Un convegno di studi su Laura Conti

Il convegno tenutosi a Brescia il 23 marzo 2001 su “Laura Conti e l’ambientalismo scientifico” ad opera della Fondazione Luigi Micheletti, si poneva tre obiettivi principali. In primo luogo far conoscere la complessa, multiforme, spesso anticipatrice attività di Laura Conti, incentivando lo studio di una protagonista di primo piano delle vicende politiche e intellettuali dell’Italia della seconda metà del Novecento, nonché di un personaggio ineludibile per la conoscenza dell’ambientalismo italiano e internazionale.

La ricostruzione biografica di ambio respiro, sempre legata ai documenti, offerta da Renato Marco Martorelli, e a seguire i contributi su aspetti specifici ma di sorprendente interesse di Carlo Bonfantini, incentrato sull’esperienza resistenziale e nel Lager di Bolzano, di Roberto Denti, con una capacità meravigliosa di riportarci nel laboratorio creativo di Laura Conti, l’approfondimento equilibrato e incisivo del significato della “svolta di Seveso” dovuto ad Angela Alioli, hanno soddisfatto ampiamente l’istanza da cui erano partiti gli organizzatori del convegno.

Anzi gli spunti contenuti nelle suddette relazioni e in quelle seguenti pongono in modo esplicito un’esigenza che la pubblicazione degli Atti sicuramente rafforzerà, ovvero la realizzazione di una approfondita biografia intellettuale della Conti, che già a pochi anni dalla morte (risalente al 1993) si distingue nettamente nel panorama non esaltante della nostra storia culturale recente, acquisendo un rilievo e un’importanza di cui solo una cerchia ristretta era consapevole mentre ella era in vita.

L’eccezionalità della sua figura non deriva solo dalla prodigiosa molteplicità degli interessi e dei settori a cui si dedicò con originale, inconfondibile e talvolta bizzarra dedizione (dalla medicina alla politica, dalle scienze naturali alla storia, dalla psicoanalisi alle lotte sociali, sino all’indagine delle dimensioni irrazionali dell’esistenza e della vita); bensì dall’aver calato tutto ciò nella comprensione acutissima, e colta in presa diretta, che si era entrati in una nuova dimensione della storia, segnata dalla crisi ecologica globale e che per rispondere a tale sfida inedita occorreva dotarsi di nuovi strumenti intellettuali e di una nuova sensibilità, rinnovando spregiudicatamente teorie e comportamenti, sempre alla luce di un confronto frontale con la realtà, senza veli ideologici e convenzioni rassicuranti. Il che contribuì non poco a renderle difficile la vita, creando qualche scompiglio tra i suoi stessi amici e “seguaci”.

Il secondo obiettivo dell’iniziativa, strettamente intrecciato al primo, consisteva nel far conoscere le potenzialità dell’archivio che la Fondazione ha ricevuto tramite il titolare del lascito e che ha provveduto ad ordinare, ponendosi il traguardo di una pubblicazione che dovrà essere affiancata da una bibliografia degli scritti editi e inediti. Un lavoro non facile perché molte carte sono andate disperse, e gli appelli lanciati per avere una collaborazione da parte di chi possiede materiali della Conti non sono stati sinora raccolti: situazione per altro ormai patologicamente normale e segno tangibile del dominio trasversale della sindrome della privatizzazione. Nonostante le difficoltà e le lacune, i materiali che si stanno rendendo disponibili sono indispensabili per approfondire e contestualizzare momenti di grande interesse della biografia intellettuale della nostra: dalle prime intelligenti e al momento non capite critiche condotte in ambito comunista su temi come medicina e ambiente, su cui ha rilasciato testimonianza autorevole Giovanni Berlinguer, sino alla collaborazione convinta e intensa, e ovviamente anticonformista, al progetto di “Capitalismo Natura e Socialismo” – principale tentativo del marxismo non solo italiano di dotarsi di strumenti teorici e analitici all’altezza delle esigenze manifeste – su cui è stato centrato il contributo di Giovanna Ricoveri. Dalla documentazione raccolta, di cui si può considerare parte integrante il ricco lascito bibliografico, al di là dei criteri di classificazione, per la natura di strumenti della gran parte dei testi, emerge ancora l’attenzione della Conti verso i ripetuti casi di aggressione alla salute e all’ambiente che costellano la modernizzazione sotto forma di industrializzazione diffusa e predatrice, di cui Seveso fu l’esempio emblematico, nonché la sua scelta e capacità di farne materia di racconti per pubblici differenziati, di parlare ai sentimenti senza tradire la ragione – temi affrontati nei contributi di Carla Cavagna e Anna Re –.

È ovvio, per chi sa dell’impegno profuso dalla Conti tra istituzioni e associazioni, che la gran parte delle carte (inclusi i carteggi) e dei materiali documentari riguardino la sua azione all’interno dell’ambientalismo italiano, occupando un ruolo di primo piano più come ispiratrice e suscitatrice di energie e battaglie che non per gli incarichi occupati – anche in questo caso non senza contrasti –. Sono intervenuti in merito Roberto Musacchio e Massimo Scalia, per altro l’unico ambientalista storico con un ruolo pubblico che abbia partecipato al convegno, proponendo con molta passione letture diverse ma, a nostro avviso, non incomponibili in un movimento frastagliato e che riproduce al suo interno tutte le divisioni che hanno segnato la storia della sinistra, aprendosi semmai con più o meno consapevolezze e suggestioni a posizioni riconducibili, almeno sul piano culturale, ai filoni del pensiero di destra (in primis sulla questione della Tecnica). Un passaggio difficile e non aggirabile su cui si fa acuta la mancanza di teste pensanti, come era Laura Conti, a fronte della pletora di esponenti e rappresentanti abituati a navigare a vista, in nome della necessità di convivere con la società del rischio e delle opportunità.

Il terzo obiettivo del convegno era di contribuire a consolidare il percorso intrapreso dalla Fondazione Luigi Micheletti a partire dagli anni ’90, in cui accanto al mantenimento del tradizionale interesse per le ideologie novecentesche e all’avvio di un grande e problematico Museo dell’industria e del lavoro, si persegue lo sviluppo di una storiografia della crisi ecologica al cui centro si collochi l’indagine del rapporto tecnica-ambiente nell’età dell’industrializzazione. Le motivazioni di una tale scelta, che chi scrive ha cercato di argomentare nel suddetto convegno, appaiono clamorosamente evidenti, eppure esse nel contesto italiano restano quasi del tutto disattese. La sindrome della rimozione, che veniva posta al centro delle riflessioni di una storiografia che muoveva i primi passi un paio di decenni fa, è stata variamente superata in vari contesti culturali europei ed extraeuropei ma resta ancora in vigore da noi. A titolo esemplificativo segnalo come la recente e brillante sintesi sulle interpretazioni del Novecento di Mariuccia Salvati (Laterza, 2001) non contenga alcun riferimento a tale problematica che pure domina l’ultimo quarto del secolo. Si potrebbe dire che ciò dipenda dal vuoto storiografico di cui si diceva, ma la cosa vale soltanto per l’Italia mentre gli studi sull’età dello sviluppo e sulle forme di dominio della natura, ovvero sulle ideologie naturalistiche, per non dire di ricostruzione delle idee e dei movimenti ambientalisti, dell’ecologia e dei suoi rapporti con le scienze naturali e umane, compongono ormai ricchissime biblioteche e sono un luogo di elezione, di incontro tra saperi e discipline diverse.

Non si può nemmeno imputare il ritardo ad una debolezza del pensiero ambientalista italiano che, a parte il caso di Laura Conti, può vantare i contributi, molto diversi come impostazione ma innegabilmente di alto livello di studiosi come Giorgio Nebbia e Enzo Tiezzi, che con la loro presenza hanno dato lustro e animato i lavori del convegno bresciano. Comunque una peculiarità italiana in tema di storia dell’ambiente nell’età dell’industrializzazione sicuramente esiste e su di essa la Fondazione, dotatasi di un Centro di storia dell’ambiente e di questa rivista on line, intende tornare sia potenziando le raccolte documentarie, sia con seminari e dibattiti, che con vere e proprie ricerche (per esempio dedicate a storie di fabbriche nell’ottica dell’impatto sui lavoratori, le popolazioni, l’ambiente). L’ipotesi base, semplice e forte, è che un approccio di tipo storico sia straordinariamente efficace per analizzare e conoscere l’insieme delle problematiche scientifiche, tecniche, ecologiche che sono al centro di ogni riflessione minimamente consapevole sul nostro tempo.

Se è così la rimozione di cui si diceva, piuttosto che riguardare una ristretta corporazione, assume un valore strategico, è uno strumento imprescindibile perché funzioni il meccanismo della servitù volontaria dopo che è finita l’età dello sviluppo. Penso di poter dire che Laura Conti avrebbe approvato il tentativo di superare un’empasse che denota sia mancanza di coraggio che una dimissione dell’intelligenza.