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Placido Cherchi

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Placido Cherchi (1939-2013) è nato  a Oschiri (SS); più precisamente, nel cantiere idroelettrico della diga del lago Coghinas, dove si svolge la sua infanzia e parte dell’adolescenza caratterizzate da un’esperienza “linguisticamente -e non solo- schizofrenica”.

Tratta da una sua conferenza del 2011, nel Messaggero sardo (www.ilmessaggerosardo.com) è riportata una bella e sintetica pagina su questa esperienza.

Dopo il liceo ad Ozieri, prosegue i suoi studi nella Facoltà di lettere e filosofia a Cagliari, in un momento di grande fermento culturale: De Martino, Cirese, Maltese, Capitini, sono solo alcuni nomi delle numerose personalità presenti in quegli anni. Consegue la laurea nel ’65 con una tesi di storia dell’arte sul tema Paul Klee teorico, in larga misura dedicato alla lettura e all’analisi dei versanti propriamente estetologici dell’arte contemporanea. Pubblicato nel ’78 da De Donato di Bari, costituisce la prima testimonianza del suo interesse per le discipline storico-artistiche e l’inizio di una lunga militanza critica nel settore della cultura figurativa.

E’ stato, forse, il suo libro più noto.  Ancora nel 2003  viene chiamato a tenere una lezione su Klee alla Facoltà di Architettura di Alghero, e negli anni seguenti ( 2005-2010) continuerà ad essere presente come docente di Storia dell’arte.

Come epilogo degli studi universitari, tuttavia esso documenta solo in parte la qualità di una formazione caratterizzata da altre aperture e segnata in modo particolare dall’influenza di Ernesto De Martino, ovvero dalle suggestioni provenienti dal settore delle discipline etno-antropologiche e storico-religiose. Prima che dell’Istituto di Storia dell’arte, Cherchi è stato alunno interno dell’Istituto di Storia delle Religioni e ha preso parte alle due campagne etnografiche condotte da De Martino sulla species sarda del tarantismo mediterraneo e sulle forme coreutiche rituali nella cultura folklorica dell’isola.

I quindici anni immediatamente successivi alla laurea sono una stagione di interessi storico-artistici che continuano a essere presenti anche quando cominciano, sempre più numerosi, a comparire i lavori  dedicati alla valorizzazione della presenza storica di Ernesto De Martino nel contesto della cultura nazionale ed europea. Malgrado tutto, il “critico d’arte” non cede ancora il passo all’”antropologo”. All’interno di questo percorso si trovano alcuni volumi e numerosi saggi dedicati alle figure di maggior spicco della cultura figurativa isolana (Pinuccio Sciola, Pietro Antonio Manca, Costantino Nivola, Giovanni Nonnis etc.), come anche scritti su tematiche artistiche di ordine più generale. Testimonianza di questo percorso è il volume Il recupero del significato (Zonza 2001), che raccoglie parte dei saggi apparsi precedentemente (da Paul Klee come problema del 1979 a La somma e il resto del 1995), e che, nella loro maggior parte, “gravitano con orbite diverse su un medesimo nucleo tematico,”  assumendo come terreno di verifica problematico l’orizzonte della cultura figurativa sarda in un percorso che conduce dall’utopia all’”identità”.

Insegnante di storia e filosofia in un liceo classico di Cagliari, Cherchi si dedica, oltre che ai suoi studi, ad attività culturali diverse, con conferenze, dibattiti e interventi su riviste e convegni.

Gli anni ’80 segnano un intenso ritorno alle indagini storiografiche sulla scuola italiana di Storia delle religioni. L’esperienza etnografica vissuta accanto a De Martino lo portano a un’estesa esplorazione della cultura demartiniana (Ernesto De Martino.Dalla crisi della presenza alla comunità umana. Liguori 1987; Il signore del limite. Tre variazioni critiche su Ernesto De Martino, Liguori 1994; Il peso dell’ombra, Liguori 1997; Il cerchio e l’ellisse, Aisara 2010; La riscrittura oltrepassante, Kurumuny 2013) che si protrae nel tempo, coinvolgendo figure eminenti come Vittorio Lanternari e altri nuclei tematici, posti a confronto con diversi orizzonti metodologici, intorno al problema delle forme della comunità etnologica. Vari saggi sono confluiti in Etnos e apocalisse, Zonza Ed. 1999, libro in cui -come sottolinea il suo titolo completo Mutamenti e crisi nella cultura sarda e in altre culture periferiche- compaiono anche esiti di ricerche fatte nella prima metà degli anni Novanta con la Fondazione Sardinia e proposte come “colpi di sonda all’interno di situazioni fortemente caratterizzate da dinamiche di transizione”.

Crisi e transizione nella cultura sarda divengono nella sua analisi sempre più insistenti, concentrandosi sulle tematiche identitarie con tagli e temi profondamente originali.

Saggi e articoli di Crais. Su alcune pieghe profonde dell’identità, Zonza Ed. 2005, riconducibili agli anni 1995-99, scavano “lungo il filo che secoli e secoli di subalternità hanno lasciato sui tessuti profondi della coscienza” dei sardi, assumendo come terreno privilegiato l’espressione verbale: la lingua “come realtà simbolica”.

Tematiche che vengono ripensandosi e arricchendosi alla luce di categorie come l’etnocentrismo critico e le riflessioni sviluppate da De Martino sull’ “autocoscienza del valore e autocoscienza del limite”. Il suo ultimo libro Per un’identità critica -che Placido, per pochi giorni, non riuscì a vedere ultimato- chiude la tendenza dicotomica dei suoi interessi. Rileggere la propria “passione identitaria” e le “categorie mentali più coinvolte nei processi formativi del nostro habitus identitario collettivo” attraverso il filtro demartiniano tesse nuove trame nel suo discorso che tende ormai alla ricerca di “una identità pensata, o da pensarsi, sotto forma di un’identità critica”. Da qui avrebbe potuto avere inizio una nuova scuola antropologica sarda. Così sinora non è stato.

 
Postilla redazionale.

Ho conosciuto Placido Cherchi negli anni ’70, sulla scorta della comune amicizia e collaborazione con Jacques Camatte. Nonostante il diradarsi degli incontri nei decenni successivi il legame ha continuato ad essere molto forte, per la straordinaria intensità che Placido riusciva a infondere in ogni rapporto umano. Ha collaborato in più occasioni con le attività della Fondazione; ricordo qui due suoi contributi a molti anni di distanza: “La ‘riscoperta’ di Ernesto De Martino come ‘terra del rimorso’ dell’ideologia” in Studi bresciani, n. 3, 1980 e “La fine del mondo di Ernesto De Martino: scenari di un’apocalisse di fine millennio”, in “Il sistema e i movimenti. Europa 1945-1989”, Jaca Book-Fondazione Luigi Micheletti, Milano 2011. A testimonianza del suo tenace sforzo di valorizzazione della figura di Ernesto De Martino, quale pensatore imprescindibile per capire la crisi della modernità contemporanea (Pier Paolo Poggio).

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