Vito Volterra (1860-1940)

Tutti ormai parlano, e molti scrivono, di ecologia e ambiente: circolano molti soldi intorno a soluzioni tecnico-scientifiche per combattere l’inquinamento, per diminuire i danni delle frane e alluvioni, per salvaguardare la biodiversità e potenziare i parchi. Ho però l’impressione che spesso vengano trascurati i fondamenti delle “leggi” che regolano i rapporti fra gli esseri viventi, vegetali, animali (compresi quegli specialissimi animali che sono gli umani), e l’ambiente naturale.

Se si vuole saperne di più bisogna fare un salto indietro nel secolo scorso e rileggere gli scritti dei padri fondatori dell’ecologia, fra i quali emerge, come un gigante, Vito Volterra. Straordinaria persona, salito giovanissimo alla cattedra universitaria, matematico di fama mondiale, socio dell’Accademia dei Lincei, senatore del Regno, fra i fondatori del Consiglio Nazionale delle Ricerche, autore di invenzioni che furono determinanti nel corso della prima guerra mondiale. Campione di rigore e di civiltà, fu uno degli undici professori universitari che nel 1931 si rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo; per questo fu allontanato dall’Università e dall’Accademia dei Lincei; per il suo alto prestigio restò comunque membro dell’Accademia pontificia delle Scienze e di molte altre istituzioni internazionali.

A riprova della stupidità di tutti i fascismi, proprio negli anni in cui il regime voleva farlo tacere, Volterra scrisse alcune delle sue opere più importanti. Mi limiterò a considerare quelle che hanno attinenza con l’ecologia. Umberto D’Ancona (1896-1964), un giovane biologo marino, fidanzato della figlia, stimolò Volterra a studiare i risultati delle statistiche della presenza delle varie specie di pesci venduti nel corso degli anni nei mercati ittici di Trieste e Ancona. Tutti gli esseri viventi del mare sono legati fra loro da rapporti alimentari; le alghe fotosintetiche rappresentano il nutrimento per le varie specie di pesci; i pesci di alcune specie (i predatori) si nutrono dei pesci di altre specie.

Durante gli anni della prima guerra mondiale (1914-1918) era quasi cessata la pesca nell’Adriatico, teatro di operazioni militari; l’osservazione dei pochi tipi di pesce pescato e venduto mostrava che in tali anni era aumentata la popolazione dei pesci predatori e di conseguenza era diminuito il numero delle specie di pesci che costituivano il loro nutrimento; diminuito il cibo disponibile, è cominciato a diminuire anche il numero dei predatori e questo ha consentito alle specie prede di aumentare di nuovo; il fenomeno sembrava avere carattere ciclico e poteva ben essere descritto proprio con le equazioni matematiche studiate da Volterra.

La trattazione matematica dei rapporti fra prede e predatori vale per molte associazioni di animali: le volpi in una prateria si nutrono dei conigli; se diminuiscono i conigli viene a mancare il cibo per le volpi che diminuiscono di numero; se diminuiscono le volpi, i conigli non sono più disturbati e riprendono a moltiplicarsi, eccetera. Le stesse equazioni permettono di descrivere altri comportamenti biologici come la concorrenza fra specie animali che si spartiscono il cibo limitato di un lago o di un pascolo; o come alcune specie animali collaborano con altre fornendogli il cibo necessario. Addirittura simili comportamenti si osservano quando vari prodotti commerciali si fanno concorrenza in un mercato: le fibre sintetiche hanno provocato il declino del consumo di fibre naturali, eccetera.

In pochi anni, fra il 1925 e il 1935, si è avuta quella che il biologo Franco Scudo (1935-1998) ha definito l’”età dell’oro” dell’ecologia matematica rappresentata in Italia da Volterra e D’Ancona, in Francia dal russo emigrato Vladimir Kostitzin (1883-1963), negli Stati Uniti da Alfred Lotka (1880-1949)

 (http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=6&tipo_articolo=d_persone&id=54), nell’Unione Sovietica da Georgi Gause (1910-1986). Un quadro delle ricerche di Volterra si trova, in italiano, nel libro dello stesso D’Ancona, “La lotta per l’esistenza”, pubblicato a Torino da Einaudi nel 1942, una prova di coraggio da parte dell’editore perché si trattava dell’ammirata esposizione dell’opera di un ebreo, Volterra, appunto, condannato al silenzio dal regime fascista. Con Kostitzin Volterra collaborò al perfezionamento della trattazione matematica della crescita e del declino di una popolazione animale in un territorio con disponibilità limitate di spazio e di cibo e di acqua.

Il numero di animali che occupano tale territorio dapprima aumenta rapidamente, quando ci sono pochi individui con grande disponibilità di alimenti, poi l’aumento si fa più lento e dopo poco ci si accorge che la popolazione resta stazionaria (il numero dei nati uguaglia quello dei morti) perché il cibo e lo spazio disponibili sono in grado di soddisfare i bisogni di un numero limitato di individui e non di più; il numero massimo di individui che possono vivere in un ambiente limitato prende il nome di capacità ricettiva (carrying capacity) di tale ambiente. Questo in teoria: Volterra e Kostitzin misero però in evidenza che le scorie generate dagli individui che occupano un territorio, nello svolgere le loro funzioni vitali, “avvelenano” l’ambiente circostante al punto che, da un certo punto in avanti, la popolazione che lo occupa comincia a diminuire.

Era sostanzialmente quello che avrebbe riscoperto, anni dopo, il dibattito sui “limiti alla crescita”, secondo il titolo di un celebre libro del Club di Roma. Volterra morì a 80 anni a Roma nel 1940; ricordarne la nascita e la vita potrebbe essere l’occasione anche per trarne una lezione per i nostri comportamenti odierni; anche gli umani vivono in un ambiente di dimensioni e risorse limitate, che vengono intossicate dalle scorie della vita biologica e di quella “economica”, della produzione e del consumo di crescenti macchine e oggetti. Non ci stiamo forse accorgendo che le nostre città “non ce la fanno più” a sopportare la crescente invasione delle automobili, che i terreni non ce la fanno più a sopportare l’invasione di una edilizia selvaggia e dopo poco ci franano addosso?