In quell’ingiusta, ma difficile da sradicare, contrapposizione fra abitanti dell’Italia settentrionale e dell’Italia meridionale, nei primi decenni del Novecento quelli del Nord erano i “polentoni” e quelli del Sud i mangiatori di “maccheroni”. Effettivamente la polenta di granturco e i maccheroni erano il cibo principale di molte persone fra le classi povere delle due parti dell’Italia, legate ai diversi caratteri dell’agricoltura: le pianure lombarde e venete irrigate coltivate a mais – al “grunoturco” – e le pianure e colline povere di acqua del Sud, coltivate a grano duro.
Fortunatamente la diffusione del benessere nelle varie regioni italiane ha fatto diminuire la dipendenza degli abitanti dell’Italia settentrionale dalla “polenta” e ha abbastanza livellato il consumo delle paste alimentari, anche se un divario esiste ancora: rispetto ad un consumo nazionale di pasta alimentare di 1.600.000 tonnellate nel 2002, gli abitanti dell’Italia settentrionale consumano in media circa 25 kg di pasta alimentare a testa all’anno, rispetto a oltre 40 kg per persona all’anno degli abitanti dell’Italia meridionale. I dettagli di queste statistiche si possono trovare nel sito Internet www.unipi-pasta.it. Nei “primi piatti” della tradizione alimentare italiana l’altra principale componente è rappresentata dal riso.
Insieme al grano e al mais, il riso rappresenta uno dei tre grandi cereali che “sfamano” il mondo. Nel 2003 la produzione mondiale di mais è stata di 600 milioni di tonnellate, seguita da quella del riso con 576 milioni di tonnellate e dal grano con 560 milioni di tonnellate. Il “riso” a cui si riferiscono le statistiche è il “risone”, così come viene raccolto e commerciato; nel risone la cariosside, la parte alimentare, è ricoperta da alcuni sottili strati di glumelle, una pellicola ricca di cellulosa e lignina. Il maggiore produttore mondiale di riso è la Cina, con 176 milioni di tonnellate annue, seguita da India, Indonesia, Vietnam. Il riso è consumato soprattutto nei paesi che lo producono e contribuisce a soddisfare il 20% del fabbisogno energetico alimentare mondiale, tanto che le Nazioni unite hanno dichiarato il 2004 “Anno internazionale del riso” con il tema: “il riso è vita”. Chi vuole saperne di più troverà molte informazioni in Internet nei siti www.onuitalia.it (in italiano) e www.fao.org/rice2004/ (in inglese).
Anche l’Italia è presente nel commercio mondiale del riso: la produzione italiana di risone nel 2000 è stata di 1.370.000 tonnellate, equivalenti a circa 850.000 tonnellate di riso lavorato, nello stesso anno l’Italia ha esportato circa 660.000 tonnellate e importato circa 140.000 tonnellate di riso. La produzione italiana di riso è concentrata in Piemonte e Lombardia: altre informazioni sul riso in Italia si possono trovare nei siti Internet <www.riso.it> e <www.enterisi.it>. Il consumo italiano di riso nel 2003 è stato di circa 170.000 tonnellate.
La trasformazione del risone in riso lavorato, la forma in cui il riso arriva in cucina, avviene con vari trattamenti. Innanzitutto una molitura per eliminare dal risone le glumelle che vanno a far parte della lolla, un residuo che ha alcune applicazioni industriali (in passato è stata utilizzata per produrre il furfurolo, un solvente impiegato nell’industria chimica); dal germe, altro sottoprodotto, si estrae un olio alimentare. Il riso vero e proprio (ricuperato in ragione di circa il 65 % rispetto al peso del risone) è costituito principalmente da amido, contiene circa il 7 % di proteine ed è ricco di vitamine del gruppo B, fosforo e calcio.
Si trovano in commercio numerosi tipi e varietà di riso: i più noti sono il riso comune, il riso originario, semifino, fino, superfino; il riso parboiled è preriscaldato in modo da fargli assumere una maggiore resistenza alla cottura e da conservare al suo interno i fattori nutritivi che altrimenti andrebbero dispersi nell’acqua di cottura. Una farina di riso è usata come alimento per l’infanzia.
È abbastanza intuibile che, nella società del libero mercato, i produttori di riso cerchino di aprirsi uno spazio di consumo proprio fra i consumatori di pasta, di spaghetti e maccheroni. In questa direzione va la recente comparsa in commercio, accompagnati da una forte pubblicità, di “spaghetti” di riso, una forma già diffusa in molti paesi asiatici. Questa produzione comporta la soluzione di vari problemi. La semola di grano può essere trasformata nei vari tipi di “pasta alimentare” perché contiene, insieme all’amido, un complesso di proteine, il glutine, che consente la formazione, con acqua, di un impasto elastico. L’impasto viene fatto passare attraverso delle trafile, che sono dischi con fori della dimensione del formato di pasta che si vuole ottenere. Esiste ormai una tecnologia perfezionata nel corso di decenni che consente di ottenere tutti i tipi di paste alimentari che troviamo in commercio e che resistono bene alla cottura – se sono prodotte con semola di grano duro.
Le proteine del riso hanno composizione e caratteristiche diverse da quelle del glutine di grano, ma, macinando il riso in forma di granuli grossolani, come quelli della semola, si riesce ad ottenere un impasto che può essere trafilato fornendo spaghetti e fettuccine; la pubblicità mette in evidenza che si tratta di alimenti privi di glutine, adatti quindi a quella parte della popolazione italiana (pare l’1%) che manifesta reazioni allergiche di intolleranza al glutine di grano.
Vercelli in concorrenza con la Capitanata? È una domanda sciocca per vari motivi; il primo è che il consumo alimentare di riso in Italia è poco più di un decimo di quello delle paste alimentari. Il secondo motivo è che sia il riso sia il frumento duro e le paste alimentari derivano dai campi e dal lavoro italiani. Il motivo più serio è che la contrapposizione fra gusti alimentari del Sud e del Nord appare un ben misero residuo di vecchi pregiudizi; lasciamoli quindi alla parte più incolta dei nostri connazionali e cerchiamo nella solidarietà e nel rispetto reciproci, anche nelle diversità alimentari, la via per superare ben più seri problemi del nostro paese ha di fronte, esposto com’è alla continua pressione di abitudini e consuetudini, quelle, si, spesso sciocche, di importazione.