In occasione del Cinquantenario del Premio Nobel per la chimica a Giulio Natta, Pietro Redondi ha ricostruito una pagina di grande interesse della storia del rapporto tra ricerca e industria in Italia. La base di partenza sono state una quarantina di pagine dattiloscritte e precisamente il fascicolo Gomma sintetica 1937-1938, salvatosi dalla distruzione degli archivi del laboratorio per lo studio della gomma sintetica fondato da Natta e finanziato dalla Pirelli –esempio inaugurale e rilevante di collaborazione tra impresa e università nel contesto dell’autarchia fascista. Grazie all’integrazione di numerosi altri documenti e alcuni contributi di approfondimento, con l’ausilio di un apparato critico sobrio e rigoroso, è stato possibile realizzare un volume esemplare in cui la storia poco nota della “prima” gomma sintetica italiana si intreccia con eventi scientifici ed economici internazionali. Siamo nel 1937 è appena finita l’avventura africana ed è in corso la partecipazione militare italiana alla guerra di Spagna accanto alle truppe di Franco. Ci sono nell’aria i tuoni della tempesta che sarebbe scoppiata nel settembre di due anni dopo e le due avventure militari hanno mostrato che l’Italia fascista è priva di materie prime essenziali per una guerra moderna, in particolare il petrolio e la gomma. Un po’ di petrolio è fornito dalla Romania, un altro po’ si spera di ottenere dall’idrogenazione dei bitumi albanesi col processo tedesco Bergius.
Ma la gomma è un fattore limitante sia per l’Italia fascista sia per la Germania nazista. Anche se un po’ tutti i paesi industriali cercano di liberarsi dalla schiavitù dei rifornimenti di gomma naturale dal Brasile, dove le foreste stanno fornendo sempre meno gomma, o dalle lontane colonie inglesi, francesi e olandesi dell’Estremo Oriente. Con le conoscenze disponibili nel campo della catalisi applicata alle sintesi chimiche non dovrebbe essere difficile ottenere gomma sintetica; in definitiva la gomma naturale è il polimero di una molecola con cinque atomi di carbonio, il metilbutadiene; a rigore proprietà simili a quelle della gomma naturale si hanno con il polimero di una simile e più semplice molecola, con quattro atomi di carbonio, il butadiene. La natura offre grandi quantità di molecole a due atomi di carbonio che potrebbero essere “saldate” insieme: una di queste è l’alcol etilico che si forma per fermentazione di carboidrati, come lo zucchero di barbabietola o di canna, o che si ottengono dall’amido o anche dalla cellulosa.
Lungo questa strada lavoravano da tempo i chimici russi, con crescente impegno dopo la rivoluzione; anche l’Unione Sovietica, che ha bisogno di una fonte indipendente per la gomma, in quel periodo stava producendo gomma sintetica partendo dall’alcol etilico ottenuto dall’amido di patate; così la satira politica del periodo si prendeva beffe dei comunisti che facevano la gomma dalle patate. In base a questo processo l’alcol etilico veniva trasformato in aldeide acetica e dalla combinazione di alcol etilico e di aldeide acetica, con eliminazione di due molecole di acqua, si arrivava al butadiene.
Anche la Germania batteva la strada della gomma sintetica fin dagli anni della prima guerra mondiale, e con grande impegno dopo la salita al potere del nazismo nel 1933. I chimici tedeschi ottenevano butadiene combinando due molecole di acetilene, una molecola molto reattiva a due atomi di carbonio, ottenibile facilmente dal carburo di calcio, a sua volta prodotto per reazione della calce con il carbone di cui la Germania aveva grandissime riserve. Copertoni di gomma sintetica, denominata Buna, dalle iniziali del butadiene e del sodio, natrium, usato come catalizzatore della polimerizzazione, prodotti dal consorzio di industrie chimiche I.G. Farben, furono esposti al Salone dell’auto di Berlino del 1936
Anche gli Stati Uniti erano interessati a surrogati della gomma naturale, dato che la produzione brasiliana stava declinando, e il governo del New Deal stava sperimentando sia la strada della sintesi del butadiene dall’alcol etilico, sia la coltivazione di piante della gomma diverse dall’Hevea tropicale. La vera industria della gomma sintetica avrebbe avuto grande impulso con l’avvicinarsi e poi lo scoppio della seconda guerra mondiale nella quale gli Stati Uniti pensavano che prima o poi sarebbero stati coinvolti.
In questo quadro geo-politico il governo fascista incaricò la Pirelli, la più grande industria italiana della gomma, di produrre gomma sintetica; la Pirelli si rivolse al più brillante chimico industriale italiano, il trentaquattrenne Giulio Natta, professore ordinario del Politecnico di Torino prima del trasferimento a quello di Milano. Con Natta la Pirelli stipula, nel giugno del 1937, un contratto della durata di due anni con l’incarico di avviare la produzione della gomma sintetica nell’ambito della Società Italiana per la produzione della gomma sintetica SIPGS, appena creata dalla Pirelli assieme all’IRI.
Natta si trova di fronte a due possibili strade, quella della sintesi da alcol etilico e aldeide acetica, fortemente sostenuta da un consulente della Pirelli, Alessandro Maximoff, fuoriuscito nel 1920 dall’Unione Sovietica e che aveva a lungo lavorato a questo processo, e quella della sintesi dall’acetilene, fortemente sostenuta dalla società tedesca IG Farben che ne possedeva le conoscenze tecniche e voleva vendere i relativi brevetti . Della pressione tedesca fanno fede le visite fatte dai dirigenti Pirelli a Fritz ter Meer, responsabile della produzione della gomma sintetica tedesca, l’uomo che avrebbe creato la grande fabbrica Buna accanto al campo di concentramento nazista di Auschwitz per utilizzare la mano d’opera schiava. Lo ricorda Marino Ruzzenenti, in un contributo inserito nel libro, in cui riproduce un interessante “ricordo”, scritto da Primo Levi per la rivista “La Chimica e l’Industria”, pubblicato nel 1947, un mese dopo la prima edizione di Se questo è un uomo. Ter Meer al processo di Norimberga sarebbe stato condannato a sette anni di carcere, venendo liberato però poco dopo.
La strada dell’alcol è comunque quella seguita nelle ricerche di Natta, una strada non facile, perché durante la trasformazione dell’alcol in butadiene si formano vari co-prodotti indesiderabili, come i butileni, che devono essere separati dal butadiene per essere poi ulteriormente trasformati in altro butadiene. Lo stesso Natta scriverà che la produzione di gomma sintetica rappresentava , dal lato chimico e tecnologico, una fra le più complesse industrie della chimica organica. Nel volume in questione tali problematiche sono affrontate nel contributo di Giorgio Nebbia.
Il lavoro di Natta è intenso e rapido, già nel luglio 1938 deposita due brevetti sulla separazione di butilene e butadiene, riprodotti nel libro di Redondi con riferimento al prezioso archivio degli scritti dello scienziato disponibili in Internet (www.giulionatta.it). Una alternativa consisteva nel trasformare l’alcol etilico in aldeide acetica e di ottenere il butadiene dalla sintesi di due molecole di aldeide acetica, anche qui con formazione di sottoprodotti. In queste ricerche è fondamentale il ruolo dei catalizzatori metallici, campo in cui Natta era una autorità riconosciuta.
Nello stesso 1938 furono risolti gli altri problemi relativi alla polimerizzazione del butadiene in poli-butadiene e alla vulcanizzazione del polimero, tanto che i primi copertoni di gomma sintetica “nazionale” poterono essere mostrati orgogliosamente al ministro delle corporazioni Landini e poi, ufficialmente, al Duce che ne ordina una copia per una sua automobile. In ogni occasione l’accento batte sulla totale italianità autarchica del prodotto.
Il libro curato da Pietro Redondi è interessante anche come contributo alla conoscenza degli aspetti “umani” del mondo della ricerca: Natta deve destreggiarsi fra le pressioni di Maximoff, geloso del giovane scienziato che cerca vie nuove nel processo alcol-butadiene su cui Maximoff “sapeva già tutto”. Il processo alcol-butadiene piace a Lino Balbo, segretario della federazione fascista di Ferrara e fratello di Italo Balbo, potente gerarca di Ferrara (di cui Mussolini si libererà mandandolo a governare la Libia per essere abbattuto in volo dalla stessa contraerea fascista). Il fratello di Balbo si adopera perché la fabbrica di gomma sintetica della Pirelli sia insediata a Ferrara, dove è disponibile zucchero prodotto in molti stabilimenti e metano. Ci riuscirà perché una fabbrica di gomma sintetica da alcol fu insediata proprio a Ferrara con il nome di Saigs (Società anonima industria gomma sintetica) e funzionò sino al luglio del ’43, quando un bombardamento alleato la mise fuori gioco distruggendo i serbatoi di alcol.
La IG Farben ottenne comunque che venisse seguita in Italia anche la strada della sintesi del butadiene dall’acetilene; una fabbrica fu costruita a Terni ma non entrò mai in funzione e fu distrutta durante la guerra. Anche in questo caso scelte industriali economiche importanti sono state fatte sulla base di pressioni politiche (e affaristiche) più che per considerazioni scientifiche e tecniche.
Il libro curato da Redondi è interessante e utile perché, con la riproduzione di articoli di Natta e scritti di Alberto Pirelli, Mario Rafanelli, Franco Grottanelli consente di ricostruire, dal 1937 al 1947, la vicenda della “prima” gomma sintetica italiana e il passaggio ad una seconda stagione, non più autarchica, basata sull’utilizzo dei derivati del petrolio. Infatti l’Italia, dopo la seconda guerra mondiale, produrrà su larga scala la “seconda” gomma sintetica partendo da materie prime petrolchimiche. In questo passaggio l’azienda di riferimento non è più la Pirelli ma la Montecatini, mentre Natta conferma il suo ruolo di protagonista che lo porterà, con l’avvento della nuova industria delle materie plastiche, ai contributi che gli consentiranno di conseguire il premio Nobel.