La emersione della emergenza PFAS ha fatto “dimenticare” la presenza di contaminanti ubiquitari (cioè diffusi a livello mondiale) come le diossine (policlorodibenzodiossine) e i fratelli chimici furani (policlorodibenzofurani), come molte altre sostanze con la peculiare caratteristica di essere dei “disturbatori endocrini” oltrechè dei cancerogeni che compongono il cocktail micidiale a cui siamo esposti tutti e ovunque.
Diossine e PFAS sono accumunati da analoghe caratteristiche: sono bioaccumulabili (nell’ambiente e nell’organismo) concentrandosi lungo la catena alimentare fino all’uomo e non poco o per nulla degradabili. Infatti il fluoro, nei PFAS; e il cloro nelle diossine appartengono allo stesso gruppo della tavola periodica (gli alogeni) e quindi condividono caratteristiche chimico-fisiche analoghe tanto più se “innestate” in complesse catene organiche.
Se per i PFAS parliamo di concentrazioni pericolose in termini di nanogrammi (milionesimi di milligrammo) nelle matrici ambientali (in particolare acqua), nel caso delle diossine dobbiamo spostarci di tre ordini di grandezza (1000 volte) in meno: parliamo di femtogrammi (miliardesimi di milligrammo). Una volta entrati nell’organismo umano, in entrambi i casi, occorrono anni per “smaltirle”, per le donne in gravidanza queste sostanze passano nei feti in gestazione determinando gravi danni a chi non è ancora nato.
Una differenza tra PFAS e diossine è che le prime sono costituite da una molecola organica ma con una “terminazione” idrofila, in altri termini si sciolgono in acqua e quindi arrivano alle persone principalmente in questo modo, invece le diossine solo lipofile ovvero si sciolgono nei grassi e quindi arrivano alle persone principalmente con cibi come uova, carne, prodotti caseari, pesci ecc.
Come abbiamo imparato a nostre spese le numerose (oltre 200) molecole definite diossine sono il frutto di reazioni indesiderate in alcune produzioni (pesticidi) o ove non vi è un controllo, come nella combustione di rifiuti di diverso genere (incenerimento), sono comunque presenti ovunque un atomo di cloro può incontrare una catena idrocarburica (carbonio e idrogeno in sostanza). Analoga tossicità è riconosciuta per i “cugini” delle diossine: i policlorobifenili questi ultimi ampliamente e volutamente prodotti fino a pochi anni fa in forma di olii industriali.
Le diossine risultano esser state contaminanti importanti (voluti?) nella produzione dell’Agente Orange, un defoliante utilizzato come arma chimica contro i vietcong dall’esercito USA nella guerra contro il Vietnam e che miete patologie tutt’oggi.
Per effetto del loro inserimento tra i contaminanti organici persistenti (POPs) a partire dal Protocollo di Aarhus (1998) e dalla Convenzione di Stoccolma (2001) il rilascio ambientale delle diossine si è ridotto col tempo, nei paesi europei, del 60 % rispetto al 2005.
In Italia, secondo il registro nazionale delle emissioni siamo passati da un rilascio complessivo di 529 grammi I-TEQ di diossine e furani a 304 grammi I-TEQ secondo le stime 2022, le fonti predominanti complessive, secondo il registro, sono la combustione residenziale (in particolare di biomasse) e le attività metallurgiche peraltro in incremento dal 1990 (Ilva di Taranto è la principale singola fonte europea di diossine), il contributo degli inceneritori si è ridotto in modo importante negli anni ma non si è ovviamente azzerato, per lo più dalle emissioni si sono spostate nelle ceneri leggere dai sistemi di abbattimento. Inoltre incidenti industriali (incendi incontrollati) costituiscono momenti di esposizioni importanti per le popolazioni interessate dalla ricaduta dei prodotti di combustione.
In ogni caso ancora oggi l’esposizione umana degli europei risulta frequentemente al di sopra della soglia considerata “senza effetti” (NOAEL) con picchi anche di cinque volte tale soglia. Le maggiori esposizioni riguardano i neonati e i bambini. Nonostante la riduzione dei rilasci nell’ambiente di diossine e sostanze similari (“dioxin like”) perlomeno in Europa e negli USA, il cumulo ambientale pregresso riscuote ancora i suoi interessi sottoforma di contaminazione e di patologie correlate in un cocktail tra nuove e “vecchie” sostanze in una continuo accumulo di tossicità che si accompagna alla crisi climatica aggiungendo e potenziandone gli effetti sempre più irreversibili e visibili nella vita di tutti noi.