Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Chi inquina non paga, anzi paga! L’avventurosa storia di 500 milioni di euro scomparsi e poi riapparsi per le bonifiche dei siti inquinati Caffaro

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La stampa ha dato notizia il 15 ottobre scorso della Sentenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea del 29 luglio 2024 che conferma la validità della sentenza d’appello del Tribunale civile di Milano, perfezionata dalla successiva dello stesso Tribunale del 28 ottobre 2021 che condannava la società LivaNova PLC a versare al Ministero dell’Ambiente euro 453.587.327,48 per le bonifiche dei tre sin Caffaro, di cui 249.985.948,46 per il solo sin Brescia Caffaro.

Ma che cosa ha a che fare la multinazionale londinese di apparati biomedicali LivaNova PLC con la vecchia Caffaro chimica da 15 anni fallita?

Come in un giallo che si rispetti, partendo dall’evento conclusivo, di solito un misterioso assassinio (in questo caso un evento a due facce, felice per il popolo inquinato italiano e assai sgradevole per il Chair of the Board di LivaNova PLC che sta a Londra), si deve ripercorrere all’indietro la vicenda per districare il classico bandolo della matassa, una sorta di pièce in tre atti, drammatica, anche grottesca, con lieto fine a sorpresa.

Atto primo (2003-2004). 500 milioni di utili in fuga con SORIN. Zero euro per le bonifiche. Le Autorità competenti (Governo e Comune) stanno a guardare: inettitudine o compiacenza?

Com’è noto la Caffaro in quel fatidico 13 agosto del 2001, quando si “scoprì” la “Seveso bis” bresciana, con una disastrosa contaminazione da diossine e pcb, dopo essere stata gestita per quasi un secolo da industriali milanesi, dal 1999 era passata sotto il controllo di una finanziaria, l’hopa di Chicco Emilio Gnutti, con sede a Brescia, l’incubatrice delle imprese dei “capitani coraggiosi” della nuova finanza, dispiegatasi in particolare a cavallo della fine del scolo scorso, fino a tutto il 2005, lungo una parabola, all’inizio in strepitosa ascesa, in particolare con l’acquisizione di Telecom, conclusasi con un crollo repentino e fragoroso tra indagini per insider trading, aggiotaggio e altri incidenti di percorso, di quel gruppo che si era autodefinito “furbetti der quartierino”.

Coerente con la posizione attendista assunta rispetto alla causa penale, il Comune di Brescia si astenne anche dall’avviare in sede civile una causa legale contro la Caffaro per risarcimento danni (Campo di atletica Calvesi, Parchi pubblici e altri siti di proprietà municipale inquinati…), anche quando fu pressato dai cittadini che nel frattempo avevano intentato una difficile iniziativa analoga per far valere in sede civile i danni subiti: il rifiuto di agire per tutelare il proprio patrimonio inquinato e di schierarsi a fianco dei cittadini, in questo caso, venne motivato rivendicando un “ruolo super partes” dell’amministrazione comunale rispetto ai presunti inquinatori ed al popolo inquinato1. Così i cittadini rimasero soli nel difficile tentativo di trovare un qualche risarcimento degli ingenti danni subiti di fronte ad un colosso industriale e finanziario che sapeva bene come muoversi per contrastare ogni possibile rivalsa nei suoi confronti. Occorre, a questo punto, fare un piccolo passo indietro per comprendere la complessità dell’intricata vicenda.

Quando nel 1999 Hopa acquistò il pacchetto di controllo di snia-Caffaro, l’area della Caffaro di Brescia, secondo il Piano regolatore della città del 1998, era prevista per una trasformazione in artigianale, commerciale e residenziale (Progetto norma n. 35, via Milano). La snia era allora appetibile sul piano industriale innanzitutto per il settore biomedicale della sorin in forte espansione e, per quanto riguarda il settore della chimica, per alcune attività che potevano avere ancora una prospettiva in particolare nei siti industriali di Torviscosa e Colleferro, mentre il sito di Brescia appariva, appunto, interessante nell’ambito della trasformazione urbanistica prevista per il Comparto Milano. I cantieri per il Comparto Milano dovevano partire nell’autunno del 2001, ma nell’agosto scoppiò il “caso Caffaro”, tutto dovette essere bloccato e, ancora oggi, quel grande progetto urbanistico sta procedendo tra mille difficoltà, anche per la sopravvenuta crisi edilizia.

Del resto, nel 1999, hopa non poteva prevedere che conseguenze avrebbe avuto il dm n. 471 del 25 ottobre proprio di quello stesso anno, che, per la prima volta, regolava criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati: dovette, così. scoprire la sgradevole e onerosa sorpresa di aver acquistato, insieme agli impianti e ai prodotti, sotto ed intorno alle stesse aziende chimiche un disastro ambientale di grandi proporzioni, in particolare a Brescia, il caso di gran lunga più grave.

Dopo l’emergenza del “caso Caffaro”, quindi, hopa cominciò ad operare per disfarsi, tramite cessione, dell’azienda di via Milano, diventata, a quel punto, un’ingombrante palla al piede.

Il Comune, d’altro canto, per anni si limitò ad agire con ordinanze, impostegli dall’arpa, dall’asl e poi dal Ministero dell’Ambiente, perché la Caffaro assumesse alcuni provvedimenti d’emergenza sullo scarico in corpo idrico superficiale e quindi sulle rogge, con una parziale caratterizzazione delle stesse a carico della Caffaro. Ma, come si è visto, nonostante i numerosi solleciti e nonostante che lo stesso Comune avesse finalmente accertato con perizia di una commissione tecnica che l’inquinamento del Campo di atletica Calvesi era dovuto alla Caffaro, non avviò alcuna iniziativa legale, né in sede penale, né civile contro la Caffaro, neppure per ostacolare le evidenti manovre di hopa e di snia per cercare di alleggerirsi degli oneri delle bonifiche.

In effetti hopa, dopo aver tentato di vendere Caffaro, con prevedibile reiterato insuccesso, architettava un’operazione societaria che porterà a conclusione tra il 2003 e il 2004: snia venne scissa in due società distinte, snia-Caffaro, comparto chimico con i conti in rosso, da una parte, e sorin, comparto biomedicale con 500 milioni di attivo, dall’altra, ricollocate quindi separatamente in Borsa come nuove società il 2 gennaio 2004.

In questa operazione, cruciale per il tema di “chi inquina paga”, era facile prevedere un abbandono di Caffaro, oberata da deficit strutturale e dallo stato di grave inquinamento, su di un binario morto, binario che effettivamente la porterà alla liquidazione nel 2009, rendendola, quindi, insolvibile ed incapace a far fronte al danno ambientale a suo tempo provocato. Questa mancanza di iniziative da parte dell’Autorità competente, quando snia-Caffaro era ancora solvibile, è tanto più censurabile in quanto vi erano stati espliciti allarmi da parte dei cittadini organizzati nel Comitato contro l’inquinamento zona Caffaro, indirizzati in particolare al Comune di Brescia. Già in una lettera inviata il 23 settembre 2003, molto prima della fatidica scissione, al sindaco di Brescia dall’allora Comitato contro l’inquinamento zona Caffaro, quest’ultimo chiedeva con grande preoccupazione che l’Amministrazione comunale assumesse alcune iniziative urgenti, tra le quali:

Decidere formalmente l’esercizio dei poteri sostitutivi e la conseguente messa in mora e in danno della Caffaro Spa medesima, intervenendo contestualmente nella procedura di scissione di Snia, prima ovviamente che questa sia stata perfezionata, con relativa comunicazione alla Consob, che possibilmente contenga una stima dei possibili oneri da addebitarsi a Caffaro e quindi Snia2.

Ma solo i cittadini, tramite il loro legale, si attivarono presso la Consob, senza riuscire comunque a bloccare l’operazione, mentre il Comune di Brescia e il Ministero dell’Ambiente rimasero ancora una volta alla finestra: cosicché la Consob, su iniziativa degli ambientalisti, rese di dominio pubblico il contenzioso che era aperto tra Comune di Brescia e Caffaro per gli oneri della bonifica esterna all’azienda3, elemento determinante per la successiva iniziativa della Magistratura.

Atto secondo (2015-2016). Le Autorità competenti, titubanti sul contenzioso legale, cercano un accordo extragiudiziale al ribasso con sorin, circa 25 milioni, con uno sconto del 95%!

Di fronte all’inettitudine delle Autorità competenti, anni dopo, si mosse in sede civile il Commissario straordinario incaricato nel 2010 della liquidazione di snia, Marco Cappelletto, che cercò di richiamare in causa tutti i protagonisti precedenti alla scissione del 2004, insinuando che la stessa fosse stata operata proprio ai fini di danneggiare snia e quindi gli interessi degli azionisti della stessa che rappresentava. Ne dava notizia “L’Espresso” del 2 maggio 2013 informando di una clamorosa azione civile avviata presso il tribunale di Milano nei confronti dei vecchi proprietari di snia-Caffaro per oltre 4 miliardi di euro4

Cosicché, con un ritardo di 10 anni, il Ministero dell’Ambiente fu costretto a entrare in campo, tramite l’avvocatura dello Stato, presso il tribunale di Milano, insinuandosi nel contenzioso avviato dal Commissario straordinario, sia nei confronti delle società che controllavano snia-Caffaro, sia nei confronti di sorin, nel presupposto che all’origine di questa società vi fosse stata una scissione “distrattiva” di risorse in danno di snia-Caffaro e con la finalità di sottrarsi agli oneri di bonifica. Risulterebbe, però, che questa prima iniziativa sia stata a tal punto maldestra che la sentenza del Tribunale civile di Milano del 26 ottobre 2016, con cui respingeva tutte le argomentazioni dell’Avvocatura dello Sato tese a chiamare in causa direttamente la responsabilità di sorin scissa, ora LivaNova5, giungeva a constatare, secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta, “che la difesa dell’Avvocatura dello Stato di Milano, che rappresentava il Ministero dell’ambiente, il Ministero dell’economia e delle finanze e la Presidenza del Consiglio dei ministri, è stata ritenuta dal tribunale di Milano talmente carente sotto ogni profilo, da comportare la condanna delle pubbliche amministrazioni anzidette per lite temeraria già in primo grado”6. Analoghe motivazioni si ritrovano in altrettante sentenze coeve, tutte sfavorevoli all’Autorità competente e all’Avvocatura dello Stato, come quella del tribunale di Udine dell’11 gennaio 2016 per il sito di Torviscosa e quella del Tar del Lazio in sede amministrativa il 3 febbraio 2016, per il sito di Colleferro. Ma se si approfondisce la singolare vicenda si scoprono strane coincidenze in quel secondo atto decisivo del 2015-2016, che si rivelò una vera waterloo per l’affermazione del principio “chi inquina paga”. Dopo 14 anni di mancate bonifiche, il 4 marzo 2016 il Comune di Brescia ed il nuovo Commissario straordinario del sin Caffaro, Roberto Moreni, chiedevano di azzerare quasi del tutto il perimetro del Sito, riducendolo al solo stabilimento privato, causa del disastro, e ad alcuni parchi pubblici, risolvendo così alla radice il grave disastro ambientale, cancellandolo anche ufficialmente7. I comitati ambientalisti, scoperta l’inopinata iniziativa in corso, la denunciavano pubblicamente e anche formalmente con una Nota a tutte le Autorità competenti del 30 marzo 2016, costringendo il funzionario del Ministero dell’Ambiente responsabile della pratica, il 10 maggio 2016, a ribadire il rispetto della legge, che non contemplava la cancellazione di un sin o di una sua parte con la semplice motivazione della mancanza di risorse per farvi fronte: veniva così cassato l’inopinato tentativo8. Ma quell’iniziativa, apparentemente troppo illogica e autolesionista, probabilmente rientrava in un’operazione più generale che a posteriori sembrerebbe restituirle una coerenza, ancorché molto emendabile. Infatti, mentre l’Avvocatura dello Stato perdeva su tutti i fronti, presentandosi a mani nude nei tribunali, nel mese di settembre 2016 l’ISPRA mise il proprio sigillo sulla cancellazione di fatto del “Sin Brescia Caffaro” azzerando quasi del tutto il danno ambientale del sito stesso: “Quanto al danno ambientale del SIN di Brescia-Caffaro – come si è visto nel corso della relazione – la valutazione dell’ISPRA del mese di settembre 2016 ne riduce la stima rispetto alla precedente del 2009, portandola dal precedente valore complessivo di 1.452.807.700 di euro (ovvero di 1.553.807.700 di euro, quale risulta dalla stima allegata alla nota trasmessa al Ministero dell’ambiente in data 5 febbraio 2009) a un valore, che si attesta tra un minimo di euro 43.911.290 e un massimo di euro 95.598.690”. Vanno aggiunti due elementi inquietanti: la nuova valutazione del 2016 del danno ambientale del SIN Brescia Caffaro fu compiuta da ISPRA sulla base di perizia effettuata dall’ingegner G. Gavagnin, lo stesso che, come consulente di SNIA Caffaro, realizzò nel 2001-2002 il Piano di caratterizzazione del sito industriale (G. Gavagnin, Caffaro S.p.A. stabilimento di Brescia. Progetto preliminare ai sensi del D.M. 471/99. Analisi dei livelli di inquinamento, aprile 2002); per gli altri due siti, invece, l’ISPRA non prevedeva alcun abbattimento dei costi, anzi addirittura una rivalutazione (Per Colleferro 381.822.500 euro e per Torviscosa 759.162.965 euro)9. Un incredibile trattamento di “sfavore” nei confronti di Brescia che di seguito troverà una “razionale” spiegazione. Infatti il puzzle si completa associando a questi atti apparentemente illogici un articolo precedentemente uscito a tutta pagina il 9 aprile 2015 sul “Corriere della Sera-Brescia”, dal titolo esplosivo, L’offerta Sorin: un parco nella Caffaro. Qui SORIN avanza la proposta alle Autorità competenti di “abbattere i capannoni e decorticare diversi metri di terreno inquinato”, e poi farvi un bel parco da offrire alla città. Ovviamente SORIN ribadisce che “non è direttamente responsabile del gravissimo inquinamento della città”, ma per ragioni d’immagine propone questa offerta che, però, deve comportare la pietra tombale su ogni possibile contenzioso. Non è resa pubblica ufficialmente la quantificazione in euro dell’operazione, ma si può presumere fosse inferiore alla valutazione minima di ISPRA, 25 milioni di euro secondo indiscrezioni di stampa10, con uno sconto di circa il 95% rispetto ai famosi 500 milioni di attivo di SORIN al 2024. Ottimista il sindaco di Brescia: “sarebbe una svolta epocale, il riscatto della città”. Il tentativo di transazione prospettato da SORIN, com’è evidente, illumina quei comportamenti delle Autorità pubbliche competenti messi in atto in quel periodo tesi a ridurre, se non azzerare il Sin Brescia Caffaro, sia nella sua reale dimensione territoriale, sia nella valutazione dei costi della bonifica. Per apprezzare la consistenza dell’operazione non bisogna stupirsi che l’intervento di SORIN si limitasse al sito di Brescia, ignorando gli altri due. Sia SORIN che il Ministero dell’Ambiente sapevano benissimo che, mentre a Colleferro e a Torviscosa, a loro parere, si poteva continuare a vivere in un territorio inquinato e con le bonifiche rinviate alle calende greche, a Brescia, nel momento in cui Caffaro Brescia, l’azienda subentrata in una porzione del sito, come annunciato, avesse dismesso ogni attività, compresa la pur inadeguata tenuta in sicurezza d’emergenza della falda, la città di Brescia sarebbe rimasta senza acqua potabile, con un disastro ambientale di risonanza internazionale. Dunque, qui, non si poteva non fare nulla, anzi urgeva la messa in sicurezza del sito industriale, mentre con l’inquinamento esterno i cittadini avrebbero potuto e dovuto convivere a tempo indeterminato.

Come si vede, si tratta di una vicenda a dir poco oscura che non giunge in porto, forse, per l’opposizione del commissario liquidatore della SNIA-Caffaro, Marco Cappelletto, preoccupato perché da quella transazione sembravano esclusi gli azionisti e i creditori della SNIA da lui rappresentati e perché “la bonifica riguarderebbe solo il sito di Brescia, a scapito degli altri due”. Ma questa opposizione, forse, non preoccupava molto SORIN, essendo destinata a cadere, come poi avvenne, per i termini della prescrizione. Mentre possono aver influito le iniziative di denuncia dei Comitati ambientalisti, quella del 30 marzo 2016 contro il tentativo di quasi azzeramento del SIN Brescia-Caffaro e quella formalizzata il 25 maggio 2018 come Denuncia alla Commissione europea da parte del Comitato popolare contro l’inquinamento zona Caffaro, che si focalizzava proprio sulle inadempienze delle Autorità competenti italiane per le mancate bonifiche e per l’inettitudine nell’applicare il principio “chi inquina paga”11.

Insomma, pare di capire che siano prevalsi i timori di un’operazione troppo azzardata, esposta al rischio di uno scandalo massmediatico incontrollabile.

Atto terzo (2019-2024). La Magistratura, in sede civile, impone a LivaNova, già SORIN, già SNIA, di versare al Ministero dell’Ambiente oltre 450 milioni di euro, di cui 250 per il sito di Brescia. Sta di fatto che l’operazione fallì e le Autorità competenti, nonché l’avvocatura dello Stato furono costrette ad affrontare il contenzioso, in sede di appello, attrezzandosi adeguatamente con tutte le argomentazioni tecniche e giuridiche del caso. Trovando anche, per loro fortuna, un “giudice a Berlino”, come si suol dire quando sorprendentemente si ottiene giustizia.

Così, in sede civile, la Corte d’Appello di Milano, i sezione, il 5 marzo 201912, ha riaperto clamorosamente la partita ed è riuscita a sbrogliare l’intricata matassa che aveva impedito fino a quel momento di chiedere conto, in termini di oneri per la bonifica, a coloro che dovevano farsi carico del disastro ambientale perpetuato nei tre siti Caffaro. La sentenza, di 47 pagine, qualora venisse confermata in Cassazione, potrebbe segnare un importante e innovativo successo nell’attuazione del principio “Chi inquina paga” e merita, dunque, di essere richiamata in alcuni punti fondamentali. Per i giudici Domenico Bonaretti, Maria Iole Fontanella e Angela Scalise non si può parlare di mancata responsabilità nell’inquinamento dell’ultima compagine societaria, sorin e quindi LivaNova, essendo snia «sempre stata consapevole delle proprie responsabilità ambientali» tanto che nei bilanci 2002 e 2003 inseriva 60 milioni di euro per i siti di Brescia, Torviscosa, Colleferro, soldi mai utilizzati, nemmeno dopo la nascita di sorin. Anche se i pcb sono stati prodotti fino al 1984, l’inquinamento della falda, a causa dei tanti veleni dispersi, è proseguito in modo «permanente» e addirittura sarebbe ancora in atto, per cui non può scattare nessuna prescrizione trattandosi di reati di disastro ambientale. Sul punto i giudici citano una sentenza della Cassazione del 19 febbraio 2016, n. 325, in merito al risarcimento nei confronti dello Stato: «Il termine di prescrizione dell’azione di risarcimento non inizia a decorrere dalla cessazione dell’attività inquinante ma solo dal momento in cui le condizioni di danneggiamento saranno volontariamente eliminate da chi le ha provocate». E a proposito dei passaggi societari da snia, alla scissa sorin e quindi all’attuale LivaNova, i giudici citano ancora la Cassazione: «Per un danno ambientale può essere chiamato a rispondere anche un soggetto che non l’ha prodotto: nel caso in cui il proprietario dello stabilimento inquinante ceda l’azienda ad un terzo, quest’ultimo subentrerà in tutti i rapporti attivi e passivi». Quindi, poiché «snia e sorin devono ritenersi corresponsabili dei danni arrecati ai tre siti», LivaNova viene chiamata ad assumersi gli oneri delle bonifiche fino ad un massimo di 500 milioni, pari all’attivo, all’epoca, di sorin, rimettendo ai consulenti nominati dal Tribunale il compito di una precisa quantificazione.

Di nuovo, il 28 ottobre 2021, la stessa Corte d’Appello di Milano, recepisce la perizia del CTU e quantifica gli oneri posti a carico di SORIN, nelle dimensioni che abbiamo anticipato in premessa13.

A questo punto rimane da superare lo scoglio della Cassazione. Su quanto accade in questo ultimo grado di giudizio ci informa il Rapporto della Corte dei conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Fondo per la bonifica e messa in sicurezza dei siti di interesse nazionale (SIN), Delibera 23 settembre 2024, n. 87/2024/G:

LivaNova […], tuttavia, proponeva anche ricorso per Cassazione. Quest’ultima, con ordinanza n. 32365 del 05/10/2022 dispose il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. La memoria postuma del Ministero riporta che il giudizio non era ancora stato deciso, ma questa Sezione ha acquisito in autonomia la notizia recente che la Corte di giustizia ha emesso sentenza in data 29 luglio c.a., causa C-713/2022. Detta Corte, chiamata ad esprimersi sull’art. 3, paragrafo 3, lettera b) della sesta direttiva 82/891 (Scissione mediante costituzione di nuove società – Nozione di “elemento del patrimonio passivo non […] attribuito nel progetto di scissione” – Responsabilità solidale di tali nuove società per il passivo derivante da comportamenti della società scissa antecedenti a detta scissione) ha così disposto: “… occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 3, paragrafo 3, lettera b), della sesta direttiva 82/891 deve essere interpretato nel senso che la regola della responsabilità solidale delle società beneficiarie enunciata da tale disposizione si applica non soltanto agli elementi di natura determinata del patrimonio passivo non attribuiti in un progetto di scissione, ma anche a quelli di natura indeterminata, come i costi di bonifica e per danni ambientali che siano stati constatati, valutati o definiti dopo la scissione di cui trattasi, purché essi derivino da comportamenti della società scissa antecedenti all’operazione di scissione. […]” Pertanto, la Corte di Giustizia UE con tale sentenza fornisce l’interpretazione della normativa europea in tema di responsabilità solidale in caso di scissioni chiarendo che la responsabilità solidale delle società beneficiarie si applica anche agli elementi di natura indeterminata, come costi di bonifica e danni ambientali constatati, valutati o definiti dopo la scissione, se derivino da comportamenti della società scissa antecedenti all’operazione di scissione. Altrimenti l’operazione di scissione potrebbe costituire un mezzo per sottrarsi alle conseguenze degli illeciti eventualmente commessi dall’impresa a discapito dello Stato membro o di altri interessati14.

A questo punto, sciolto infine positivamente anche il nodo della Corte di giustizia europea15, la Cassazione dovrebbe confermare la sentenza della Corte d’Appello di Milano del 28 ottobre 2021, una sentenza di assoluta novità e rilevanza nazionale che, si auspica, farà da apripista per i tanti siti inquinati “orfani”.

Conclusioni

Ovviamente le nuove risorse devono servire a completare la bonifica del sito industriale ma anche, finalmente, alle bonifiche e ai ristori dei danni patiti dal popolo inquinato, ovvero ai cittadini vittime del disastro Caffaro, finora abbandonati senza alcuna cura da parte dell’Autorità competente.

Anche la sindaca di Brescia sembra finalmente convenire su questa priorità, che per oltre vent’anni i Comitati ambientalisti hanno sollecitato, senza ricevere alcun riscontro.

Con due doverose osservazioni.

Nel disastro ambientale prodotto dalla Caffaro, se la responsabilità primaria è da imputare all’azienda, non vi è dubbio che omissioni e mancanze nei controlli o addirittura connivenze siano da individuare anche nelle Autorità pubbliche competenti, come ricorda la stesa Corte dei Conti:

Invero, le cause del disastro ambientale rilevate dalla Procura di Brescia evidenziano il concorso omissivo degli organi pubblici interessati, per non aver gli stessi ordinato il recupero dei materiali pericolosi depositati in forma di discarica abusiva e di non aver avviato i procedimenti funzionali allo smantellamento degli impianti dismessi e al funzionamento della barriera idraulica16.

Per questo appare inopportuno che l’Autorità competente sottragga ai 250 milioni per il Sin Brescia Caffaro i circa 100 milioni già investiti direttamente con denaro pubblico, come, secondo la stampa locale, sarebbe intenzionata a fare. Quelle risorse già stanziate sono la quota parte delle responsabilità pubbliche nel disastro ambientale prodotto anche dalle loro inadempienze.

Inoltre, da sempre i Comitati ambientalisti hanno sollecitato la riperimetrazione del SIN, dalla quale, senza alcun motivo sensato, sono stati esclusi molti terreni agricoli, orti e giardini inquinati, pure inquinati e sottoposti all’Ordinanza del sindaco sulle restrizioni previste per un loro uso. Non se n’è fatto nulla e ora questi cittadini rischiano di rimanere tagliati fuori dal necessario Piano di bonifica per il territorio inquinato esterno alla Caffaro e dagli eventuali ristori per i danni subiti.

La felice conclusione dell’avventurosa piéce “chi inquina non paga, anzi paga!” deve rimettere sui binari giusti quel processo di bonifica di tutte le aree inquinate non affrontato per oltre venti anni.

1 http://www.ambientebrescia.it/CaffaroComuneInadempienze1.pdf

http://www.ambientebrescia.it/CaffaroComuneInadempienze2.pdf

2 Ibidem.

3

4 http://www.ambientebrescia.it/CaffaroEspresso2013.pdf

5 Nel frattempo sorin era confluita nella multinazionale LivaNova plc.

6 http://www.ambientebrescia.it/CaffaroUe2018Documentazione.pdf. In particolare si veda il paragrafo 1.

7 http://www.ambientebrescia.it/CaffaroRiperimetrazione2016.pdf; http://www.ambientebrescia.it/CaffaroRiperimetrazione2016Commento.pdf

8 http://www.ambientebrescia.it/CaffaroRiperimetrazione2016MinAmb.pdf

9 http://www.ambientebrescia.it/CaffaroUe2018Documentazione.pdf. In particolare si veda il paragrafo 4.

10 P. Gorlani, La Caffaro inquina ancora: PCB nei fossi, solo due pozzi trattati, in “Corriere della Sera”, 7 agosto 2015, http://brescia.corriere.it/notizie/cronaca/15_agosto_27/caffaro-inquina-ancora-pcb-fossi-solo-due-pozzi-trattati-brescia-01fa286a-4c93-11e5-9b47-ed94dd84ed07.shtml

11 https://www.ambientebrescia.it/download/denuncia-allunione-europea-del-sito-caffaro-del-25-maggio-2018/.

12 Il testo della Sentenza della Corte d’Appello di Milano, sezione i civile, n. 973/2019 del 5 marzo 2019 si può vedere in http://www.ambientebrescia.it/Caffaro2019SniaRisarcimento.pdf.

13 file:///C:/Users/Utente/Documents/SITO/SitoMarino/CaffaroBonifica2021MagistraturaBenefica.pdf.

14 Stralci, relativi al SIN Caffaro Brescia, del Rapporto della Corte dei Conti, Sezione centrale di controllo sulla gestione delle Amministrazioni dello Stato, Fondo per la bonifica e messa in sicurezza dei siti di interesse nazionale (SIN), Delibera 23 settembre 2024, n. 87/2024/G, p. 100.

15 Testo della sentenza della Corte di giustizia Ue, 29 luglio 2024, causa C-713/2022.

16 Stralci, relativi al SIN Caffaro Brescia, del Rapporto della Corte dei Conti, cit., p. 56.

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