Virginio Bettini e la nascita di “Nuova Ecologia”: un’intervista

All’inizio pensavo di fare il medico, 
poi mi sono messo a fare il geografo 
perché mi piaceva di più, diciamo, il terreno 
su cui la gente mette i piedi che il modo 
in cui la gente muove i piedi.

Ho incontrato per la prima volta Virginio Bettini durante il mio percorso di laurea triennale: era la fase conclusiva della ricerca di tesi, dedicata al movimento ambientalista italiano e alla storia della rivista “Nuova Ecologia”((Elena Davigo, Gli anni Ottanta oltre la crisi dei partiti: la nascita del movimento ambientalista italiano, Tesi triennale coordinata da Paolo Capuzzo, Alma Mater Studiorum di Bologna, a.a. 2010-2011.)). L’incontro si svolse nel suo ufficio di professore universitario, a Venezia, un pomeriggio del 22 ottobre 2011. Il dialogo che ne seguì fu volto a ripercorre le tappe che portarono alla nascita del mensile, furono tracciate alcune traiettorie dei protagonisti di quell’esperienza editoriale, rievocati gli ideali e le motivazioni sottesi all’attività di allora e allo stesso tempo venne effettuato un bilancio dell’esperienza che fu. Per una sua decodifica è fondamentale considerare il rapporto di triangolazione tra presente e passato, che nel tempo trascorso individua una lente attraverso la quale guardare e interpretare l’esperienza professionale e politica svoltasi in gioventù ((Tra i diversi riferimenti bibliografici possibili a questo proposito, uno dei testi più interessanti è quello di Alessandro Portelli, La città dell’acciaio: due secoli di storia operaia, Roma, Donzelli, 2017.)). Oggetto del dialogo sono in particolar modo gli anni Settanta e Ottanta: vengono tracciate linee di continuità e rottura tra l’esperienza della rivista “Ecologia”, pubblicata tra il 1971 e il 1973, il fervore del movimento studentesco, la nascita di “Nuova Ecologia” nel 1978 e di Legambiente nel 1980.

Gli spunti di riflessione e analisi offerti dalle parole di Bettini sono molteplici. In primo luogo emerge una pluralità prospettica rispetto al modo in cui allora sì guardò all’ambiente e alla sua tutela: da una parte un ambientalismo sociale ispirato alla lezione di Barry Commoner, dall’altra un approccio protezionista volto a considerare l’ambiente naturale slegato da quello antropico, o ancora una visione tecnicista adottata senza mettere in discussione il modello economico-produttivo del tempo.

In secondo luogo è delineato il profilo di un attivismo ecologista in cui professione e politica si incontrano e sovrappongono. È questa una forma di militanza caratterizzante gli anni della contestazione giovanile: la novità non consisteva tanto nella partecipazione politica del professionista, quanto nel fatto che tale partecipazione fosse declinata attraverso l’utilizzo critico del sapere di cui questi era detentore. Così Bettini spiegava che “l’elemento cementante” nel gruppo di “Nuova Ecologia” era consistito nell’impegno prestato da ognuno all’interno del suo mestiere: “il chimico perché voleva occuparsi di questa materia, l’agronomo […] e quello che studiava ingegneria” ((Su questo aspetto di veda Impegno e potere. Le professioni italiane dall’Ottocento a oggi, a cura di Maria Malatesta, Bologna, Bononia University Press, 2011, e in particolare il saggio di Maria Malatesta: “Professioni e impegno dagli anni Settanta agli anni Ottanta”, pp. 73-108.)).

Non positivo è infine il bilancio sull’operato di Legambiente e dei Verdi. In entrambi i casi Bettini individua le maggiori criticità nell’emergere di particolarismi e opportunismi di una politica che si fa professione: “Io dicevo sempre “Ragazzi, dovete avere un lavoro”. Io mi posso permettere di dire quello che penso perché sto all’Università, che è il mio lavoro”. Lo sguardo sul presente, quello in cui avviene l’intervista, è d’altra parte propositivo e costruttivo: nel movimento per la decrescita viene individuata, se non un’eredità, uno dei contesti più significativi in cui incanalare l’azione ambientalista nel futuro.

L’interesse del dialogo qui di seguito riportato risiede, oltre che nella statura intellettuale e umana di Bettini stesso, forse anche nella possibilità di offrire un ulteriore sguardo sulla galassia del movimento ambientalista italiano. Diversamente, per un più completo bilancio storiografico di quella stagione politica, si rimanda al contributo di quanti hanno scardinato la dicotomica opposizione tra decennio Settanta e Ottanta, restituendo uno sguardo di lungo periodo sui movimenti sociali del secondo Novecento ((Gli anni Ottanta in Europa. Interventi di Richard Vinen, Lutz Raphael, Giovanni Gozzini, Marco Gervasoni , in “Contemporanea” 4/2010, pp. 697-718, a cura di Paolo Capuzzo; Marica Tolomelli, L’Italia dei movimenti. Politica e società nella prima repubblica , Roma, Carocci, 2015, Michele Citoni, Catia Papa, Sinistra ed ecologia in Italia 1968-1974, in “I quaderni di Altronovecento”, 8 (2017).)). Interessante altresì l’angolatura prospettica offerta dai più recenti studi sulla deindustrializzazione, che svelano l’impatto sanitario e umano derivato da un modello di sviluppo sconsiderato e al tempo stesso le difficoltà di vari soggetti politici e sociali nel costruire una memoria condivisa del passato ((Gilda Zazzara, “Deindustrializzazione e industrial heritage. Approcci convergenti alla memoria del passato industriale”, “Italia contemporanea” 292 (2020), pp. 117-143.)).

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Davigo: La prima domanda riguarda proprio “Ecologia”. Mi domando cosa lei si ricorda della rifondazione, della rinascita avvenuta con “Nuova Ecologia”. Lei in un suo articolo definiva “Ecologia” come “una babele tolemaica”((Virginio Bettini, “La primavera dell’ecologia”in “La Nuova Ecologia”, aprile 1981, p. 5.)), quindi non esisteva una reale comunione di intenti tra giornalisti che componevano la redazione. “Nuova Ecologia” nasceva invece all’insegna di un ideale comune molto più forte…

Bettini: Sì. Con “Ecologia” avevo cercato di impostare alcuni concetti fondamentali che riguardavano anche il modo scientifico di interpretare le problematiche ambientali. Quello che era importante all’inizio degli anni Settanta era di far capire che non tutto si sarebbe potuto risolvere con l’utilizzo delle tecnologie nell’ambito ambientale. Quindi vedere qual era l’intervento tecnologico adeguato e accettabile, e quali erano invece delle soluzioni che avrebbero portato semplicemente ad avviare delle attività che portavano dei profitti anche all’interno dell’attività ambientale. Soprattutto per quanto riguardava il settore della depurazione, dell’abbattimento degli inquinanti atmosferici e della depurazione dell’acqua e dell’aria. La questione di carattere ambientale direi era un pochettino più marginale, nel senso che lì ci occupavamo di qualche parco nazionale, ma non era ancora arrivato il concetto di quello che poi abbiamo chiamato “landscape ecology”, cioè dell’ecologia di paesaggio all’interno di una dimensione scientifica. Il discorso scientifico che mi interessava era soprattutto di chiarire la tematica riguardo il trattamento dell’acqua e dell’aria rispetto agli interventi di carattere di risanamento. Difatti “Ecologia” nasce all’interno di una struttura editoriale che faceva capo a una persona che era un ingegnere del Politecnico, il quale appunto aveva organizzato questo tipo di rivista, che doveva essere il luogo di discussione soprattutto attorno alle tematiche scientifiche e tecnologiche applicate alla questione ambientale. Ora, il problema, la grossa questione, è nata dal fatto che sembrava, almeno queste erano le posizioni di alcuni, che la tecnologia avrebbe risolto tutto. Io non ci credevo sostanzialmente. Vengo da una formazione… All’inizio pensavo di fare il medico, poi mi sono messo a fare il geografo perché mi piaceva di più, diciamo, il terreno su cui la gente mette i piedi che il modo in cui la gente muove i piedi. Quindi il problema era quello di mettere insieme tutti i parametri, e questo è stato abbastanza difficile perché poi in pratica chi pubblicava la rivista la pubblicava anche sperando di avere un contributo pubblicitario, anche da chi produceva sistemi di trattamento di controllo degli impianti. Questo è stato un grosso problema, è stata una delle ragioni per cui “Ecologia” è decaduta come struttura, perché con il tipo di ragionamento, il tipo di analisi che facevamo, noi sicuramente non eravamo troppo graditi dagli industriali del settore imprenditoriale che stava occupandosi dei problemi ambientali. Quindi ad un certo punto la cosa si è chiusa passando ad un’altra rivista che è stata “Acqua & Aria”, che io ho diretto praticamente sino alla prima metà degli anni Novanta, fino al ’98-’99 ((“Acqua & Aria. Rassegna di Ecologia” è pubblicato dal ’68 al ’74, mentre dal ’75 la rivista prende il nome di “Ecologia Acqua Aria Suolo”.)). […] Questo è stato il proseguire di “Ecologia”, come è nata, e in che direzione è andata. Poi invece abbiamo avuto la nascita di “Nuova Ecologia”, che è stata presa in mano da alcuni ragazzi che io ho conosciuto proprio alla fine degli anni Settanta andando a fare delle lezioni in un liceo di Milano. Lì ho conosciuto appunto quello che è stato il direttore di “Nuova Ecologia”, che è Andrea Poggio, che ora è in Legambiente, e credo che sia il presidente di Legambiente (( Andrea Poggio è stato presidente di Legambiente Lombardia dal 1992 al 2007, fu tra i fondatori dell’associazione e ne è tuttora membro.)). […] Lui poi è vissuto sempre con lo stipendio di Legambiente, ed è stato uno di quelli che ha fondato con me Legambiente. L’abbiamo fatta, io, lui e Giorgio Nebbia… Poi dopo, rispetto a come loro si sono politicizzati a me non piaceva molto, e quindi mi sono distaccato dal modo in cui Legambiente ha mandato avanti certe cose. Perché poi io, stando dentro un’università, il mio problema era quello di essere il più possibile dentro una posizione di dissenso, ma non essere condizionati da nessuna parte. Ci sono stati dei momenti in cui Legambiente ha sostenuto il Partito Comunista, era praticamente la voce ambientale del Partito Comunista, e non poteva criticare quelli che la finanziavano. Quindi Legambiente da parte sua ha avuto anche un momento piuttosto grigio sotto questo punto di vista, tanto è vero che io poi da Legambiente me ne sono andato. Anche se poi quando sono stato eletto al Parlamento Europeo, con i Verdi, per cinque anni ho dato il contributo sempre, tutti gli anni, a Legambiente, tutti i mesi, attraverso i soldi che mi dava il Parlamento. Io sono stato lì dall”89 al ’94. E c’era oltre a lui, l’altra persona che ha funzionato in questo senso sia per Legambiente che per la pubblicazione di “Nuova Ecologia”, è stata Ermete Relacci, che adesso è parlamentare ((Si fa riferimento alla XVI legislatura della Repubblica italiana (20 aprile 2008 – 14 marzo 2013), Relacci fu eletto tra le fila del Partito Democratico.)). È stata un rilancio anche a livello politico, la “Nuova Ecologia”, per non parlare di Chicco Testa, che come presidente di Legambiente, poi è diventato parlamentare anche lui, quando se ne è andato è diventato presidente dell’Enel, e quando è diventato presidente dell’Enel ha completamente perso la testa. Testa è diventato un sostenitore del nucleare scatenato. Io nel mio libro Il nucleare impossibile, faccio il discorso su Chicco Testa dicendo che non possiamo [si alza, prende il libro dalla scrivania, e mi legge ad alta voce il passo cui si riferisce] “uno dei promotori del referendum antinucleare in Italia, colui che si attribuì il merito di aver spostato il comitato centrale del PCI a favore del referendum antinucleare, ma che in seguito deve aver subito una sorta di mutazione genetica … e non vorremmo polemizzare contro chi per lungo tempo è stato un amico e un interlocutore credibile, ma notare come senza nessuna documentazione di base Chicco Testa affermi nel suo libro che le scorie nucleari sono un problema piccolo. Secondo questi, fino ad oggi, di scorie nucleari non è mai morto nessuno”. […] Questo poi per dire che attraverso “Nuova Ecologia” e attraverso Legambiente – non si possono scindere le due cose – sono passate delle persone che hanno fatto una carriera di tipo politico, o di tipo amministrativo-funzionariale. Io dicevo sempre “Ragazzi, dovete avere un lavoro”. Io mi posso permettere di dire quello che penso perché sto all’Università, che è il mio lavoro. Nel momento in cui tu hai un dato scientifico devi iniziare a discuterlo e ridiscuterlo: secondo me l’Università è il luogo del non consenso. Ogni cosa che io dico in questo momento, tra trenta secondi devo iniziare a ripensarla per poi magari contestarla a me stesso. Immaginiamoci poi se sono le cose su “Science”, su “Nature”, che sono le riviste che io ricevo tutte le settimane, che leggo, che valuto e sulle quali discuto. Anche lì, la mia ipotesi era quella di fare una piccola “Science”, piccola “Nature”, ambientale italiana. Non mi è riuscito per tutta questa serie di cose, perché ciascuno, opportunisticamente è entrato a indirizzare i propri desideri, la propria voglia di fare o non fare qualcosa.

Davigo: E quindi voi, vi eravate conosciuti… se non sbaglio molti di voi facevano parte di Italia Nostra.

Bettini: No, non molti … Del gruppo che poi ha fatto parte di “Nuova Ecologia” ad esempio … Se io penso ad un altro che grazie a questo è entrato, che adesso è consigliere comunale di Milano, ha fatto quattro mandati come consigliere regionale … Adesso non mi viene in mente il nome ((Si riferisce a Carlo Monguzzi, che è stato consigliere regionale nel 1990, 1995, 2000, 2005.)) … Se vai a guardare il numero di consiglieri regionali Verdi, ha cominciato … ed è rimasto praticamente vita natural durante lì. Poi ha smesso, ha rinunciato al quinto mandato, si è candidato in comune, e il nuovo sindaco di Milano gli ha dato una responsabilità sulle questioni ambientali, che lui segue da vicino in una certa maniera. Ed era uno dei tre, assieme, era uno che lavorava con Andrea Poggio. Andrea Poggio e lui avevano lavorato molto attivamente per “Nuova Ecologia”. In questo contesto posso dire che “Nuova Ecologia” è stata fondata, formata e mandata avanti da studenti che ho conosciuto al liceo e che poi ho ritrovato sostanzialmente all’università. Andrea Poggio studiava ingegneria, invece l’altro, di cui non ricordo più il nome, mi pareva avesse fatto chimica, ed era professore in un istituto tecnico.

Davigo: Ma quindi lei era il loro docente universitario?

Bettini: No, io ero docente universitario, ed ero già qui. Io sono venuto qui all’Università di Venezia, il primo anno accademico è stato 70/71, ed era esattamente quarant’anni fa. Io facevo geografia, questi avevano bisogno nel nuovo corso di laurea di urbanistica di una figura di questo genere, e il mio capo, che era Lucio Gambi, mi ha sbattuto qua dicendomi “promoveatur ut amoveatur”, esci e vai a rompere le palle a qualcun altro. Questo è stato testualmente il modo con cui mi ha mandato. [ride] E io sono stato benissimo qua a Venezia, non rimpiango nulla di questo invio. E loro erano studenti del liceo che ho conosciuto andando a fare conferenze nel liceo, poi sono diventati universitari, e ci incontravamo appunto. Un altro era il figlio di Zambrini, il figlio del professor Umberto Zambrini, lui è ancora in Legambiente, che fa, che lavora in una certa struttura ((Sta parlando di Mario Zambrini, tra i fondatori di Legambiente e tuttora membro dell’associazione.)). Lui era uno studente di agraria. L’atteggiamento era quello di un gruppo di studenti universitari che aveva un certo interesse, che aveva il desiderio di impostare in un certo modo l’analisi ambientale, e che fece con me questa esperienza di “Nuova Ecologia”.

Davigo: Ho capito. E mi chiedevo se l’antinucleare, questione che comunque è scoppiata in quegli anni, avesse avuto un ruolo, nella coesione tra di voi.

Bettini: Non lo so se ha avuto un ruolo. Indubbiamente c’è stata una ragione. Io ho scritto il primo testo edito da Feltrinelli nel 1977, che si chiamava Contro il nucleare ((Virginio Bettini, Contro il nucleare: ecologia e centrali nucleari, Milano, Feltrinelli, 1977.)). Non so se sia qui, sono molto poche le copie esistenti. […] Poi dopo nel 1980 ho scritto Siti impossibili ((Virginio Bettini, Siti impossibili: una geografia improbabile del nucleare, Milano, Feltrinelli, 1977.))che testimoniava il fatto di non avere siti adeguati per quello che riguardava la considerazione dell’impatto ambientale. Dei siti individuali non ce n’era uno che facendo una valutazione dell’impatto ambientale seria, diceva, questo è possibile. Poi ho scritto Scorie ((Virginio Bettini, Scorie: l’irrisolto nucleare, Utet, Torino, 2006.)) nel 2006 e ilNucleare impossibile ((Il nucleare impossibile. Perché non conviene tornare al nucleare, a cura di Virginio Bettini, Utet, Torino, 2009.)) nel 2009. Ma lì, la questione antinucleare tra di noi raccoglieva abbastanza adesioni, almeno tra i ragazzi che lavoravano in “Nuova Ecologia”, però non era l’elemento cementante. L’elemento cementante era l’impegno che aveva ciascuno di loro all’interno della pratica che voleva fare nell’indirizzo. Il chimico perché voleva occuparsi di questa materia, l’agronomo, il figlio di Zambrini, e quello che studiava ingegneria. Erano ben tre che studiavano ingegneria, poi è rimasto solo lui, Poggio. Diciamo che il nucleare ci ha ulteriormente aggregato, come gruppo, non è stata la ragione, il motivo. […]

Davigo: E a un certo punto nella rivista si è costituito un comitato scientifico, ricordo che ne facevano parte Laura Conti, Nebbia…

Bettini: Sì è vero, c’era il comitato scientifico in cui c’era Laura Conti e c’era anche Nebbia. Erano i nostri garanti dal punto di vista dell’operatività … Tanto è vero che molte riunioni le facevamo anche a casa di Laura Conti, quando lei era consigliere regionale per il Partito Comunista ((Laura Conti è stata consigliera provinciale a Milano dal 1960 al 1970 e regionale dal 1970 al 1980. Per una sua biografia si veda Barca, Stefania, “Lavoro, corpo, ambiente. Laura Conti e le origini dell’ecologia politica in Italia”, “Ricerche storiche”, 3 (2011), pp. 541-550.)).

Davigo: E quindi il suo ruolo era prevalentemente consultivo?

Bettini: Consultivo e devo dire di indirizzo politico. Anche Giorgio Nebbia è diventato senatore eletto indipendente nelle liste del PCI. Come del resto Antonio Cederna … Antonio Cederna prima di morire, nell”87, è stato eletto al Senato, ma è stato eletto come indipendente nella lista comunista, così come ha fatto Nebbia. Io mi ricordo ci vedevamo a Roma, io Cederna e Nebbia ci trovavamo sempre.

Davigo: Ora vorrei cambiare un po’ discorso e farle qualche domanda più riguardo l’aspetto contenutistico. Ci sono costanti riferimenti all’interno della rivista, al lavoro e all’idea di Commoner, che se non sbaglio proprio lei ha tradotto in Italiano…

Bettini: Ecco di Commoner io ho tradotto, insieme al testo principale, che era il testo originale che era …

Davigo : Il cerchio da chiudere …

Bettini: Sì, The Closing circle ((The closing circle è pubblicato originariamente nel 1971, la traduzione fu curata da Bettini e pubblicata da Garzanti l’anno successivo. Di qualche anno successivo è il volume curato a due mani da Virginio Bettini e Barry Commoner, Ecologia e lotte sociali. Ambiente, popolazione, inquinamento, Milano, Feltrinelli, 1976.))… E poi anche questoFar pace col pianeta ((Barry Commoner, Far pace col pianeta, Milano, Garzanti, 1990.)). Giorgio Nebbia ha fatto l’introduzione e poi io ho fatto l’appendice in fondo, l’ultimo capitolo. […]. Quindi, non solo The closing circle … Il cerchio da chiudere lo abbiamo tradotto prima per Garzanti, è stato nel 1971. Non so se qua ho anche Il cerchio da chiudere, ho l’impressione di averlo imprestato a uno studente.

Davigo: Questo perché, nella bibliografia esistente, di Commoner si parla nei termini di un biologo marxista…

Bettini: Sì, è stato un biologo marxista molto convinto. Però sostanzialmente io Commoner lo avevo conosciuto quando lui faceva il professore all’Università di St. Louis, nel Missouri, lui era professore e insegnava già queste cose dal punto di vista molto duro … dal punto di vista ambientale. Io ho sentito una sua lezione quando ho fatto il dottorato negli Stati Uniti a Stanford e a Berkeley, poi non l’ho mai finito perché mi sono sposato, e non sono mai più tornato a discutere la tesi … Però lì ho sentito lezioni di Eugene Odum, quello che ha scritto i testi di ecologia fondamentale, la lezione di Barry Commoner, e insomma, c’è stata tutta una grossa forza di presenza, che io ho individuato a suo tempo nella figura di Barry, perché affrontava i temi dal punto di vista ambientale in maniera seria, in maniera sociale, ponendo le problematiche di carattere politico sociale all’interno delle formulazioni di carattere ambientale. Non tenendo scostate o distanziate le due cose. Soprattutto lui dava degli indirizzi molto specifici per quanto riguardava la comprensione dei sistemi occupati dall’uomo, che prima erano problemi naturali. Qual era la complessità del sistema naturale rispetto al sistema antropico, e metteva insieme le due cose, dicendo che l’unica soluzione era un intervento sociale molto forte, per risolvere determinati problemi. Barry Commoner è ancora vivo, è del 1915, ormai ha quasi cento anni … aveva l’età di mio padre, che è morto nel ’91, aveva solo 76 anni. Ma Commoner ne ha 96 adesso, ed è lì ancora solido((Commoner era ancora vivo nel momento in cui è stata svolta l’intervista, è morto nel 2012.)). Ha fatto lezione alla New York University sino all’anno scorso. Una figura fondamentale. È venuto molte volte in Italia, ha iniziato a venire dalla pubblicazione, con Garzanti, del Cerchio da chiudere, che ha vinto il premio, il premio cui in seguito Legambiente è diventata molto legata, il premio Cervia Ambiente … Questo nel ’71 o nel ’72, non ricordo più quale fosse stato dei due anni, credo fosse il ’71. E poi dopo, Commoner ha avuto un grande ruolo soprattutto nella conferenza di Stoccolma, del 1972, sulla questione ambientale. Lì, chiaramente, io e lui ci siamo trovati molto spesso insieme, avevamo fatto dei dibattiti insieme. Io ero lì, come inviato di “Avvenire” che facevo il resoconto di tutti i giorni, ma partecipavo anche. Anche Nebbia, Nebbia era nella commissione, nel gruppo della delegazione italiana, perché era stato messo dentro appunto dalla sinistra, della delegazione italiana ((Giorgio Nebbia faceva in realtà parte della delegazione della Santa Sede.)). Che era lì a discutere della situazione ambientale, in quel contesto. Commoner è stato proprio la cultura cui noi abbiamo attinto, è stata proprio la cultura Commoneriana, soprattutto quello che è contenuta nel Cerchio da chiudereThe closing circle è stato praticamente il riferimento che aveva indirizzato anche l’impostazione della stessa rivista, e molte volte Commoner scriveva per noi, ci sono parecchie volte che abbiamo pubblicato anche degli articoli suoi.

Davigo: Infatti è proprio questa l’idea, che gli articoli della rivista cerchino sempre di ribadire la necessità di un impegno sociale. Molti sono gli articoli sulla condizione di vita degli operai, sulla questione delle fabbriche.

Bettini: Sì la questione della fabbrica è una di quelle che abbiamo collegato insieme a “Sapere” – perché anche “Sapere” è un’altra rivista che scientificamente si occupava molto della questione del sociale, e soprattutto le questioni della tossicità all’interno delle fabbriche stesse, quale era il livello di contaminazione, per quanto riguardava come gli operai erano contaminati dal PCB, come gli operai erano contaminati dal mercurio, e avanti di questo passo. Tanto è vero che quando dopo nel ’76 ci fu il disastro dell’Icmesa, Barry Commoner è venuto in Italia e abbiamo fatto un giro di conferenze, e mi ricordo una discussione con lui, ho ancora la foto, con la popolazione di Seveso ((La rivista “Sapere” fu diretta dall’epidemiologo Giulio A. Maccacaro a partire dal 1974. Tale rivista, rispetto a “Nuova Ecologia” era più direttamente incentrata sull’ambiente di fabbrica e tesa a costituire un filo di continuità tra tutela della salute degli operai e tutela dell’ambiente. In occasione del disastro di Seveso “Sapere” dedicò un numero monografico all’evento, intitolato Seveso, un crimine di pace, “Sapere”, 796, (1976).)). Quindi in effetti è sempre stato molto vicino al tipo di impostazione che davamo noi alle analisi, alle valutazioni ambientali. Soprattutto io, insegnando allora ecologia in una facoltà di pianificazione che si chiamava “Facoltà di urbanistica” che era stata fondata da Giovanni Astengo. Lui era un grande urbanista italiano e noi avevamo la nostra facoltà che stava fuori in una villa del ‘700. Eravamo là isolati, ma stavamo molto bene. In pratica negli anni in cui io avevo iniziato a fare lezione, dal ’72 fino al ’76, avevo imposto la lettura del Cerchio da chiudere come elemento di partenza, e lo consiglio ancora adesso. […]

Davigo: l’idea che mi sono fatta leggendo alcuni articoli di “Nuova Ecologia”, è che ci fosse un sentimento contrario all’idea di un partito verde. Questo devo dire soprattutto all’interno degli articoli di Poggio.

Bettini: Sì, Poggio è sempre stato contrario al partito verde, infatti non è mai entrato. Anche se poi quando i Verdi sono nati un certo contributo l’hanno dato. Io poi con i Verdi ho fatto una scissione … Io sono stato eletto con i Verdi Arcobaleno, perché ritenevamo che i Verdi avessero poca attenzione alle tematiche sociali di tipo commoneriano. Tanto è vero che poi sono nati i Verdi Arcobaleno ((I Verdi Arcobaleno nascono come lista elettorale nel maggio 1989 per presentarsi alle elezioni del Parlamento europeo lo stesso anno. Si dissolvono l’anno successivo per entrare nella Federazione dei Verdi. Tra gli eletti dei Verdi Arcobaleno quell’anno figura Bettini stesso.)), che erano una sintesi tra i Radicali, una parte di Democrazia Proletaria, e poi c’eravamo noi Verdi in scissione. C’eravamo: io per i Verdi che si erano staccati, Edo Ronchi per Democrazia Proletaria, e poi avevamo “il Piacione” ((Si riferisce a Francesco Rutelli.)) per quanto riguarda i Radicali.

Davigo: E mi ricordo, di Poggio, alcuni editoriali – e l’editoriale contribuisce in maniera abbastanza netta alla linea del giornale.

Bettini: Sì ma in effetti il direttore poi si può dire che era lui, il direttore della “Nuova Ecologia”. E lui come direttore di “Nuova Ecologia” è entrato in Legambiente, tra quelli assoldati da Legambiente.

Davigo: In un editoriale lui parlava addirittura di porre i presupposti per una ricerca teorica nuova all’interno del marxismo. Contro l’idea di un ecologismo che andasse a svilupparsi in maniera trasversale rispetto alla destra e alla sinistra.

Bettini: In effetti è vero, c’era questo ideale di sinistra ribadito, ma c’era l’idea di non entrare all’interno delle strutture politiche già esistenti, cioè vedere se a un certo punto si poteva individuare qualcosa di diverso. Allora ci sono stati chiaramente i socialisti si son guardati bene dall’interessarsi al nostro tipo di indirizzo, mentre la parte dei cosiddetti gruppi extraparlamentari e dei comunisti un interesse c’è sempre stato. Era il tentativo di dare un indirizzo politico completamente diverso che poi dopo non siamo riusciti a formulare, in pratica. Perché poi io ho accettato la soluzione della proposta dei Verdi, ho visto però che erano molto conservatori rispetto a una determinata formula, che non prendevano posizione politica, allora io ho pensato che fosse utile fare un indirizzo. Poi c’è stato un indirizzo che ha portato alcuni miei soci, come Edo Ronchi e come il caso del Piacione, Rutelli, e come abbiamo avuto queste posizioni a livello parlamentare europeo, hanno voluto la riconciliazione con i Verdi per poter diventare operatori in quella direzione. Tanto è vero che poi dopo Rutelli è diventato sindaco di Roma, ed Edo Ronchi è diventato ministro. Quindi anche qui c’è stato un utilizzo a fine politico, a proprio conto, degli ideali complessivi e generali, devo dire che effettivamente ho avuto alcuni problemi con Edo Ronchi quando era ministro, dalla TAV fino ad arrivare al Ponte di Messina. Mi sarei aspettato da parte sua delle posizioni molto più precise, invece lui tardava a prenderle e tardava a prenderle con decisione. Nel complesso devo dire, anche la “Nuova Ecologia”, anche l’indirizzo politico, è stato utilizzato da molti per rafforzare e chiarire in maniera precisa l’indirizzo politico a cui erano arrivati. E la collocazione che loro politicamente volevano.

Davigo: Ma quando lei dice “un indirizzo politico nuovo” …

Bettini: Era quello di avere un indicatore per quanto riguarda la sostenibilità ambientale di certi interventi. Iniziare a dire: si indirizza politicamente, si fanno determinate cose, ma in rapporto alla sostenibilità ambientale che queste cose hanno. Introducendo i parametri di valutazione di carattere ambientale anche dal punto di vista economico. Per esempio, una delle nostre teorie, delle cose che sostenevamo, che poi abbiamo ribadito anche all’interno della valutazione dell’impatto ambientale, perché poi sostanzialmente io per vent’anni non ho fatto altro che scrivere di questo, era quello di fare una valutazione di analisi costi-benefici su base ambientale. Cioè, la CBA, noi la facevamo diventare l’ECBA… e invece è rimasto sempre “Cost Benefit Analysis”, il CBA. Noi volevamo l’ECBA… la “e” iniziale non si è mai introdotta, è stato difficilissimo introdurla, siamo stati incapaci di fare questo. Su questocontavamo, e non ce l’abbiamo fatta. “Nuova Ecologia” era un giornale di élite, non è ma riuscito ad arrivare veramente e seriamente alla classe operaia.

Davigo: Forse non era neanche quello che si presupponeva.

Bettini: Non era quello che si presupponeva. Però nel momento in cui si è lanciata su alcune tematiche di ordine ambientale, molto specifiche, molto precise, io mi sarei augurato che si arrivasse a quel punto, ma poi sostanzialmente non si è arrivati a quel punto, anche perché ci sono stati degli indirizzi, soprattutto con Rifondazione comunista, soprattutto con l’atteggiamento di Bertinotti, che alla fine ha introdotto alcune attenzioni alla questione ambientale, ma sempre in funzione di una lotta di classe. Come dire “la lotta di classe la facciamo anche per difendere l’ambiente, sostanzialmente l’ambiente diventa uno degli elementi che giustifica la lotta di classe”. A me interessava un discorso un pochino diverso, diciamo che la difesa dell’ambiente ha un carattere globale complessivo, non unilaterale, e soprattutto che non indirizza soltanto nello spazio degli sfruttati, dei lavoratori dipendenti, e così via. Ma doveva essere essere tenuto in conto complessivamente come diceva Barry Commoner, nella dimensione commoneriana. Quindi a un certo punto la cosa si è fermata anche per questo motivo.

Davigo: Si può dire in ogni caso che questa esperienza sia stata una palestra per ognuno dei suoi partecipanti.

Bettini: Sì, è stata una palestra per ognuno dei suoi partecipanti perché poi se si va a vedere i nomi di quelli che han partecipato a “Nuova Ecologia”, poi sostanzialmente in politica ci sono stati, sono in politica, hanno un ruolo molto forte nella Legambiente. Quindi sostanzialmente è stato un luogo su cui si sono potuti rafforzare e prendere un certo tipo di indirizzo

Davigo: Se lei dovesse fare un bilancio di quest’esperienza…

Bettini: Noi non siamo riusciti ad avere la forza che per esempio hanno avuto i francesi, che sono riusciti a strutturare un loro gruppo politico come verdi, che ha avuto un certo risultato. Non per niente i Verdi francesi oggi superano il 10%. noi come Verdi siamo scomparsi, c’è qualche fantasia qua e là, ma in pratica dal parlamento sono scomparsi … è una cosa piuttosto preoccupante. Bisognerebbe farsi un minimo di analisi critica per capire come è stata gestita a livello politico, a livello di intervento operativo, rispetto alla grande quantità di materiale e soprattutto di cultura che c’era dietro, e come non si è capito che esisteva un messaggio che doveva essere un messaggio significativo e sensibile. Questo è un po’ colpa di tutti, non è solo colpa di quelli che sono rimasti in politica e che vanno avanti, Oggi non si vede in nessuna maniera: qual’è l’intervento che hanno i rappresentanti della sinistra ecologista che sono oggi in Parlamento? Dov’è che si vedono, come si vedono? […] È assolutamente marginale. Ma anche quando c’era il governo di sinistra, erano impossibilitati a fare alcunchè, perché l’insieme della sinistra li teneva a bada. Vorrei capire cosa ha fatto … quando penso al ruolo che ha potuto avere ad esempio Realacci all’interno di questo tipo di attività. Oppure, adesso ce ne sono alcuni che sono andati nell’Italia dei valori. C’è qui un ecologista della provincia di Treviso che è andato a sostituire il sindaco di Napoli, perché ovviamente De Magistris si è dimesso, ed è passato lui. Sono le solite cose di intervento in aula, che facevo io, ma non si esce fuori a livello di sensibilità maggiore. In tutta questa dinamica della crisi, del problema del debito, le tematiche ambientali non entrano mai. Non so se si è resa conto … Assolutamente, qui come altrove, si continua a ribadire il concetto della crescita, la crescita, la crescita … ma tu non puoi, non puoi soltanto sviluppare, non puoi crescere in continuità. Il modello della crescita è legato a un certo periodo “x”, poi smette, quello che devi fare è lo sviluppo invece. Sviluppare vuol dire capire, ammettere che esistono dei limiti. Per esempio, oggi la “Nuova Ecologia” starebbe benissimo collegata al gruppo che parla di decrescita, alla Latouche insomma. Sarebbe proprio proposto secondo il modello di Latouche. Quando leggi Latouche e ci trovi alcuni messaggi che negli anni Settanta erano di “Nuova Ecologia”. Se oggi “Nuova Ecologia” non avesse solo la funzione di portavoce di Legambiente si sposterebbe molto più nella posizione latouchiana. Questo è il mio giudizio ultimo.