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Sull’ambiente la destra non resta più a guardare

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Sono passati solo sette mesi dall’insediamento del governo più a destra della storia della repubblica italiana quando l’alluvione in Emilia Romagna arriva con tutta la sua violenza a scompaginare equilibri e ritmi di vita di milioni di persone nella regione, riportando tutti coi piedi per terra. Il cambiamento climatico è qui. La precedente e lunga stagione di siccità ha lasciato il passo a piogge intense, che il terreno non è stato in grado di drenare. E basterà aspettare poche settimane per vedere l’intero stivale strapiombare nell’estate più calda che si sia mai registrata. In pianura padana le elevate temperature si sommeranno ad una cappa di umidità insopportabile, facendo varie vittime in primis tra i lavoratori. Il sud Italia sarà preda di una violenta ondata di calore: in Sicilia ci saranno diversi blackout, case e strutture lasciate senza elettricità e acqua, dovute allo scioglimento dei cavi elettrici sottoterra a causa delle temperature più alte degli ultimi 20 anni.1 Le immagini dell’ospedale di Palermo accerchiato dalle fiamme farà il giro dell’Italia.

Probabilmente nel 2017 non avremmo avuto le parole giuste per nominare tutto questo, il discorso pubblico avrebbe potuto immediatamente liquidare questi come eventi drammatici ma comunque episodici, e i partiti sia di governo che di opposizione avrebbero potuto velocemente passare ad altro.

Eppure, dalla diffusione globale dei movimenti per la giustizia climatica avvenuta a partire dal 2018, questo non è più possibile, e la stampa italiana rappresenta un ottimo termometro per misurare questo cambiamento.

In un lavoro di raccolta e analisi che abbiamo condotto sui principali quotidiani italiani2 a seguito dell’alluvione di maggio 2023 in Emilia Romagna3, abbiamo potuto vedere come il tema del cambiamento climatico sia entrato in modo inedito nel dibattito relativo ad un evento climatico estremo. Se si svolge la medesima ricerca intorno ad altre alluvioni che negli ultimi 15 anni hanno causato vittime e danni comparabili all’alluvione che si è verificata in Emilia Romagna, ci si accorge subito della maggiore attenzione mediatica posta sul tema oggi, e del cambio di paradigma narrativo avvenuto in rapporto al tema del riscaldamento globale. Analizzando per esempio le reazioni della stampa all’alluvione di Messina del 2009 (37 vittime), o quella in Liguria del 2011 (13 vittime) si nota che pochissimi sono i risultati (in un intero mese, non si supera la decina di articoli pubblicati sull’argomento), e che in nessuno dei casi si nomina la crisi climatica ma, piuttosto, si parla di apocalisse o acquazzone.

Sebbene ancora lontano dal divenire centrale e unanimemente riconosciuto come fattore innescante o moltiplicatore degli eventi climatici estremi, oggi nessun attore politico, sociale o mediatico può eludere la questione, tanto che un terzo delle dichiarazioni analizzate chiamano in causa il cambiamento climatico, a fronte della totale assenza di questo tema negli eventi passati.

Possiamo dire che le alluvioni, le siccità, le ondate di calore o le trombe d’aria, sono finalmente riconosciute nel discorso pubblico con un nome che le identifica e connette dentro un quadro di lettura collettivo e politico: è di eventi climatici estremi che si parla, e sia la causa di essi sia il modo in cui ne facciamo esperienza sono profondamente connessi alle relazioni sociali e di potere che strutturano la realtà.

Eppure, il solo fatto di nominare questi eventi con il proprio nome apre immediatamente un terreno di scontro, in cui soggetti diversi competono per guadagnare spazio e governare il dibattito intorno alla questione climatica, da cui oramai nemmeno la destra può più stare fuori.

La destra radicale tra negazionismo e moderazione

L’azione dei movimenti per la giustizia climatica ha portato il tema dei cambiamenti climatici al centro del dibattito politico e delle agende politiche nazionali e transnazionali, al punto che anche l’ultra-destra non ha più potuto eludere la questione. Non si tratta di un inedito interesse per il tema, quanto della necessità di cogliere delle nuove opportunità politiche in termini elettorali (raccogliendo i consensi di quei segmenti della società su cui vengono maggiormente scaricati i costi della transizione ecologica “dall’alto”, come vedremo di seguito in relazione alla recente protesta degli agricoltori) ed economici (visti i finanziamenti legati alla transizione energetica e quindi nuove opportunità di investimento), difendendo uno status quo che una seria politica climatica andrebbe a stravolgere.

Questo nuovo protagonismo dell’ultra-destra, e la sua natura strategica nel dibattito sul cambiamento climatico, segue diverse direttrici, come emerge con particolare evidenza se si comparano le reazioni politiche all’alluvione nelle Marche (settembre 2022) con quella avvenuta in Emilia Romagna (maggio 2023).

Dal silenzio quasi totale che si registra nel caso delle Marche, regione guidata da Fratelli d’Italia al momento dell’alluvione, all’arringa senza sosta delle destre che in occasione dell’alluvione in Emilia Romagna quadruplicano la propria presenza nel dibattito4 sono passati solo otto mesi. Ad essere cambiata non è la sensibilità della destra sul tema, ma l’opportunità politica di parlarne: per il governo guidato da Fratelli d’Italia l’alluvione in Emilia Romagna è l’occasione per accusare il Partito Democratico, al governo della regione, di mala gestione del territorio, proprio in un periodo di campagna elettorale regionale. Sminuire la rilevanza del cambiamento climatico e puntare tutto sulla gestione della regione guidata da un “ecologismo ideologico” è l’occasione per guadagnare spazio in un dibattito in cui la destra era storicamente marginale e che ora si impegna a conquistare e polarizzare.

Un generico “fronte ambientalista” diventa il nemico principale, in cui partiti di sinistra, movimenti climatici e associazioni ambientaliste finiscono nello stesso calderone, accusati di essere parte del problema: “Gli ambientalisti seduti nei loro loft si oppongono ai progetti: alcuni progetti si devono fare”; “Il nostro problema è la cultura del no” (Fratin – Ministro dell’ambiente, FI); “Gli attivisti di Ultima Generazione dovrebbero andare a spalare il fango per dimostrare il loro vero interesse verso l’ambiente” (La Russa, presidente del Senato, FDI); “prima piangono perché non piove, poi piangono perché piove troppo” (Feltri, ex direttore di Libero, attualmente direttore de “il Giornale”).

L’accusa all’ecologismo si accompagna ad argomentazioni (circa un terzo di quelle proposte dagli attori dell’ultradestra) che oscillano tra il negazionismo e l’ostruzionismo, e che trovano eco e supporto nelle parole di alcuni giornalisti afferenti alla stessa area politica: “Il cambiamento climatico non può diventare un dogma; non ci sono verità definitive. La ricerca deve continuare” (Lucio Malan, FDI); “Abbiamo bisogno di più infrastrutture; quando la natura decide, decide. Questo può succedere, è sempre successo” (Sallusti, direttore de “Il Giornale”). Se questo sodalizio tra il mondo politico e quello giornalistico non sorprende, e tanto meno sorprendono le posizioni ostruzioniste e negazioniste della destra, è impossibile non notare che questo nuovo protagonismo della destra sul tema si accompagna a delle sfumature narrative che talvolta entrano in contraddizione tra loro, e che riteniamo essere legate alla posizione che si ricopre.

Discorsi e posizioni negazioniste sono chiaramente espressi da membri del parlamento, giornalisti e altre figure che gravitano attorno all’area dell’ultradestra, mentre chi ricopre posizioni di governo propone una strategia discorsiva più moderata, in cui cioè non si nega direttamente l’esistenza della crisi climatica, ma piuttosto si evita di affrontare l’argomento proponendo discorsi e politiche che non mettono in discussione né il modello di sviluppo, né il sistema di interessi che alimenta la crisi climatica, con l’obiettivo di essere identificati come degli interlocutori affidabili ed evitare lo stigma del negazionismo. Questo tipo di strategia discorsiva rientra in quello che è stato definito “ostruzionismo climatico”, ovvero quell’insieme di modi e posizioni politiche che combinano elementi negazionisti e scetticismo al fine di rallentare o deviare qualsiasi politica efficace rispetto alla crisi climatica, per non intaccare degli interessi economici o per motivi più ideologici.5

Questa dualità di posizioni la si ritrova anche qualche mese dopo l’alluvione in Emilia Romagna, in piena estate, quando il sud Italia e la Sicilia in particolare vengono colpite da un’ondata di calore molto intensa. In questa occasione, se da un lato il parlamentare della Lega, Claudio Borghi, crede che il problema siano le centraline meteorologiche installate in luoghi poco adatti, così da “sballare le temperature e favorire il gioco degli ecoansiosi”, dall’altra Nello Musumeci, Ministro della Protezione Civile, riconosce che questi sono gli effetti dei cambiamenti climatici, salvo poi scaricare la responsabilità verso l’alto (Unione Europea) per l’assenza di politiche efficaci, e verso il basso (i/le cittadini/e), per “la scarsa attenzione”. E mentre Musumeci ribadisce l’importanza della tutela del territorio, è anche uno dei sostenitori del Ponte sullo Stretto di Messina, storico cavallo di battaglia della destra berlusconiana. I tempi in cui gli attori moderati erano il perno della coalizione di centro-destra però sono ben lontani. Quando l’ago della bilancia pesa a favore degli attori radicali e la coalizione è più di destra che di centro, anche la funzione strategica in chiave discorsiva del ponte sullo Stretto di Messina cambia, riportandoci alla mente tempi più lontani.

Fare grande la nazione in un pianeta sul lastrico

“Non è il ponte di Messina, è il ponte degli italiani”.

Sono le parole che pronuncia Matteo Salvini (Ministro delle Infrastrutture) nello spot sul Ponte sullo Stretto, mentre un fascio di luce tricolore illumina la riproduzione video delle corsie previste dal progetto che dovrebbero unire Calabria e Sicilia. Nei pochi secondi di spot, dati pochi, retorica molta. Una serie di slogan si susseguono: “un’impresa senza eguali nel mondo”, “il ponte a campata unica più lungo del mondo”, “esempio di efficienza e bravura dell’ingegneria italiana nel mondo”6.

È “il ponte degli italiani”, la cui inaugurazione viene già presentata dal Ministro delle Infrastrutture (in passato contrario al ponte)7 come un evento mondiale, omettendo una serie di dettagli tecnici, ambientali ed economici su cui – al di fuori di proclami politici – non vi è ancora alcuna chiarezza.

Dietro la realizzazione di questa infrastruttura, che ha una storia lunghissima e vede implicati partner economici discutibili, si cela l’aspirazione – sincera o retorica che sia – di fare grande l’Italia. Questa sorta di populismo infrastrutturale8 si inserisce (o tenta di farlo) in particolare nei territori considerati come svantaggiati9, in questo caso il Mezzogiorno, a lungo nemico numero uno della Lega. Le parole di Giorgia Meloni in qualche modo lo chiariscono:

“Ci sono due modi per tentare di combattere il divario Nord-Sud, c’è il Reddito di cittadinanza e le infrastrutture di cittadinanza. Il reddito era la risposta di chi non poteva risolvere il problema e manteneva le persone in una condizione di marginalità. Le infrastrutture di cittadinanza sono le risposte di chi investe sul territorio per cambiare le opportunità”10

Pur ponendosi spesso in continuità con la politica infrastrutturale dei precedenti governi, questa viene ripresa e riarticolata dalla destra dentro un’idea di nazione e di cittadinanza che, come sappiamo, è declinata in senso razzista ed escludente. L’infrastruttura diventa strumento materiale e simbolico di rafforzamento dello stato-nazione, che costruisce la cittadinanza italiana (e soprattutto l’orgoglio italiano), e dimostra la capacità di governo sui territori11. Va da sé che, seguendo questa linea argomentativa della destra sulle infrastrutture, chi vi si oppone sta mettendo in discussione l’interesse della nazione e degli italiani. Narrazioni e immaginari che, inevitabilmente, richiamano alla memoria la retorica fascista in cui la “natura” veniva intesa come campo di battaglia, da conquistare e piegare agli interessi e alle necessità della patria12: come si “sfidava” la natura nelle bonifiche delle paludi italiane per insediarvi nuove città (non a caso, chiamate “colonie”) e nuove piantagioni di grano, oggi si “sfida” la natura con grandi infrastrutture inedite a livello mondiale. Ritroviamo chiaramente la stessa visione estrattiva del rapporto tra essere umano-ambiente, in cui è necessario mettere a valore risorse e spazi, e che si sposa perfettamente la retorica coloniale della conquista volta a migliorare un territorio che si creda occupi una condizione di svantaggio o debolezza. La tecnologia (sia essa utilizzata per bonificare una palude, costruire il ponte a campata unica più lungo al mondo, o per la produzione di energia nucleare) assume quindi un ruolo centrale per far avanzare l’essere umano in questa continua battaglia per il dominio della natura13.

Il Made in Italy gettato nella trappola dei fondi finanziari globali

Se da un lato c’è l’Italia che si fa grande nel mondo, dall’altro c’è la necessità di difendere il brand italiano contro le élite globaliste, che ritroviamo in modo plastico nella narrazione fatta delle manifestazioni degli agricoltori contro la riforma della PAC (Politica Agricola Comune) votata dall’Unione Europea nel 2021, e spesso ribattezzate come “rivolte dei trattori”. Sebbene molti dei politici di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia abbiano votato a favore della riforma14, in occasione delle mobilitazioni degli agricoltori sono stati diversi i leader di spicco del Governo Meloni che hanno colto l’occasione per attaccare l’Europa e la sostenibilità ambientale come arma ideologica. Se è vero che le politiche green dell’Unione Europea spesso scontano una visione tutta imperniata sulla modernizzazione ecologica che rimuove la dimensione sociale dai programmi di transizione ecologica15 e che si interroga sui limiti ecologici col solo obiettivo di garantire lo sviluppo capitalista attraverso il paradigma della sostenibilità16, è altrettanto vero che la destra si è inserita in questo dibattito non per evidenziare le criticità della PAC ma per guadagnare consenso puntando nuovamente sulla nazione, puntando così ad accaparrarsi ulteriori segmenti di elettorato e fidelizzare le proprie basi.

Infatti, il complesso quanto cruciale dibattito sulla sostenibilità dell’agricoltura è stato semplificato e ricondotto dalla destra ad uno scontro di civiltà tra il Made in Italy e la farina di grilli che una non ben identificata categoria vorrebbe obbligarci a mangiare. E poco importa se la produzione Made in Italy è contaminata dalle nocività presenti nel terreno e nelle acque, dall’uso massiccio dei pesticidi, se a lavorare la terra sono immigrati senza diritti ed esposti a continui ricatti, se i periodi di siccità a cui seguono alluvioni e grandinate stanno distruggendo i raccolti. L’importante è difendere il Made in Italy contro le élite europee, per omettere le proprie mancanze e ingaggiare l’ennesima battaglia identitaria.

E non è un caso che proprio questo governo abbia sentito l’esigenza di rinominare il Ministero dello Sviluppo Economico con il nuovo nome di Ministero delle imprese e del Made in Italy proprio mentre sempre più settori strategici del paese finiscono nella trappola dei fondi finanziari globali (da ultimo la privatizzazione di Poste Italiane).

Viene infatti da chiedersi qual è il Made in Italy che il Governo Meloni pensa di difendere, considerando il suo impegno a cedere 20 miliardi di asset di società interamente gestite dallo Stato o a partecipazione statale entro il 2026, dalle telecomunicazioni alle ferrovie, passando per le società energetiche (alla faccia della sovranità nazionale)17.

Ma d’altronde questa è una storia vecchia come il mondo: usare l’arma ideologica della difesa della nazione per mascherare il fallimento politico della destra, sul piano sociale, economico e ambientale.

Questi casi non ci permettono di capire solo in che modo questioni legate alla sostenibilità ambientale siano utilizzate in maniera strumentale per alimentare una retorica e un immaginario populista e nazionalista, ma rendono evidente una delle più grosse contraddizioni del populismo della destra radicale. Se da un lato le bocche si riempiono e i petti si gonfiano in maniera orgogliosa mentre si invoca la difesa del popolo da nemici sempre diversi, dall’altra è evidente che sul piano politico ed economico la destra radicale ha perfettamente chiaro il sistema di interessi da difendere. Il sostegno alle rivendicazioni degli agricoltori è un esempio perfetto dell’ambientalismo condizionato della destra radicale18: le politiche a tutela dell’ambiente sono accettabili solo laddove non intacchino gli interessi economici e i guadagni di chi investe. Grattando bene la superficie si vede che dietro la difesa del popolo, tanto citato nei discorsi delle destre radicali populiste, si nasconde in realtà la ferrea difesa degli interessi della classe dominante.

Destra e ambiente alla prova delle elezioni europee

È particolarmente evidente che l’ambiente è diventata, forse per la prima volta, una positional issue, ovvero una linea di frattura che divide tanto l’elettorato quanto gli attori politici in gioco che oggi non possono più eludere la questione. La centralità di questo tema è evidente tanto in Italia, quanto nel resto d’Europa. In un recente reportage a cura di Michele Bertelli, Maria Elorza e Martin Vrba19, si evidenzia proprio come le questioni relative all’ambiente siano ormai centrali nell’agenda politica europea e di tutti gli stati dell’Unione: quindi, sia a livello europeo che a livello interno, tutti gli attori politici in campo devono necessariamente misurarsi con questo tema. Inoltre, si evidenzia come strategie ostruzioniste di rallentamento riguardo misure concrete per ridurre le emissioni nocive e cambiare la rotta siano effettivamente utilizzate dai gruppi parlamentari della destra radicale, raggruppati attorno al gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei – CRE (di cui fa parte Fratelli d’Italia, lo spagnolo Vox, il polacco Diritto e Giustizia) e al gruppo Identità e Democrazia – ID (di cui fa parte la Lega, il francese Raggruppamento Nazionale e il tedesco Alternativa per la Germania) anche a livello europeo, confermando quindi che quello che si osserva in Italia è di fatto un trend transnazionale che accomuna partiti simili tra loro. Sebbene il periodo pre-elettorale che stiamo vivendo sia particolarmente incentrato su questioni relative alla guerra e alle tensioni interne all’Unione su questo tema, la questione ambientale continua ad essere un tema centrale dell’agenda politica europea e assolutamente cruciale, anche in virtù dei finanziamenti legati a Next Generation EU. I nuovi equilibri interni al parlamento europeo all’indomani delle imminenti elezioni non soltanto decideranno la linea dell’Unione in tema di guerra, ma anche in tema di politiche ambientali e transizione ecologica. Per questo è importante capire in che modo i vari gruppi parlamentari si posizionano e le possibili linee di tensioni interne. Il WWF ha recentemente contattato i partiti europei per chiedere loro di partecipare ad un breve sondaggio utile a spiegare le proprie posizioni e proposte politiche a proposito di ambiente20.

Nessuno dei partiti europei dell’ultra-destra ha partecipato e, al momento, nessuno dei loro programmi politici è disponibile. Dalle ultime proiezioni elettorali, sembra che i gruppi parlamentari della destra radicale aumenteranno la loro presenza al parlamento europeo, a detrimento della destra più moderata21. La stessa destra che parla di una transizione ecologica possibile, ma solo ad un costo sostenibile, quindi senza penalizzare le aziende, o di fallimento delle politiche di transizione ecologica perché penalizzano troppo le imprese22. Torna quindi quell’ambientalismo “condizionato” di cui abbiamo già parlato, che non mette in discussione lo status quo ma, anzi, ne protegge gli interessi. Il problema è che nessuna politica socio-ambientale e climatica può essere seriamente intrapresa se non si intacca questo consolidato sistema di interessi economici che negli anni ha portato la forbice tra poveri e ricchi ad allargarsi e il pianeta ad essere sempre più inabitabile.

Per questo, è necessario mantenere vivo un certo spirito critico nell’osservare il dibattito politico, riconoscendo e svelando gli intenti e le traiettorie politiche ed elettorali che si nascondono dietro le ipocrite narrazioni patriottiche.

Bibliografia

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S. Schindler, J. M. Kanai, “Getting the territory right: Infrastructure-led development and the re-emergence of spatial planning strategies” “Planning Regional Futures”, 2021. Routledge. (pp. 75-98)

1 Quotidiano della Sicilia, 2/4/24: https://qds.it/luglio-2023-caldo-record-sias

2 Nello specifico, si è scelto di indagare tre quotidiani nazionali rappresentativi di tre visioni politiche diverse e tra i più letti, ovvero La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e Il Foglio.

3 P. Imperatore, F. Frazzetta, “Narratives of extreme weather events as a field of conflict: a media comparison between the Emilia Romagna and Marche floods”, “Italian Political Science”, in corso di pubblicazione.

4 Ibidem

5 K. Ekber, B. Forchtner, M. Hultman, K. M. Jylha, Climate Obstruction: How Denial, Delay and Inaction are Heating the Planet, Routledge, 2023.

6 Il Sole 24 Ore, 26/5/23: https://www.youtube.com/watch?v=8z9PKkJGKE4&ab_channel=IlSole24ORE

7 Risalgono al 2016 le dichiarazioni di Matteo Salvini secondo le quali parecchi ingegneri sostengono che “il ponte non sta in piedi” e che “quei soldi andrebbero usati per le scuole”. Si veda: https://www.la7.it/laria-che-tira/video/ponte-sullo-stretto-quando-matteo-salvini-era-contrario-ci-sono-parecchi-ingegneri-che-dicono-che-06-10-2023-506686

8 Si vedano: A. Angelini, Il mitico ponte sullo Stretto di Messina. Da Lucio Cecilio Metello ai giorni nostri: la storia, la cultura, l’ambiente. Milano, 2010; R. Beveridge, M. Naumann, D. Rudolph. “The rise of ‘infrastructural populism’: Urban infrastructure and right‐wing politics”. “Geography Compass”, (2024) 18(2), 2024.

9 Si vedano: J. Essletzbichler, F. Disslbacher, M. Moser. “The victims of neoliberal globalisation and the rise of the populist vote: A comparative analysis of three recent electoral decisions”. “Cambridge Journal of Regions, Economy and Society”, 2018, 11(1), 73–94. https://doi.org/10.1093/cjres/rsx025; Rodríguez-Pose, “The revenge of the places that don’t matter (and what to do about it)”. “Cambridge journal of regions, economy and society”, 2018, 11(1), 189-209.

10 StrettoWeb, 25/3/24: https://www.strettoweb.com/2024/03/ponte-stretto-meloni-risposta-scettici/1701079/

11 S. Schindler, J. M. Kanai, “Getting the territory right: Infrastructure-led development and the re-emergence of spatial planning strategies” “Planning Regional Futures”, 2021. Routledge. (pp. 75-98)

12 M. Armiero, R. Biasillo, W. G. von Hardernderg, La natura del duce. Una storia ambientale del fascismo. Torino, Giulio Einaudi editore, 2022

13 Ibidem

14 Open 3/2/24 https://www.open.online/2024/02/03/proteste-trattori-politica-agricola-comune-pac-ue/

15 Per una ricostruzione dei limiti dell’approccio top-down alla transizione ecologica si veda Imperatore e Leonardi 2023.

16 Per una riflessione critica sul paradigma della sostenibilità e i suoi limiti si veda A. Magnaghi. Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo, Torino, Edizione Bollati Boringhieri, 2022. Uno dei punti cardine della critica posta da Magnaghi a questo concetto riguarda la sua formulazione come ecocompatibilità con l’economia di mercato. In questa prospettiva, si tendono a proporre politiche settoriali pensate come incontro ottimale tra crescita economica e difesa dell’ambiente, senza risolvere il problema né intervenire sulla radice del degrado socio-economico, da ricercare invece nel modello di produzione capitalista.

17 Il Sole 24 Ore, 23/1/24: https://www.ilsole24ore.com/art/privatizzazioni-eni-poste-e-ferrovie-ecco-cosa-andra-mercato-e-cosa-no-AFBg88QC#U5020832193450HF

18 M. Caiani, B. Lubarda. “L’ambientalismo condizionato dei partiti populisti di destra”, Altreconomia, 2023, https://altreconomia.it/lambientalismo-condizionato-dei-partiti-populisti-di-destra/.

19 Il Fatto Quotidiano, 6/3/24: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/03/06/clima-in-europa-i-populisti-diventano-piu-popolari-e-viceversa-negazionismo-addio-ora-lo-slogan-e-tutta-colpa-della-cina/7470326/

20 WWF, The Green Deal is here to stay. EU Party survery: https://www.wwf.eu/?13224941/The-Green-Deal-is-here-to-stay—EU-party-survey

21 Euractiv, 2024(a): https://www.euractiv.com/section/elections/news/far-right-and-liberals-continue-tight-race-for-third-place-eu-elections-projection/

22 Euractiv, 2024(b): https://www.euractiv.com/section/elections/video/identitydemocracy-eu-commissions-green-transition-a-total-failure/

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