ordine:
– evoluzione del PIL 1950-85 (grafici in assoluto e per incrementi annui)
– vittime degli “anni di piombo”
– il testo della relazione di Berlinguer al XIV congresso del PCI (Perché è necessario il compromesso storico)
– il rapimento Moro (anche con fotostoria)
– scheda biografica di Pertini
– scheda “geostorica” (cioè con cartina) dei distretti industriali
– andamento del debito pubblico e dell’inflazione nel periodo ’70-’80 (con grafici)
– il concordato del 1984
– il cambiamento di livelli e stili di vita 1951-87 (tabella).
Altra caratteristica del corso – secondo un modello di cui Pearson/B. Mondadori sono stati pionieri – è l’accesso tramite password a una serie di materiali via web che, per il capitolo in questione, rimandano ad alcuni articoli dello Statuto dei lavoratori del 1970 ( Libertà e tutele nei luoghi di lavoro, 0.37 Mb), a un brano di Nicola Tranfaglia (La strategia della tensione e i tentativi di golpe , tratto da un libro antologico uscito nel 2002 dal titolo Come studiare il terrorismo e le stragi, 0.46 Mb) e a brani di Giorgio Galli su La lotta armata e la Resistenza “tradita” tratti dal libro Il partito armato del 1993 (0.27 Mb).
Cosa c’è. Si parte dalla debolezza strutturale del nostro paese resa acuta dallo shock petrolifero (saturazione del mercato automobilistico, dipendenza delle importazioni, crescita della spesa nel bilancio dello stato con alta evasione fiscale). Si indica nell’aumento del costo del lavoro («accresciuto per effetto delle lotte sindacali») un ulteriore elemento di crisi, che ha eroso la competitività italiana sui mercati dell’export e ridotto i margini di profitto in precedenza «basati su livelli salariali particolarmente bassi». La strategia delle imprese fu quella di rialzare i prezzi per ricostituire i margini di profitto, mentre il potere d’acquisto dei salari rimaneva difeso dalla scala mobile. «L’inflazione colpiva però i settori della popolazione non protetti dal meccanismo di indicizzazione e impossibilitati a recuperare l’inflazione con l’aumento dei salari. La scala mobile, oltretutto, produceva essa stessa effetti inflazionistici, perché il periodico adeguamento di stipendi e salari all’aumentato costo della vita veniva scaricato dalle imprese e dai commercianti sui prezzi, senza che per molti anni si riuscisse a interrompere questa spirale». Da qui, l’inflazione a due cifre, e le conseguenti politiche monetarie ed economiche restrittive, che portarono alla recessione e nel 1975 alla prima diminuzione del PIL dal 1945.
Nel paragrafo sulla spesa pubblica, si accenna agli elementi di più esteso welfare (cassa integrazione, scolarità e sanità, copertura pensionistica, “baby pensioni”), giustapposti a una fiscalità largamente evasa, «diffusissima e tollerata per ottenere il consenso degli evasori».
Immediatamente seguono gli anni di piombo, i terrorismi rosso/nero, il compromesso storico, il rapimento e la morte di Moro.
Cosa non c’è. Non c’è nessuna spiegazione storica degli avvenimenti, la storia anzi risulta – anche questa è una caratteristica tipica e costante di tutto il corso Fossati-Luppi-Zanette, uno dei punti forti del catalogo Pearson – dallo svolgimento cronologico dei fatti, dalla sequenza dei fatti, non da decisioni e scelte. Qui i temi del conflitto del lavoro semplicemente precedono quelli del terrorismo, a cui è dedicata la maggior parte del capitolo, che poi si chiude con la marcia dei “quarantamila”. Il raccordo anche sintattico è concepito così: «Quegli anni vennero definiti ‘anni di piombo’ poiché, accanto alla crisi economica e alle difficoltà della finanza pubblica, un altro gravissimo fattore di instabilità fu rappresentato dal fenomeno del terrorismo». Il nesso causale (le lotte portano al terrorismo) non è esplicitato ma risulta – per sequenza logica – comunque efficace, tant’è vero che il discorso sugli anni settanta si chiude sul rifiuto della lotta sindacale («contro i picchetti operai, contro l’egualitarismo salariale indotto dalla scala mobile e per rivendicare il ripristino della gerarchie in fabbrica»). Sembra inoltre che le vicende politiche (PCI dentro/fuori l’area di governo) e il terrorismo abbiano pesato sulle lotte sindacali, ma nel testo non si istituisce nessun rapporto causale: «In questa fase si interruppe anche il dialogo tra imprenditori e movimento sindacale avviatosi all’inizio degli anni settanta, di fronte al dilagare della crisi economica e nel quadro della politica di unità nazionale [… Tale dialogo] si era basato su una linea di moderazione salariale, cui doveva corrispondere, da parte imprenditoriale, una politica a sostegno dell’occupazione e investimenti capaci di mettere in moto lo sviluppo delle regioni meridionali. Alla fase del dialogo subentrò uno scontro molto aspro [… che] si concluse nell’ottobre 1980, con la storica sconfitta del sindacato e del PCI».

2.
A. ZORZI, A. ZANNINI, W. PANCIERA, S. ROGARI, Storia, vol. 3, “Il Novecento e il mondo contemporaneo”, Novara, Garzanti Scuola/De Agostini, 2009, pp. 694
Ben quattro docenti universitari, ordinari rispettivamente di storia medievale (Zorzi, a Firenze), di storia moderna e veneziana (Zannini a Udine, e Panciera a Padova), di storia contemporanea (Rogari a Firenze) sono stati riuniti dal gruppo editoriale De Agostini per il rilancio del marchio Garzanti Scuola nell’affollato settore della storia per le superiori. Si sono divisi i compiti: Zorzi-Zannini nel 1° volume, Zannini-Panciera nel 2°, Rogari per il 3°.
Il corso si articola in unità didattiche, a loro volta suddivise in capitoli così articolati: una mezza pagina di presentazione; un testo principale su due colonne piuttosto denso (5.500-6.000 battute per pagina), impaginato di solito su metà della pagina con varie soluzioni tipografiche (a scacchiera, mezza alta, mezza bassa, con riquadri di spalla ecc.), foto su una colonna con didascalie corpose; tabelle e grafici commentati; una mappa concettuale del capitolo; uno o più inserti di “fonti”; box lessicali; un “dossier” monografico a doppia pagina con testo e immagini; e alla fine di ogni capitolo, una “sintesi”, una cronologia, una bibliografia, gli “esercizi”. Alla fine di ogni unità, la sezione “Il mestiere dello storico” raduna alcune pagine tratte dai testi citati in bibliografia.
Troviamo gli anni settanta in Italia trattati all’interno della VI e penultima unità didattica del volume 3°, un grosso contenitore intitolato Verso un mondo multipolare (1968-1991) di oltre cento pagine (491-594), con 4 capitoli (22. “Il 1968 e le nuove relazioni tra Usa e Urss”; 23. L’Europa dal 1968 alla dissoluzione del blocco sovietico”; 24. “I vincitori e i vinti della globalizzazione: Asia, Africa e America Latina”; 25. “L’Italia alla ricerca della stabilizzazione politica”). In questa unità, il testo principale occupa poco meno della metà dell’impaginato, 320-330.000 battute. Il cap. 25 – in cui è relegata l’analisi della situazione italiana – consta di 21 pp. per 65.000 battute circa di testo principale, a cui vanno aggiunti i documenti (qui stralci dello Statuto dei lavoratori, e la lettera di Moro a Zaccagnini), box di valore lessicale (ad es. giusta causa, scala mobile, debito pubblico ecc.) o tematico (l’aumento dei single in Italia, la loggia P2), un “dossier” a pagina doppia sul rapporto tra pubblico-privato-terzo settore, e i consueti apparati conclusivi.
Il capitolo è diviso in 3 paragrafi: 25.1 La lunga crisi politica; 25.2 La solidarietà nazionale; 25.3 Il Pentapartito e la crisi del sistema italiano. È presentato così: «La storia italiana dei vent’anni che seguono il 1968 è la storia di una mancata stabilizzazione politica e di una faticosa trasformazione del sistema produttivo. Infatti, con l’autunno caldo del 1969 viene a mancare una condizione fondamentale che fino ad allora aveva garantito la crescita economica, ossia il basso costo del lavoro, mentre la stabilità dei cambi monetari, dopo la fine della convertibilità oro/dollaro, verrà recuperata solo con la nascita del Sistema monetario europeo» (p.566), cioè dopo il 1979.
Il primo paragrafo analizza la crisi di rappresentanza della DC, dà conto che quella italiana è una crisi «più complessa e duratura» che nel resto d’Europa, «per certi versi fu analoga, ma per altri se ne differenziò, soprattutto per il fatto che alla fine divenne endemica» (sic!). Vi si cumulano tre diversi aspetti: «1. riguardò la tenuta del sistema dei partiti e la sua capacità di dare una risposta riformatrice alla grande trasformazione economica e sociale in atto nel Paese; 2. investì l’economia, che ebbe difficoltà a reagire di fronte alla perdita dei presupposti e delle condizioni interne necessarie allo sviluppo; 3. rivelò una natura sociale profonda, che si manifestò in diversi modi, fra i quali la crescita del fenomeno terrorista» (p. 566). Affrontati il referendum su divorzio e la legge sulle regioni a statuto ordinario, si passa al paragrafo “La marcia dei 40.000”: la sospensione a zero ore di oltre 14.000 operai alla Fiat è un «progetto [di ristrutturazione aziendale che] aprì un duro fronte di conflitto con il sindacato», da qui 35 giorni di occupazione, ma «in seguito, una grande manifestazione diventata famosa come la “marcia dei 40.000”, alla quale presero partesoprattutto i dirigenti della Fiat (quadri e capireparto), costrinse il sindacato a scendere a patti firmando l’accordo proposto dall’azienda. La marcia aveva dimostrato che gran parte dei quadri aziendali appoggiava la ristrutturazione, necessariaper salvare la ditta, e disapprovava l’azione sindacale [in neretto nel testo], che invece l’avrebbecondannata al fallimento. Questa ferma presa di posizione rappresentò un vero shock per il sindacato [in neretto nel testo] che, per la prima volta dai tempi dell’autunno caldo, si vedeva apertamente contestato [in neretto nel testo]». La centralità della vertenza Fiat portò «inevitabilmente a un indebolimento e a un cambio di direzione nelle relazioni sindacali in Italia. L’irrigidimento dei vertici dell’azienda […] era stato determinato soprattutto dal fatto che l’introduzione del Sistema monetario europeo aveva avviato politiche monetarie restrittive in Italia, necessarie per mantenere tassi di cambio stabili con le altre monete europee. Non era più possibile scaricare il costo del lavoro sui prezzi dei prodotti e quindi era necessario diminuire i costi della produzione [in neretto nel testo], riducendo il personale e avvalendosi di nuove tecnologie». Nel 1981 la Uno rilancerà la Fiat «che pure dovette chiudere definitivamente la fabbrica storica del Lingotto» (p. 568).
Nel paragrafo sulla strategia della tensione, poco più avanti, la bomba di Bologna è messa in diretto collegamento con la vertenza Fiat: « anche in questo caso, l’attentato avveniva in una fase della vita politica italiana nella quale il conflitto sociale [in neretto nel testo] era particolarmente aspro, soprattutto a motivo della vertenza Fiat, di cui abbiamo appena parlato, in attoproprio in quelle settimane». Quanto agli “opposti terrorismi”, «le matrici ideologiche erano diverse, ma ambedue i fenomenitraevano alimento dalla debolezza delle istituzioni, dalla crisi sociale in atto nel Paese e dalla convinzione, coltivata daforze occulte presenti in Italia e all’estero, che le azioni terroristiche avrebbero potuto condizionare le scelte e gli indirizzi del governo [in neretto nel testo], o addirittura portare alla conquista del potere da parte di frange estremistiche» (p. 570).
I successivi paragrafi sono dedicati a “L’avanzata della Destra”, “La scissione socialista”, “L’avanzata del Pci”, quindi a “La stagflazione”, “La finanza pubblica”, “Il debito e il ritardo italiano” per appuntarsi su “I sindacati e le politiche egualitarie”, non senza prima un accostamento tipografici non casuale in un medesimo box (tra “Punto unico di scala mobile” e “Debito pubblico”), mentre nella stessa pagina, in un'”immagine della storia” (foto con commento) significativamente intitolata “Stop alle auto!”, possiamo leggere: «La circolazione dei veicoli, anche se a targhe alterne, fu ripristinata nel 1974 e tutto tornò come prima. Anche oggi si teme ancora, da un momento all’altro, il possibilescoppio di un’analoga crisi energetica, in grado questa volta di paralizzare, oltre alla circolazione privata, anche quella pubblica e la stessa produzione industriale occidentale».
Quanto ai «criteri egualitaristici» che ispiravano le rivendicazioni sindacali, «questo servì acatturare il consensodei lavoratori delle categorie più basse e di recente immissione nel mondo industriale, avviando unnuovo processo di crescita della sindacalizzazione [in neretto nel testo], che fino al 1968 aveva invece conosciuto un progressivo indebolimento» (p. 573). Non fosse chiaro, il tema è ancora ripreso nel paragrafo “La crisi della rappresentatività sindacale”, che sarebbe qui da citare integralmente (p. 576): limitandoci alle parole in neretto nel testo, abbiamo la sequenza autonomia, subalternità dei sindacati rispetto alle diverse formazioni politiche, prospettiva di carriera, riunificazione sindacale («che non si realizzò»), Federazione tra le tre principali confederazioni, Luciano Lama.
L’abnorme trattazione del tema si deve senza dubbio all’imprinting autoriale di Rogari, responsabile del 3° volume del corso, nonché autore (nel 2000) di un citatissimo libro sulle relazioni industriali nell’Italia repubblicana (Sindacati e imprenditori, Firenze, Le Monnier, pp. 304).
Cosa non c’è . Poiché l’autore ha deciso di concentrare il caso Italia nell’ultimo dei 4 capitoli, nei tre precedenti non si fa cenno all’Italia come elemento del gioco e dei mutamenti internazionali, se ne istituisce solo una “derivazione”, una dipendenza indiretta per sequenza logica, il quadro internazionale che impone la cornice e i limiti delle vicende nazionali. Ma soprattutto non c’è nessuna cautela a rivelare una trama ideologica piuttosto grossolana, un esibito schierarsi dalla parte delle revanches di destra.

3.
A. GIARDINA, G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, I mondi della storia, vol. 3, “Guerre mondiali, decolonizzazione, globalizzazione”, Roma-Bari, Laterza, 2014, pp. 625
Il trio degli autori è capitanato da Giovanni Sabbatucci, uno degli allievi di maggior successo di De Felice, oggi in cattedra alla Sapienza, insieme – oltre che all’antichista Andrea Giardina – a Vittorio Vidotto, per parecchi lustri consulente “interno” di Laterza per la storia contemporanea. I loro libri sono adottati da quasi trent’anni, sotto vari titoli.
Qui il testo principale, su una sola colonna, occupa talvolta la metà superiore della pagina – quando in taglio basso è posta una fotografia o una mappa con didascalie lunghe – ma più spesso l’intera pagina.
Il cap. 13 è un grande contenitore che considera L’Italia della Prima Repubblica (1945-89) in 35 pagine (400-434), suddiviso in 11 paragrafi. Vi si inseriscono 3 box corposi (sul 18 aprile 1948, su De Gasperi, sullo strumento del referendum), mentre sui margini compaiono brevi domande di verifica, precisazioni lessicali, brevi suggerimenti bibliografici. 3 pagine finali sono dedicate alla sintesi e all’eserciziario.
Il testo è di grande densità tipografica, complessivamente il capitolo supera le 88.000 battute. I paragrafi che ci interessano sono tre, su una sequenza di undici:
8. Violenza politica e crisi economica, 6.000 battute
9. Terrorismo e “solidarietà nazionale”, 10.000 battute
10. Gli anni ’80, 6.000 battute.
Cosa c’è . Nel paragrafo che li precede (7. Il centro-sinistra) si era dato conto di una presenza “operaista” originale comparsa in Italia tra ’69 e ’70, e descrive così le lotte dell’ “autunno caldo”: «avviatesi in modo spontaneo in alcune grandi fabbriche del Nord, le lotte si caratterizzarono per l’elevato grado di partecipazione e per la radicalità delle richieste, incentrate sull’egualitarismo (contro le disparità salariali legate alle differenti tipologie e qualifiche degli operai e alla diversa collocazione geografica delle imprese) e sulla messa in discussione dell’organizzazione e dei ritmi di lavoro in fabbrica. Per quanto colte di sorpresa dal movimento, le tre maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl, Uil) riuscirono a prendere in mano la direzione delle lotte e a pilotarle verso la conclusione di una serie di contratti nazionali che assicurarono ai lavoratori dell’industria cospicui vantaggi salariali [in neretto nel testo]. Cominciò così una fase in cui i sindacati assunsero un peso crescente nelle vita del paese, trattando direttamente col governo anche su questioni non strettamente attinenti ai rapporti di lavoro (fisco, pensioni, sanità, tariffe pubbliche)», conquistando poi lo Statuto dei lavoratori.
Fatta questa premessa, nei tre paragrafi successivi si è scelta la via della narrazione dei fatti politici: le stragi, il PSI che punta al coinvolgimento governativo del PCI, gli scandali e il finanziamento pubblico dei partiti, i referendum, il compromesso storico, e poi i terrorismi. In un passaggio di raccordo si dice che «negli stessi anni in cui doveva fronteggiare il salto di qualità compiuto dal terrorismo di sinistra, il governo si confrontò con la crisi economica». Riassunti i dati della crisi (riduzione del PIL, inflazione del 17-19% come effetto del caro petrolio, della dilatazione dei consumi e di una spesa pubblica crescente), si trova il movimento del ’77 e, con il suo riflusso, l’adesione di « non pochi giovani» al terrorismo. Dopo il sequestro Moro, nel sottoparagrafo “Austerità e riforme”, «il governo cercò di avviare il risanamento dell’economia, aiutato in questo dall’atteggiamento dei comunisti, che si fecero sostenitori di una linea di austerità, e da una relativa moderazione delle richieste sindacali». Si riconoscono i miglioramenti «ma, sul fronte delle riforme, la difficoltà di conciliare tutti gli interessi rappresentati nella coalizione, portò a risultati discutibili. La legge del ’78 sull’equo canone […] avrebbe prodotto risultati disastrosi, creando un doppio mercato degli alloggi, soprattutto nelle grandi città. La riforma sanitaria […] si sarebbe rivelata, nell’applicazione concreta, fonte di inefficienza e di sprechi. Nel complesso, la politica di solidarietà nazionale non produsse risultati adeguati all’ampiezza delle forze impegnate e alle attese dell’ opinione pubblica di sinistra». Messi in successione, quello che segue – cioè gli scandali, la corruzione e le dimissioni di Leone – sembrano così conseguenza del fallimento della solidarietà nazionale.
Cosa non c’è . Sotto il titoletto “Il ridimensionamenti dei sindacati”, si legge che «all’inizio degli anni ’80 si registrò un’altra profonda trasformazione degli assetti politico-sociali, anch’essa legata al generale riflusso della spinta a sinistra che aveva caratterizzato buona parte degli anni ’70. Nell’autunno 1980 i sindacati subirono la loro prima grave sconfitta [in neretto nel testo], dopo l'”autunno caldo” del ’69, nella vertenza apertasi con la Fiat sul problema della riduzione della manodopera. Mentre il Pci appoggiò gli operai in sciopero, l’azienda torinese riuscì a imporre le proprie scelte di razionalizzazione produttiva e l’allontanamento dei responsabili di violenze in fabbrica, con l’imprevisto aiuto di una mobilitazione di piazza dei quadri aziendali intermedi». È come se tutto fosse detto dopo, un “senno del poi” storico, quando tutto ha fine, ovviamente.

4.
Alberto Mario BANTI, Il senso del tempo, vol. 3 “1900-oggi”, Roma-Bari, Editori Laterza, ed. 2012, pp. 686
È uno degli ultimi testi arrivati sul mercato, e forse l’unico tra i più venduti a presentarsi con un’immagine “autoriale” individuale, affidata a uno storico accademico affermato, corteggiato dai media e attivo in rete. Immaginiamo che Laterza, dopo il successo del Giardina-Sabbatucci-Vidotto, pensi a rinnovare la propria significativa presenza di mercato con uno storico di una generazione più giovane. Le impostazioni di fondo più originali del corso sono la dominanza del testo principale nell’impaginato, un misurato ricorso a immagini scelte soprattutto per la loro qualità evocativa, e – nei contenuti – una netta propensione per la storia sociale e di costume. L’abbondanza delle formule mitigative in inciso e delle costruzioni impersonali, tuttavia, fa sospettare un successivo intervento redazionale sui testi dell’autore, mirato a smussare e a costruire una narrazione “mediana” più gradita al mercato.
Nelle 130 pagine dell’unità 6 Il mondo contemporaneo, che chiude il volume ed è divisa in tre capitoli (18. “L’Occidente dal 1970 a oggi”; 19. “Desideri e paure”; 20. “Scenari della globalizzazione”). Colpisce, oltre alla presentazione dell’unità con la bizzarra icona di Captain America (Marvel©), questa inserzione di “desideri e paure”, così coniugata: Il dominio dei monitor; Narrazioni commerciali; Matrimoni affettivi; La rivoluzione sessuale e le sue implicazioni; Questioni etiche, risposte sociali; Violenze misogine; Per sempre giovani.
Il cap. 18 “L’Occidente dal 1970 a oggi”, è di 40 pagine di denso testo principale su una sola colonna, spesso pagine di solo testo da 3.900-4000 battute ciascuna, intervallate da pagine occupate dal testo per almeno i due terzi. L’intero capitolo è valutabile in non meno di 124.000 battute complessive. Graficamente la singola pagina, quando non è di solo testo, riporta un’immagine con didascalia breve o un grafico, o un denso box (lessico, biografia, breve esercitazione).
Cosa c’è . I 10 paragrafi in cui si divide il capitolo 18. sono così intitolati: 1. La stagflazione 2 pp.; 2. Le difficoltà degli USA 2 pp.; 3. Una stagione di piombo (poi declinata in sotto-paragrafi dedicati a Irlanda, Spagna, Germania Ovest, Italia) 6 pp.; 4. Una stagione di rose 4 pp. con un documento sulla liberazione della donna di area radicale; 5. Una stagione di garofani (con Portogallo, Grecia e Spagna) 3 pp.; 6. Politica ed economia: dalla svolta neoliberista a oggi 5 pp.; 7. Il blocco sovietico dalla crisi alla disgregazione 5 pp.; 8. La guerra torna in Europa 4 pp.; 9. Un’Europa unita 3 pp.; 10. La politica italiana 1980 a oggi 5 pp.
Si parte quindi dalla fine di Bretton Woods e dallo shock petrolifero, per giungere alla stagflazione: «il fenomeno si abbatte su un Occidente che, per più di un verso, si trova in una fase di difficoltà politica; e le tensioni sociali che ne derivano, ne risultano, in una certa misura, esasperate». Gli anni settanta sono visti essenzialmente come politica internazionale (guerra del Kippur, Watergate, impeachment, Carter, Iran, Reagan). Dopo il terrorismo, il femminismo: «gli anni Settanta non sono solo piombo, sangue, crisi economica, disagio politico. Costituiscono pure una fase in cui i movimenti non violenti aprono nuove e diverse possibilità di convivenza. Uno dei più importanti tra questi è il movimento femminista […]». Il quinto paragrafo è dedicato a Portogallo, Grecia e Spagna. Nel sesto paragrafo, la svolta neoliberista è completamente centrata sulla Thatcher e poi su Reagan, per approdare a Obama (?). Il settimo è dedicato alla crisi del sistema sovietico, l’ottavo alle guerre iugoslave, il nono alla nascita dell’UE.
Cosa non c’è . Non c’è nessun riferimento agli anni settanta in Italia. Nei primi due paragrafi non si parla dell’Italia, nel terzo il terrorismo è inquadrato sul piano europeo, per concludere che «nessuna delle formazioni terroristiche riesce a raggiungere gli obiettivi che persegue; nondimeno – in una certa misura – le loro azioni fanno rivivere all’Europa degli anni Settanta le paure e le angosce che generazioni precedenti hanno vissuto su scala molto più ampia». Le 4 pagine dedicate al terrorismo in Italia si limitano alla contrapposizione tra la “linea delle BR” e il “compromesso storico” di Berlinguer, alle vicende del 1978 e alla fine della “solidarietà nazionale”.
Nel sesto paragrafo vi è un lungo brano riferito al contesto occidentale che potrebbe riguardare anche l’Italia, pur senza nominarla: «in alcuni casi la situazione è resa particolarmente complessa dal tentativo di conservare sostanzialmente intatta la struttura delWelfare State costruita tra anni Cinquanta e anni Sessanta. Questo obiettivo, perseguito soprattutto dai partiti di sinistra, sembra difficilmente realizzabile nel contesto della stagflazione. Mantenere un alto livello della spesa statale, che consenta di finanziare la scuola pubblica, il sistema sanitario pubblico, l’apparato pensionistico e antinfortunistico, è possibile solo grazie alla conservazione di una forte e costante pressione fiscale [neretto nel testo]. Ma una politica di questo genere, con un’economia che non cresce più, un netto aumento dei prezzi e una disoccupazione in rapido aumento, è estremamente impopolare ed economicamente controproducente, poiché tende a deprimere ulteriormente la domanda».
Il decimo paragrafo si focalizza sull’Italia degli anni ottanta.
Tutto qui.

5.
G. GENTILE, L. RONGA, A. ROSSI, Il Nuovo Millennium, vol. 3, Brescia, Editrice La Scuola, 2016, pp. 896
Ultimo arrivato, ma opera di autori collaudati e già presenti da molti anni nel catalogo dell’editore La Scuola, il corso è strutturato per unità didattiche, ciascuna a sua volta suddivise in tre parti (riconoscibili dal colore del bordo pagina): il testo principale, i documenti, i riassunti. Ogni unità è presentata da una pagina di infografica.
Il testo – sempre suddiviso in capitoli – è piuttosto denso, mediamente la pagina è di 2.500-3.000 battute ma si può arrivare sino a 4.000 battute/pagina quando manca uno dei molti elementi che costituiscono gli altri livelli testuali (foto, tabelle e grafici commentati, domande per la guida allo studio, rimandi ai materiali digitali). Di particolare densità sono anche i box tematici situati per lo più in taglio basso, in corpo tipografico molto piccolo, a carattere monografico o biografico o lessicale.
L’unità 15 (L’Italia repubblicana: dalla ricostruzione agli anni di piombo) occupa 50 pagine (587-636), approssimativamente superando le 70.000 battute complessive. Il testo principale è suddiviso in 8 capitoli (L’urgenza della ricostruzione 2 pp.; Dalla monarchia alla repubblica 9 pp.; La corsa per Trieste 1½ pp.; Il centrismo 3½ pp.; Il “miracolo economico” 3½ pp.; Il Concilio Vaticano II 2 pp.; Dal centro-sinistra all'”autunno caldo” 2 pp.; Gli anni di piombo 8½ pp.) per 32 pp. complessive, a cui vanno aggiunti 12 pp. di documenti (su Luigi Sturzo; sul rapimento Moro; sugli anni di piombo) e 5 pp. di riassunti.
Cosa c’è. Nel capitolo 7 prevale l’impostazione politica su quella economica, come si capisce anche dai suoi tre paragrafi: Il centro-sinistra (1962-68); La modernizzazione in parte mancata; L'”autunno caldo” e il sessantotto. Sulla vertenza dei metalmeccanici del dicembre ’69 si dice: « Praticamente tutte le richieste dei sindacati furono accolte: 40 ore di lavoro settimanali; aumenti salariali uguali per tutti; diritto per gli operai di organizzare assemblee nelle fabbriche durante l’orario di lavoro; riduzione delle differenze esistenti tra operai e impiegati. Le lotte dell'”autunno caldo” furono talora espressione di iniziative spontanee degli operai che si organizzarono in comitati di base o consigli di fabbrica. Nel complesso, tuttavia, le maggiori organizzazioni sindacali (CGIL, CISL, UIL) riuscirono a dirigere le lotte e uscirono rafforzate da questa stagione. In questo periodo, infatti, i sindacati accrebbero il loro peso e iniziaronoa trattare con i governi anche su materie non immediatamente legate ai contratti di lavoro, come la rivendicazione di riforme nel campo della sanità, della scuola, del fisco. In questo modo influirono in campi d’iniziativa che erano sempre stati propri ed esclusivi dei partiti. Tutto ciò durerà fino all’inizio degli anni Ottanta».
Il “caso dell’Italia” è poi brevemente ripreso nella successiva unità 16, nel primo dei suoi cinque capitoli, quello dedicato a I “trent’anni gloriosi” (1945-1973), per spiegarne il miracolo economico, conseguenza soprattutto dell’adesione alla CEE e dell’abbondanza di manodopera a buon mercato: «i salari dei lavoratori italiani rimasero fino agli anni Sessanta i più bassi d’Europa», ma aggiungendo un terzo motivo «di forte incentivo: l’azione dello Stato[neretto nel testo] che intervenne in maniera consistente, stimolando l’economia” con diversi strumenti (rilancio dell’IRI, piano Fanfani, grandi infrastrutture autostradali ecc.).
Cosa non c’è . Abbiamo citato, praticamente alla lettera, tutto quello che riguarda gli anni settanta nelle cinquanta pagine prese in considerazione, prevalentemente dedicate al terrorismo politico.

6.
A. DESIDERI, G. CODOVINI, Storia e storiografia. Per la scuola del terzo millennio, voll. 3A (Dalla Belle Époquealla Seconda guerra mondiale) e 3B (Dalla Guerra fredda a oggi), Firenze, D’Anna, 2015, pp. 450+452.
Si tratta di un evergreen tra i manuali per licei, in circolazione dal 1978 e a suo tempo accreditato di un’impostazione “progressista”, per il ricorso sistematico – ancorché piuttosto velleitario nell’applicazione didattica non universitaria – a un’ampia selezione di brani storiografici. Aggiornato più volte con il contributo di vari “secondi” autori, questa edizione è un completo rifacimento a cura di Giovanni Codovini ma sotto la supervisione dell’attenta redazione Zanichelli, che si è servita di uno stuolo di “consulenti” esterni (oltre settanta!).
Sono presentati diversi livelli di lettura: una doppia pagina di infografica per presentare le unità didattiche, una doppia pagina di introduzione a ciascun capitolo con una cartografia tematica, un testo principale quasi sempre spezzato da foto, tabelle, grafici, approfondimenti lessicali, l’impiego di paragrafi e sottoparagrafi e infine – caratteristica peculiare del “Desideri” – la presentazione di numerosi documenti nella sezione “Archivio” e soprattutto nella sezione “Storiografia”.
L’unità 6 del vol. 3B (Dentro l’Europa e l’Occidente) si divide in due capitoli: 17. L’Italia: dagli “anni di piombo” a “Tangentopoli”; 18. La politica nell’Occidente contemporaneo, rispettivamente di 49 e 45 pagine ciascuno. Il capitolo 17 si articola in cinque paragrafi: 1. La crisi politica ed economica degli anni Settanta; 2. Il terrorismo e gli “anni di piombo”; 3. Dal “compromesso storico” al delitto Moro; 4. Il nuovo clima politico ed economico degli anni Ottanta; 5. La fine della Prima Repubblica.
A loro volta, 1. 2. e 3. presentano la seguente sequenza di sottoparagrafi: Il declino e la fine del centro-sinistra; La crisi economica degli anni Settanta; Le ultime riforme del centro-sinistra; Le minacce eversive negli anni Sessanta; Il terrorismo di destra; Il terrorismo di sinistra; Berlinguer e la proposta del “compromesso storico”; L’avvicinamento tra DC e PCI; Il rapimento Moro e la fine della “solidarietà nazionale”; Le riforme del 1978.

Cosa c’è . Nell’impostazione del corso – come si sarà già compreso dall’articolazione dei sottoparagrafi – è dominante la storia politica (per l’Italia), mentre sul piano internazionale prevale la visione geopolitica, probabilmente dovuta all’impostazione “aggiornata” e globalizzante di Codovini. Il capitolo 17, quello che riguarda più strettamente gli anni settanta, laddove nel primo paragrafo si analizza il declino del centro-sinistra, si trova una prima interpretazione del periodo: «L’elettorato socialista era palesemente combattuto tra l’esigenza di cambiare il Paese da posizioni di governo e il richiamo della piazza a posizioni di sinistra più dure, proprio quando la cittadinanza nel suo complesso,minacciata dalla protesta studentesca e operaia e, come si vedrà tra breve, dal terrorismo incombente, si spostava su posizioni più moderate, per niente propizie alle riforme». L’orizzonte interpretativo si completa poco più avanti quando, indicando le principali cause della crisi economica degli anni settanta, si afferma che «erano palesementenecessarie pesanti misure antinflattive, come il taglio dell’assistenza statale, la riduzione del credito e il contenimentodelle retribuzioni, ma gli esecutivi tardavano ad adottarle, temendo di perdere il consenso degli elettori […] A metà degli anni Settanta, insomma, nessun governo era abbastanza forte da intavolare una politica economica efficace».
Nelle pagine di documenti della sezione “Archivio” è riportato un collage di brani dagli articoli del 1973 di Berlinguer su “Rinascita”; una lettera di Moro dalla prigionia; l’intervista di Zavoli a Franceschini; un’analisi di “Cosa nostra” di Falcone; l’intervista di Beria d’Argentine a Borrelli; il discorso di Occhetto alla “Bolognina”; il discorso di Berlusconi sulla sua discesa in campo del 1994. Nella sezione “Storiografia”, articolata in tre sottosezioni, sono riportati brani dai libri di Castronovo (sulla struttura economica italiana), F.Amatori-A.Colli (sulla politica finanziaria dei grandi gruppi industriali negli anni ottanta); Di Lellio (sul femminismo); Tranfaglia (sulla mafia); Lanaro (sulla politica craxiana), Salvadori (sulla Lega Nord), Galli (sul “partito armato”), della Porta (sul terrorismo neofascista) e infine Paoloni, sulla deprecata fine del nucleare in Italia. In tutto, 22 pagine di documenti.
Cosa non c’è . Si sostengono in modo apodittico posizioni conservatrici e di neoliberismo economico, ma non si spiegano le ragioni dei passaggi più rilevanti. Si veda all’inizio del paragrafo sugli “anni di piombo”: «Alle difficoltà del sistema partitico e a quelle derivanti dalla crisi economica si aggiunse negli anni Settanta la minaccia proveniente dal terrorismo politico. Questa fu così pesante da instillare in alcuni momenti nell’opinione pubblica il timore che la democrazia italiana non superasse la prova e crollasse. Tale paura aleggiò sul Paese per l’intero decennio, ma alla finefortunatamente si dissolse, lasciando la repubblica salva». Colpisce per la vaghezza, tra le molte, l’espressione impersonale “si dissolse”.

7.
G. DE LUNA, M. MERIGGI, G. ALBERTONI, La storia al presente, vol. 3 (Il mondo contemporaneo), Torino, Paravia/Pearson, 2008, pp. 696
È il capofila della dozzina di titoli firmati da De Luna, presente nel catalogo Paravia dal 2000, come firma di prestigio e connotata “a sinistra” con cui il gruppo Pearson ha cercato di replicare il successo del precedente e innovativo Storia dell’età contemporanea di M. Revelli e P. Ortoleva (B. Mondadori, 19821, pp. 669, più volte rivisto e ancora in catalogo). Qui De Luna è associato al modernista Meriggi, docente alla Federico II di Napoli, e al medievalista Albertoni, che insegna a Trento. L’impianto del corso è largamente tributario delle tendenze editoriali da tempo generalizzate: il testo principale è quantitativamente molto ridotto, occupa circa il 55% dell’impaginato di un capitolo, e la pagina più densa contiene al massimo 3.000-3.300 battute, regolarmente spezzata in due paragrafi e con la presenza in pagina di almeno un’immagine, soprattutto foto evocativo-documentali. Queste tendenze di fondo sono perfettamente complementari con l’altra, vero dogma dell’editoria scolastica, dell’obbligatoria infarcitura con tutti gli apparati didattici, supporti, schemi, esercizi, richiami lessicali, letture, guide per gli insegnanti, per la maturità, per il CLIL, materiali scaricabili da internet ecc., a quanto pare richiesti a gran voce dai docenti e molto “spinti” dalle reti di vendita.
Il corso si articola per “sezioni” suddivise in “unità”. Nel 3° volume, di cui è interamente autore De Luna (ad eccezione di schede e apparati didattici) vi sono 7 sezioni per 20 unità complessive. Prendiamo la sezione F Il mondo bipolare, di 72 pagg. complessive: è articolata in due unità, 15. “Tra due blocchi” (36 pp., circa 69.000 battute) e 16. “Il caso italiano” (26 pp., 51.000 battute), più due pagine di letteratura (Orwell e Pereira) e una sezione storiografica di 8 pp. (brani da J. e G. Kolko, G. Maione, A. Loomba, C. Pasquinelli, G. Crainz).
Cosa c’è . Ne “Il caso italiano” vi sono 5 capitoli suddivisi in brevi paragrafi: 1. I governi di centro-sinistra (I progetti; Da Fanfani a Moro; L’industria pubblica; Tensioni politiche; Da Giovanni XXIII a Paolo VI); 2. Le lotte studentesche e l’autunno caldo (Il Sessantotto degli studenti; I gruppi extraparlamentari; Il 1969 degli operai; Il sindacato; Il conflitto sociale al Sud); 3. Il compromesso storico (Ordine pubblico, regioni, divorzio; La proposta Berlinguer; La risposta della DC; Il rapimento e l’assassinio Moro); 4. Il terrorismo (Violenza e politica; Lo stragismo e la strategia della tensione; Il terrorismo rosso; I giovani del 1977 e il movimento delle donne; Il femminismo; Il declino della conflittualità operaia); 5. Continuità e rotture (L’economia e la società; Il declino dei partiti tradizionali; Craxi e il PSI).
I paragrafi più significativi sono quelli dedicati al sindacato, nei capitoli 2 e 4. «Mentre i partiti stentavano a farsi interpreti del mutamento sociale, fu il sindacato ad assumere compiti e funzioni più complessive, diverse da quelle tipiche del suoruolo tradizionale. Le tre principali organizzazioni nazionali, la CGIL, la CISL e la UIL,avviarono una progressiva unificazione, riconoscendosi in un programma comune che non si faceva più caricosoltanto delle rivendicazioni salariali, bensì di tutti i problemi connessi alle condizioni dei lavoratori. Così, nel1970, […] i salari degli operai venivano finalmente aumentati e uniformati alla media europea [tutti i neretto nel testo]» (p. 551). Lo Statuto dei lavoratori è mostrato non retoricamente come conquista che rompe le pratiche di licenziamenti arbitrari e la negazione dei diritti politici sul posto di lavoro, e il sindacato imbocca la strada della cogestione delle politiche industriali, soprattutto nelle partecipazioni statali.
Più avanti, il declino della conflittualità operaia è indicato come contemporaneo all’attenuazione della violenza politica: «a partire da quel momento, prese a cambiare l’organizzazione del lavoro», e «le nuove tecniche produttive finivano così per spezzare l’omogeneità della classe operaia, mettendo i sindacati in difficoltà proprio nella loro capacità di rappresentare i temi inediti della condizione del lavoro ». Dopo la vertenza Fiat: «con gli operai furono sconfitti anche i sindacati, che videro messa in discussione la loro efficacia nel tutelare gli interessi dei salariati e la loro stessa rappresentatività [tutti i neretto nel testo]» (p. 560).
Cosa non c’è . Non c’è abbastanza distanza dall’impostazione dominante sul mercato, che fa simile ciascun libro più ad un album Panini che a un manuale di storia. Peccato, perché qui i testi, pur tendendo al giornalistico, sono informati e meditati.

Questa breve rassegna, ancorché solo esemplificativa e che meriterebbe di essere allargata almeno a tutti i testi di maggior diffusione scolastica, ci dà l’occasione per qualche osservazione critica.
Dal punto di vista storiografico, domina senza scampo l’identificazione tra anni settanta e “anni di piombo”, come anche la fatalistica rassegnazione alla costrittiva cornice internazionale, rassegnazione – a dire il vero – più caratteristica del tempo presente che di quel passato non tanto lontano. La collocazione internazionale dell’Italia non è mai indicata come all’origine della strategia della tensione, e d’altra parte si insiste sul compromesso storico fino – direi – a sopravvalutarne spesso la reale portata, e talvolta se ne indica anche la debolezza, ma non si spiega il carattere di auto-promozione governativa di un ceto politico cresciuto nel PCI ma bloccato dall’interdetto americano. Che la stagione delle bombe si chiuda quando il PCI è rispedito all’opposizione non appare mai come un risultato voluto e raggiunto degli “anni di piombo”.
Sorge il dubbio che un’interpretazione così riduttiva e superficiale degli anni settanta e delle loro lotte – assolutamente prevalente nel campione considerato – non sia in realtà il riflesso della “memoria lacerata” che percorrerebbe il paese, o almeno in quei ceti che hanno conservato un’idea sociale di sé e del proprio ruolo. Non sarebbe così uniforme l’offerta editoriale, così politically correct da lasciare spazio solo al “pensiero unico” neoliberista e all’equazione (talvolta scoperta, mai fondata) tra richieste sociali e disordine terroristico. Questo appiattimento sembrerebbe piuttosto la traduzione in manuale scolastico di un “immaginario collettivo” attribuito tanto agli insegnanti (che adottano il libro) quanto alle famiglie (che talvolta lo sfogliano), affidata all’arbitraria e autoreferenziale interpretazione dei chierici al servizio dell’industria editoriale scolastica.
In effetti il prevalere di una narrazione evenemenziale e superficiale, perlopiù limitata all’alternarsi dei governi, alle logiche interne dei partiti, all’affermarsi di leader politici mediocri, riproduce e fa rivivere la pochezza del dibattito politico di allora, ma non ha rilevanza né didattica né pedagogica. Così gli autori dei più diffusi testi di storia si fanno interpreti del punto di vista dei pretesi “vincitori”, di allora e soprattutto di oggi, che è in sostanza quello di non dare voce alle aspirazioni al cambiamento (e non al “nuovo che avanza”), al benessere (e non al consumismo), alla cultura (e non all’intrattenimento), ai diritti (e non alla legalità), alla giustizia (e non alla sicurezza), aspirazioni che sono state di milioni di italiani e che sono state negate con la forza. Di questo atteggiamento “negazionista” è tra l’altro anche spia la marginalità – quando non la totale assenza – nei testi considerati della questione ambientale, nonostante le lotte per la salute in fabbrica e attorno alle fabbriche siano una delle eredità più vive che gli anni settanta hanno lasciato ai decenni successivi.
Di grande – ma distorto – rilievo è invece il ruolo dato all’interpretazione economicista delle lotte sociali degli anni settanta. La chiave interpretativa principale e onnipresente è quella di una ineludibile crisi internazionale che delimita “oggettivamente” il campo delle politiche economiche nazionali possibili: che è poi il punto di vista che ha reso centrali istituzioni come la Banca d’Italia e, sul piano globale, il Fondo Monetario, e che ha giustificato la bocciatura e l’abbandono dei tentativi più generosi e autonomi di riformismo economico e sociale. Che il costo del lavoro operaio fosse da tener basso, che il welfare sia stato soprattutto fonte di sprechi e malgoverno, che il sindacato non fosse così rappresentativo, sembrano tutte verità di fede incontrovertibili nei libri di testo esaminati, fatta eccezione per il libro di De Luna, che si distingue per lo sforzo interpretativo. Così lo “stato sociale” ne esce come una pretesa irrealistica, al di sopra dei mezzi, date le condizioni di fatto dell’economia italiana: però non vi sono né dati né giudizi intorno al ruolo del tutto inadeguato del capitalismo italiano, sia pubblico che privato, in una fase di cruciale trasformazione in direzione post-fordista. Tutt’al più si fa ricorso, appunto, al qualunquistico argomento del “malgoverno” o a quello classista delle irragionevoli pretese sindacali.
Qui viene da notare un’altra caratteristica comune a tutti i testi, sia pure in misura diversa e con risultati diversi, cioè la scelta prevalente di una narrazione di taglio giornalistico, che tradisce in realtà la vulgata corrente dell'”ideologia scolastica”, cioè le concorrenti presunzioni: che il linguaggio giornalistico sia di più facile e generale comprensione (cosa peraltro smentita dalle statistiche sulla diffusione della stampa quotidiana d’informazione nel nostro paese); che un’esposizione concettualmente più densa e impegnativa non sia alla portata dei nostri attuali studenti (preconcetto tanto diffuso tra gli insegnanti quanto basato su impressioni e prassi didattiche mai realmente testate con serietà, neppure su un campione limitato); e che il ricorso sempre più frequente a elementi di costume, spesso scivolando nella banalizzazione, possa essere utile allo studio di un periodo storico. Abbiamo la forte impressione che questi sillogismi confondano le cause con gli effetti, proprio storicamente parlando: cioè che l’aver portato la scuola sul terreno dei media, adottando di questi il linguaggio e le retoriche “culturali”, le mode e gli ammiccamenti, abbia svuotato il lavoro didattico di contenuti informativi e impoverito gli strumenti critici forniti agli studenti, e questo sì ha potentemente contribuito a indebolire la forza del metodo storico e a renderne l’insegnamento sempre più incoerente, tanto più all’interno di “piani formativi” e di “competenze” così incoerentemente adottati nella scuola pubblica italiana