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Giovanna Ricoveri e la CGIL

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Ho conosciuto Giovanna Ricoveri nel 1973, nella sede nazionale della Cgil, al terzo piano, dove lei era ricercatrice presso l’Ufficio studi della Filtea (Federazione italiana dei Lavoratori Tessili e Abbigliamento), allora diretta da Sergio Garavini, che ne era il Segretario generale, ed io lavoravo come segretaria tecnica per il neonato Sindacato della Ricerca della Cgil. Lei aveva 40 anni, io 20; lei era un’economista ed io ancora studiavo chimica. Questa differenza di età e di formazione ha dato origine ad una curiosità reciproca e ad una “simpatia” (nel senso greco della parola) che è durata 50 anni ed ha portato me, che la considero la mia mentore, a comprendere profondamente il legame tra economia, ambiente geografico, materia, contesti sociali, politica e scelte “di campo”. Giovanna mi ha aperto gli orizzonti del vero significato di compatibilità, della complementarietà e dell’ineliminabile intreccio dei saperi umanistici e scientifici.

La ricercatrice della Filtea Giovanna Ricoveri si era formata in un contesto ricco di opportunità e suggestioni (gli Stati Uniti degli anni ‘60 del 1900), dove era approdata dopo la laurea in diritto costituzionale e un anno a Londra per imparare la lingua. Negli USA – studentessa della Columbia University di New York con una borsa di studio Fulbright – ha “scoperto”, come lei stessa diceva, la natura e il senso dell’economia che allora si insegnava, come scienza esatta costruita su “modelli matematici astratti e ideologici, […] che non permettono né di capire l’economia reale, né di affrontare i problemi della maggioranza delle persone.” (da “Dialogo tra Giorgio Nebbia e Giovanna Ricoveri sull’economia, l’ecologia e altro”).

Questa breve descrizione è utile a comprendere le ragioni dell’approccio di Giovanna al Sindacato, molto specifico e molto strutturato.

Non posso separare, del resto, quell’approccio dai successivi “passaggi” della sua esperienza sindacale, dalle criticità che ha affrontato e in parte subito in ragione di posizioni di ricerca costante e in qualche modo – ad un certo punto – interlocutoria rispetto a decisioni e orientamenti diffusi.

La descrizione del periodo sindacale di Giovanna fa riferimento, nella mia memoria, a quanto da lei stessa raccontato, anche scritto, ma insieme ad episodi e scambi avendo l’occasione di condividere un luogo di lavoro e punti di vista.

L’origine di quell’approccio è stato il suo coinvolgimento nello studio Isvet-Eni (l’Isvet era l’Istituto studi Sviluppo Economico e progresso Tecnico, cui l’Eni commissionò lo studio) per una comparazione dei costi tra disinquinamento e danni prodotti dall’inquinamento: un’analisi costi-benefici che confrontava il danno economico in termini monetari dell’inquinamento con il costo economico, sempre in termini monetari, del disinquinamento – aria, acqua – da effettuare a valle con investimenti pubblici. Al di là delle risultanze della ricerca, di taglio totalmente economicistico, essa aveva comunque permesso a Giovanna di aprire una propria riflessione sulle risorse naturali, sul loro abuso e sul Sud del mondo, con una più chiara consapevolezza del fatto che la ricerca economica rappresentava piuttosto una giustificazione di scelte d’impresa e politiche già assunte, anziché la base per assumerle.

Insieme alle suggestioni del 1968 sul rapporto tra lavoro e produzione e al nuovo ambito di studio che aveva deciso di affrontare, Giovanna fu pronta ad accettare l’incarico da parte di Sergio Garavini per un’inchiesta insieme ai delegati di 30 fabbriche laniere e cotoniere su professionalità operaia e in particolare delle operaie, utile per dare un supporto al rinnovo contrattuale di categoria. L’obiettivo era quello di aprire la discussione sui livelli di inquadramento e soprattutto del “secondo livello”, dove erano relegate le operaie tessili, con mansioni elementari e salari bassi. Quella stagione di rinnovi – il 1973 – era caratterizzata dalle conquiste che avevano portato allo Statuto dei Lavoratori e prodotto ambiti nuovi per la possibilità di azione (delegati di reparto, diritto allo studio – le 150 ore – e la titolarità esperta dei lavoratori per intervenire sui fattori di rischio chimici, fisici, biologici ed ergonomici sul lavoro), ma anche dalla resistenza padronale, che già dalla seconda metà del 1970 si espresse con chiusure di fabbriche, licenziamenti di massa, smantellamento delle partecipazioni statali.

L’inchiesta portata avanti da Giovanna nelle 30 fabbriche tessili fu realizzata e raccolta in una pubblicazione “I processi di ristrutturazione nelle fabbriche laniere e cotoniere” e presentata ad un’assemblea nazionale dei delegati e delle delegate tessili nel 1974. Nel solco della convinzione dell’importanza della conoscenza esperta dei lavoratori e delle lavoratrici, come avveniva per l’ambito della salute sui luoghi di lavoro, erano dati raccolti alla base, non statistici, bensì rappresentativi della realtà e in tal senso classificati.

Per questo, date le difficoltà del sindacato con le ristrutturazioni e i licenziamenti di massa, Giovanna decise di restare nella Cgil, con un nuovo tipo di incarico: sul territorio (Lucca e Valdarno) e Centro confederale, misurandosi per molti anni con questioni importanti e controverse, quali il lavoro a domicilio e la sua regolamentazione, l’occupazione femminile, la ristrutturazione industriale e il decentramento produttivo, i distretti, le multinazionali, l’internazionalizzazione dell’economia, gli investimenti esteri e il commercio internazionale, gli input della ricerca militare.

Tra la seconda metà degli anni ‘70 e la prima metà degli anni ‘80 si sviluppò il conflitto tra lotte occupazionali e difesa del territorio, con le responsabilità che dalle popolazioni venivano attribuite ai lavoratori per l’inquinamento prodotto dalle fabbriche, data la loro difesa dei posti di lavoro, anziché alle imprese e alle scelte degli imprenditori. La risposta del sindacato riguardava il ricatto occupazionale ed era, perciò, sempre difensiva.

Per Giovanna questo rappresentò uno snodo. La difficoltà ad enucleare attorno a nuove, ma concrete, suggestioni l’attenzione e l’iniziativa sindacale rendevano la ricerca in ambito sindacale solo una “testimonianza”, senza esiti costruttivi, senza ipotesi di cambiamento.

Le sottovalutazioni anche della sinistra politica e l’incapacità dell’ambientalismo di costruire una riflessione comune, che spostasse su un intervento politico esperto e documentato le opportunità aperte da un nuovo protagonismo economico e non monetaristico alle dinamiche sociali e ora anche alla salvaguardia della salute e dell’ambiente nei territori, portarono Giovanna a ripensare alle diverse accezioni dell’economia e agli strumenti per superare la condanna “alla subalternità e alla sconfitta” dei lavoratori in nome dell’occupazione. Insieme all’ecologia, entrava nel futuro di Giovanna una disciplina nuova, l’ecologia politica: che cosa fare, come e con chi realizzarne le prospettive.

Finiva la fase dell’esperienza di impegno diretto nel sindacato di Giovanna, ma non l’approfondimento nel suo percorso di ricercatrice a tutto tondo delle inferenze tra scienza, ecologia, storia, economia, contesti sociali, culture territoriali e valori, politica e politiche. Ha continuato ad esplorare le situazioni conflittuali e le loro cause, come nei rapporti tra territorio e impatto ambientale, che tanti danni e sofferenze hanno causato anche nella convivenza di popolazioni nei territori, nelle singole famiglie tra le generazioni di figli contro padri: le vertenze territoriali con caratteristiche ambientali (Taranto, Portoscuso, Pirelli,…) – delle quali mi sono occupata ai tempi della nota “task force” nei primi anni ‘90 – furono oggetto della sua attenzione, per la distruzione di risorse e di ambienti, per gli esiti sulla salute umana di scelte impiantistiche incongrue da parte delle imprese dentro e fuori dalle fabbriche.

In definitiva, la vita nel Sindacato di Giovanna dall’inizio degli anni ‘70 e per vent’anni ha coperto un’epoca importante e contraddittoria, ricca di opportunità, fertile per lo studio sociale ed economico, ma di ripiegamento sul controverso rapporto tra sostenibilità e compatibilità, tra salario e salute, tra fabbrica e territorio.

Rileggere ora il suo lavoro potrebbe essere non solo un “omaggio” alla persona e alle sue capacità di pensiero, ma anche un’occasione per riprenderne le suggestioni e il potere di trasformazione.

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