Una volta espressione del benessere dei ricchi, poi della rivincita delle masse, il “sistema automobile” va demitizzato e sostituito con una scienza idonea a razionalizzare la mobilità, conciliandola con le altre esigenze del vivere civile.
In genere ogni civiltà rischia di rimanere intrappolata in una cultura. Quella industriale è oggi assediata dalla cultura dell’automobile. Buona parte delle nostre attività sono oggi rivolte a far funzionare il sistema relativo alla fabbricazione e al movimento delle automobili. Ma le automobili a che servono? In linea di principio esse dovrebbero aiutarci a spostarci. Ma da dove a dove? E in quanto tempo?
Nelle nostre città è ormai evidente che le energie spese per costruire le automobili non sono sempre compensate dai benefici che dovrebbero derivare dal loro utilizzo.
Perché è accaduto ciò? Una risposta convincente è che il “sistema automobile” non è stato mai progettato. Sono state studiate e costruite le singole componenti dello stesso: le strade, il sistema di rifornimento del carburante, i centri di manutenzione, l’automobile stessa. Ma non sembra che questi singoli aspetti siano mai stati studiati nel loro insieme e con riferimento a un parametro fondamentale: la mobilità degli individui (definibile in km percorsi all’ora), che dovrebbe in definitiva costituire l’obiettivo finale di un sistema di mobilità.
Quello della mobilità è un parametro inversamente proporzionale alla superficie occupata dalle automobili. Data una superficie percorribile, col crescere del numero delle automobili cresce la superficie occupata e quindi diminuisce la mobilità.
Nella città un gran numero di automobili sono parcheggiate, per la maggior parte del tempo, occupando marciapiedi e spazi altrimenti utilizzabili per muoversi. Il costo capitale di queste risorse (macchine e superficie occupate) inutilizzate non sarebbe accettabile per nessun imprenditore che volesse far funzionare economicamente la sua impresa. La società invece accetta questo costo e per il momento sembra indifferente all’esigenza di ottimizzare il “sistema automobile” in modo che il parametro mobilità assuma il valore economicamente e socialmente più appropriato.
Questa passività può spiegarsi con il tipo di valore che la cultura dell’automobile ha instaurato nella mente della gente. All’inizio, l’automobile era espressione del benessere dei ricchi. Con gli anni è diventata il simbolo della rivincita sociale delle masse, che ora per inerzia subiscono supinamente gli effetti negativi del “sistema automobile”.
È possibile cambiare questo atteggiamento? E da dove si dovrebbe cominciare? Ritengo che si potrebbero proporre due linee di azione. Una, indirizzata a rimuovere la vecchia cultura, per sostituirla con una nuova. La seconda, mirata a riprogettare il “sistema automobile”.
Lo sviluppo della prima linea d’azione dovrebbe essere compito degli educatori e dei mass media. Lo sviluppo della seconda linea dovrebbe essere portato avanti da esperti in vari campi, i quali, innanzitutto, dovrebbero sviluppare una nuova scienza: la mobilologia, con lo scopo di studiare come può muoversi la gente nelle città, da città a città, e attraverso il paese.
Le due linee, ovviamente non possono essere sviluppate indipendentemente. La prima serve a definire la seconda e viceversa.
Nel caso della prima linea si tratta di rivedere soprattutto i concetti di proprietà e di utilizzo dell’automobile. La macchina oggi è concepita solo come un bene individuale, da utilizzare solo individualmente o con la propria famiglia. Il concetto di multiproprietà ha avuto un relativo successo nel caso di abitazioni di vacanza, ma non è stato mai preso in considerazione nel caso dell’automobile, probabilmente perché il costo di una vettura o è troppo basso o non sono così attraenti i servizi alternativi offerti. Altra ragione potrebbe essere che gli spazi occupati dalle automobili non costano, anche se la loro sottrazione alla fruibilità dei cittadini ha un suo costo che non è stato mai quantificato.
Il progressivo deterioramento della qualità della vita nelle grandi città va attribuito in buona parte anche alla riduzione di spazi determinata da un’eccessiva presenza di automobili in luoghi che non sono stati concepiti per tale presenza. Ribaltare la concezione del possesso a favore di quella dell’utilizzo delle automobili nelle città potrebbe contribuire a ridurre il numero delle stesse con benefici che potrebbero essere sinergici. Meno spazi occupati vuol dire più spazi disponibili per muoversi a beneficio delle automobili, ma anche dei pedoni, dei ciclisti, dei motocicli.
“Non mi dispiace che lei abbia venduto l’automobile. Spero che Giorgio venda la sua entro sei mesi. Nessuno dovrebbe averla, dal momento che ci sono gli autobus, i tram e i taxi. Le auto sono la peste delle città”. (Da una lettera di Joyce a Silvia Beach, del 5 maggio 1931.
Inoltre un atteggiamento volto a favorire anche l’utilizzo contro il possesso dovrebbe condurre ad una spersonalizzazione dell’oggetto automobile, che finirebbe pertanto come un qualsiasi mezzo pubblico, da utilizzare sia individualmente sia collettivamente. Anche l’utilizzo va ridefinito alla luce di una nuova cultura consapevole dei costi sanitari e ambientali ad esso associati. L’utilizzo dell’automobile va disincentivato non solo per ragioni quali quelle appena citate, ma anche a favore di un nuovo modo di pensare: camminare per la propria città è giovane, fa bene alla salute e non inquina.
Tuttavia è importante evitare di demonizzare l’automobile in sé. Va invece inventata, come già sottolineato, una nuova cultura di questo mezzo. Questa nuova cultura deve pensare l’automobile come un oggetto polifunzionale, per l’individuo e per la società, subordinato alla qualità della vita, alla mobilità, alla protezione della salute dell’uomo e dell’ambiente. Per una nuova cultura dell’automobile
COME USARE L’AUTO NELLE AREE METROPOLITANE
L’autovettura deve perdere il carattere personalizzato che si attribuisce normalmente al proprio vestito. Perché non istituire centri di mobilità e sistemi di mobilità collettiva? Utopia e realtà.
Sostanzialmente oggi l’automobile che possiamo utilizzare per muoverci è di proprietà, o è un taxi, o è in affitto. Inoltre le automobili sono pensate tutte allo stesso modo, in quanto esse vengono concepite per rispondere all’esigenza di essere utilizzate in diverse condizioni, che coprono tutto lo spettro dei possibili percorsi.
A questa concezione rigida e limitata bisognerebbe sostituirne una nuova in base alla quale la macchina viene specializzata per i suoi utilizzi e per le funzioni che essa consente di svolgere.
Va promosso l’interesse dell’individuo per la funzione della macchina non per il possesso della stessa. La macchina può servire per andare in vacanza, per andare al lavoro, per spostarsi nel quartiere, per avere del lusso ecc. Le funzioni identificate potrebbero poi essere soddisfatte in diversi modi, attraverso un utilizzo individuale o collettivo, un possesso individuale o collettivo o da una combinazione degli stessi.
Queste funzioni non dovranno essere stabilite in modo rigido, né imposte, ma dovranno essere riconosciute nel tessuto sociale ed economico e fatte “cultura”, in modo da cambiare la prospettiva secondo la quale utilizzare l’automobile. Va sottolineato come debba nelle città essere esaltato l’aspetto mobilità rispetto a quello dell’apparire, cercando di togliere alla macchina il carattere di vestito da indossare quando ci si muove nelle aree metropolitane. Una nuova concezione nell’uso delle automobili nelle città potrà avere successo solo se associata a una nuova disponibilità della gente a camminare.
L’automobile non può essere il mezzo che ci porta dovunque. Ogni spostamento dovrebbe essere il risultato di una combinazione di tratti percorsi con mezzi diversi e tale soluzione dovrebbe diventare la prassi di come ci si sposta nelle grandi città.
Venendo ora alla seconda linea d’azione, già indicata nello scorso numero di Parioli Pocket, questa dovrà mettere a disposizione della nuova cultura i mezzi tecnici per realizzarsi.
Per esempio, dovrebbero essere studiate automobili semplici, pratiche, robuste e poco inquinanti, utilizzabili facilmente da tutti. Queste vetture, da utilizzare prevalentemente nelle aree metropolitane, dovrebbero far capo a centri di mobilità locale, circoscrizionale e metropolitani. A questi centri si può essere associati a livello individuale e collettivo, per servizi di routine ed eccezionali, su base annuale e temporanea. Questi centri dovrebbero essere completamente informatizzati e tutte le operazioni svolte dagli associati, prenotazioni, utilizzi, pagamenti, effettuati con carte magnetiche ad hoc. Centri di questo tipo potrebbero essere promossi dall’associazione di giovani e essere gestiti da cooperative di giovani. La maggiore disponibilità dei giovani alla socializzazione dovrebbe consentire una più facile diffusione di nuove abitudini, che si consoliderebbero poi con il tempo.
Ad ogni centro dovrebbe far capo un certo numero di vetture, alcune delle quali si muoverebbero in raggi d’azione mediamente determinati in modo da assicurare un incontro soddisfacente tra la domanda e l’offerta. Il costo organizzativo di questi centri di mobilità andrebbe inizialmente in parte sostenuto con fondi pubblici.
Successivamente questi sistemi di mobilità in uso collettivo dovrebbero autofinanziarsi ed essere in grado di conoscere e organizzare la domanda e l’offerta di mobilità sulla base di analisi statistiche, opportunamente utilizzate per istruire il sistema informatico. Analogamente potrebbero essere organizzati sistemi di mobilità in proprietà collettiva utilizzati da categorie professionali o associazioni tra privati con lo scopo di ottimizzare l’uso delle vetture.
Ai centri di mobilità si potrà essere associati in varie qualità. Per esempio si può avere l’abilitazione a condurre un veicolo del centro per sé e per conto di altri membri del centro. Oppure si può essere associati al centro solo in qualità di utilizzatori.
Il successo dei centri di mobilità dovrà essere affidato alla loro economicità ed efficienza. Poiché si tratta di fornire un servizio estremamente variabile nel tempo, con picchi che ne richiedono un opportuno dimensionamento, è importante che siano affrontati in fase progettuale tutti gli aspetti che ne possono condizionare la riuscita, a cominciare dalle tariffe, che dovranno essere incentivanti per l’uso collettivo e in particolari momenti della giornata e disincentivanti per l’uso individuale e nei momenti di punta.
(*) Questo articolo è stato pubblicato in due puntate in un giornale di quartiere di Roma denominato Parioli Pocket (numeri del 15 settembre e 1 ottobre 1989). Una rielaborazione in: “L’Automobile”, rivista dell’ACI, 1990.