Il carbone è un combustibile fossile nero e solido, costituito da grandi molecole organiche, molto complicate, contenenti, in media, un atomo di idrogeno ogni due atomi di carbonio, insieme a piccole quantità di altri elementi, fra cui zolfo e azoto. Il carbone è andato bene come combustibile per impianti fissi e per le caldaie di treni e navi, per i primi due secoli della rivoluzione industriale, fino alla seconda metà del 1800.
Dopo il 1850 il versiliese Barsanti e il tedesco Otto inventarono dei motori più piccoli, a combustione interna, che potevano essere utilizzati anche su veicoli mobili, ma che funzionavano soltanto con combustibili liquidi, come l’alcol etilico, peraltro costoso, oppure con i nuovi composti ricavabili dalla distillazione del petrolio. Questi ultimi, divenuti disponibili commercialmente dopo il 1870, sono costituiti da idrocarburi, composti liquidi contenenti circa due atomi di idrogeno per ogni atomo di carbonio, insieme, come al solito, a vari altri elementi.
Fra gli ultimi anni del 1800 e i primi anni del 1900 la richiesta di combustibili liquidi aumentò rapidamente e il baricentro del potere energetico cominciò a slittare dal triangolo del carbone (Francia, Germania, Inghilterra) ai paesi petroliferi (Stati Uniti e Russia).
Le crescenti ambizioni imperialiste della Germania fra la fine del 1800 e nei primi anni del 1900 avrebbero potuto essere realizzate soltanto se la Germania avesse avuto a disposizione anche una fonte regolare di idrocarburi liquidi. Troppo lontani e inaffidabili i giacimenti petroliferi russi del Mar Caspio e quelli romeni, non restava che tentare di trasformare il carbone in idrocarburi.
Se la differenza fra combustibili solidi e quelli liquidi dipendeva principalmente dalla quantità di idrogeno presente, la via più semplice appariva il trattamento del carbone con idrogeno, un’operazione che riesce soltanto ad alta pressione. Ebbene, proprio nei primi anni del 1900 in Germania erano stati messi a punto dei processi di sintesi chimica sotto alte pressioni e in presenza di catalizzatori (sostanze che non intervengono nelle reazioni, ma ne fanno aumentare la velocità e quindi fanno aumentare la resa dei prodotti cercati).
L’idrogenazione del carbone fu avviata in un momento in cui grandi scienziati collaboravano con la grande industria per trasferire rapidamente le proprie scoperte sul piano commerciale e in cui un potere politico autoritario era disposto a finanziare le realizzazioni delle basi tecnico-scientifiche della imminente economia di guerra.
In questo ambiente politico-culturale, sulla idrogenazione del carbone si buttò Friedrich Bergius, un giovanotto di ventisei anni (era nato nel 1884), figlio di un piccolo imprenditore dell’alluminio, laureato in chimica e reduce dalla permanenza nei laboratori di Nernst a Berlino e di Haber
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a Karlsruhe, due giganti delle sintesi chimiche, premi Nobel, rispettivamente, nel 1920 e nel 1918. Bergius aprì, nel 1920, un proprio laboratorio ad Hannover e cominciò a scoprire che il trattamento con idrogeno delle frazioni pesanti del petrolio forniva grandi quantità di quella benzina che era sempre più richiesta dalla nascente industria automobilistica e aeronautica.
Il passo successivo fu il trattamento con idrogeno del carbone. Al Congresso internazionale di chimica applicata di New York del 1912 Bergius riferì di essere riuscito a trasformare il carbone, per idrogenazione sotto pressione, in idrocarburi e prodotti catramosi liquidi, con una notevole resa di composti aromatici (molecole in cui sei atomi di carbonio sono uniti ad anello fra loro). Soltanto nel 1925 sarebbe stato scoperto che il carbone è effettivamente costituito in gran parte da macromolecole a struttura “aromatica”.
Il primo brevetto di Bergius sulla idrogenazione del carbone porta la data del maggio 1913; l’inventore aveva appena ventinove anni. Nell’estate del 1914, alla vigilia della prima guerra mondiale, Bergius aveva trovato le condizioni per avviare la produzione industriale di idrocarburi dal carbone.
La produzione vera e propria si scontrò, negli anni della guerra 1914-1919, con difficoltà tecniche e mancanza di fondi. L’inflazione della Germania sconfitta rese ancora più difficile trovare finanziamenti per la “benzina sintetica”; Bergius, con incrollabile fede, cercò capitali stranieri e avviò l’idrogenazione del carbone su scala industriale in una fabbrica a Rheinau nella prima metà degli anni venti del Novecento.
Nel 1925 lo sviluppo su larga scala del processo Bergius fu assunto dalla BASF (Badische Anilin und Soda Fabrik), uno dei più grandi complessi chimici del mondo; il 9 dicembre 1925 la BASF si fuse con altre sette società chimiche tedesche dando vita al gruppo IG Farben. Alla IG Farben Bergius potè lavorare con Carl Bosch (1874-1940), uno degli inventori della sintesi sotto pressione dell’ammoniaca che aveva assicurato alla Germania, per tutto il periodo della prima guerra mondiale, concimi e esplosivi ricavati dal carbone.
La prima grande fabbrica di benzina sintetica fu costruita nell’aprile 1927 a Leuna e nel 1931 era in grado di produrre 300.000 tonnellate di idrocarburi all’anno. Nello stesso 1931 Bergius e Bosch ottennero il premio Nobel per la chimica.
Conquitstato il potere nel 1933, Hitler capì che il suo progetto imperialista di guerra e di conquista mondiale aveva bisogno di una potente industria chimica, capace di produrre esplosivi, concimi, gomma sintetica e benzina sintetica dall’unica materia prima abbondante in Germania, il carbone. Hitler corteggiò i grandi capitalisti tedeschi e assicurò elevati profitti a chi avesse favorito i suoi progetti militari. Nel 1944 funzionavano in Germania dodici stabilimenti di idrogenazione del carbone con una produzione di oltre tre milioni di tonnellate all’anno di benzina, fra cui benzina da aviazione ad alto numero di ottano.
Ma il successo tecnico-scientifico e i profitti dei capitalisti complici di Hitler erano costruiti sul sangue; nel caso delle fabbriche di benzina sintetica — come in quelle di gomma sintetica, di armi, di meccanica, di missili — si trattava del sangue dei prigionieri e degli ebrei rastrellati in tutti i paesi occupati e impiegati come mano d’opera schiava.
La conferenza di Potsdam del luglio 1945 vietò ai tedeschi di produrre benzina sintetica e nell’aprile 1949 fu ordinata la distruzione delle fabbriche esistenti. In quello stesso 1949 con l’avventura della benzina sintetica si chiudeva anche la vita del suo inventore Bergius. Alcuni stabilimenti furono trasformati in raffinerie di petrolio, ma la vera morte della benzina sintetica fu dovuta alla crescente abbondanza di petrolio a basso prezzo nel mondo, dopo la seconda guerra mondiale.
Oggi l’unica grande fabbrica di benzina sintetica si trova nel Sud Africa e funziona con un processo messo a punto nel 1925 dai chimici tedeschi Fischer e Tropsch; esso consiste nella trasformaziona dapprima del carbone in una miscela dei gas ossido di carbonio e idrogeno, che sono poi ricombinati con aggiunta di altro idrogeno e trasformati in idrocarburi liquidi.
L’invenzione della benzina sintetica ebbe un’eccezionale risonanza in tutto il mondo; le compagnie petrolifere americane scambiarono brevetti, anche durante il periodo nazista, con la IG Farben. Una fabbrica per ottenere benzina sintetica dall’idrogenazione dei bitumi albanesi fu costruita a Bari nel 1939 dalla società ANIC, il cui nome è, appunto, l’abbreviazione di Azienda Nazionale Idrogenazione Combustibili.
Gli anglo americani da una parte e i russi dall’altra mandarono in Germania squadre di scienziati-soldati che affiancavano, o addirittura anticipavano l’avanzata delle truppe di occupazione per impedire la distruzione delle fabbriche, far prigionieri i tecnici e per sequestrare la documentazione tecnica che è poi finita negli archivi americani e, probabilmente, sovietici.
Dopo il 1973, quando si ebbe il primo aumento del prezzo del petrolio, il governo americano ordinò una ricognizione dei documenti dell’industria di guerra tedesca per cercare eventuali “segreti” nel campo della produzione della benzina sintetica dal carbone. Un riesame dell’enorme materiale degli archivi non indicò l’esistenza di particolari innovazioni utilizzabili nella nuova era di petrolio scarso e costoso. Tuttavia la ricostruzione della storia della benzina sintetica ha permesso di gettare nuova luce su un dimenticato capitolo dei rapporti fra potere politico pre-nazista e nazista, scienziati al “servizio” della patria e degli industriali,
e capitalismo tedesco.
La possibile esistenza di processi segreti nazisti per la benzina sintetica ha ispirato il romanzo di Steve Shagan, “La formula”, del 1979 (tradotto anche in italiano da Rizzoli), da cui è stato tratto un celebre film omonimo.
Un racconto basato sull’intreccio fra potere economico, scienza e potere militare prima e durante il nazismo, in Germania, ha ispirato lo sceneggiato televisivo “Padri e figli”, trasmesso anche in Italia nel 1987: una delle grandi famiglie di capitalisti dell’industria chimica si illude di poter trattare con Hitler offrendo le proprie invenzioni, fra cui appunto quella della benzina sintetica, e poi viene travolta e diventa complice di un potere spietato.
La storia dell’idrogenazione del carbone induce a prestare più attenzione a questo combustibile di cui esistono, nel mondo, riserve per alcune migliaia di miliardi di tonnellate, circa un miliardo delle quali anche in Italia, in Sardegna.
Davanti al trionfo del petrolio la scienza e la chimica del carbone sono passate nel dimenticatoio e il carbone viene usato in maniera offensiva per l’ambiente. Un rilancio della cultura, della chimica e della merceologia del carbone, anche di quello di cattiva qualità come le ligniti sarde, potrebbe aprire nuove vie per usare bene, in maniera ecologicamente compatibile, un combustibile che è pur sempre il più abbondante del pianeta.
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