C’è bisogno, mentre si stanno spegnendo le ultime luci del “Novecento”, di parlare proprio di un secolo che finisce? C’è bisogno di una nuova rivista, modesta ed austera, addirittura telematica, quando le edicole e le librerie sono piene di carta stampata, spesso in forma elegante e bellissima?
Coloro che hanno deciso di lanciare “altronovecento” hanno pensato che fosse opportuno ripensare il secolo finito per metterne in luce gli aspetti meno vistosi, anzi dimenticati: molti errori potranno forse essere evitati nel secolo che inizia, il favoloso Duemila, se si ricorda che sono già stati fatti, e anche tante volte, nel Novecento.
Già queste poche parole suggeriscono che “altronovecento” vuole essere una rivista di storia, soprattutto della storia minore o degli eventi minori della “Grande Storia”. Solo per fare pochi esempi. Si sa tanto, forse quasi tutto, sul fascismo, ma pochissimo è stato scritto sull’altro fascismo, quello dell’autarchia, della condizione operaia, delle deportazioni interne di operai apuani mandati nelle miniere del Sulcis, della vita di fabbrica. Si sanno molte cose sugli “orrori” del comunismo, cancellati – finalmente! – perfino facendo sparire i nomi di Leningrado e Stalingrado, ma chi ricorda i sacrifici e l’eroismo del milione di morti nell’assedio di Leningrado, scusate, di San Pietroburgo?! E, prego non equivocate, i molti milioni travolti nella marcia verso l’industrializzazione forzata?! Si esaltano le glorie della Fiat e dell’industria chimica, ma chi ricorda i morti avvelenati nelle fabbriche per aver respirato solventi clorurati, amianto, fluoruri?
Nel corso del secolo il Progresso, a cui non possiamo rinunciare, ha perso man mano l’alone mitico da cui era circondato; ridottosi a sviluppo e poi a crescita non ha cessato di travolgere culture, ambienti, popolazioni, paesaggi… di aggredire la biosfera. Sapendo un po’ meglio come sono andate e come stanno andando le cose si potrà decidere liberamente come comportarsi. La specie umana non può affidarsi all’istinto e anche le emozioni sono collegate alla conoscenza. Saperne di più sull’ “altro” Novecento, quello dell’industria e dell’ambiente, ci pare che sia ad un tempo interessante e utile.
Il territorio italiano è pieno di ruderi di fabbriche, miniere, opifici, qualcuno salvato e restaurato, ma chi ricorda quello che vi si fabbricava, quali materie erano trattate, quali scorie vi sono sepolte, chi ricorda i nomi e il volto delle operaie e degli operai, ma anche dei dirigenti, che vi hanno passato la vita, chi ricorda le innovazioni che sono state le premesse dell’attuale società industriale e dei consumi?
Nel corso del Novecento i movimenti di base hanno rivendicato nuovi diritti – il voto alle donne, la diminuzione dell’orario di lavoro dei ragazzi, il pacifismo, il diritto alla salute in fabbrica e quello all’aria pulita, l’internazionalismo – ma il secolo si chiude con una grande operazione di oblio e di revisionismo, politico ed ecologico, nel nome delle grandi virtù di un società globale, ricca di merci e di fortune finanziarie, di arroganza e di esaltazione del successo del più forte, in una spietata competizione darwiniana.
“altronovecento” vuole scrivere qualche pagina che ricordi le contraddizioni, che instilli un qualche dubbio sulle virtù del capitalismo assurto ai fasti di ultima e unica religione, che ricordi che l’oro delle saldature dei circuiti elettronici dei computer e dei telefoni cellulari, i diamanti delle sfilate di moda vengono, “ancora” nel Duemila, estratti da operai neri o sudamericani nelle miniere fumose, per salari di fame, come avveniva nell’Ottocento e nell’ “altro” Novecento.
La scelta di “pubblicare”, cioè di rendere pubblica, accessibile a tutti, gratis, una rivista telematica comporta grandi fatiche per chi “la scrive” e nessun premio. Poiché chi la scrive è molto ambizioso, la rivista cercherà di uscire come le riviste serie, cartacee, “vere”, quelle citabili nelle bibliografie, con un numero progressivo (l’anno “uno” sarà il 1999, il fascicolo numero “uno” porterà la data del novembre 1999), e così avverrà per i numeri successivi, con indici per autori e per materie. È perfino possibile che qualche articolo o qualche numero della rivista vengano “stampati” dalla rete telematica e resi accessibili, su carta, a prezzo di costo, a chi li richiede.
Alcuni articoli saranno lunghi, altri corti; alcuni “fascicoli” avranno molte “pagine”, altri meno: chi può sapere? Molto dipende da chi avrà voglia di inviare le proprie osservazioni e critiche. Proprio il carattere immateriale della rivista consentirà ai curatori di non tediare i potenziali autori con i fastidiosi limiti (mi raccomando, non più di tre cartelle di 60 righi!) affidandosi alla discrezione dei potenziali autori per non affliggere i lettori con cinquanta pesanti pagine di scritto! Nello stesso tempo sarà possibile “pubblicare” anche brevi commenti, notiziole raccolte per caso su una rivista dimenticata, recensioni di libri attuali e scomparsi, titoli di tesi di laurea sepolte negli archivi universitari, e altre cose ancora.
I curatori di “altronovecento” hanno anche un’altra ambizione che potremmo dire “archivistica”: l’ “altro” Novecento è stato fatto e vissuto da innumerevoli persone, piccoli gruppi, associazioni, che hanno comunicato fra loro e con i loro contemporanei nelle maniere più bizzarre. Alcuni dei lettori ricorderanno i manifesti, i volantini “ciclinprop” (ciclostilati in proprio, per evitare il deposito “legale” e il controllo poliziesco), i libretti che sono vissuti per la durata di una manifestazione o di un congresso e poi sono spariti.
Di tutto questo è scomparsa ogni traccia; molti dei protagonisti sono scomparsi, insieme alle casse di carte conservate nelle cantine; qualcosa è stato salvato da provvidenziali iniziative come la Fondazione Basso di Roma, la Fondazione Feltrinelli di Milano, la Fondazione Micheletti di Brescia, il Centro Gobetti di Torino, alcuni archivi o biblioteche locali, gli Istituti di Storia della Resistenza, alcuni Istituti Gramsci. Molto di questo materiale non è schedato, molto è destinato al macero a mano a mano che scompaiono coloro che l’hanno raccolto. È già avvenuto per intere collezioni di giornali e riviste “rare”. La dissoluzione dei partiti, grandi e piccoli, ha portato alla scomparsa di testimonianze preziose, raccolte dai militanti nelle cellule, nelle sezioni, nei gruppi sindacali.
Ebbene la rivista “altronovecento” si propone di diventare, fra l’altro, un punto di ascolto e raccolta delle informazioni sull’ “altro” Novecento che scompare, che è scomparso: sarebbe già molto sapere che il tale o talaltro ha in casa qualche cartone di documenti. Chi sa che qualcuno non riconosca in tali documenti dei “beni culturali” altrettanto preziosi quanto quelli per cui si spendono tanti soldi pubblici?
Per “leggere” “altronovecento” non si può fare altro che affidarsi al solito vu-vu-vu che sarà indicato in altre riviste e “siti” telematici, che potrete indicare ai vostri amici. Per proporre articoli o contributi, benvenuti, ci si può affidare soltanto alla posta elettronica, il cui indirizzo è citato nella rivista.
I curatori ringraziano anticipatamente chi leggerà e chi scriverà a “altronovecento”.