Senatore della Repubblica (nominato dal Presidente Einaudi nel 1952), presidente della Croce Rossa Italiana nell’immediato dopoguerra, archeologo, antifascista, anima dell’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno e, soprattutto, fondatore e primo presidente di Italia Nostra: questo, in estrema sintesi, il profilo di Umberto Zanotti Bianco.
Per comprendere il ruolo della figura di Umberto Zanotti Bianco per il movimento di tutela dei beni artistici ed ambientali -e per comprendere la portata della creazione di Italia Nostra- è necessario ripercorrere brevemente il periodo storico nel quale si trovò ad operare.
Al termine della seconda guerra mondiale, con la ricostruzione, si gettarono le basi del modello di sviluppo italiano. Nel maggio 1947, con l’esclusione delle sinistre dal governo, presero forma le linee essenziali della coalizione di forze destinate a presiedere la grande crescita economica dei successivi quindici anni: al ritorno dal viaggio negli Stati Uniti, che significava l’invio di sostanziosi aiuti economici da parte degli USA e la possibilità di finanziamenti ad industrie italiane a condizione di “un ritorno alla stabilità e al consolidamento del regime democratico in Italia”, il presidente del Consiglio De Gasperi, provocando la crisi e formando un nuovo governo, gettava le basi per la coalizione centrista che guidò la vita politica ed economica italiana negli anni successivi. La formazione di questo nuovo governo chiudeva un periodo della politica italiana: la collaborazione dei partiti antifascisti, iniziata nel ’43 nei Comitati di Liberazione Nazionali e continuata dopo le elezioni per la Costituente del ’46 con la formula del tripartito, era definitivamente conclusa. Parallelamente al costituirsi dei governi “centristi” prendeva forma il blocco di forze sociali rappresentato dall’alleanza tra grande industria privata, mondo della finanza e piccola borghesia tradizionale, i cui valori erano delineati nell’iniziativa privata e nella difesa del risparmio e della proprietà, che, appunto, compì la scelta tra i possibili modelli di ricostruzione. Si optò così per una politica “liberale”, sciogliendo l’opzione di fondo tra ricostruzione diretta dallo Stato o prevalentemente lasciata alla libera iniziativa. Ogni progetto a carattere dirigistico venne abbandonato: il margine di intervento economico riconosciuto allo stato era ristretto e comunque limitato a creare le condizioni più favorevoli per lo sviluppo dell’iniziativa privata. Questo tipo di scelta ebbe un impatto notevole sullo sviluppo urbanistico delle città italiane e sulla distruzione dei centri storici: in Italia a partire dal secondo dopoguerra i tentativi di pianificazione urbanistica comunale e territoriale vennero tenuti a freno dalle autorità responsabili, affinché la ricostruzione e la ripresa economica potessero svilupparsi liberamente, favorendo privati imprenditori, costruttori, società immobiliari e proprietari. Le scelte urbanistiche privilegiarono l’azione di lottizzazione e speculazione condotte dall’iniziativa privata con la collaborazione o il consenso delle autorità pubbliche. Risultato: crescita disordinata delle città, realizzazione di periferie urbane invivibili, massacro del verde e continui attentati al patrimonio artistico-architettonico del paese.
Fu per arginare questo stato di cose che il 29 ottobre 1955 Umberto Zanotti Bianco capitanò un gruppo di intellettuali “estremamente preoccupati di fronte al processo di distruzione sempre più grave ed intenso al quale è stato sottoposto negli ultimi anni il nostro patrimonio nazionale” -come si legge nell’atto costitutivo- e fondò a Roma l’associazione Italia Nostra con il proposito di “suscitare un più vivo interesse per i problemi inerenti alla conservazione del paesaggio, dei monumenti e del carattere ambientale della città, specialmente in rapporto all’urbanistica moderna”.
Uomo di vasta cultura umanistica, antifascista, ideologicamente vicino al mazzinianesimo che interpretava in senso filantropico impegnandosi con fermezza e costanza per lo sviluppo culturale e sociale e per la difesa dei diritti dell’uomo, Zanotti Bianco fu anche il primo presidente di Italia Nostra, la prima associazione ambientalista italiana dotata di una struttura nazionale e di un peso e un prestigio tali da costringere le istituzioni a porsi il problema della salvaguardia del patrimonio ambientale. Esistevano peraltro, in Italia, già dalla seconda metà dell’Ottocento, gruppi che si preoccupavano di fermare la dilagante distruzione della natura e dei monumenti. Tra questi, ad esempio, la Società Emiliana Pro Montibus et Silvis, la Socièté de la Flore Valdotaine, il Comitato italiano per la tutela delle dimore storiche, l’Associazione degli Amici dei Monumenti e del Paesaggio, l’Unione Bolognese Naturalisti. Tuttavia questi sodalizi avevano carattere locale, orizzonti limitati, pochi mezzi e non erano dotati di alcun coordinamento tra loro. Italia Nostra e Zanotti Bianco rappresentarono, con il loro prestigio, la loro autorità ed il loro peso culturale, il punto di riferimento centrale per tutte le forze che in Italia volevano battersi contro il degrado, la speculazione edilizia, l’anarchia urbanistica, la cementificazione che stava travolgendo il paese. Come testimoniano varie missive custodite negli archivi di Italia Nostra, l’associazione fin dai primi mesi di vita riuscì a coagulare le sparse forze che si opponevano al massacro del territorio in atto. Ad Italia Nostra e al suo prestigioso e influente presidente pervenirono immediatamente decine di accorate richieste d’aiuto e di sollecitazioni ad intervenire: contro gli scempi edilizi sulla costa ligure -la prima ad essere aggredita dalla speculazione figlia del miracolo economico-, di ville storiche, parchi, boschi. E talvolta, come è documentato dalla corrispondenza conservata nell’archivio della sede, grazie all’intervento influente del suo presidente, l’associazione riusciva a smascherare i trucchi degli speculatori, fermandoli sul nascere: tanti piccoli casi mai nemmeno riportati sul bollettino dell’associazione.
La nascita di Italia Nostra ha rappresentato una vera svolta per il movimento di salvaguardia. Anche l’Italia si dotava finalmente di un solido organismo che stimolasse le istituzioni e denunciasse gli abusi di una crescita indiscriminata. Presidente non poteva che esserne Zanotti Bianco: come scrisse anni dopo Elena Croce, figlia di Benedetto e cofondatrice dell’associazione ecologista, “occorreva la persona adatta a presiedere quello che sin dai primi scambi di vedute si annunziava come un piccolo movimento, un gruppo di pressione, extrapolitico. E fu fatto il nome di Zanotti Bianco. Non ce n’era, naturalmente, altro così indiscutibile”. Due episodi, presi in un arco di tempo molto vasto, lo confermano. Zanotti Bianco si era occupato di salvaguardia del patrimonio artistico-architettonico fin dalla prima guerra mondiale: nel corso del conflitto del ‘15-’18, al quale aveva partecipato secondo alcune testimonianze come obiettore di coscienza e “si era fatto trapassare dalle pallottole senza sparare un colpo”, aveva collaborato con Ugo Ojetti alla tutela dei beni culturali minacciati dalla guerra. Quaranta anni dopo, nel febbraio del ’54, pochi mesi prima della fondazione di Italia Nostra, lo troviamo tra i promotori di una clamorosa lettera di protesta che 15 personalità firmarono nel tentativo di ostacolare la progressiva edificazione della campagna romana a ridosso della Via Appia Antica, zona che “per le centinaia di ruderi, statue e rilievi, per le catacombe e le chiese, per la bellezza del paesaggio è monumento da conservare religiosamente intatto, quale patrimonio comune dell’umanità”, come sostenevano i promotori dell’iniziativa. La protesta, promossa da Corrado Alvaro, Riccardo Bacchelli, Vitaliano Brancati, Emilio Cecchi, Elena Croce, Gaetano de Sanctis, Ugo La Malfa, Carlo Levi, Alberto Moravia, Mario Pannunzio, Nina Ruffini, Gaetano Salvemini, Ignazio Silone, Manara Valgimigli e per l’appunto Umberto Zanotti Bianco ottenne che nella primavera del ’54 sei parlamentari presentassero alla Camera un disegno di legge per la tutela dell’Appia. Il mondo della cultura iniziava a levare la propria voce contro gli eccessi della società dei consumi che si andava delineando. Negli anni successivi la lotta intorno ai destini dell’Appia Antica sarà aspra, con Italia Nostra e Zanotti Bianco impegnati a fondo a fronteggiare le devastazioni dei privati e delle società immobiliari.
La iniziale concezione urbanistica di Zanotti Bianco era semplice quanto efficace. La sua posizione a favore della salvaguardia del patrimonio artistico si esprimeva attraverso la tutela del singolo monumento. In occasione del primo convegno nazionale dell’associazione, nel ’56, egli sottolineava come “ogni altra preoccupazione passa innanzi a quella che in un paese come l’Italia dovrebbe essere tra le prime: salvare cioè e tramandare quanto più possibile intatto l’ingente patrimonio d’arte giunto a noi dai secoli passati, e che è la perpetua attrazione di tutte le genti civili”. Molto presto, tuttavia, le concezioni di Italia Nostra subirono un’evoluzione: il principio urbanistico di fondo muoveva dalla considerazione che monumenti e ambienti fossero un tutto inscindibile, in contrasto con la concezione accademico-idealistica che considerava i monumenti in astratto, quali episodi architettonici di epoche e stili diversi, indipendentemente dall’ambiente circostante. Il centro storico, inteso come organismo unitario, andava inserito nel quadro dello sviluppo urbano, assegnandogli un ruolo specializzato di accoglienza delle attività compatibili con la sua struttura. Gli scopi di una illuminata politica urbanistica dovevano tendere, nell’impostazione di Zanotti Bianco e di Italia Nostra, ad allontanare dal centro storico il peso del traffico e degli affari, inconciliabile con la sua antica struttura, garantendo alle città razionali possibilità di ampliamento. Secondo questa concezione la salvaguardia integrale del vecchio e la creazione del nuovo nelle città rappresentavano due operazioni complementari.
Il vecchio motto mazziniano “Pensiero e azione”, riadattato all’Italia della prima metà del Novecento, era alla base del frenetico agire di Zanotti Bianco. “Il segreto di ogni riuscita”, scriveva già ventiquattrenne nel 1913 a proposito della questione meridionale, “è di perseverare non chiedendo a sé stessi l’impossibile pur avendo fede nell’impossibile”. Vi si sosteneva qui con convinzione la necessità di profondersi nell’azione quotidiana perché “dar solo parole è poco”. Sia nell’attività per il riscatto del Mezzogiorno, sia in quella per il riscatto delle nazionalità oppresse – tipici problemi di libertà, di indipendenza, di autonomia, di sviluppo economico e culturale; sia, naturalmente, nell’azione svolta per Italia Nostra contro i distruttori del patrimonio di civiltà rappresentato dai beni artistici e naturali sono presenti questi cardini – guida della sua esistenza. Dall’archivio Umberto Zanotti Bianco conservato nel Palazzo Taverna di Roma, sede dell’Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno e dal suo carteggio emergono con chiarezza i tratti distintivi dell’impegno zanottiano: l’ardore del missionario laico, dell’apostolo che di fronte al dolore del mondo non si limita a predicare, ma agisce, quasi annullandosi nell’umile, concreta azione di ogni giorno. Non solo le lettere, pubblicate o inedite, ma le realizzazioni concrete – per citare le più significative: l’Animi, con la costante opera contro l’analfabetismo che portò l’associazione ad aprire oltre 2000 scuole serali e festive nel Meridione in 991 centri della Sicilia, 649 della Calabria, 263 della Basilicata, 336 della Sardegna, cooperative, biblioteche, università popolari, asili infantili, centri sociali; la collana di studi meridionalisti; le scoperte archeologiche, tra le quali quella straordinaria del tempio di Hera Argiva alle foci del Sele, e gli studi su questa materia; la Società Magna Grecia; Italia Nostra; – stanno a dimostrare la volontà di Zanotti Bianco di concretizzare i propri ideali.
Lo storico Alessandro Galante Garrone ha scritto nella prefazione dei volumi del Carteggio (1906-1918 e 1919-1928), pubblicati da Laterza, che il tratto comune che lega la produzione epistolare di Zanotti Bianco nel periodo studiato pare essere “la necessità -di fronte a qualsiasi soperchieria autoritaria- di rompere il silenzio acquiescente, di gridare, di protestare: ma non per un atto di singola protesta bensì per il continuo, rettilineo insorgere della sua coscienza di fronte a ogni ingiustizia”. Sono parole che descrivono lo Zanotti Bianco della gioventù e della prima maturità. Ma calzano a pennello anche per la parte finale della sua vita, quella dedicata ad Italia Nostra. Di fronte allo scempio che si compiva nei confronti delle bellezze, di fronte alla crescita anarchica e disordinata delle città, di fronte all’arroganza di palazzinari e all’ignoranza di cementificatori si levò la sua voce autorevole, la prima di un coro destinato a diventare movimento.