È uscito di recente un volumetto curioso, intitolato Croce tra noi (a cura di L. Arnone Sipari, A. Sorrentino, G. Varone, prefaz. di T. Iermano, Atripalda, Ed. Mephite, 2003, pp.188, e 10). Curioso perché esso, riportando i risultati di due giornate di studio a Pescasseroli e a Cassino fra il 3 e il 4 Giugno 2002, affianca pagine di “crociologi” affermati come Toni Iermano ed Ernesto Paolozzi a quelle di una schiera di studiosi giovani e giovanissimi, a cavallo addirittura dello stesso passaggio della laurea. Il risultato è di ineguale valore, dato che non sempre l’eredità crociana riesce qui a vivificarsi nei nuovi problemi e nelle nuove esigenze culturali, così come era negli intenti originari dell’opera: ma lo sforzo merita simpatia e incoraggiamento.
Fra i saggi qui raccolti, uno in particolare interessa questo nostro sito, e cioè Il percorso di Croce all’ecologia liberale attraverso le radici familiari – indubbiamente fra i più riusciti e in assoluto notevoli -, di Lorenzo Arnone Sipari. Lorenzo, sebbene accademicamente molto giovane, è in realtà uno studioso già formato, che ha all’attivo alcuni rigorosi saggi di storia sociale, che ruotano intorno ai suoi due prevalenti attuali interessi, in cui la genesi emotivo-affettiva non va certo a detrimento della scientificità: il territorio fra la Val di Comino, la Terra di Lavoro e l’Alta Val di Sangro e la famiglia Sipari, alla cui appartenenza lo studioso deve la discendenza in linea materna da Benedetto Croce (a cui lo lega anche una vaga somiglianza nei lineamenti del volto e il domicilio nell’austero Palazzo Sipari ad Alvito, dove fonti non del tutto suffragate vogliono che il filosofo abbia passato i primi mesi di vita, dopo essere venuto alla luce nella dimora gemella e vicina di Pescasseroli).
Sipari vivifica nel miglior modo l’eredità crociana: svolgendo cioè studi seri con metodi e strumenti propri, evitando quel registro – stilistico e mentale – autoreferente ed apologetico (una sorta, cioè, di Croce “lontano da noi”), che è tipico di una non ispenta ortodossia, che trovò una stagione di coagulo nella “Rivista di studi crociani” (1964-1984). In questo volume egli si occupa delle attenzioni “ambientalistiche” di Croce, in relazione, prevalentemente, alla sua terra di origine abruzzese e alla famiglia materna. Già Raffaele Colapietra aveva invitato a svolgere studi sulla famiglia Sipari, di matrice liberale e modernizzante, così come del resto emerge dall’utile libro di Luigi Piccioni sul cugino di Croce fondatore del Parco nazionale d’Abruzzo, Erminio Sipari. Origini e opere dell’artefice del parco nazionale d’Abruzzo e dai miei stessi lavori sulle origini dell’opera crociana (Il giovane Croce. Una biografia etico-politica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2000 e Alle origini del pensiero “civile” di Benedetto Croce. Modernismo e conservazione nei primi vent’anni dell’opera, Napoli, Editoriale scientifica, 2002). In questo nuovo saggio Arnone Sipari torna su un’importante scoperta ch’egli aveva già presentato in un precedente lavoro che si avvaleva di documenti inediti, circa il fatto che Croce si era avvicinato già diciottenne agli scritti di Francesco Saverio Sipari, sindaco di Pescasseroli nel periodo post-unitario, liberale progressista. Il radicalismo di quest’ultimo veniva in luce in quella lettera ai censuari del Tavoliere delle Puglie in cui si denunciava la radice sociale del fenomeno del brigantaggio, di cui ampi stralci sono citati nella Storia del regno di Napoli del nipote e di cui lo stesso Lorenzo sta attualmente curando la sua prima pubblicazione integrale.
Arnone Sipari ricorda inoltre che nel Discorso di Pescasseroli del 1910, in un periodo in cui “si stava delineando il primo progetto di un’area protetta nell’Appennino centrale”, il filosofo scriveva che il nome di Pescasseroli sarebbe divenuto “fra non molti anni, familiare a tutti, come sono familiari i nomi dei villaggetti svizzeri; perché qui converranno, e da Roma e da Napoli e da ogni parte, i villeggianti e gli escursionisti”. Nel saggio sul paese natio del 1922, Croce accennava ancora al progetto per cui quella conca montana, “con boschi secolari o rinascenti per nuovi rimboschimenti, distante solo poche ore da Roma, diventi stazione climatica e vi sorgano alberghi”. “Decontestualizzata – nota Arnone Sipari – tale chiusa fu utilizzata per giustificare lo spropositato incremento di edilizia turistico-ricettiva che Pescasseroli conobbe agli inizi degli anni Sessanta, allorché l’Ente Parco era commissariato”. “Croce – continua Arnone Sipari – auspicava, invece, la realizzazione di un modello di area protetta che si fondasse, come elaborato in anticipo sui tempi dal cugino Sipari, sull’intreccio tra tutela ambientale e sviluppo turistico; modello, questo, che era ben lungi dall’avallare una qualsivoglia devastazione della natura. Non a caso Pescasseroli usciva in contemporanea con la definizione degli atti relativi all’inaugurazione del Parco Nazionale d’Abruzzo avvenuta, per iniziativa privata, il 9 Settembre 1922 (…). Come per l’idea di una stazione climatica avanzata da Sipari nel 1909, e sostanzialmente rilanciata da Croce nel Discorso del ‘10, la monografia rispondeva alla necessità di un intervento autorevole, che promuovesse all’esterno l’immagine di un borgo appenninico tagliato fuori dalle usuali rotte del turismo d’élite e sostenesse al contempo il progetto di un’area protetta che non vantava precedenti in Italia”. Ad una stessa spinta modernizzatrice, corrisponde del resto, “il disegno di legge per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico che, presentato il 25 settembre 1920 dal Croce ministro della Pubblica Istruzione, avrebbe poi formato, senza sostanziali modifiche, il testo della Legge 11 giugno 1922, n.7782, con cui veniva vietata l’alterazione o la distruzione di bellezze naturali e artistiche senza il consenso del Ministero dell’istruzione. I proprietari di immobili vincolati erano obbligati a presentare alle Sovrintendenze ogni progetto di ristrutturazione. Veniva vietata inoltre la costruzione di edifici al di fuori del perimetro vincolato se deturpanti il paesaggio, così come l’apposizione di insegne e cartelli di affine effetto inestetico (caratteristiche legislative, queste, che contengono un ethos particolarmente edificante per la nostra attuale stagione di condoni).
Croce, del resto, e Arnone Sipari lo ricorda, aveva già condotto una serie di polemiche culturali e politiche, a livello municipale, per la tutela dei beni artistici e urbanistici della Napoli di fine Ottocento, sventrata dal Risanamento, su cui mi sono soffermato analiticamente, io stesso, nel terzo capitolo del secondo dei libri succitati. Questa esperienza personale si andava ad innestare su quella della famiglia materna, che, con la riserva dell’Alta Val di Sangro, aveva evitato, a cavallo dei due secoli, l’estinzione di importanti specie faunistiche.
Un “ambientalismo”, dunque, quello di Croce e dei Sipari, di marca “modernizzatrice”. Fatto, questo, concettualmente non scontato, dato che in genere l’ambientalismo rinvia alla sfera dei limiti da porre al processo di modernizzazione. Tuttavia, qualora si guardi alla modernizzazione come un processo non fine a se stesso, ma, crocianamente, come una continua riconduzione ai fini dell’uomo, allora, ecologismo e modernità riscoprono radici solidali. Un’urbanizzazione turistica selvaggia, ad esempio, non è “moderna” o modernizzatrice: essa assume della modernità, soltanto, l’involucro esteriore.