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Dignità della Docenza Universitaria a Cinque Stelle, ovvero “movimenti” a confronto

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Di questi giorni si fa un gran parlare del “Movimento per la Dignità della Docenza Universitaria“, che ha indetto uno sciopero dei prof universitari teso a recuperare gli scatti stipendiali bloccati nel quinquennio 2011-2015. Lo sciopero ha riscosso un certo successo tra i docenti: secondo le cifre degli organizzatori, ha scioperato circa un docente su cinque. Ma, al di là dei numeri, quello che colpisce è l’entusiasmo con cui lo zoccolo duro dei sedicenti dignitosi porta avanti la protesta. Sulle pagine del gruppo FB Roars (che è diventato la bacheca della protesta) i post entusiastici sono all’ordine del giorno, così come i commenti in cui si giura devozione all’amato leader di questa “primavera della docenza universitaria”, ovvero il prof. in pensione Carlo Ferraro, un tempo al PoliTo.

Ma questo “movimento dignitoso” è veramente un movimento classico, dal basso, che si autodetermina e porta avanti collettivamente le sue istanze? Con quali meccanismo il “movimento” prende le decisioni? E quali sono le potenzialità di questo movimento, che nei suoi ultimi proclami si dichiara deciso a lottare per un cambiamento epocale degli atenei, per il quale il recupero degli scatti stipendiali sarebbe solo il primo necessario passo?

La storia di questo “movimento” ha radici lontane. In origine, la protesta dei docenti contro il blocco degli scatti stipendiali si instradò per le vie giudiziarie, ma a dicembre 2013 un’assurda sentenza della Corte Costituzionale (che precedentemente aveva invece sbloccato gli scatti degli stipendi dei magistrati) sbarrò la strada al ricorso di migliaia di docenti. Nel 2014 un gruppo di docenti di Roma Tre riprese in mano la questione scrivendo un documento contro il blocco degli scatti stipendiali e chiedendone la sottoscrizione, e qui entra in scena Ferraro. Membro del CNU, una delle tante associazioni simil-sindacali di docenti universitari, l’avevo conosciuto nel 2010 al PoliTo: durante una delle assemblee del movimento (senza virgolette) contro la legge Gelmini intervenne opponendosi con decisione alla protesta dei ricercatori, dicendo tra le altre cose che l’indisponibilità a tenere i corsi era sbagliata perché danneggiava gli studenti (!). Nel 2014 Ferraro rilancia la petizione di Roma Tre inviando un mail ad alcuni docenti, indi ne promuove un’altra e comincia a costruirsi un indirizzario di docenti interessati alla questione, al quali cominciò a scrivere con assiduità: almeno 12 mail nel 2014, quasi 40 nel 2015 e così via.

Nel 2015, visto l’insuccesso delle lettere, Ferraro proclama per giugno una giornata di “occupazione dei rettorati”.. e qui ebbi l’occasione di capire e toccare con mano come funziona il “movimento” ferrariano. Infatti, in quell’occasione alcuni colleghi di UniTo mi scrissero per chiedermi consigli su come fare ad organizzare in pratica l'”occupazione” facendo veramente venire i docenti nei rettorati, perché c’erano grossi dubbi sulla riuscita dell’iniziativa. Io risposi che per superare le perplessità di chi vedeva questa iniziativa come meramente sindacal-corporativa si poteva provare a lanciare un’iniziativa che affermasse, oltre alla questione scatti, anche un altro concetto: che i docenti si rendevano conto del contesto universitario e dei problemi delle altre componenti.

In quel periodo ad UniTo c’era in ballo il regolamento tasse, che tradizionalmente ogni anno è una battaglia all’arma bianca contro l’Ateneo che cerca ogni scusa per aumentarle. Quell’anno, la scusa era che aumentando le tasse studentesche avremmo migliorato gli indicatori e quindi avremmo incassato una maggior percentuale di turnover dal MIUR… e per rendere più appetibile la proposta ai docenti, si era informalmente ventilata l’ipotesi che quei punti sarebbero serviti per passaggi di carriera. In quel contesto proposi quindi di scrivere una lettera aperta alla sottoscrizione praticamente identica a quella di Ferraro con un’unica piccola aggiunta, ovvero il rifiuto di usare la leva delle tasse studentesche per compensare con passaggi di carriera la penalizzazione dovuta al blocco:

“Ciò non significa che i docenti siano disposti a tutto pur di aumentare i propri introiti. Ad esempio, non riteniamo una soluzione accettabile l’incremento della tassazione studentesca per ottenere punti organico che compensino il blocco, perché secondo noi l’università è il luogo della condivisione e del dialogo e non deve diventare il teatro di una guerra intestina tra docenti e studenti.”

La lettera fu firmata in 307 persone e venne consegnata in rettorato da quasi un centinaio di colleghi . Va notato che in ogni caso venne consegnata anche la lettera di Ferraro, per evitare incidenti diplomatici o accuse di aver voluto sostituire l’iniziativa ferrariana con un’altra. I partecipanti tornarono a casa contenti e positivi.

Pensate quindi che Ferraro si sia dimostrato contento per il buon successo dell’iniziativa ad UniTo (che conosceva bene perché è di Torino), soprattutto rispetto alle attese? Se sì, vi sbagliate di grosso. Come si legge nel suo resoconto mail nel luglio 2015, Ferraro condannò invece apertamente l’iniziativa: “Occorre un’azione identica in tutta Italia. I cambiamenti di modalità che si sono adottati da parte di alcune delegazioni non sempre sono stati di aiuto in quanto si è creato disorientamento avendo ricevute indicazioni diverse da me e dai colleghi che mi aiutano o dalle delegazioni. Tentando di particolarizzare in ogni sede, per fare meglio, a volte si è ottenuto l’effetto contrario. Laddove sono state, ad esempio, organizzate raccolte di firme massicce è possibile si sia data l’impressione che la presenza in Rettorato non fosse più strettamente necessaria. Per raccogliere firme avrei potuto farlo per e-mail, raggiungendo sicuramente ben altri livelli che 8000, ma invece serviva la presenza in Rettorato.” L’ipotesi ferrariana che la raccolta firme abbia pregiudicato le presenze appare piuttosto assurda, dato il successo di partecipazione… ma il motivo vero dell’indignazione di Ferraro risulta evidente proseguendo nella lettura, dove viene stabilito il divieto perentorio di perorare, insieme allo sblocco degli scatti, anche altre cause:”Se vogliono presentare richieste ampie e dettagliate che esulano dallo scopo specifico dell’iniziativa in atto possono certamente farlo, ma in giorni e ore distinte da quelle delle iniziative in atto, iniziative per di più che altri hanno organizzato anche con grande fatica”.

Il messaggio è chiaro: d’altra parte, sta proprio qui la chiave del successo attuale di Ferraro. L’origine della reverenza che i fan gli tributano non è riconoscenza per la mole di lavoro da lui svolto in questi anni (l’accademico medio non si perde in riconoscenze), ma sta nel fatto che Ferraro ha sempre e costantemente impedito che questo movimento diventasse non dico un movimento politico, ma anche solo un movimento sindacale con una piattaforma trasversale, o minimamente più ampia della mera rivendicazione salariale della sola docenza strutturata.

Quindi, come mai adesso l’iniziativa contro il blocco degli scatti si è magicamente trasformata nel “movimento” dignitoso? Semplicemente Ferraro, quando si è reso conto dell’inevitabile ridicolitudine di una rivendicazione così smaccatamente monetaria da parte di chi già percepisce gli stipendi più lauti negli atenei, ha pensato di cambiare la forma ammantando il tutto con la magica parolina “dignità”. Nella sostanza, però, non è cambiato niente: mentre prima gli scatti erano l’unica rivendicazione, ora sono diventati la prima di una lunga quanto ipotetica serie. Ovviamente, bisogna essere veramente gonzi per credere che Ferraro e i suoi seguaci, che fino a due anni fa proclamavano a suon di veti l’esclusività della loro lotta, si siano convertiti sulla via di Damasco e una volta ottenuti gli scatti si batteranno con uguale entusiasmo per la sorte dei precari, dei TA e degli studenti. E comunque, oggi come ieri, non esiste nessuna possibilità di partecipazione attiva: ad esempio, non c’è nessuna mailing list in cui gli scioperanti possono discutere e tantomeno sono state indette assemblee nelle sedi. Nel manuale di istruzioni per lo sciopero , Ferraro invita sì gli scioperanti a fare assemblee con gli studenti per spiegar loro le motivazioni dello sciopero, ma specifica che non è un momento di discussione ma solo di comunicazione unidirezionale: “è importante che siate voi a tenere le fila del tutto: non fatevi soverchiare da nessuno, siete voi a dover illustrare dapprima il tutto ai Vostri studenti e poi a tenere la Presidenza dell’Assemblea.” In generale, l’unica modalità di partecipazione prevista è quella di attenersi scrupolosamente ai “manuali di istruzioni” emanati via mail dal capo-protesta, nello spirito “dignità è quando Ferraro fischia”.

Questa roba non ha niente a che vedere con un movimento vero, dal basso: tutte le decisioni piovono dall’alto. Quando è arrivata una convocazione della CRUI, gli scioperanti non hanno avuto assolutamente modo di partecipare alla decisione se andare, non andare e cosa andare a dire: hanno dovuto pendere dalle labbra del loro lìder ed attendere la sua inappellabile sentenza, comunque accolta con grandi ovazioni. La totale centralizzazione di questo sedicente “movimento” riporta alla mente l’evoluzione dirigista dei cinquestelle, che ormai di “movimento” hanno solo più il nome. Intendiamoci: io non ritengo Ferraro pericoloso come o quanto Grillo, ci mancherebbe. Ma vedere dei colleghi che hanno introiettato davvero, almeno in parte, queste baggianate strumentali della dignità stipendiale lo trovo desolante. Nella pancia di questo “movimento” vedo per di più un certo accanimento contro le altre categorie, in particolare contro le più deboli. Ad esempio, più d’uno scioperante ha apertamente attaccato gli studenti sul gruppo FB di Roars, la cui redazione cavalca il ferrarismo ripostando sul loro sito i proclami dignitosi per dar loro visibilità, e la disapprovazione verso questi attacchi da parte degli altri iscritti al gruppo è stata sostanzialmente invisibile.

A leggere certi interventi si direbbe addirittura che, lungi dal costituire un freno, l’idea di prendersela con gli studenti sia per alcuni un valore aggiunto della protesta. C’è chi proclama a gran voce l’idea secondo cui maggiore è il disagio per gli studenti, maggiore sarà il successo: totalmente dimentichi o ignari del fatto che la controparte non sono gli studenti, ma il ministero e il governo. Altri si “giustificano” dicendo che è stato proprio il ministero a suggerire ai docenti di prendersela con gli studenti, senza neanche rendersi conto di quanto sia idiota seguire i consigli della controparte. In molti commenti si respira chiaramente un’aria di nostalgia dell’università überbaronale pre-’68, quando i baroni non rendevano conto a nessuno e decidevano vita morte e miracoli degli atenei. Appare evidente che intorno a questa rivendicazione stipendiale si sta coagulando in un pastone micidiale anche l’autoreferenzialità dei professori universitari che si è manifestata e sviluppata potentemente “grazie” al lavoro della redazione di Roars, tutto teso a guadagnare popolarità tra i docenti cavalcando il loro malumore. Un pastone il cui nucleo non ha alcun potenziale positivo e nessun referente se non se stesso, altro che dignità.

Insomma: chi sostiene in buona fede l’attività del “movimento dignitoso” nella speranza che da esso possa alla fine nascere qualcosa di positivo per l’Università pubblica è sostanzialmente un illuso. Andare dietro a Ferraro è come andare dietro a Grillo: c’è gente che lo ha fatto in buona fede perchè credeva che Grillo fosse meglio che niente, e adesso si vede che era meglio niente che Grillo. E’ sempre più evidente che la pancia del Movimento Dignitoso è isomorfa alla pancia dei pentastellati: andare dietro ai 5s è stato un errore perché li ha legittimati e ora, forti del consenso costruito grazie a chi contribuiva da sinistra, possono fare le loro politiche di destra. Andare dietro ai dignitosi, invece, è meno grave anche se altrettanto inutile: una volta che otterranno i loro tanto sospirati scatti, spariranno dagli orizzonti della protesta come se non fossero mai esistiti.

Chiudo con una nota di speranza: per fortuna, c’è chi si rifiuta di aderire alle logiche grillose del “movimento” e prova ad aggregare consenso e partecipazione con il buon vecchio metodo del confronto e delle assemblee trasversali. Al Politecnico di Torino hanno fatto così e ne è uscita fuori una ben più condivisibile lettera aperta al MIUR, aperta alla sottoscrizione… la trovate qui !

Alessandro Ferretti è ricercatore al Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino

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