Quando Marica Di Pierri mi informò nel 2020 del progetto che come associazione A Sud (https://asud.net/) avevano in cantiere, ovvero di un magazine sull’economia circolare (https://economiacircolare.com), le avevo subito espresso i migliori auguri per la nuova impresa, non nascondendo, in nome della lunga amicizia, le insidie di un terreno di lavoro di per sé ambivalente.
Proprio in quel periodo, nel testo licenziato con Pier Paolo Poggio, Primavera ecologica mon amour. Industria e ambiente cinquant’anni dopo, del 2020, al capitolo “Il nuovo ‘imbroglio ecologico’” (pp. 139.140), mettevamo in guardia dalle possibili trappole dell’economia circolare:
Ultima, recente, invenzione, sembra essere la circular economy, lanciata non a caso a Davos tre anni fa, già dotata di una Fondazione internazionale [Ellen MacArthur Foundation. Nda] dedicata a istruire le imprese nel nuovo business, ma che rischia, però, gli stessi esiti delle precedenti formule coniate dal sistema [sviluppo sostenibile, green economy, Nda], soprattutto se si esagera smodatamente nel propagandare come «circolari» e «sostenibili», ovvero a presunto impatto ambientale zero, pressoché tutte le produzioni, dalle attività delle grandi compagnie petrolifere, come l’eni, all’incenerimento dei rifiuti e persino alle armi […]. Tornando all’economia circolare, che si richiama con mezzo secolo di ritardo al Cerchio da chiudere di Barry Commoner, questa dovrebbe essere intesa come un’economia che limiti, da un canto, l’estrazione dall’ambiente di nuove risorse e di energie non rinnovabili e, dall’altro, l’immissione nell’ambiente di rifiuti, scarti, sostanze tossiche, riutilizzando il più possibile i materiali post consumo. I padri dell’ecologismo scientifico hanno comunque chiarito che non vi è attività umana a impatto zero, anche se l’economia circolare viene continuamente propagandata accompagnandola con questa falsa promessa. Dunque non ci si deve illudere che l’economia circolare possa annullare l’estrazione di risorse ed energia dalla natura e l’immissione nella stessa di scarti, gas tossici, rifiuti e che sia quindi risolutiva dell’attuale crisi ecologica.
Insomma, estremizzando, da una parte vi è la storica elaborazione della chiusura del cerchio di Commoner, alternativa all’economia della crescita, sia della materia e dell’energia prelevata dalla natura che dei rifiuti e inquinanti in essa immessa, e, dall’altra, quella oggi adottata dal sistema, che, al di là delle plateali distorsioni sopra citate, intende l’economia circolare come aggiuntiva all’economia della crescita, una sorta di belletto della stessa che intanto prosegue, se possibile, espandendo ancor più le aree e i materiali naturali da incorporare per restituirli degradati.
La rivista si muove programmaticamente e consapevolmente in questo percorso oggettivamente insidioso, tra Scilla e Cariddi.
Da un canto, nella presentazione, per spiegare che cos’è l’economia circolare,richiama proprio la definizione promettente della Ellen MacArthur Foundation: «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera». E si avvale di supporti scientifici istituzionali, da Ispra, all’Enea, dal Cnr al Politecnico di Milano.
Dall’altro, rivendica una totale indipendenza, e quindi una postura critica, garantita dalla storia di movimento della stessa associazione A Sud, con Marica Di Pierri vicedirettrice.
E in effetti, accanto agli articoli anche tecnici di carattere informativo, sempre comunque apprezzabili, non mancano approfondimenti critici su questo spezzone potenzialmente “virtuoso” dell’economia. E dunque la scommessa sembra vinta. Purché rimanga la consapevolezza dei limiti intrinseci di un’economia circolare all’interno di un sistema economico capitalistico votato alla crescita infinita. E la realtà ci dice che solo negli ultimi 6 anni, secondo i calcoli del Circularity Gap Report 2024, l’economia globale ha consumato 582 miliardi di tonnellate di materiali, non lontani dai 740 miliardi consumati nell’intero XX secolo, mentre il bilancio dell’economia circolare per l’Ue, certificato da Eurostat, attesta che nel 2022, il tasso di circolarità nell’utilizzo di materia nell’Ue è stato pari all’11,5 per cento, salendo di soli 3,3 punti percentuali dal 2004, ovvero in 18 anni. Ma quanto è aumentato nel frattempo il prelievo di materiali dall’ambiente?
Detto questo, l’economia circolare, pur essendo ancora un piccolo cantiere per la transizione ecologica, merita comunque l’attenzione critica che la rivista “economiacircolare.com” ha il merito di curare con passione e competenza.