Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Destre estreme e ambiente, un breve percorso di lettura. Parte prima. “La tentation écofasciste” di Pierre Madelin

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La rapida ascesa di partiti e movimenti di estrema destra e la caratterizzazione sempre più autoritaria, nazionalista e razzista di un crescente numero di governi in tutto il mondo pone, tra i tanti, anche il problema del loro rapporto con i vari aspetti della crisi ecologica e di quella climatica in particolare. Sull’argomento si sono quindi rapidamente moltiplicati, negli ultimi anni e in molti paesi, gli studi e le riflessioni, ma paradossalmente ciò non è avvenuto in Italia, dove pure le destre estreme sono forze di governo da almeno un trentennio. Iniziamo una ricognizione nella bibliografia internazionale sull’argomento introducendo – in questo numero e nel prossimo – due solidi testi rappresentativi dei principali filoni di ricerca.

“Estirperemo le piste ciclabili”

Al ballottaggio del 23 giugno scorso viene rieletta sindaca di Lecce, dopo un’assenza di 17 anni, una delle bandiere del (post)fascismo italiano: Adriana Poli Bortone. Classe 1943, iscritta al Movimento sociale italiano sin dalla primissima gioventù, parlamentare dal 1983, ministra con Berlusconi nel 1994, sindaca di Lecce dal 1998 al 2007, fuori da tempo dal partito erede di Almirante perché ai suoi occhi troppo moderato, ottiene tuttavia la candidatura unanime delle forze di destra alle ultime amministrative. Le prime dichiarazioni dopo la vittoria sono lapidarie quanto surreali: estirperemo i leninisti e le piste ciclabili.

La perdurante fobia per i “leninisti” – per quanto ormai sostanzialmente estinti – è comprensibile per chi è cresciuta e ha vissuto in decenni in cui gli eredi del regime fascista vivevano in uno stato di semi-clandestinità e un partito vicino a Mosca arrivava ad avere il consenso di un terzo degli italiani. Ma quella per le piste ciclabili? Si tratta solo di una battuta un po’ surreale dettata dall’euforia del momento?

Non proprio.

Impensabile fino a cinque-sei anni fa, la dichiarazione di Poli Bortone costituisce un riflesso – personalissimo ma non incoerente – degli sforzi che le destre estreme stanno facendo per inserire, in un modo o nell’altro, nelle loro agende e nelle loro strategie comunicative un tema che per forza di cose oggi non può più essere aggirato o ignorato: quello della crisi climatica e, più in generale, quello della crisi ambientale.

Un cantiere di ricerca e un dibattito pubblico indifferibili

Fino a pochi anni fa, in Italia come altrove, il tema del rapporto tra destre estreme e questione ambientale costituiva sostanzialmente un non-problema e riceveva quindi scarsa attenzione.

Di recente esso ha invece assunto una notevole rilevanza, sia politica che culturale, a causa dell’inevitabile interazione tra due tendenze globali in forte crescita: il successo ubiquitario di formazioni politiche di estrema destra e l’ormai evidente aggravarsi della crisi ambientale.

In molti paesi il tema è diventato oggetto di studi, di dibattito scientifico e politico e ha dato vita a una letteratura copiosa e spesso di successo, segnata nella gran parte dei casi da un senso di profonda preoccupazione e di urgenza. In Italia, al contrario, esso è rimasto a lungo pressoché ignorato e solo ora comincia timidamente e faticosamente a emergere.

Sarebbe certamente necessario e utile fare un ampio giro di orizzonte delle ricerche e del dibattito estero, ma ci limitiamo al momento a concentrarci su due opere che hanno in comune solidità e ampiezza di orizzonti e il fatto di essere emblematiche di due approcci distinti e complementari che costituiscono la tela di fondo del dibattito attuale sul tema.

Facendo questo speriamo tuttavia di contribuire ad alimentare un cantiere di ricerca e un dibattito italiani sull’argomento, tanto più che nel nostro paese – a differenza di molti altri paesi – le destre estreme sono forza di governo da ormai trent’anni e hanno oggi, peraltro con un partito di maggioranza diretto erede del fascismo storico, una salda presa sulle istituzioni e sui mezzi di comunicazione di massa.

Due approcci: isole “ecofasciste” e destre estreme mainstream

I due libri in questione sono La tentation écofasciste. Écologie et extrême droite del filosofo, scrittore e attivista Pierre Madelin, pubblicato nel 2023 dalla casa editrice écosociété di Montreal, e Fascisme fossile. L’extrême droite, l’énergie, le climat dello Zetkin Collective, pubblicato a Parigi da La fabrique nel 2020 a partire da un testo inglese più ampio che sarebbe però stato edito a stampa solo l’anno successivo1.

Pur incrociandosi e spesso necessariamente sovrapponendosi, i due approcci di cui queste opere sono rappresentative si possono distinguere abbastanza agevolmente.

Il primo approccio si sforza di analizzare e di illustrare centri di elaborazione culturale e movimenti di estrema destra che adottano la questione ambientale o almeno alcuni dei suoi aspetti come fondativi della propria visione e della propria azione politica. L’ambito è quello degli “ecofascismi” propriamente detti. Come vedremo, si tratta di un approccio che ha generato e sta generando una letteratura ampia e di un certo successo: basti pensare che oltre al libro di Madelin il pubblico francese dispone di un’opera in parte analoga, uscita negli stessi mesi e che ha riscosso interesse non minore2 e che nei primi mesi di quest’anno persino un editore italiano importante come Einaudi ha deciso di rompere il silenzio nostrano al riguardo facendo uscire una piccola opera di taglio essenzialmente giornalistico3.

Il secondo approccio analizza invece i modi in cui i principali soggetti della montante marea di forze politiche, istituzioni di governo e media di estrema destra si rapportano alle questioni ambientali e in particolare alla crisi climatica. Nella quarta di copertina di White Skin, Black Fuel lo Zetkin Collective pone la questione inusualmente efficace: “Rising temperatures and the rise of far right. What disasters happen when they meet?”. Qui la letteratura è ancora più ampia, alla confluenza tra ricerche accademiche e pubblicistica militante da un lato e da un altro lato tra ricerche generali sui fascismi e ricerche sulla percezione e sul trattamento politico della questione ambientale. Riferimenti comuni di entrambi gli approcci sono ad esempio i lavori di Bernhard Forchtner4 oppure i numerosi e ormai consolidati studi sul rapporto tra i fascismi “storici” (fascismo italiano e nazismo tedesco in particolare)5 e ambiente, nei vari significati che tale rapporto ebbe ad assumente. Ma su quest’ultimo punto avremo modo di tornare.

La ricognizione degli ecofascismi, viene da osservare, è più agevole ma anche un po’ meno urgente e utile. Oggetto delle trattazioni riguardanti gli ecofascismi finiscono infatti con l’essere regolarmente dei piccoli centri di elaborazione intellettuale o addirittura degli individui isolati. I protagonisti di queste vicende sono regolarmente lontani tanto dal contatto diretto con pubblici vasti quanto dall’esercizio effettivo di forme di potere, anche solo nella forma della rappresentanza politica. Se l’analisi del rapporto tra una forza politica e una issue deve necessariamente tenere in considerazione interazioni e contraddizioni tra le dimensioni a) della sua visione politica di fondo, b) delle sue retoriche pubbliche, c) dei suoi programmi e d) delle sue azioni politiche concrete (battaglie e votazioni nelle assemblee rappresentative, provvedimenti di governo, legiferazione), le attività degli ecofascismi rimangono per lo più confinate alla prima dimensione, quella teorica, che del resto in genere non presenta scarti significativi rispetto alle rare occasioni di esprimere delle retoriche in arene pubbliche ampie. A causa di questa marginalità lo studio degli ecofascismi risulta quindi essere uno studio in sé relativamente agevole, incentrato anzitutto e soprattutto sull’analisi di testi teorico-programmatici, mentre solo in rarissime occasioni diventa necessario ampliare lo sguardo al rapporto tra teoria e iniziative politiche destinate a incidere direttamente ed efficacemente sull’opinione pubblica o sul quadro politico e sociale.

Ciò non vuol dire che tale studio si presenti come semplice perché, pur condividendo alcuni tratti di fondo, la galassia ecofascista è ampia e diversificata. Avere un polso preciso dei contenuti espressi dai vari gruppi e individui; cogliere radici e nessi delle diverse visioni e strategie; essere capaci di sguardi ampi, nel tempo e nello spazio; cercare di capire come queste elaborazioni riescano talvolta a influenzare universi più ampi a convertirsi per via mediata in “politica politicata”; riuscire in ogni caso a mantenere la consapevolezza del carattere non egemonico di queste correnti e delle loro difficoltà strutturali a condizionare e a trasformare le espressioni mainstream delle destre estreme: tutte queste sono le sfide che studiose.i e militanti si trovano di fronte nello studio degli ecofascismi, e venire meno a una qualsiasi di queste sfide significa produrre analisi povere e spesso fuorvianti.

Nel caso invece dello studio del rapporto tra destre estreme mainstream e questioni ambientali le sfide sono decisamente più complesse.

In questo caso per produrre analisi affidabili non basta conoscere i fondamenti teorici o teorico-programmatici di un numero relativamente limitato di gruppi, ma bisogna avere un quadro chiaro delle elaborazioni politico-culturali più influenti e diffuse, di quanto pesano effettivamente all’interno dei gruppi dirigenti delle forze politiche di estrema destra e dei loro elettorati, di come eventualmente si articolano con la retorica e con i loro programmi ufficiali (se in modo coerente o meno) e infine del rapporto tra elaborazioni culturali, retoriche programmi e attività politica concreta, nelle istituzioni di rappresentanza e di governo. E, visto il carattere ampiamente transnazionale se non globale dell’ascesa delle destre estreme, è indispensabile anche avere la capacità di individuare elementi comuni e differenze tra forze di estrema destra del maggior numero di paesi possibili. La ricerca si deve quindi allargare notevolmente, dall’analisi quasi esclusiva di testi teorico-programmatici verso lo studio di dichiarazioni pubbliche, di programmi elettorali e di governo, di campagne politiche, di presenza nei mezzi di comunicazione di massa e nei social, di orientamento di voto nei parlamenti di ogni livello spaziale, di atti legislativi e amministrativi. Più e meglio si è in grado di lavorare su un terreno così ampio, complesso e quindi faticoso, più grande è la possibilità di offrire contributi significativi e utili. Più utili, in ogni caso, rispetto ad analisi – per quanto solide – dei soli ecofascismi. Perché è appunto l’incontro tra “rising temperatures” e “rise of far right” – una far right quasi sempre ferocemente anti-ambientale e anti-ambientalista – il fenomeno che sta ridisegnando in tutto il mondo il destino delle politiche ambientali, e in modo estremamente pericoloso. Ed è questo ampio fenomeno, come suggerisce lo Zetkin Collective, che serve anzitutto capire per poterlo affrontare e combattere.

Detto questo, tanto La tentation écofasciste quanto Fascisme fossile sono frutto di sforzi analitici seri e ampi, capaci di aiutarci a capire dove stiamo andando e come è necessario muoverci.

Madelin, la tentazione ecofascista

La forza de La temptation écofasciste di Pierre Madelin poggia anzitutto sulla ricchezza del bagaglio culturale e politico dell’autore. Madelin è infatti filosofo di formazione, attivista della sinistra libertaria, fertile saggista e grande conoscitore della letteratura ambientalista anglosassone, di cui ha tradotto diverse opere in francese6. Ciò gli permette di lavorare a partire da un’efficace miscela di sofisticatezza analitica, di solida “conoscenza del terreno” e di capacità di cogliere fondamentali nessi transnazionali. Tutti elementi che rendono il libro un utile strumento sia sul piano dell’informazione che su quello della riflessione.

L’opera si articola in sei parti.

Delimitare e definire

La prima è dedicata a uno sforzo preliminare di delimitazione e di definizione dell’ecofascismo, chiarendo i nessi col concetto più ampio di fascismo e facendo ordine nelle varie definizioni correnti. Madelin, in modo sottile e cauto, accetta anzitutto di definire senz’altro fascisti i movimenti attuali di estrema destra pur consapevole delle loro differenze rispetto ai fascismi storici e alle loro notevoli differenziazioni interne. E accetta inoltre di utilizzare il termine “ecofascismo” pur consapevole del fatto che altri termini (“econazionalismo”, “ecoautoritarismo”, “ecototalitarismo”) sarebbero altrettanto appropriati e che all’interno della galassia così definita ci sono importanti differenziazioni rispetto ad alcuni temi fondamentali (nazionalismo, statalismo, conservatorismo).

In questa discussione bisogna in ogni caso sgombrare il campo da un vecchio equivoco: quello secondo cui l’ecologismo sia o possa essere considerato intrinsecamente fascista o fascistizzante. Un’accusa, questa, lanciata sin dagli anni Ottanta da due versanti: da un lato autori come Anna Bramwell e Luc Ferry7, intenti a screditare l’ambientalismo da un’ottica neoliberista-sviluppista imputandogli radici naziste e anti-moderne; da un altro lato autori della sinistra critica e ambientalista come Murray Bookchin e André Gorz che tacciano tout court di ecofascismo alcune correnti ambientaliste come la deep ecology8. Madelin non solo non condivide queste interpretazioni ma ritiene che l’uso del termine “ecofascismo” sia in questi casi del tutto inappropriato.

Tutti gli ecofascismi condividono, secondo Madelin, un comune punto di partenza: l’omologia tra ordine naturale e ordine sociale, e cioè il considerare l’ordine sociale come astorico, gerarchico e fondato su un principio esogeno. Un ordine sociale naturalizzato, insomma. Sulla base dell’omologia tra società e natura, l’attacco alla purezza e all’integrità dell’ordine sociale comporta un attacco all’integrità dell’ambiente naturale o va in parallelo ad esso. Si coniugano così, in tutti gli ecofascismi, una fobia per l’alterità e un’angoscia per l’alterazione che si applicano contemporaneamente alla comunità umana e all’ambiente. Il pericolo costituito dagli ecofascismi così definiti è dato dal fatto che la diffusione di idee ecofasciste può contribuire alla diffusione di visioni e politiche fasciste che a loro volta possono condurre a regimi ecofascisti.

Fascismi storici e ambiente

La seconda parte è finalizzata a chiarire la questione cui si è già fatto cenno: quella della continuità o meno tra gli ecofascismi attuali e i fascismi storici (fascismo italiano, nazismo tedesco e regime di Vichy). Le due domande che sono state poste sin dalla metà degli anni Ottanta sono state infatti se e quanto i fascismi storici siano stati effettivamente “verdi” e se e quanto l’ondata ambientalista globale successiva alla metà degli anni Sessanta non sia stata sostanzialmente in continuità con l’eventuale ambientalismo dei fascismi storici. I portabandiera della risposta positiva a entrambe le domande furono, come s’è detto, Anna Bramwell e Luc Ferry con due libri accolti con un certo favore di pubblico e quindi largamente utilizzati nel dibattito politico al fine di screditare e delegittimare un ambientalismo all’epoca in forte espansione.

Madelin sgombra il campo dall’equivoco mostrando come un’ormai ampia letteratura storiografica dispiegatasi nell’ultimo quarto di secolo, Uekoetter e Chapoutot in testa, ha risposto in modo negativo e definitivo a entrambe le domande. Per quanto portatrice di alcuni spunti per l’epoca avanzati, infatti, la corrente “verde” del nazismo non solo venne rapidamente liquidata ma finì col costituire un episodio del tutto marginale entro un’esperienza politica largamente votata a un massiccio sfruttamento di risorse e di ambienti naturali, soprattutto a fini bellici. Il fascismo mussoliniano e il regime di Vichy, dal canto loro, non hanno conosciuto nemmeno di queste venature proto-ambientaliste e al loro interno qualcosa che assomigli lontanamente a un’ispirazione ambientalista si può faticosamente rinvenire soltanto in retoriche ruraliste piuttosto convenzionali e anch’esse in gran parte propagandistiche, subordinate a una visione anzitutto industrialista e modernizzante della società e dell’economia nazionali. Estremamente labili ed episodici, mai determinanti, sono infine i rapporti di filiazione tra questi aspetti di proto-ambientalismo del nazismo e gli attuali eco-fascismi.

In conclusione, Madelin mostra come le critiche “moderniste” all’ambientalismo come quelle di Bramwell e Ferry sono disoneste nel tracciare le genealogie e naïf nell’enfatizzare soltanto le retoriche dei fascismi e non le loro pratiche. Madelin sottolinea infine come la polemica anti-ecologista di Bramwell e Ferry si fondi sull’equazione “modernizzazione = progresso tecnologico + emancipazione politica”, per cui criticando gli effetti del progresso tecnologico si finisce necessariamente col contrapporsi ai principi della democrazia e delle libertà politiche e civili. Non solo, tuttavia, tale equazione è secondo Madelin del tutto discutibile quando non smentita dalla storia, ma la quasi totalità dell’ambientalismo moderno non è affatto basato su un pensiero reazionario anti-moderno ma costituisce al contrario una riflessione critica della modernità su se stessa.

Ecologizzare il fascismo. La svolta ambientale della Nouvelle droite

Nella terza parte Madelin entra nel vivo dispiegando un’accurata analisi di una delle vicende più importanti e influenti dell’ecofascismo europeo: l’accostamento degli intellettuali della Nouvelle Droite francese e dei loro eredi alle questioni ambientali a partire dagli anni Novanta e il loro tentativo di elaborare una visione e di una strategia di estrema destra capace di incorporare coerentemente le tematiche ambientali e di ridefinirle. L’analisi è di grande dettaglio e interesse e mostra in prima battuta l’evoluzione e le caratteristiche della galassia che dalla fine degli anni Sessanta si è raccolta attorno ad Alain de Benoist col fine di riproporre il razzismo in termini nuovi e più articolati e farlo penetrare e diventare egemonico all’interno delle formazioni politiche di estrema destra. Con un incessante e tenace lavoro de Benoist e i suoi collaboratori impongono al dibattito culturale dell’estrema destra francese due novità: la sostituzione di un nazionalismo piuttosto sclerotizzato con un ambizioso europeismo e la sostituzione del tradizionale razzismo biologico e gerarchico con un razzismo culturalista “in cui la fobia della mescolanza si ammanta degli orpelli del rispetto delle differenze”. A conti fatti il risultato finale cambia poco e ricollega la Nouvelle Droite alle destre tradizionali sul piano del terrore del meticciamento e della mixofobia anche se non c’è disprezzo dichiarato per l’altro ma solo tenace volontà di mantenere le distanze. Ma un’altra grande novità è il progressivo (e meno scontato) incorporamento delle tematiche ambientaliste a partire dai primi anni Novanta e in modo ancor più determinato dai primi anni Duemila. Rielaborando e fondendo una serie di elementi già presenti in alcune elaborazioni di pensatori di estrema destra, la Nouvelle Droite giunge a costruire un’ambiziosa narrazione storica che denuncia il contemporaneo assoggettamento e devastazione di società e natura. Secondo questa narrazione è in prima battuta il Cristianesimo a fondare un universalismo e un antinaturalismo che staranno poi alla base di un rapporto perverso uomo-mondo; in seguito il Rinascimento introduce la secolarizzazione, l’eguaglianza e la dominazione vera e propria della natura; la tappa successiva e conseguente è data dal parallelo affermarsi del dominio coloniale e di quello tecnico sulla natura denunciato da Heidegger; infine, il capitalismo si impone come dominatore e omogeneizzatore massimo di cultura e natura.

È impossibile qui restituire la ricchezza di articolazioni e di sfumature della proposta teorica e comunicativa della Nouvelle Droite illustrate da Madelin, e viene anzi da dire che varrebbe la pena vedere il libro disponibile in italiano anche per fornire indicazioni fondamentali su molte delle argomentazioni e delle retoriche che vengono talvolta assorbite e utilizzate anche dalle destre italiane.

In questo terzo capitolo Madelin ricostruisce insomma, e in modo molto articolato, il modo in cui la punta di diamante del pensiero fascista francese ed europeo si sia “ecologizzato” e abbia tentato – con qualche successo – di far penetrare anche queste innovazioni all’interno del maggior partito neofascista francese – il Front national/Rassemblement national – che essendo alla ricerca di strategie comunicative adatte a conquistare un elettorato più vasto e variegato che in passato ha effettivamente incorporato – sia pure in modo essenzialmente propagandistico – alcune delle parole d’ordine proposte da de Benoist e dai suoi collaboratori.

Fascistizzare l’ecologia. I derapage fascisti dell’ambientalismo statunitense

Forte di una conoscenza accurata e di prima mano della storia e della cultura dell’ambientalismo americano Madelin spiega invece nel quarto capitolo come negli Stati Uniti si sia verificato un movimento inverso rispetto alla Francia (e all’Europa), cioè una “fascistizzazione dell’ecologismo” o meglio di alcuni settori di esso.

Anche se i due slittamenti finiscono col convergere su diversi punti, in America è stata la preoccupazione per la conservazione della natura che ha portato alcuni esponenti, anche prestigiosi, del pensiero ambientalista ad adottare delle visioni e delle proposte di stampo apertamente razzista e autoritario, a partire in questo caso da alcune tradizioni culturali presenti da tempo nell’ambientalismo statunitense, come l’eugenetica o alcune interpretazioni del malthusianesimo. Anche in questo caso la ricostruzione di Madelin è dettagliata, articolata e al tempo stesso molto attenta a evidenziare sfumature e contraddizioni, a evitare quindi qualsiasi semplificazione.

I possibili futuri degli ecofascismi

Madelin adotta un atteggiamento cauto anche nel quinto capitolo, dove tratteggia la possibile evoluzione dei vari ecofascismi9.

La prima forma di cautela sta nell’ammettere preliminarmente che le elaborazioni teoriche di per sé non fanno politica: di per sé, cioè, esse non si trasformano necessariamente in strategie comunicative di grandi formazioni politiche, né in programmi politici e tantomeno in atti di governo.

Sulla scorta di questo avvertimento Madelin introduce un esercizio di previsione basato su tre possibili scenari che potrebbero essere chiamati a rispondere al deterioramento delle condizioni di vita di ampie fasce di popolazione mondiale, alla rarefazione del lavoro e alle migrazioni di massa indotte dalla crisi strutturale di un capitalismo che tende a rarificare sia il lavoro che le risorse. Attualmente le élite neoliberiste dominanti rispondono limitandosi a imprimere ai sistemi politici una torsione repressiva e di semplificazione dei meccanismi democratici, che però non è adeguata a risolvere i problemi e soprattutto non può reggere a lungo. L’ipotesi generale di Madelin è che di fronte a questo stallo diventi necessaria l’adozione di una nuova organizzazione dei rapporti sociali, che in relazione all’ambiente e rimanendo sempre all’interno delle opzioni capitaliste può prendere tre forme: il capitalismo verde, il carbofascismo e l’ecofascismo.

Nel “capitalismo verde” si tenta di rilanciare l’accumulazione investendo “green”, di rilanciare la redistribuzione del reddito per riattivare la crescita e si fa tutto questo cercando di conservare il meglio possibile l’abitabilità del pianeta. Si tratta – osserva Madelin – dello scenario più “gentile” e “meno mostruoso” ma che di per sé non è in grado di garantire né una ripresa dell’accumulazione, né una migliore distribuzione dei redditi né una soluzione o un allentamento della crisi ambientale, in quanto è lo stesso capitalismo neoliberista con la sua logica e i suoi meccanismi di base a destabilizzare e a devastare sia le strutture sociali che gli ambienti naturali.

Il secondo scenario è invece il “carbofascismo”, un’opzione politica che a livello ambientale pratica il business as usual, spingendo anzi all’estremo produzioni e consumi senza alcuna forma di preoccupazione ambientale e cercando al contempo di sopravvivere dentro alle crisi – sociali, occupazionali, ambientali – conseguenti grazie a un misto di autocrazia, repressione, coltivazione di paure e richiami identitari e bellicisti. Il carbofascismo, per quanto foriero di un’inevitabile esito catastrofico appare oggi largamente maggioritario all’interno delle destre estreme e si candida autorevolmente a sostituire tanto le strategie neoliberiste classiche ormai al capolinea quanto l’ipotesi del “capitalismo verde”, come del resto è già avvenuto con Bolsonaro in Brasile, Trump negli Stati Uniti e in diversi altri casi.

Il terzo scenario, quello di un “ecofascismo di governo”, è di conseguenza attualmente residuale, ma non si può escludere a priori e va quindi esaminato, anche perché alcune sue proposte cominciano a fare capolino nelle retoriche e in qualche atto di governo della politica mainstream, e non solo nel campo delle destre estreme. In questa prospettiva l’idea è che le destre estreme accedano al potere “articolando in modo coerente rifiuto dell’immigrazione e preoccupazione ecologica” sulla base di un collegamento tra “invasione” e “saccheggio della natura”, entrambi generati dall’intensificazione dei flussi di merci, di capitali e di esseri umani. Con la crescita dell’angoscia climatica queste teorie potrebbero arrivare a fondare un blocco sociale e una pratica di governo che per affrontare la crisi ambientale non si limiterebbe a ridurre i consumi ma tenterebbe piuttosto di ridurre il numero dei consumatori, uccidendo cioè o espellendo verso aree remote e disastrate i diversi e gli indesiderati. Si arriverebbe insomma a un “capitalismo d’esclusione” che potrebbe operare mediante due strategie diverse: a) una basata sulla pura e semplice solvibilità: chi può pagare sopravvive, gli altri muoiono, in un aggiornamento del classico laissez faire; b) una basata sulla coercizione: chi dentro e chi fuori mediante forme di razionamento coatto, di esclusione, di deportazione o persino di sterminio. Si avrebbe così una forma di “dirigismo ecologico”.

Per quanto in linea teorica legittimo, lo scenario di un ecofascismo di governo, cioè di regimi fascisti che prendano in carico consapevolmente e coerentemente sia il versante sociale della crisi sia quello ambientale non solo è poco probabile vista l’attuale marginalità delle visioni genuinamente ecofasciste – che tuttavia finiscono col generare stragi come quelle di Christchurch e di El Paso – ma sconta una contraddizione di fondo di tutti i fascismi: quello che Madelin definisce il “dilemma della potenza”.

Infatti, osserva Madelin, la crisi ecologica la si può affrontare efficacemente soltanto accettando l’idea del limite e sperimentando la decrescita mentre tanto il mercato (a causa della ricerca costante del profitto) quanto lo stato (a causa della tendenza ad aumentare la propria potenza) sono affetti da una compulsione alla crescita illimitata, e i “fascismi reali” né possono dissociarsi dal capitale né possono fare a meno di perseguire la triade dominio-potenza-guerra, che è a sua volta impensabile senza crescita economica. In termini militari decrescere vuol dire depotenziarsi e se per i fascisti la potenza è un obiettivo irrinunciabile quelli che alla fine salterebbero sarebbero necessariamente gli obiettivi ambientali. È così, secondo Madelin, che nel remoto caso di una presa di potere di forze ecofasciste le petizioni di principio sul rispetto dell’ambiente finirebbero con l’essere messe immediatamente sullo sfondo o rimarrebbero come strumenti propagandistici svuotati di ogni contenuto.

Che fare?

Madelin conclude l’ampia e analitica esposizione che siamo stati costretti a sintetizzare in modo davvero troppo brutale con una ricapitolazione delle sfide che attendono coloro che vogliono opporsi ai rischi dell’ecofascismo, da una conoscenza dettagliata del fenomeno a una rivendicazione forte e costante del nesso tra lotta per l’emancipazione di tutti gli esseri umani e difesa del mondo non umano.

Vale la pena infine ricordare che, come già accennato, sulla problematica degli ecofascismi Einaudi ha appena pubblicato un piccolo saggio di Francesca Santolini che costituisce in buona sostanza un’occasione mancata: un testo stringato, poco e spesso mal documentato, dai toni a volte moralistici o sensazionalistici, dove al posto della limpida capacità di Madelin di costruire architetture, istituire nessi e di operare distinzioni, troviamo genealogie troppo spesso confuse e semplificatorie e un impianto interpretativo tanto apodittico quanto fragile. Un caso in cui la carenza italiana di studi, la scarsa attenzione per l’editoria straniera e un malinteso interesse del pubblico per un tema scabroso ha favorito una scelta non all’altezza della complessità e dell’importanza del tema.

Nel prossimo numero di “altronovecento” completeremo questa prima, breve ricognizione ampliando lo sguardo sulle destre estreme mainstream grazie a Fascisme fossile dello Zetkin Collective.

1 Zetkin Collective, White Skin, Black Fuel. On the Danger of Fossil Fascism, London, Verso, 2021.

2 A. Dubiau, Écofascismes, Caen, Grevis, 2022.

3 F. Santolini, Ecofascisti. Estrema destra e ambiente, Torino, Einaudi, 2024.

4 Si vedano in particolare The Far Right and the Environment. Politics, Discourse and Communication, a cura di B. Forchtner, Abingdon, Routledge, 2020, e Visualising Far-Right Environments. Communication and the Politics of Nature, sempre a cura di Forchtner, Manchester University Press, 2023.

5 Si vedano in particolare le ormai classiche messe a punto di F. Uekoetter, The Green and the Brown. A History of Conservation in Nazi Germany, Cambridge, Cambridge University Press, 2006, e J. Chapoutot, Les nazis et la “nature”. Protection ou prédation?, in “Vingtième Siècle. Revue d’histoire”, CXIII (2012), n. 1, p. 29-39. Più recente il contributo di M. Armiero, R. Biasillo, W. Graf von Hardenberg, La natura del duce. Una storia ambientale del fascismo, Torino, Einaudi, 2022

6 Tra gli autori statunitensi tradotti ci sono figure di grande importanza come Aldo Leopold, Wendel Berry e J. Baird Callicot.

7 A. Bramwell, Blood and Soil. Richard Walther Darré and Hitler’s ‘Green Party’, Bourne End: Kensal Press, 1985, e L. Ferry, Le Nouvel Ordre écologique. L’arbre, l’animal et l’homme, Paris, Grasset, 1992.

8 M. Bookchin, Social Ecology versus Deep Ecology, A Challenge for the Ecoloy Movement, in “Green Perspectives. Newsletter of the Green Program Project”, n. 4-5 (settembre 1987), e A. Gorz, Capitalismo, socialismo, ecologia, Roma, manifestolibri, 1992.

9 Un buon esempio dell’onestà intellettuale di Madelin, che non cerca di “vendere” come incombente il fenomeno ecofascista che si è sforzato di analizzare e illustrare, è in questa intervista del giugno 2023.

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