La Stazione agraria di Modena per l’agroecologia e l’agricoltura biologica in Italia
“La R. Stazione agraria sperimentale di Modena fu fondata con R. Decreto 8 aprile 1871, con esplicito indirizzo applicativo delle scienze chimiche e biologiche all’agricoltura”.[1]
Così inizia la relazione tecnica che introduce il primo volume della nuova serie di annali della Stazione agraria sperimentale di Modena, serie che va dal 1927 fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Il 1871, il 1927 e i primi anni ‘40 rappresentano i periodi più importanti per la storia della Stazione agraria di Modena, la più prestigiosa istituzione di ricerca e sperimentazione agraria dell’Italia unificata, alla cui direzione si susseguirono alcune tra le figure scientifiche più importanti per lo sviluppo dell’agroecologia e dell’agricoltura biologica non solo in Italia ma anche nel mondo, come Pietro Gibelli, Romualdo Pirotta e Alfonso Draghetti.
L’anno che precedette l’istituzione della Stazione agraria di Modena, il 1870, fu l’anno durante il quale si posero le basi culturali ed istituzionali della formazione e della ricerca scientifica in agricoltura in Italia.
Nel 1870 venne infatti pubblicato il Manuale dell’Agricoltore ovvero Guida per conoscere, ordinare e dirigere le aziende rurali di Pietro Cuppari (1816-1870). Questo testo rappresenta il primo prontuario italiano di agricoltura destinato alla formazione universitaria[2].
Il Manuale fu il vero e proprio testamento scientifico dell’agronomo siciliano Pietro Cuppari. Titolare della cattedra di agronomia e pastorizia presso l’Università di Pisa (la prima cattedra di agraria in Italia), direttore della Scuola Agraria Pisana, Cuppari fu l’agronomo di riferimento durante il periodo risorgimentale. Morì poche settimane dopo la pubblicazione dell’opera.
Nel Manuale dell’Agricoltore, libro di testo che venne poi ristampato per decenni, Pietro Cuppari delineò un’originale “visione unitaria” dell’azienda agricola.
L’azienda agraria è per l’agronomo siciliano un’entità unitaria composta da parti interne interconnesse, parti che “cooperano” alla produzione e alla riproduzione dell’unità stessa. Compito primario dell’agricoltore è quello di conoscere, ordinare e dirigere le mutue relazioni tra le parti al fine del buon svolgimento del processo di produzione e riproduzione dell’azienda rurale.
A partire da questa sua visione unitaria, per procedere con l’indagine scientifica e la sua esposizione, Cuppari strutturò il suo manuale in una “orditura” a matrice, dove ogni parte dell’azienda agricola (la terra e l’aria; le piante e le loro semenze; gli attrezzi rurali; i concimi, i correttivi e le acque irrigue; i mangimi e le lettiere; gli animali; la gente rurale; i fabbricati; i capitali) viene analizzata in relazione alle altre. Il manuale analizza inoltre le condizioni esterne (climatologiche, economico-sociali e legislative) e le condizioni commerciali (bisogni dei consumatori, rinomanza dei prodotti del territorio, vie di comunicazione e leggi nazionali ed estere) dell’attività agricola.
Come sostiene Fabio Caporali, la visione dell’azienda agraria di Pietro Cuppari “precorre quella attuale dell’azienda agraria come agroecosistema”[3].
È possibile quindi individuare, fin dall’unificazione del paese, una impostazione ecologica alla formazione in agricoltura in Italia, impostazione che verrà esplicitamente ripresa da Alfonso Draghetti nell’elaborazione della sua “concezione biologica” dell’azienda agricola.
Il 1870 fu un anno fondamentale anche perché vennero poste le basi istituzionali dell’insegnamento e della ricerca in agricoltura in Italia a seguito dell’istituzione, con decreto del Ministero della Pubblica Istruzione, della Scuola Superiore di Agricoltura di Milano, che affiancò la Scuola Agraria Pisana per la formazione universitaria.
Sempre nel 1870, il Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, prendendo a modello la stazione sperimentale a Mockin Sassonia, nata nel 1850 a seguito della pubblicazione dei lavori di Justus von Liebig (1803-1973), istituì la Stazione Chimico-Agraria Sperimentale di Udine. Essa fu la prima stazione agraria sperimentale italiana, dotata di laboratori per l’analisi chimica, con compiti sia di carattere generale che di chimica agraria.
Fu in questa eccezionale fase per la storia delle scienze agrarie in Italia che, nel 1871, vennero istituite altre cinque stazioni sperimentali, quella di Torino, di Roma, di Lodi, di Padova e, appunto, quella di Modena.
A differenza della Stazione agraria di Udine, diretta da chimici agrari, la direzione della Stazione agraria di Modena, coerentemente al suo esplicito indirizzo “biologico”, dalla fondazione fino al 1927, fu affidata ad alcuni tra i più insigni botanici italiani.
Il primo di questi fu Ettore Celi (1822-1880), botanico e agronomo toscano, titolare dal 1856 della cattedra di Botanica annessa allo storico Giardino Ducale Estense dell’Università di Modena. Interessato oltre che di botanica anche di agricoltura, economia rurale e zootecnia, Ettore Celi fu autore sia di un fortunato testo di botanica sia di un testo di agricoltura che riscosse un grande successo all’epoca. Destinato ai primi istituti tecnici agrari, L’abbicì dell’agricoltore (1865) coniugava semplicità di esposizione e rigore scientifico[4].
Come direttore della Stazione agraria di Modena, Celi si occupò di importanti ricerche sulla fecondazione del grano, sul valore saccarifero delle barbabietole da zucchero e sulla valutazione chimica delle diverse piante foraggere.
Nel 1873, Celi venne nominato direttore della Scuola Superiore di Agricoltura di Portici (Napoli), fondata nel 1872, terza istituzione per la formazione universitaria in agricoltura in Italia, dopo quelle di Pisa e Milano.
In ragione del trasferimento di Ettore Celi a Napoli, la direzione della Stazione agraria di Modena venne affidata a Giuseppe Gibelli (1831-1898), succeduto a Celi anche come titolare della cattedra di Botanica a Modena.
Sotto la direzione di Giuseppe Gibelli, le ricerche della Stazione agraria di Modena furono indirizzate verso i primissimi studi al microscopio sulla biologia e sulla fisiologia delle piante coltivate. In particolare modo, Gibelli si occupò delle malattie del castagno che proprio in quegli anni stavano devastando il patrimonio castanicolo degli appennini modenesi.
Fu proprio studiando al microscopio le radici dei castagni che Gibelli, intorno al 1880, si accorse che negli apparati radicali di tutti i castagni, sia di quelli malati che di quelli sani, sono visibili delle ife, i delicati filamenti da cui poi si originano i funghi porcini. Nel 1885 il biologo tedesco Albert Bernhard Frank (1839-1900) chiamò “micorrize” (dal greco mykos: fungo, e rhiza: radice) queste associazioni che presiedono ai diversi e complessi, per molti versi ancora misteriosi, scambi mutualmente benefici, ovvero simbiotici, tra funghi e piante.
La scoperta delle micorrize fu un passo fondamentale per il progresso della microbiologia ed ecologia del suolo, disciplina che proseguì poco dopo verso la scoperta di altre simbiosi, come quella, fondamentale per le scienze agrarie, tra alcuni batteri azotofissatori (quelli del genere Rhizobium) e le piante leguminose.
Quando nel 1880 a Giuseppe Gibelli venne assegnata la cattedra di Botanica all’Università di Bologna, il Ministero dell’Agricoltura chiamò [allora] alla direzione della Stazione agraria di Modena Romualdo Pirotta (1853-1936). L’anno precedente, questo giovane botanico di Pavia, all’età di soli 26 anni, aveva individuato per primo in Italia la presenza della peronospora della vite ed aveva sostituito Gibelli alla cattedra di Botanica a Modena.
In qualità di direttore della Stazione agraria di Modena, Romualdo Pirotta si occupò del trasferimento della sede dell’istituto in nuovi locali che vennero attrezzati con i più moderni strumenti di laboratorio, una biblioteca fornita di oltre 600 opere e una raccolta di oltre 1.200 sementi tra piante agrarie e spontanee, probabilmente la più ricca banca delle sementi esistente allora in Italia
È difficile sopravvalutare l’importanza della figura di Romualdo Pirotta per la storia della botanica e del naturalismo italiano.
Nel 1883, Pirotta venne chiamato a coprire la cattedra di Botanica dell’Università di Roma e lasciò quindi Modena. A Roma, Pirotta promosse la creazione di un nuovo Istituto Botanico dotato di un orto botanico di undici ettari e fondò la rivista che poi divenne gli Annali di Botanica. Negli anni successivi, contribuì alla costituzione della Società italiana per il progresso delle scienze, divenne presidente del Comitato nazionale per la protezione dei monumenti naturali, e fu promotore, insieme a poche altre personalità unite sotto l’egida dell’associazione Pro Montibus, della creazione del Parco nazionale dell’Abruzzo. Fu socio fondatore, più volte vicepresidente, e presidente nei trienni 1912-14 e 1915-17 della Società botanica italiana.
È qui importante ricordare che, a partire dal 1912, presso l’Istituto Botanico di Roma, Romualdo Pirotta affiancò il giovane Girolamo Azzi (1885-1969), impegnato nelle sue ricerche di meteorologia e climatologia agraria, nell’esecuzione degli esperimenti sul rendimento delle piante di interesse agrario nelle diverse (e estreme) condizioni ambientali. Tali ricerche portarono il giovane Azzi alla fondazione di una nuova disciplina scientifica, che nel 1920, in una relazione presso l’Accademia dei Lincei, lo stesso Pirotta definì “ecologia agraria”. Andato in pensione nel 1928 e nominato accademico d’Italia, Romualdo Pirotta passò gli ultimi anni della sua attività intento a promuovere questa nuova disciplina scientifica (la prima al mondo) a cavallo tra l’ecologia e le scienze agrarie[5].
In seguito al trasferimento di Pirotta a Roma nel 1883, alla direzione della Stazione di Modena si susseguirono altri insigni botanici quali Ottone Penzig (1856-1929) e Gino Cugini (1852-1907).
Gino Cugini rimase direttore della Stazione sperimentale per molti anni, dal 1887 al 1907. Egli si occupò dei successivi trasferimenti della sede dell’istituto, dapprima, nel 1890, in locali più ampi prima adibiti ad abitazione privata, e successivamente, nel 1904, in un palazzo dotato anche di un piccolo appezzamento di terreno, che venne destinato alle prove colturali di laboratorio.
Durante la direzione di Gino Cugini, l’attività della Stazione di Modena si concentrò sulle analisi merceologiche rivolte prevalentemente a reprimere le frodi nel commercio dei concimi, delle sementi e degli altri prodotti per l’agricoltura che si stavano diffondendo allora in Italia. Nel contempo, Cugini ebbe modo di promuovere lo sviluppo, pionieristico per il paese, della ricerca nella genetica e nel miglioramento delle piante agrarie.
Dopo la morte di Cugini, la direzione della Stazione venne assunta dall’ordinario di botanica dell’università di Modena, Giovanni Battista De Toni (1864-1924) e successivamente da Giuseppe Lopriore (1865-1928), che diresse l’istituto interrottamente dal 1908 al 1925.
Durante questa prima fase, alla fama della Stazione di Modena contribuì in maniera decisiva la pubblicazione del periodico “Le Stazioni sperimentali agrarie in Italia”. Ininterrottamente pubblicato dal 1893 al 1926, questo periodico conteneva i lavori della Stazione di Modena e degli altri istituti sperimentali italiani. Esso rappresentò per decenni il massimo organo tecnico scientifico agrario pubblicato in Italia.
Il 1927 rappresentò un anno di svolta per la storia della Stazione agraria di Modena. È infatti in quell’anno che venne nominato direttore Alfonso Draghetti (1888-1969). Nato a Castelfranco Emilia nella provincia di Modena, laureatosi in scienze agrarie a Bologna nel 1915, ottenuta dopo la guerra la libera docenza in agronomia generale e coltivazioni erbacee, una delle prime in Italia, Alfonso Draghetti, in seguito a concorso, diviene nel 1927 il primo direttore “agronomo” del prestigioso istituto di ricerca, che come abbiamo visto, fino a quel momento, era stato diretto da alcuni tra i più insigni botanici italiani.
Il primo importante compito che Alfonso Draghetti si trovò ad affrontare in qualità di direttore dell’istituto fu quello del trasferimento della sede in un nuovo edificio.
Il problema della sede della Stazione agraria di Modena aveva attirato l’attenzione anche dei predecessori di Draghetti, consapevoli anch’essi che una stazione sperimentale non può svolgere pienamente le sue funzioni di ricerca in locali precedentemente adibiti ad abitazioni private e soprattutto senza un appezzamento di terreno di una certa dimensione. Varie difficoltà avevano però sempre portato, per quanto riguarda il problema della sede dell’istituto, a soluzioni temporanee e mai definitive.
Nel 1912, durante la direzione di Lopriore, era stato acquistato un terreno di circa 5500 metri quadrati, in Via Caduti di Guerra in adiacenza all’Orto Botanico, ma durante il periodo di guerra e gli anni immediatamente successivi, non si riuscì ad andare oltre a dei primi progetti di massima per la nuova sede.
Nel 1927, quando Alfonso Draghetti divenne direttore della Stazione agraria di Modena, i tempi erano maturi per la realizzazione di quella che venne progettata e costruita per essere la sede definitiva del più importante istituto di ricerca in agricoltura in Italia.
Sono questi gli anni immediatamente successivi al lancio della “battaglia del grano”. In coerenza con l’obiettivo di aumentare la produzione alimentare nazionale con la conseguente diminuzione delle importazioni dall’estero, il governo fascista facilitò il finanziamento della realizzazione dell’edificio che avrebbe poi ospitato, a partire dal 1930-31, il prestigioso istituto di ricerca.
Assunta la direzione della Stazione agraria di Modena, Draghetti ebbe modo di seguire direttamente il progetto della nuova sede, studiando con architetti e ingegneri ogni dettaglio inerente alla sistemazione razionale degli uffici, dei laboratori, della biblioteca, delle banche di sementi già esistenti e dei nuovi laboratori.
Grazie alla particolare collocazione dell’edificio nel fondo, si riuscì a ricavare anche un campo laboratorio, un ampio spazio verde con una bella serra a vetri che, dal punto di vista estetico, rafforzò i caratteri di “città giardino” nell’area dei viali adiacenti all’Orto Botanico di Modena.
Al fine di separare fisicamente i servizi di analisi merceologica rivolte al pubblico e le attività di ricerca sperimentale, l’edificio venne diviso in due sezioni: una sezione rivolta verso l’esterno con l’ufficio di ricevimento campioni, il laboratorio di chimica generale, il laboratorio enologico e quello botanico; una sezione più interna destinata alla ricerca scientifica con laboratorio chimico, laboratorio pedologico, laboratorio di fisiologia vegetale, laboratorio micrografico e di fitopatologia, laboratorio di genetica, biblioteca, museo delle sementi e campo sperimentale.
In coerenza con gli incarichi governativi, Draghetti indirizzò la ricerca della Stazione agraria di Modena sulle tecniche di irrigazione, sulla genetica e ecologia del grano, nonché sull’analisi e sull’archiviazione dei campioni di suolo dell’Emilia, dei vari comprensori di bonifica e dei paesi coloniali, i cui risultati rappresentano ancora oggi un patrimonio di dati e analisi insuperato per la conoscenza pedologica di questi territori.
Dal 1932 in poi, alla Stazione di Modena venne annessa un’azienda sperimentale nella pianura modenese a San Prospero di Secchia, scelta appositamente per le condizioni degradate del suolo.
Sono questi gli anni in cui il problema dell’erosione del suolo si era imposto al centro del dibattito politico e scientifico internazionale soprattutto a seguito della serie di tempeste di sabbia che dal 1930 al 1936 trasformarono in una Dust Bowl, in una tazza di sabbia, un’area di oltre 40 milioni di ettari all’interno delle Great Plains. Nei primi decenni del Novecento, le grandi praterie agricole degli Stati Uniti meridionali erano state messe a coltura in modo irresponsabile, con pratiche di sfruttamento che successivamente, negli anni Trenta, causarono la devastazione del suolo di vaste aree agricole e l’epica migrazione interna di contadini descritta nel 1939 da John Steinbeck in Furore.
Presso l’azienda sperimentale di San Prospero di Secchia, Alfonso Draghetti organizzò un originale programma di ricerca volto ad analizzare, in modo scientificamente rigoroso, un piano di miglioramento dell’azienda agraria, basato sulle sole risorse del fondo, attraverso la determinazione dei flussi e delle trasformazioni della materia organica e minerale all’interno e all’esterno dell’unità aziendale.
Questa ricerca si interruppe con lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nel 1948, al culmine della sua carriera scientifica e accademica, Draghetti pubblicò un lavoro di sintesi, innovativo e originale, intitolato Principi di fisiologia dell’azienda agraria, che contiene i risultati di questa ricerca e che rappresenta in qualche modo il suo testamento scientifico[6].
È nella prefazione di questo lavoro che Draghetti distingue la “concezione economica” dell’azienda agricola come una macchina fatta da parti isolate da massimizzare in modo disgiunto, e la “concezione biologica” dell’azienda agricola come un sistema di parti interconnesse, che Draghetti, per accentuare il carattere unitario e biologico della sua visione, chiamò “organi”[7].
Attraverso questa impostazione Alfonso Draghetti riprese la concezione dell’azienda agricola come sistema di Piero Cuppari, al quale attribuì esplicitamente la paternità di questa che definì “visione unitaria”. Mentre Cuppari nel Manuale dell’Agricoltore si era interessato principalmente all’analisi della relazione tra le parti al fine della gestione operativa dell’azienda agraria, Draghetti nei Principi di Fisiologia, partendo dai progressi fatti dalla microbiologia del suolo dal 1880 in poi, si focalizzò sull’analisi quantitativa e qualitativa dei flussi di materia organico-minerale che si svolgono nella “grande circolazione” tra gli organi dell’azienda agricola, che Draghetti immagina come “una meravigliosa simbiosi tra piante, animali e microrganismi, insediata nel substrato geologico e minerale, come si trattasse di un colossale individuo sedentario e costituzionalmente unitario”[8].
L’unità organica aziendale e la circolazione della materia organica e minerale tra il suolo, le colture, la stalla, la concimaia sono i presupposti, per Draghetti, di quel processo ideale di produzione e riproduzione dell’azienda agraria, processo ideale a cui Cuppari si riferiva con la locuzione “bastare a sé stessa” e che Draghetti definisce “perennazione nel tempo” e che oggi si direbbe “sostenibilità”.
Le analisi di Draghetti mostrarono che, nel corso del quindicennio di sperimentazione presso l’azienda San Prospero di Secchia, ci fu un progressivo aumento della materia organica circolante in azienda e della produzione vendibile. Sui 18 ettari del fondo aziendale, il carico di bestiame passò da 8 a 32 capi grossi e il contenuto di materia organica nel suolo aumentò in un decennio dal 2,1% al 2,8%.
Con la fine della Seconda guerra mondiale e l’avvio del piano Marshall, a seguito delle politiche di convergenza tecnologica e culturale dell’Italia verso gli Stati Uniti, l’agricoltura organico-minerale di Alfonso Draghetti, di fatto basata sull’ideale latino di un’azienda agro-zootecnica ad indirizzo prevalentemente biologico, finì con l’essere marginalizzata e velocemente dimenticata. L’agricoltura industriale di stampo nord-americano, basata sugli input esterni ottenuti da risorse non rinnovabili, trionfò in Italia come negli altri paesi europei. La concezione economica dell’azienda agricola prese il sopravvento sulla concezione biologica.
L’agricoltura organico-minerale di Draghetti venne in qualche modo riscoperta verso la fine degli anni Sessanta quando alcuni agricoltori, medici e agronomi, tra i quali l’agronomo siciliano Francesco Garofalo, costituirono nel 1969 a Torino l’Associazione Suolo e Salute, la prima associazione volta a promuovere l’agricoltura biologica in Italia. Con Francesco Garofalo, docente di fitoiatria dell’Università di Torino, il movimento biologico italiano viene originariamente orientato verso gli insegnamenti di Draghetti.
Come si è cercato di mostrare, la Stazione agraria di Modena, grazie ai lavori scientifici di alcuni suoi direttori quali Giuseppe Gibelli, Romualdo Pirotta e Alfonso Draghetti, ha rappresentato un istituto molto importante per lo sviluppo dell’Agroecologia e dell’Agricoltura biologica, non solo in Italia.
Alfonso Draghetti diresse l’istituto fino ai primi anni Sessanta. Successivamente, la sede della Stazione agraria di Modena, per il valore storico e architettonico di un edificio progettato e realizzato per essere una prestigiosa stazione agraria, venne utilizzata anche come sede operativa del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA).
L’istituto della Stazione agraria di Modena venne però soppresso nel 2006 a seguito di una riorganizzazione voluta dal ministero alle Politiche agricole e forestali, all’epoca diretto da Giovanni Alemanno. Una parte delle competenze dell’istituto, in particolare quella relativa alla conservazione e al miglioramento delle sementi, venne subito trasferita alla Stazione agraria di Bari.
Il 18 dicembre 2006, all’inaugurazione dell’anno accademico 2006-2007 dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Italia Nostra lanciò un appello a Paolo De Castro, appena succeduto ad Alemanno come ministro dell’agricoltura, per cercare di salvare l’edificio con il prezioso archivio pedologico e la storica biblioteca dell’istituto (allora sistemata in una stanza con arredi concepita “ad hoc” e “accessibile agli studiosi”), sostenendo la soluzione proposta dall’Università di Modena e Reggio Emilia di destinare l’edificio e la storica biblioteca ad un istituto della Facoltà di Agraria[9].
Purtroppo, nel sostanziale disinteresse della città, l’appello di Italia Nostra non sortì alcun effetto e il ministero destinò la sede dell’istituto all’Ispettorato Centrale di Repressioni Frodi. Fu però poi deciso di dismettere l’immobile.
A seguito della soppressione dell’istituto e della decisione di vendere l’edificio, gli arredi, le attrezzature di laboratorio, l’archivio pedologico, l’importante biblioteca con oltre 10 mila volumi dal ‘700 in poi e collezioni complete di importanti riviste scientifiche altrove non reperibili, rimasero per anni inaccessibili nell’edificio chiuso e, di fatto, in stato di abbandono.
Nel 2015, nei mesi antecedenti l’apertura dell’Expo di Milano, Italia Nostra, quasi un decennio dopo il primo appello, intervenne nuovamente per sostenere l’idea di dare sede alle manifestazioni cittadine connesse all’evento nell’edificio della Stazione agraria. Questo utilizzo temporaneo del prestigioso immobile intendeva essere il primo passo verso una sua “definitiva destinazione coerente con la tradizione dell’Istituto di ricerca e sperimentazione agraria”[10].
Fu in questo contesto che il 21 aprile 2015, all’apertura del convegno sulle Tre Agricolture organizzato dalla Fondazione Micheletti, condividendo le preoccupazioni e gli obiettivi di Italia Nostra, con “altronovecento” lanciammo un appello all’allora ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, suggerendo di istituire nell’edificio un Centro nazionale per l’agroecologia e l’agricoltura biologica[11].
Purtroppo anche il nostro appello non sortì alcun effetto. Con la riorganizzazione delle quasi 50 unità di ricerca dell’ex-CRA nei nuovi 12 centri di ricerca del CREA (la sigla dell’attuale Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), il Ministero ribadì la scelta di svuotare e vendere l’immobile della ex Stazione agraria di Modena[12]. Di questi attuali 12 centri di ricerca, 6 sono centri di ricerca di filiera, 6 sono centri di ricerca trasversali. Attualmente non esiste un centro di ricerca destinato specificatamente all’agroecologia e all’agricoltura biologica.
I libri e le riviste di quella che era stata per diversi decenni la biblioteca di agricoltura più storica e importante del paese furono ad un certo momento trasferiti a Roma. Dopo essere rimasti per lungo tempo in cartoni, i libri di maggiore valore trovarono ricollocazione separata nelle biblioteche di alcune sedi che il CREA ha nella capitale. L’unitarietà e l’integrità della preziosa biblioteca della Stazione agraria di Modena sono andate inevitabilmente perdute. Il prezioso archivio pedologico fu trasferito presso l’Università di Modena. Nulla si sa del destino delle attrezzature di laboratorio e dei documenti e articoli di Alfonso Draghetti.
Dal 2016 in poi, nonostante il susseguirsi dei governi e dei ministri dell’agricoltura (Gian Marco Centinaio, Teresa Bellanova, Stefano Patuanelli, Francesco Lollobrigida), l’edificio pubblico attualmente di proprietà del CREA è stato costantemente messo all’asta. Tutte queste aste sono andate regolarmente deserte. L’ultimo tentativo di vendita è stato quello, in trattiva privata, del 13 dicembre 2022. Con un valore di poco più di 1,4 milioni di euro, anche questa volta l’immobile non ha trovato acquirenti.
A distanza di qualche anno, in “altronovecento”, siamo ancora più convinti dell’enorme valore di questo edificio, che ha rappresentato la sede di un istituto che ha svolto studi e ricerche fondamentali per lo sviluppo dell’agroecologia e dell’agricoltura biologica, non solo in Italia. Il motto della città di Modena è “AVIA PERVIA”, che sta a significare che con la determinazione e la passione una via prima inaccessibile può diventare accessibile. È esattamente con questo spirito che lanciamo oggi un appello al Presidente Mattarella per salvare dalla svendita l’edificio della Stazione agraria di Modena e per destinarlo a sede di un Centro di ricerca per l’Agroecologia e l’Agricoltura biologica.
[1] Annali della R. Stazione Sperimentale Agraria di Modena. Bollettino delle ricerche e delle sperimentazioni. Nuova serie. Vol.I-anni 1927-1929 (1930), Società tipografica modenese, Modena.
[2] Cuppari P., Manuale dell’agricoltore, ovvero guida per conoscere, ordinare e dirigere le aziende rurali (1870), G. Barbèra editore, Firenze.
[3] Caporali F., 2015, Pietro Cuppari, precursore dell’agroecologia e del governo sostenibile del territorio, Pisa, ETS
[4] Celi E., L’abbiccì dell’agricoltore. Principii dell’arte agraria (1865), Carlo Vicenzi, Modena.
[5] A. Berton, Girolamo Azzi e l’ecologia agraria, in “Altronovecento”, 42 (2020), https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/girolamo-azzi-e-lecologia-agraria/
[6] Draghetti A., 1948, Principi di fisiologia dell’azienda agraria, Milano-Bologna, Istituto editoriale agricolo
[7] https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/principi-di-fisiologia-dellazienda-agraria-prefazione/
[8] Draghetti A., 1948, Principi di fisiologia dell’azienda agraria, Milano-Bologna, Istituto editoriale agricolo, p.72.
[9] https://www.italianostramodena.org/2014/01/09/la-perdita-della-stazione-sperimentale-agraria-una-ferita-ancora-dolente/
[10] https://www.italianostramodena.org/2015/01/09/il-palatipico-nelledificio-che-fu-sede-dellistituto-sperimentale-agronomico/
[11] https://altronovecento.fondazionemicheletti.eu/come-litalia-dissipa-le-proprie-ricchezze/
[12] https://www.crea.gov.it/centri-di-ricerca