Leggendo questo libro (L. Carra, “Onde sospette. Elettricità e salute”, Editori Riuniti, Roma 1994) ciascuno si farà una sua idea se l’esposizione ai campi magnetici generati dalle linee elettriche ad alta tensione è pericolosa o no. L’autore del libro riporta i dati sperimentali che inducono a considerare tale esposizione pericolosa e le obiezioni di coloro che non vi attribuiscono eccessiva importanza o considerano tali pericoli irrilevanti.
Io sono fra coloro che ritengono che i dati disponibili giustifichino norme più rigorose delle attuali nella costruzione e localizzazione delle reti per il trasporto dell’elettricità ad alto voltaggio, in modo da diminuire l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici che tali reti di sicuro generano.
Solo in Italia i tumori causano 150.000 morti all’anno e innumerevoli dolori e costi privati e pubblici. Purtroppo si sa così poco sui meccanismi di formazione dei tumori, sulle cause dirette e indirette che li fanno sorgere, l’insorgenza dei tumori è spesso così ritardata rispetto all’esposizione, che è saggio, direi doveroso, chiedere che sia rimossa qualsiasi ulteriore potenziale causa, come l’esposizione ai campi elettromagnetici, soprattutto quando la rimozione è tecnicamente possibile.
Ma più che entrare nel dibattito sulla nocività delle linee elettriche ad alta tensione vorrei sottolineare che il libro è un importante documento di uno dei molti episodi di lotte popolari in difesa della salute e dell’ambiente, di contestazione ecologica. Tale contestazione rappresenta uno dei tanti movimenti di riforma che si sono succeduti nella storia dell’umanità.
Una comunità, o una sua parte, in un momento della sua storia, comincia a prestare attenzione, ad attribuire un “valore”, a cose o fatti che prima erano considerati trascurabili e chiede delle riforme legislative per la tutela di tali valori.
A titolo di esempio si possono ricordare la lotta agli insetticidi persistenti mobilitata da Rachel Carson; la contestazione contro le esplosioni nucleari nell’atmosfera; la protesta contro le raffinerie di petrolio inquinanti; contro la produzione delle “bioproteine”; contro le frodi alimentari; le battaglie per salvare dalla distruzione le sequoie della Sierra californiana; la contestazione delle centrali nucleari; le lotte contro le varie forme di inquinamento, eccetera. Nel nostro caso la contestazione riguarda i possibili danni arrecati alla salute dalle linee elettriche ad alta tensione, sui cui pericoli non ci si era prima soffermati.
Qualsiasi riforma disturba degli interessi consolidati in quanto comporta la modificazione di processi produttivi, l’introduzione di accorgimenti che fanno aumentare la sicurezza, eccetera, e tutto questo costa ai fabbricanti, ai proprietari, al potere, insomma. E’ quindi abbastanza naturale che chi viene disturbato cerchi di ridicolizzare le preoccupazioni dei contestatori attraverso vari meccanismi.
Il primo consiste nel mobilitare i propri “scienziati”, pronti a dimostrare che il presunto pericolo o danno non c’è, o è minore di quanto si pensi, o è irrilevante, soprattutto rispetto a molti altri pericoli a cui si è esposti nella vita moderna. Gli stessi scienziati sono pronti a testimoniare che il cambiamento richiesto dai contestatori sarebbe, rispetto agli irrilevanti vantaggi, troppo costoso, per le tasche delle imprese e della collettività, o che creerebbe disoccupazione. Quest’ultimo argomento è molto efficace perché riesce a mettere, contro i contestatori, gli stessi lavoratori che poi spesso sono loro stessi — e le loro famiglie — inquinati e danneggiati dallo stato esistente.
L’altra tecnica adottata dagli inquinatori contro i contestatori è di farsi fare, dai governi, delle leggi quanto più possibile favorevoli. Se i governi — nel senso più lato di parlamenti, governi nazionali, amministrazioni locali — operassero per il bene pubblico, nell’interesse della salute della collettività, sarebbero i primi ad accogliere la domanda di maggiore sicurezza, di eliminazione dei pericoli, di salvaguardia dei beni collettivi come sono quelli ambientali. Ma i governi prendono le decisioni sotto la pressione dei poteri forti e le leggi di riforma, di difesa degli interessi diffusi, possono essere ottenute soltanto con lotte popolari, attraverso una “contestazione”, appunto, dell’esistente nel nome di interessi più generali, collettivi.
Nel nostro caso, quando si è diffuso, a partire dalla fine degli anni 70, il sospetto che potesse esservi una relazione fra i campi elettromagnetici generati dagli elettrodotti e la comparsa di tumori, un “governo” attento agli interessi collettivi avrebbe dovuto lui per primo prendere iniziative per allontanare gli elettrodotti dalle case, dalle scuole, dalle fabbriche. In Italia la cosa avrebbe potuto essere favorita dal fatto che il proprietario degli elettrodotti è l’ENEL, cioè un ente dello stato, nato per operare nell’interesse collettivo con i soldi della collettività.
Invece è stato tutto il contrario: per non cambiare i propri programmi, nel nome di presunti eccessivi costi dell’elettricità, l’ENEL è riuscito ad ottenere delle leggi — anzi dei decreti, che non passano neanche dal Parlamento — che stabiliscono che gli elettrodotti ad alta tensione possono passare anche a 28 metri dalle case e dalle scuole e che comunque per l’adeguamento a questa norma bisognerà aspettare il 2004, per cui fino ad allora è del tutto normale che decine di migliaia di persone vivano e continuino a vivere a ridosso degli elettrodotti, esposte ai campi magnetici.
Quando è sorto il dubbio che la vicinanza degli elettrodotti ad alta tensione potesse arrecare danno alla salute, le popolazioni interessate hanno chiesto il loro spostamento in zone meno abitate; davanti al rifiuto dell’ENEL, alcuni gruppi di persone, per fermare la costruzione degli elettrodotti, si sono rivolti alla magistratura, considerata ancora l’unica forma dello stato capace di far rispettare le leggi che tutelano la salute dei cittadini, quando i governi sono silenziosi o indifferenti.
Ma ben presto i comitati di cittadini hanno imparato a fare i conti con l’arroganza del potere, dei suoi avvocati, dei suoi scienziati specializzati nella difesa dell’esistente, nell’impedire qualsiasi cambiamento, gli scienziati del “do-nothing”.
La storia raccontata in questo libro è esemplare. Nel 1979 appare la prima pubblicazione americana che indica una possibile relazione fra l’esposizione ai campi elettromagnetici generati dagli elettrodotti e la comparsa di tumori. Nel 1985-86 alcuni gruppi di cittadini della Versilia, davanti ai programmi di costruzione di un nuovo grande elettrodotto — che avrebbe dovuto collegare La Spezia ad Acciaiolo — per difendere la propria salute chiedono ai pretori, a quello di Pietrasanta, a quello di Viareggio, un ordine di sospensione dei lavori, una modifica del percorso della linea elettrica.
Davanti a questa richiesta, in attesa di una perizia scientifica che mostrasse la maggiore o minore fondatezza della pericolosità degli elettrodotti, il pretore di Pietrasanta, Franco Carletti, ha ordinato, nel febbraio 1986, il sequestro delle opere iniziate dall’ENEL.
L’ENEL ricorre al Tribunale di Lucca che nel marzo successivo, revoca la misura cautelare di sequestro. Il procedimento giudiziario va avanti e nel febbraio del 1987 il pretore condanna il direttore dei lavori dell’elettrodotto dell’ENEL per violazione di norme urbanistiche relative al tracciato dell’elettrodotto.
Sembra una piccola vittoria dei movimenti di base dei cittadini in lotta per la loro salute, ma l’ENEL mobilita tutte le sue forze e la Corte di Cassazione, nel novembre 1988, annulla la sentenza del pretore di Pietrasanta e il Tribunale di Lucca nel marzo 1990 revoca definitivamente il sequestro dell’elettrodotto.
Ho ricordato la lotta popolare in Versilia perché è stata la prima e anche perché sono stato coinvolto personalmente. Il 20 ottobre 1986 il pretore di Viareggio mi ha nominato perito di ufficio in un altro procedimento promosso da un altro gruppo di cittadini per stabilire la legittimità e liceità dell’elettrodotto che attraversava la loro zona. Il successivo 27 novembre gli avvocati difensori dell’ENEL hanno ricusato la mia nomina asserendo che avevo svolto “opera di consulente di parte in causa contro l’ENEL, presso altre corti e Tribunali” — e non era vero perché, nel 1982, ero stato nominato dal Pretore di Roma perito di ufficio, e non di parte, in un procedimento sul comportamento dell’ENEL ai tempi dei blackout del 1981 — e perché inoltre, in qualità di parlamentare, avevo “svolto tutta una serie di interrogazioni ed interpellanze” che mi ponevano “nei confronti dell’ENEL, se non in ipotesi di grave inimicizia, quanto meno in posizione ‘critica’ riguardo l’attività svolta dall’ENEL, in generale, talché se ne può inferire una non obiettività in un eventuale giudizio tecnico”.
E’ come dire che un perito in una causa che riguarda l’ENEL deve essere amico dell’ente, un altro piccolo esempio del modo di ragionare dell’ENEL.
Mi sono inoltre soffermato a ricordare la battaglia della gente della Versilia perché questi movimenti e questi pretori, anche se sono stati sconfitti, hanno dato coraggio ad altri gruppi in tutta Italia, dal Piemonte, alla Liguria, alla Lombardia, al Veneto, alle Marche, con straordinari personaggi ed eventi di cui il libro racconta la storia, togliendola dal silenzio e dall’oblio.
Si moltiplicano, dal 1989 in avanti, i convegni sui pericoli dei campi elettromagnetici, gli abitanti di piccoli paesi imparano a parlare di millivolt/metro e di microtesla, scoprono che vengono prese, sulla loro testa — è proprio il caso di dirlo — decisioni che coinvolgono la loro salute, la salute dei loro figli, la loro casa, il loro futuro.
Leggendo il libro viene spontaneo ricordare le manifestazioni contro le centrali nucleari, quando, davanti alle “certezze” di sicurezza e innocuità, esposte dagli scienziati dell’ENEL o dell’ENEA, la contestazione ecologica ha contribuito alla alfabetizzazione delle popolazioni — ad Avetrana e Carovigno nel Salento, a Montalto di Castro nel Lazio, a Viadana e San Benedetto Po nel mantovano, a Termoli nel Molise — sull’energia nucleare e sui suoi pericoli, sui piani di emergenza e sulla radioattività.
In questo modo è cresciuta, sugli elettrodotti come sul nucleare, come sui pesticidi, una nuova voglia di partecipazione e di solidarietà popolare, la sensazione di poter contare come cittadini e individui, una domanda di democrazia. Il libro ha fatto bene a ricordare eventi, rimasti sconosciuti al grande pubblico e che hanno avuto, al più, un poco di ascolto nella stampa locale.
Da parte sua l’ENEL ha mobilitato i grandi giornali e i mezzi di comunicazione per spiegare che le ubbie dei nemici degli elettrodotti avrebbero fermato il progresso, impedito il lavoro nelle industrie, fino ad ammiccare a possibili legami o simpatie inconfessabili con gli “ecoterroristi”, quelli che facevano attentati — veri o presunti — contro i tralicci dell’ENEL. Alcuni gruppi di cittadini non impedivano forse il lavoro delle ruspe impegnate nella costruzione dei piloni ? non organizzavano blocchi stradali che dovevano essere rimossi con la forza pubblica, e con maniere energiche ? nel 1991 una terribile contadina, “nonna fucile”, non aveva forse difeso il suo campo dall’invasione dell’elettrodotto spianando un facile da caccia (scarico) ?
Intanto nel mondo — Stati Uniti, Svezia, Danimarca, Germania, Unione Sovietica — si andavano moltiplicando gli studi che hanno confermato come probabile e possibile una correlazione fra i campi elettromagnetici delle linee ad alta tensione e la comparsa di tumori. La lettura di questi articoli e documenti internazionali fece aumentare i dubbi delle popolazioni che chiedevano lo spostamento degli elettrodotti lontano dai luoghi abitati, altre soluzioni meno dannose per il trasporto dell’elettricità; fortunatamente al fianco delle popolazioni si schiera un crescente numero di scienziati dai nomi prestigiosi come Maltoni, Loprieno, e molti altri, che hanno messo il proprio sapere e i risultati delle proprie ricerche a disposizione della causa della difesa della salute.
Alla crescente domanda di sicurezza l’ENEL rispondeva cercando di far annullare, presso i tribunali, le decisioni o le sentenze che imponevano una revisione dei percorsi delle linee elettriche. La collera dell’ENEL raggiunge il massimo quando, nel giugno del 1993, Michele Boato e gli altri Verdi della Regione Veneto riescono a far approvare una legge che vieta il passaggio degli elettrodotti a meno di 150 metri dalle abitazioni o fabbriche. In settembre il Consiglio regionale modifica tale legge in senso un po’ meno restrittivo e il 20 dicembre 1993 sospende la legge fino al gennaio 1995.
Un bell’esempio dei motivi con cui l’ENEL riesce a vincere l’opposizione popolare è contenuto nella sentenza del Tribunale di Torino (n. 7362 del 6 novembre 1993), riportata in “Le Scienze” del settembre 1994. Tale sentenza, dando ragione all’ENEL contro la Regione Piemonte, alcuni suoi consiglieri e le associazioni Pro-Natura Piemonte e Pro-Natura Torino (insorti contro la realizzazione dell’elettrodotto Leini-Piossasco da 380 chilovolt) così argomenta: “Sarebbe assurdo e ingiustificato che il Tribunale, nella veste di ‘peritus peritorum’ disattendesse ‘sic et simpliciter’ tali argomentazioni [cioè la perizia tecnica che escludeva la pericolosità dell’elettrodotto per le persone che nelle vicinanze vivono, lavorano e transitano] senza fondare l’opposto giudizio su argomentazioni di pari dignità scientifica e solo argomentando in termini di ‘non esclusione’ di un rischio futuro o pericolosità meramente ‘probabile’ — ancora non dimostrata ma dimostrabile in avvenire — sarebbe un giudizio fondato sulla semplice ‘paura dell’ignoto’ e come tale immotivato e irrazionale”.
Se si fosse ragionato sempre così saremmo ancora, davvero, all’età della pietra dei diritti civili e della democrazia. Non c’era nessuna dimostrazione scientifica che il lavorare nelle filande e nelle miniere per dodici ore al giorno arrecasse danni alla salute dei ragazzi. Anzi nei primi anni dell’Ottocento un autorevole scienziato, il dottor Andrew Ure, nel celebre libro, “La filosofia delle manifatture”, aveva dimostrato che i piccoli lavoratori stavano benissimo di salute, anzi stavano anche meglio dei loro coetanei che non facevano niente. Eppure un movimento di opinione è riuscito a far riconoscere, almeno nei paesi industriali avanzati, che è vietato far lavorare i bambini e i ragazzi.
Al di la di sicure evidenze scientifiche di danni agli esseri umani, un grande movimento di protesta ha fatto crescere la cultura della sicurezza, il divieto di esposizione a rischi, di contatto con sostanze nocive. La cultura della sicurezza è tutt’altro che immotivata ed irrazionale.
L’articolo di “Le Scienze”, prima citato, sempre a proposito dei campi elettromagnetici afferma che “la definizione di limiti di esposizione è un processo fondamentalmente politico, nel quale si realizza un compromesso tra esigenze di carattere sanitario e valutazione di ordine economico, sociale e di sviluppo industriale”.
Sulla base di questo ragionamento, la sicurezza e la salute dovrebbero essere sacrificate davanti a eccessivi costi o a cambiamenti di processi e merci. Quello dei costi è uno dei punti fermi delle compagnie elettriche: esse sanno bene che sarebbe possibile ridurre l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici, ma sostengono che tale diminuzione “costa troppo”. Costa cambiare i programmi di costruzione degli elettrodotti, costa spostare gli elettrodotti esistenti, costa spostare le persone dagli edifici troppo vicini agli elettrodotti, costa modificare i piani regolatori dei paesi e delle città.
E tali costi sono, secondo le compagnie elettriche, ingiustificati alla luce di una speciale scienza che cerca di confrontare costi e benefici, come se fossero quantificabili in soldi dei beni come la salute, la sicurezza, la bellezza del paesaggio. Il mondo è sempre andato avanti proprio perché dei movimenti di opinione hanno spinto a dare un valore, in assoluto, a tali beni.
Il libro esce in un momento particolarmente importante della storia italiana e internazionale: la grande svolta a destra che si sta verificando in Italia, ma anche in molti altri paesi industriali, porta a dare valore e senso soltanto agli affari, al denaro, al “progresso” misurato in termini merceologici e finanziari privati. In tale progresso non c’è posto per altri diritti e valori, tanto più se sono riferiti a beni collettivi, senza padrone. E’ perciò indispensabile raccontare — come fa questo libro — e ricordare che è possibile opporsi all’arroganza del potere economico e del potere politico, succube al denaro e agli affari, anche se, e anzi proprio perché, tale potere non ammette la protesta, la reprime con la forza.
Coloro che si sono battuti e si battono, nel nome della salute, contro gli elettrodotti che passano vicino alle case, contro l’ENEL e i suoi scienziati, sappiano perciò che combattono per qualcosa di più importante della semplice difesa dei propri interessi, si battono anche per l’affermazione di elementari diritti civili, partecipano ad una “nuova Resistenza”. Il nemico è forte e la lotta difficile: trovo fra le carte uno dei volantini distribuiti durante qualcuna delle manifestazioni contro gli elettrodotti, con un patetico e commovente appello: “Aiutateci”.
Purtroppo i libri, come questo, che raccontano storie di proteste popolari ambientali, che “aiutano” ad avere fiducia nella resistenza al potere, nella solidarietà fra inquinati, sono pochi e rari. Le testimonianze delle lotte ambientali sono spesso disperse, difficili da raccogliere e consultare; anche le grandi associazioni non hanno archivi storici e gran parte del materiale è inaccessibile o è andato perduto.
La storia delle lotte ecologiche è importante anche perché mostra, a chi volesse intendere, che molti conflitti potrebbero essere evitati e superati se il potere economico, politico e industriale, il potere degli inquinatori, assumesse un atteggiamento meno arrogante, più intelligente e lungimirante, quella “prudent avoidance” di cui parla l’autore di questo libro. In questo modo i cittadini ricupererebbero un po’ più di rispetto e di fiducia nello stato, il paese progredirebbe verso la modernità e, per restare al caso trattato nel libro, ci si accorgerebbe che è possibile trasportare l’elettricità con sistemi più rispettosi della salute e del paesaggio.
(Testo apparso come “Prefazione”, pp. IX-XVII, del libro di L. Carra, settembre 1994)