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Henry Bessemer

Henry Bessemer (1813-1898)

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Vi immaginate ”Il Corriere della Sera” o “La Repubblica” che, in prima pagina, riportano integralmente il testo di una ricerca su una nuova invenzione, con tutti i dettagli ? Eppure una cosa simile avvenne in Inghilterra con il quotidiano “Times”, il più grande del paese, il 14 agosto 1856. Il “Times” pubblicò per intero la relazione presentata due giorni prima (badate anche alle date: era la vigilia di quello che per noi sarebbe il ferragosto, un periodo generalmente di stanca) alla riunione dell’Associazione britannica delle Scienze a Cheltenham, da Henry Bessemer, scienziato, imprenditore e inventore del primo processo per la fabbricazione su larga scala dell’acciaio.

Stiamo parlando del 1800, ma l’invenzione di Bessemer ebbe effetti rivoluzionari proprio sull’industria e la tecnica dell’altronovecento. Quel 1856, infatti, cambiò letteralmente il mondo: l’acciaio, da metallo costoso, diventò un materiale che poteva essere prodotto a basso prezzo, in grandissima quantità, e che poteva essere impiegato per fabbricare non più solo i cannoni, ma anche rotaie ferroviarie, caldaie, locomotive, travi, ponti, navi, macchine tessili., caldaie per zuccherifici, eccetera.

Bessemer, che era nato nel 1813, ha raccontato lui stesso la propria vita, o meglio la propria avventura umana, in una affascinante autobiografia che si può leggere anche in Internet (www.history.rochester.edu). All’invenzione del “processo” che oggi porta il suo nome, Bessemer arrivò dopo una serie di imprese nel campo della fusione del vetro e di altri metalli. Ma era l’acciaio il materiale strategico per eccellenza, che attirava la sua attenzione: in tutti i paesi industriali allora l’acciaio era fabbricato in due fasi: dapprima i minerali di ferro venivano trattati con carbone coke e trasformati nella ghisa, una lega di ferro e carbonio con un elevato contenuto di carbonio (circa 3 o 4 per cento), per cui risulta fragile e di limitato impiego. Per ottenere l’acciaio (una lega di ferro con meno dell’uno per cento di carbonio) la ghisa doveva essere fusa insieme al costoso ferro dolce, praticamente privo di carbonio e prodotto in Svezia. Dalle acciaierie svedesi dipendeva quindi lo sviluppo di tutti i paesi industriali.

Bessemer ebbe l’idea rivoluzionaria di eliminare il carbonio dalla ghisa scaldandola ad alta temperatura in presenza dell’ossigeno dell’aria: in questo modo gran parte del carbonio brucia e resta l’acciaio. Bessemer, dopo molti tentativi, costruì un forno fatto a pera, con una apertura rotonda in alto, rivestito all’interno da mattoni refrattari. Il forno poteva essere fatto ruotare intorno ad un asse orizzontale, per cui la bocca poteva, a volta a volta, essere rivolta verso l’alto, oppure verso il basso.

Sul fondo della “pera” erano aperti dei fori per l’ingresso dell’aria calda sotto pressione. Quando il forno era verticale, attraverso la bocca veniva versata ghisa fusa, estratta direttamente dall’altoforno: a questo punto veniva fatta entrare l’aria dal fondo. Durante la combustione del carbonio ad opera dell’ossigeno, si liberava calore che teneva allo stato fuso l’acciaio a mano a mano che si formava dalla ghisa. In un quarto d’ora la reazione era finita e il forno veniva inclinato verso il basso in modo da far uscire l’acciaio fuso.

Il processo funzionava senza consumo di energia (i problemi ecologici e di economia delle risorse non li abbiamo certo inventati noi !) ed appariva, in quella metà del 1800, una cosa da meritare, come si accennava all’inizio, l’attenzione del più diffuso quotidiano inglese. Non c’è dubbio che il processo Bessemer contribuì, più di qualsiasi altra invenzione, alla nascita della società industriale moderna e del capitalismo.

Sta di fatto che, appena letto l’articolo del “Times”, vari industriali francesi e tedeschi si precipitarono a Londra per chiedere la cessione del brevetto. Il processo Bessemer non era perfetto: non riusciva a trattare le ghise della Lorena, ricche di fosforo, un problema risolto da Sidney Thomas (1850-1885) che ricoprì l’interno del convertitori Bessemer con mattoni di calcare. Durante la trasformazione della ghisa in acciaio il fosforo veniva fissato dal calcare sotto forma di fosfato di calcio. Si trattava di un “rifiuto” che si rivelò prezioso come concime fosfatico e che fu usato per oltre un secolo con il nome di “Scorie Thomas”. Figuratevi che l’Italia ne importa una sia pur piccola quantità ancora oggi dalla Francia.

La storia di Bessemer e di Thomas hanno ancora molte cose da insegnare. Intanto si tratta di un concentrato di invenzioni grazie alle quali sono stati risolti alcuni aspetti degli stessi problemi – risparmio di energia, riciclo dei rifiuti – che oggi crediamo siano delle novità. In realtà tutti i guai attuali che si traducono in conflitti e traffici su discariche e inceneritori e inquinamenti, possono essere superati con nuove invenzioni, proprio come fecero i nostri progenitori. L’unico inconveniente è che occorrono nuovi appassionati, competenti e lungimiranti inventori.

Si parla, per esempio, tanto oggi di “rottamazione”, ma le montagne di rottami metallici avevano già cominciato ad accumularsi nel secolo scorso. Il processo Bessemer era in grado di ottenere acciaio soltanto partendo dalla ghisa, non dai rottami ferrosi: il problema fu risolto dallo studioso francese Pierre-Emile Martin (1824-1915) che inventò, nel 1865, un forno (che si chiama ancora oggi Martin-Siemens), in grado di fondere insieme ghisa e rottami, riscaldati ad alta temperatura.

È vero che il processo richiedeva energia ottenuta bruciando carbone, ma la formazione dell’acciaio avveniva più lentamente, poteva essere tenuta sotto controllo, si potevano aggiungere altri metalli per ottenere le leghe richieste dall’industria meccanica, e, infine, i forni Martin-Siemens erano molto grandi e permettevano di ottenere, per unità di tempo, più acciaio di quanto non consentissero i convertitori Bessemer.

All’inizio del 1900 i forni Martin avevano soppiantato in gran parte il forno Bessemer, ma anche per il processo Martin si stava affacciando un pericoloso concorrente. Alcuni inventori e industriali austriaci avevano perfezionato il forno Bessemer: introducendo, dal fondo, ossigeno puro, anziché aria, era possibile ottenere acciaio dalla ghisa e dai rottami di ferro insieme, e addirittura direttamente dai minerali di ferro.

Ormai la metà dell’acciaio nel mondo è prodotta con il processo LD a ossigeno, che era già perfezionato quando è stata avviata la nuova fase della siderurgia italiana dopo la Liberazione: ciò ha consentito di costruire a Taranto un centro siderurgico dotato delle tecniche più avanzate, al punto che ha potuto restare competitivo per alcuni decenni.

La produzione mondiale di acciaio è ormai stazionaria fra 700 e 800 milioni di tonnellate all’anno; gran parte dei rottami sono trasformati in acciaio con il forno elettrico che non ha più bisogno di ghisa; l’acciaio che ha dominato le società industriali (al punto che Stalin scelte il proprio nome di battaglia proprio dal nome dell’acciaio, Stal), è soppiantato in molte applicazioni da altri metalli, da materie plastiche e da nuovi materiali, soprattutto nel settore dell’automobile il cui successo è stato possibile, un secolo fa, proprio dalla disponibilità di acciaio a basso prezzo.

Ho raccontato questa breve storia per due motivi. Anche se l’acciaio non è più il “re acciaio”, da lui dipende ancora gran parte della nostra vita: l’acqua che esce dai rubinetti e il gas da riscaldamento, arrivano nelle nostre case attraverso migliaia di chilometri di tubazioni di acciaio: le navi che trasportano attraverso gli oceani i cereali e la carne, i trattori che dissodano i campi, innumerevoli macchinari, le automobili e i vagoni ferroviari, le armature del cemento degli edifici – e anche le “lattine” della conserva di pomodoro – sono tutti fatti di acciaio.

Infine, la storia di Bessemer, e dei tanti inventori del suo tipo, suggerisce che, nel mondo, nei paesi industrializzati e in quelli sottosviluppati, ci sono innumerevoli problemi ancora da risolvere, che attendono studiosi, inventori, ricerche. Si sente continuamente parlare di “occupazione” e di “lavoro”, ma il lavoro serve per produrre merci e servizi e le une e gli altri dipendono da oggetti materiali, da strumenti, da macchinari. Credo che la scuola, ma anche i sindacati, potrebbero utilmente spiegare a coloro che cercano un lavoro, lungo quali direzioni l’occupazione può essere trovata, quali innovazioni sono all’orizzonte, di che cosa hanno bisogno i seimila milioni di abitanti della Terra e quali beni materiali possono soddisfare tali bisogni. Se Bessemer, o Martin, o tutti gli altri, avessero basato la propria sorte sugli oroscopi, sui giochini televisivi e sui concorsi a premi, saremmo, davvero, ancora ai tempi delle candele.

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