La storia dell’acido borico ricavato dai soffioni di vapore geotermico toscani presenta interesse sotto vari aspetti. Innanzitutto è una importante pagina della storia della innovazione e dell’imprenditoria toscana e italiana; in secondo luogo ha visto l’Italia in una posizione importante nei commerci internazionali di acido borico. Infine offre un esempio di storia del sorgere e del declino di una merce, un episodio di come variano le “popolazioni di merci” in un mercato.
La storia della produzione di acido borico a Larderello è ben nota ed è stata molto studiata e descritta anche in occasione delle celebrazioni del centenario dell’avvio della produzione geotermoelettrica con l’accensione delle ormai famose “cinque lampadine” del principe Ginori Conti (di cui si è parlato nel n 10 di “atronovecento”).
La produzione industriale italiana dell’acido borico, scoperto negli ultimi decenni del Settecento, proprio nei prodotti di condensazione del vapore geotermico, è andata crescendo nel corso di tutto l’Ottocento, anche grazie a continui perfezionamenti tecnici, fra cui si può ricordare l’uso dello stesso calore geotermico per la concentrazione delle soluzioni o sospensioni di acido borico, a partire dagli anni trenta dell’Ottocento.
L’acido borico è stato una delle importanti merci italiane di esportazione; l’iniziativa industriale è talmente entrata nell’immaginario collettivo che, ancora quando studiavo io, mezzo secolo fa, venivano citati i “soffioni boraciferi di Larderello” quando ormai il recupero dell’acido borico era in declino.
La produzione italiana di acido borico aveva peraltro già cominciato a subire la concorrenza dell’acido borico ricavato dai giacimenti di borati californiani scoperti negli anni ottanta dell’Ottocento a Death Valley e a Boron. Nonostante questa concorrenza la produzione toscana di acido borico aveva raggiunto le circa 2.000 tonnellate all’anno alla fine dell’Ottocento ed era salita fra 3.500 e 6.500 tonnellate all’anno negli anni fra il 1910 e il 1940. Dopo la Liberazione la produzione di acido borico aveva raggiunto di nuovo le 4.500 tonnellate all’anno per declinare a meno di 2000 t/anno nel 1961 fino a cessare nel 1965-1967.
Dal 1956-58 è cominciata, sempre a Larderello, la produzione di acido borico dai borati di importazione.(oltre 80.000 t/anno nel 1969). Sono debitore dei precedenti dati alla prof. Ottilia De Marco, autore dell’importante saggio: “Andamento del mercato nazionale di acido borico e derivati”, sfortunatamente pubblicato nella rivista quasi sconosciuta e ormai introvabile Quaderni di Merceologia, vol. 9, n.1, pagine 17-27 (1970), e al dott. Pier Domenico Burgassi che mi ha permesso di integrare, con numerosi dati, la serie storica della produzione dell’acido borico dall’Ottocento in avanti.
Calcolando una media di 1.000 t/anno nei venti anni 1840-1860, di 2.000 t/anno nei 40 anni dal 1860 al 1900, di 2.500 t/anno nei 20 anni dal 1900 al 1920, di 3.000 t/anno nei 20 anni dal 1920 al 1930, di 5.000 t/anno nei 15 anni dal 1930 al 1945 e di 3.000 t/anno dal 1945 al 1960, si può stimare, in modo molto grossolano, che dai campi geotermici di Larderello siano stati prodotti poco meno di mezzo milione di tonnellate di acido borico.
La presente ricerca è partita da più generali considerazioni sulle cause per cui la produzione di una merce aumenta e poi declina e dall’osservazione che una merce si comporta, in un mercato (di dimensioni inevitabilmente limitate) come si comporta una popolazione in un territorio pure di dimensioni limitate. Una popolazione dapprima aumenta rapidamente, poi il numero dei suoi individui aumenta con un tasso rallentato, poi si stabilizza, o più spesso declina.
Anche una merce viene assorbita da un mercato dapprima lentamente, perché nessuno ancora la conosce, poi, a mano a mano che viene conosciuta, aumentano i suoi usi e quindi la sua richiesta, fino a quando la capacità di assorbimento da parte di un mercato si stabilizza e la produzione della merce pure si stabilizza.
Peraltro una produzione stazionaria di una merce non dura molto per varie ragioni di cui esistono numerosi esempi.
Se la merce è estratta da una risorsa non rinnovabile di dimensioni limitate (per esempio il petrolio), e se non vengono scoperti nuovi rilevanti giacimenti, da un certo anno in avanti la sua produzione complessiva declina Il fenomeno è stato osservato per i giacimenti di petrolio negli Stati uniti: il massimo della loro produzione si è verificato intorno al 1975-80 e la produzione annua di petrolio degli Stati Uniti, dall’inizio in avanti, può essere rappresentata in funzione del tempo con una curva “a campana”, più o meno di forma gaussiana, descritta dal geologo americano Hubbert e che prende il nome di ”curva di Hubbert”.
Produzioni che possono essere descritte con “curve di Hubbert” sono quelle dello zolfo nei giacimenti siciliani e romagnoli, di metano nella valle padana, di salnitro nell’altopiano cileno, e molti altri.
Talvolta il declino della produzione (o dell’estrazione) di una merce dipende dalla comparsa sul mercato di una merce concorrente; anche in questo caso le “curve” di crescita e declino sono molto simili a quelle, ben note agli ecologi, di concorrenza fra popolazioni che si contendono un comune spazio e cibo.
La popolazione che invade un territorio occupato da un’altra popolazione può essere respinta e scomparire; oppure può essere così aggressiva da eliminare, dopo qualche tempo, la popolazione iniziale, Oppure le due popolazioni, quella degli invasori e quella invasa, convivono in qualche modo.
L’analogia merceologica è molto forte; il declino dell’estrazione dello zolfo siciliano fu determinata dall’impoverimento dei giacimenti, ma fu accelerato dalla invenzione di processi che consentivano di utilizzare lo zolfo dalle piriti, poi di estrarre zolfo nativo col sistema Frasch; infine la produzione di zolfo Frasch è, a sua volta, scomparsa per esaurimento dei giacimenti americani e polacchi e per l’afflusso sul mercato di grandi quantità di zolfo recuperato dagli idrocarburi attraverso i processi imposti dalle norme antinquinamento.
Lo studio di questi fenomeni non è banale, né ha carattere di curiosità; il declino della presenza di una merce in un mercato è anticipato da “segni” che appaiono comuni in molti casi: la comprensione dei caratteri del fenomeno di declino di una produzione (o estrazione) di una merce potrebbe aiutare governi e imprenditori a pianificare, incentivare o disincentivare la produzione industriale in modo da evitare fenomeni di superproduzione invenduta e quindi di crisi.
Davanti alla serie statistica dei dati di produzione dell’acido borico toscano – che, dal 1925 al 1965 presentano il carattere della tipica curva a campana “di Hubbert” (si veda il grafico del lavoro della prof. De Marco – ho cercato di capire quali potevano essere le cause del declino che pure è avvenuto in un periodo in cui sono aumentati gli usi industriali dei composti del boro.
Si trattava di un esaurimento del giacimento sotterraneo toscano di acido borico? O di un cambiamento nella condizioni tecniche di estrazione del vapore geotermico, che “portava con se” meno acido borico? O si trattava della comparsa sul mercato di grandi quantità di acido borico ricavato a basso costo da borati naturali?
Devo confessare che, pur avendo dedicato una certa attenzione, nel corso di alcuni anni al problema, non sono riuscito a dare una risposta. Molte cortesi persone – fra cui voglio ricordare i dottori Burgassi e Cataldi – mi hanno fornito vari dati sulla concentrazione di acido borico del vapore estratto nel corso di ormai quasi due secoli e sull’evoluzione delle tecniche di estrazione del vapore geotermico, ma ugualmente sono finora fallito nel mio compito.
Forse una più attenta e profonda indagine su quanto è disponibile, negli archivi della società Larderello, delle analisi condotte sul vapore geotermico, nel corso dei decenni, potrebbe dare al problema una soluzione che però, pur con rammarico, devo lasciare a qualche studioso che vorrà continuare questo lavoro, se vi sarà mai uno studioso che troverà non ozioso dedicarci un po’ di tempo.