Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Comprendere la natura delle cose. Alla ricerca di un rinnovato sistema di senso nel Design

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Toti se inserens mundo
(Seneca, Lett. LXVI, 6)

Indice

I.

E subito appare ciò che all’uomo appare da sempre, la visione che rompe da dentro l’oscurità del senso: Natura Naturans. La nascita dell’idea di natura si è dipanata nei millenni sotto le più svariate forme di percezione e rappresentazione, passando dal mitico simbolico al logico razionale per arrivare infine, più vicino alla nostra realtà con la definizione data nel 1866 da Ernst Haeckel: Ecologia. La parola coniata da Haeckel deriva dal greco, oikos (casa, ambiente) e logos (discorso o studio) che è pur sempre una prerogativa umana del nominare. In questo frammezzo di tempo non abbiamo dato troppa importanza alle relazioni fondamentali che ci legano al mondo naturale; fatto salvo i comportamenti e le credenze che si sono date alcune enclave umane presenti in aree circoscritte del pianeta, sia a Oriente che a Occidente. Per contro il cogito che ci sostiene ha avuto e ha ancora come fondamento l’idea che all’uomo siano sottomesse tutte le cose in forza di una sorta di “mandato divino”.

Eppure, come possiamo pensare di credere di e-sistere fuori dal mondo e non e-sistere dentro al mondo? Senza legame né luogo il soggetto-uomo moderno si è posto fuori dal mondo-natura costruendo-edificando un topos antropologico dove lo spazio si estende all’infinito e le cose sono diventate degli oggetti da utilizzare a proprio piacimento. Non sarà questo un comportamento illegittimo? Ovvero una “demondizzazione” dove l’idea di natura, e quindi di ecologia, è oltrepassata a favore di un azzardo chiamato progresso o civiltà materiale costruita sul disequilibrio ambientale? La decomposizione, o se si vuole dire diversamente la suddivisione-classificazione degli elementi fondanti la realtà naturale ha consentito al pensiero la discretizzazione della realtà o, detto diversamente di desimbolizzarla gettandola a forza nella sfera del logos tecnologico trionfante supportato da concetti di verità supreme. Da una parte l’uomo e i suoi apparati, dall’altra la natura da sottomettere, un dualismo figlio della razionalità che ha decomposto e separato il soggetto (umano) dall’oggetto (naturalità) immanente alla simultaneità biologica.

II.

Risulta evidente come la realtà concreta degli atti di reificazione approntati dall’uomo moderno si appoggi su un’astrazione dell’idea di natura: la natura è quella cosa che noi diciamo astratta dalla fenomenalità dei fenomeni naturali. L’uomo vive la sua esistenza, come specie homo, come fosse al di fuori dalla Terra e dalla biosfera. La posizione che noi assumiamo al contrario presuppone, sia a livello ontologico sia a livello dei sistemi di significazione, un’interpretazione dove l’essere uomo è umano in quanto unificato con tutto ciò che è presente (manifesto e non) sulla Terra in forza del presupposto biologico ambientale.

Le voci che ci richiamano alla sostenibilità ambientale e a comportamenti rispettosi dei sistemi ecologici estesi a tutti i livelli di esistenza sono ormai, almeno a parole, istituzionalizzati. La qualcosa ci dovrebbe confortare se non fosse che la rete costruita dai processi che reggono la società globalizzata prosegue la propria incessante marcia, producendo, consumando e portando a rifiuto ogni sorta di materia organica e inorganica; inoltre, come se non bastasse, immettendo sostanze chimiche che annientano innumerevoli forme di vita. Riscaldamento globale, buco nell’ozono sono termini utilizzati comunemente, ma è ancora lontana l’attuazione di tecnologie che riducano effettivamente il consumo di risorse non rinnovabili e che non danneggino l’ambiente.

Per quanto ci riguarda, pur attenti a quanto ci sta intorno e che delinea nuove opportunità, un’economia del flusso naturale e del rispetto degli ecosistemi come indica Gunter Pauli con la sua proposta di Blue economy (ed. Ambiente, Mi, 2010), propendiamo per una presa di coscienza ecologica, primariamente umana, che abbia a cuore una nuova/antica forma di integrazione ambientale o, come suggerisce Augustin Berque nel suo libro Poétique de la Terre (ed. Belin, Paris, 2014), possa tendere a ricosmicizzare, riconcretizzare e reimpegnare il nostro pensiero al fine di oltrepassare i limiti della modernità.

III.

Il mondo globalizzato e industrializzato è una macchina bulimica predisposta per produrre e consumare, supportata da un apparato politico-sociale programmato per credere in un meccanismo a crescita continua che possa proseguire all’infinito. Per cui, il primo passo richiesto riguarda un cambiamento di prospettiva culturale, dalla crescita continua alla sostenibilità. Sono propenso a credere che si debba attivare una propensione a una dematerializzazione dei consumi, una sorta di “disintossicazione”: di liberazione dal feticcio delle merci di marxiana memoria.

Potrei concludere dicendo che per fare questo basterebbe smettere di produrre ciò che non serve, ma purtroppo oggi non abbiamo sufficiente chiarezza per far luce su ciò che serve e ciò che non serve, poiché nelle società baciate dal gioco della modernità i bisogni primari sono in genere soddisfatti (le così dette sacche di povertà sono marginalizzate), mentre i bisogni-desideri superflui hanno la possibilità di essere alimentati e stimolati. Di certo raramente si sente parlare di soddisfazione dei bisogni primari estesa a tutti gli esseri viventi e non, poiché questi sono forniti (sono stati forniti) da una madre universale. Ora, se vi è una possibilità di affrontare il tema che sta sotteso a questa digressione, tutto lascia intendere che accedervi richieda coraggio e determinazione, poiché il lavoro da offrire a coloro che seguono i nostri corsi sarà quello della “libertà di pensare, e ancor più agire fuori dal coro” (G.Pauli).

Non è un caso, quindi, se ci ritroviamo a cercare di dipanare la matassa ingarbugliata del Design Industriale associato a quello che comunemente viene definito ECODESIGN da noi inteso come la forma dell’abitare sulla Terra. Di fronte alla consapevolezza di una tutela ambientale, il design, da alcuni anni, ricerca produzioni sostenibili guidate da principi che sono codificati da normative a livello nazionale, europeo e internazionale. In questo senso le proposte metodologiche di Ecodesign sostengono lo sviluppo di prodotti ecoefficaci-sostenibili, sia durante la fase di progettazione e produzione che durante l’uso e il fine vita utile (3R Riduzione, Riutilizzo e Riciclaggio / 6R Ripensare, Ridurre, Rimpiazzare, Riciclare, Riutilizzare e Riparare). Non abbiamo difficoltà a constatare come i prodotti industriali siano carichi di “ecological rucksacks” “”zaini ecologici” che ogni nostro prodotto si porta con sé rispetto alla materia mobilitata nell’arco della sua produzione, ma non incorporata nel prodotto stesso.” (G.Bologna, cit. 2010:24, in Blue economy) Comunque pur consapevoli della necessità di introdurre questi principi nei progetti e nei sistemi di produzione con finalità di “emissioni zero”/”cradle to cradle”, non dobbiamo trascurare se abbiamo sinceramente a cuore di partecipare a una morale universale, e sostenerla è compito umano, ciò che potrebbe essere il campo fondante delle scelte adeguate a rispondere alle esigenze dettate dalla situazione ambientale attuale, ovvero un cambio di rotta dettato dall’etica comportamentale integrata nella molteplicità unificante in grado di salvaguardare la diversità culturale e la biodiversità nel pianeta Terra.

IV.

Le cose della natura possiedono per condizione evolutiva una forma propria, derivata dal grado di adattamento dell’organismo in co-relazione all’ambiente naturale; per estensione potremmo non porre limiti tra quello che proviamo per le cose o quello che le cose proveranno per noi. Di fatto, invece, la nostra educazione ci porta a percepire le cose come degli oggetti privi di sentimento. Nella realtà i percorsi si scambiano, si intrecciano, le cose non sono solo oggetti e nemmeno solo soggetti poiché esse si scambiano relazioni. Certo nel pensiero comune le cose vengono selezionate e trattate come puri oggetti, ma la realtà concreta è altra cosa e la separazione non è così certa. Il nostro corpo animale è connesso alla natura e le emozioni, sono dentro alla nostra biologia per cui le cose fanno parte della nostra esistenza originano sentimenti umani così come si originano i fenomeni della natura. Ora, proviamo ad addentrarci nella condizione propria delle forme che appartengono all’essere uomo, mantenendo però sempre ben presente la sua particolarità intrinseca, e cioè la correlazionecoimplicata nel dentro-fuori. Tralasciamo per brevità di esposizione il passato primo dell’umanità che la storia ci ha consegnato come il periodo dell’uomo raccoglitore, dove, per quanto ci è dato sapere, l’uomo utilizzava il proprio corpo come unico strumento necessario per la sopravvivenza e orientiamo la nostra attenzione sull’origine del rapporto protesico tra l’uomo e l’ambiente. Per definizione, è protesico il rapporto che l’uomo attiva in relazione alla propria abilità di manipolare il mondo delle cose che lo circondano mediante artefatti-utensili da lui stesso costruiti. Tanto è vero che i primi strumenti prodotti dall’uomo nella preistoria furono il risultato di un esercizio continuo e della sua abilità applicata alla trasformazione della materia; un intreccio incessante di processi relazionali di forma in adattamento tra gesto e materia. Un’amigdala era innanzitutto generata dallo scopo, prendeva forma dalla conoscenza e dall’abilità manuale nella lavorazione di due materiali con caratteristiche diverse, per cui alla continua ripetizione del gesto portato fino all’impeccabilità corrispondeva la qualità della forma, e la tecnica, era la tecnica del gesto applicato alla materia. Man mano che nella storia dell’umanità i rapporti tra la trasformazione della materia in artefatti e le strutture della conoscenza diventavano più articolate, gli oggetti d’uso iniziarono a essere connessi a significati simbolici. In un primo tempo, tale correlazione evocava la naturalità organica del mondo, quasi che, nell’oggetto utensile vi fosse impressa, cooptata, la naturalità stessa della relazione: come se l’oggetto agisse per conto della natura.

Nelle civiltà storicamente più evolute questa correlazione finì per assumere i caratteri della speculazione filosofica, a tal punto, che la rappresentazione della mimesis con la natura venne portata fino al limite ontologico dell’essere uomo deus-natura; un passaggio che ha trasformato in maniera irreversibile la storia del pensiero occidentale e dato l’avvio a quella dualità di rapporto tra poiesis e teknè; tant’é che i risultati raggiunti in quel periodo storico, nelle arti e nell’architettura, riproducono ancora oggi la sintesi della qualità della forma. Da allora, e fino alla nostra contemporaneità, lo studio e l’applicazione della conoscenza tecnica e artistica è stata alla base di ogni processo creativo sulla forma. Un processo creativo fondato sull’idea che una forma è bella e adeguata allo scopo quando non può essere che così, come è bella e adeguata allo scopo ogni cosa della natura: un albero, un fiore, una mano.

Dare forma a un oggetto-artefatto, significa, dunque, essere in grado di correlare (intrecciare) tutto quanto può influire sulla qualità della forma, valutare da più punti di analisi e attivare continue interconnessioni. A partire, da tutto quanto serve per comprendere l’essenza della ragione della forma, che, nel suo divenire ‘cosa’, si fa carico dei principi essenziali dell’etica, dell’estetica, della filosofia, dell’antropologia culturale, della sociologia, dell’economia, e di tutto quanto appartiene alla categoria della conoscenza scientifica. Infine, a partire, se necessario, dalla comparazione con il già dato, da misure obbligate, da forme prestabilite e dalle conoscenze tecniche; senza dimenticare lo studio (in verità essenziale) della geometria e della composizione della forma, nelle sue interazioni con la teoria della Gestalt.

E poi, è ineludibile, per un progettistə che vuole definirsi tale, conoscere tutto quanto è intimamente legato ai processi di trasformazione delle energie necessarie alla produzione all’uso degli artefatti, industriali e no. Certo, la somma delle nozioni non è sufficiente alla creazione della qualità della forma, infatti, alla creazione della forma si perviene da due criteri distinti: “il criterio basato sulla necessità di erudizione e il criterio basato sulla “freschezza dello sguardo”“ (Tim Ingold). E la freschezza dello sguardo è criterio necessario-essenziale per praticare qualunque arte restando distaccati dalla ricompensa… per la propria attività; un modo di operare che finisce per fondersi con quelle forme “senza nome”, quelle forme, che nascono dall’esperienza del saper fare.

A partire da questo punto di vista, forse, vi potrà essere la possibilità di lasciare alla storia l’oggettivazione del mondo per passare quello degli intrecci. Quegli intrecci di esperienze, co-implicate ecologicamente con tutti gli esseri viventi animali e vegetali, organizzate e interpretate in un sistema cosmico etico e politico. Luoghi, quindi, non più astrattamente definiti ma recuperati alla dimensione materiale e simbolica dell’abitare. E se il design è uno dei processi adeguati ad abitare il mondo, questo si com-prenderà al proprio milieau sostituendo l’industrial design con il geodesign, un design inclusivo come Poetica della Terra. Parallelamente verranno tralasciate le azioni spettacolari e le esibizioni scenografiche, così che, le “cose” progettate si ripeteranno appartenenti al loro tempo immanente, semplicemente ovvie, praticate nelle loro innumerevoli possibilità nei contenuti e nelle forme. Vieppiù, se aspiriamo a un destino diverso da quello che ci sta apparecchiando l’Antropocene dovremo re-imparare a lasciare tracce leggere sulla Terra.

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