Benché siano riconosciuti da tempo gli aspetti positivi dell’uso dell’alcol etilico di origine agricola come carburante per autoveicoli alternativo alla benzina, nessuno ha mai preso serie iniziative in Italia in questo campo e invece un crescente numero di paesi è in corsa verso questo “oro verde”, come lo ha chiamato, in un numero dell’agosto 2005, la rivista americana “Newsweek”.
L’alcol etilico negli autoveicoli è stato utilizzato nei primi anni dello sviluppo dell’automobile da molti industriali, fra cui Henry Ford; è stato usato come carburante nelle corse automobilistiche, poi, negli anni trenta del Novecento, in Italia, nell’Unione Sovietica, in Francia, Germania, negli Stati Uniti, eccetera. A differenza della benzina, che si può ottenere soltanto dal petrolio o eventualmente, con complicati processi, dal carbone, l’alcol etilico può essere ottenuto per fermentazione da qualsiasi idrato di carbonio di origine vegetale come zucchero, amido, cellulosa.
L’amido e la cellulosa devono essere dapprima trasformati in zuccheri semplici che fermentano poi ad alcol etilico, con formazione di anidride carbonica. Si ottiene circa un chilo di alcol da due chili di carboidrati. Durante la combustione nel motore a scoppio si forma anidride carbonica; tuttavia l’uso dell’alcol etilico come carburante non contribuisce all’effetto serra perché l’anidride carbonica che si libera nell’atmosfera durante la fermentazione e la combustione è la stessa che le piante avevano sottratto all’atmosfera quando hanno formato, al loro interno, i carboidrati da cui è derivato l’alcol.
Da questo punto di vista l’uso dell’alcol colme carburante non contribuisce, a differenza dei prodotti petroliferi, ai mutamenti climatici. L’alcol etilico può essere usato direttamente nei motori sia miscelato con la benzina, in varie proporzioni, sia da solo, con limitati aggiustamenti dei carburatori. L’alcol etilico ha un elevato numero di ottano e quindi il suo uso permette di evitare gli antidetonanti nocivi oggi addizionati alle benzine, come gli idrocarburi aromatici e altri. Inoltre i gas di combustione immessi nell’atmosfera sono meno inquinanti e nocivi di quelli scaricati dai tubi di scappamento dei motori e benzina.
L’uso dell’alcol carburante ha alcuni amici e molti nemici. I suoi nemici sono nelle compagnie petrolifere che si vedono costrette a modificare la qualità merceologica dei carburanti immessi in commercio; le miscele benzina/alcol richiedono serbatoi e distributori separati e anche una adeguata informazione degli automobilisti. La transizione all’uso dell’alcol disturba anche l’industria automobilistica che deve apportare modifiche ai veicoli del futuro. Eppure all’estero varie compagnie petrolifere e automobilistiche si stanno già rendendo conto che si sta andando verso un crescente uso dell’alcol carburante, anche alla luce dei continui aumenti del prezzo del petrolio greggio e della benzina.
A questo punto i nemici dell’alcol carburante introducono due elementi di contestazione; il primo sostiene che le coltivazioni di “piante da alcol” richiedono concimi che possono essere prodotti soltanto consumando energia; e poi altra energia occorre per la fermentazione,la distillazione, la raffinazione dell’alcol; insomma che la quantità di energia petrolifera necessaria per produrre un litro di alcol carburante – il suo “costo energetico” – è maggiore della quantità di energia che lo stesso alcol restituisce bruciando nel motore dell’automobile; perché, essi sostengono, non usare direttamente la benzina come si è fatto finora? I conti accurati mostrano, invece, che con l’alcol si ha un guadagno netto di energia che inoltre è fornita in gran parte gratuitamente dal Sole.
E ancora: i contestatori dell’alcol sostengono che i terreni coltivati a piante “da alcol” dovrebbero essere piuttosto coltivati a piante alimentari per soddisfare la fame dei poveri del mondo; anche questa tesi zoppica perché l’alcol carburante viene ottenuto da vegetali non alimentari, da sottoprodotti e scarti agricoli e forestali.
In via di principio gli amici dell’alcol carburante si dovrebbero cercare fra gli agricoltori e nell’industria di trasformazione dei prodotti agricoli. Impianti di fermentazione e di distillazione dell’alcol potrebbero sorgere diffusi nel territorio, e potrebbero utilizzare sia raccolti agricoli non alimentari, sia sottoprodotti come scarti dell’industria agroalimentare, legname di scarto, e addirittura carta straccia non riciclabile.
Da trent’anni mi sto chiedendo perché venga prestata così poca attenzione a questo problema; è vero che, anche davanti ai crescenti prezzi del petrolio, la produzione e commercializzazione dell’alcol carburante richiede incentivi statali, che peraltro sono già previsti anche a livello europeo; tali incentivi, con pubblico denaro, contribuirebbero a migliorare l’ambiente e darebbero fiato all’economia di molte zone anche interne del Nord e del Sud d’Italia, assicurando nuovi duraturi posti di lavoro.