Il più grande complimento che l’autore del capitolo 11 della Sapienza potesse fare al suo dio è stato il riconoscere: “omnia in numero, et mensura, et pondere preposuisti”. Secondo peso e dimensione e numero sono ordinate le cose del mondo che ci circonda; secondo numeri circola, nell’economia, il denaro che tiene in moto il lavoro e il benessere; secondo pesi e misure circola, nella natura, la materia che alimenta gli esseri viventi e ne accompagna la nascita, la crescita e la morte.
Benché interessati entrambi ai fenomeni della vita, i contabili dell’economia e i contabili della natura hanno camminato, per decenni, su piani separati. Eppure i fenomeni economici, descritti come scambi monetari, sono inevitabilmente accompagnati da scambi di materia e di energia: nei grandi commerci il movimento del denaro è accompagnato dal movimento di milioni, talvolta miliardi, di tonnellate di minerali, fonti energetiche, prodotti agricoli e forestali. Ma anche gli scambi apparentemente immateriali, quelli finanziari o quelli delle informazioni, richiedono elettricità e strumenti contenenti silicio, plastica, rame, oro, terre rare, eccetera.
L’attenzione per i rapporti fra scambi di denaro e scambi di materia nell’economia umana è rapidamente aumentata a partire dagli anni sessanta del Novecento, quando la “scoperta dell’ecologia” ha indotto vari economisti a riconoscere che molti fenomeni importanti sfuggivano alla contabilità economica.
Qualsiasi attività di produzione e di consumo richiede, infatti, oltre alle materie prime e ai beni per cui si paga un prezzo, molti altri beni materiali tratti dalla natura, come l’ossigeno indispensabile per la respirazione animale e per le combustioni, o i sali del terreno necessari per la crescita delle piante – beni per i quali non si paga niente – e genera, nei vari processi, molte altre cose, come l’anidride carbonica e gli altri gas che finiscono nell’atmosfera, o le sostanze liquide e solide che finiscono nelle acque e sul suolo e alterano i caratteri e la futura utilizzabilità di questi corpi naturali – spesso senza che venga pagato alcun risarcimento a nessuno.
Apparve, allora, che il più importante, anzi l’unico, indicatore del benessere e dello sviluppo di ciascun paese, il prodotto interno lordo, non è capace di riconoscere che molte azioni che contribuiscono a far aumentare la ricchezza monetaria di un paese, sono accompagnate da fenomeni che comportano dei danni per la salute e il benessere, e quindi dei costi, per molti soggetti economici della presente e della futura generazione.
E, a poco a poco, è sorta una domanda di strumenti economici che garantissero una qualche forma di più giusta ripartizione dei vantaggi e dei costi. L’economia del benessere, già decenni prima, aveva indicato alcuni di tali strumenti: delle imposte proporzionali alla quantità di agenti inquinanti immessi nell’aria o nelle acque o sul suolo, o dei divieti nei confronti di comportamenti ecologicamente nocivi, o degli incentivi per processi produttivi e merci meno dannosi per l’ambiente.
Per l’applicazione pratica di questi strumenti è indispensabile sapere, fra l’altro, da dove ciascun agente inquinante viene e dove va a finire e ciò è possibile soltanto integrando le contabilità, redatte per ciascuna economia nazionale in unità monetarie, con informazioni che indichino le tonnellate di materia o i chilowattore di energia che passano da un settore economico all’altro, dall’agricoltura, alla produzione, ai consumi finali; in tale contabilità fisica, o ambientale, dovrebbero essere inclusi anche i flussi di materiali tratti dalla natura senza pagare niente e utilizzati nelle operazioni di produzione e di consumo e i flussi di materiali che, provenienti dalle operazioni economiche, finiscono nei corpi riceventi naturali.
Nel decennio passato sono stati predisposti dei conti “satelliti” di quelli economici nazionali; è stato proposto di elaborare un “PIL verde” (qualunque cosa questa parola voglia dire), sempre in unità monetarie, che tenga conto degli effetti ambientali associati alla produzione della ricchezza di ciascun paese.
Le cose andrebbero però molto meglio se si potessero “scrivere” delle tavole intersettoriali, in unità fisiche, da sovrapporre a quelle che vengono redatte in unità monetarie; per raggiungere questo obiettivo è però necessario superare varie difficoltà pratiche, come hanno constatato tutti coloro che si sono cimentati con il problema.
Nella contabilità nazionale in unità monetarie si sommano e sottraggono grandezze omogenee per cui, alla fine, con opportuni artifizi per evitare le duplicazioni dei conti, si può arrivare ad una grandezza aggregata, il prodotto interno lordo annuo di un paese, utilizzabile come indicatore dello stato di salute dell’economia e per effettuare confronti fra diversi anni e diversi paesi. Nel caso della contabilità in unità fisiche si è costretti a sommare le masse di materie eterogenee, il ferro con le patate, il petrolio con l’ossigeno dell’aria, la sabbia e la ghiaia con i rifiuti delle industrie e con i gas generati dal traffico.
Inoltre ci si scontra con problemi di duplicazioni e si devono contabilizzare, per fare un esempio banale, più volte gli stessi atomi di ferro, quando sono presenti nei minerali, poi quando sono presenti nei prodotti dalle acciaierie, poi quando vengono incorporati nei macchinari, fino a quando finiscono – e sono sempre gli stessi atomi di ferro – nelle discariche alla fine della vita utile degli oggetti metallici. E in ciascuno di questi passaggi il ferro interagisce con beni tratti dalla natura e si ritrova in scorie che finiscono nei corpi riceventi ambientali.
Infine le masse di molti materiali coinvolti nella redazione di una contabilità nazionale in unità fisiche sono difficilmente valutabili, sia per la povertà delle informazioni statistiche, sia per la difficoltà di conoscere in maniera attendibile quello che la natura cede alle attività economiche e quello che nella natura finisce sotto forma di rifiuti.
Poiché comunque, l’interesse sta crescendo e cominciano a circolare alcune contabilità dei flussi di materiali attraverso l’economia di alcuni paesi (come la Germania o la Danimarca), anche per l’Italia si è cercato di redigere una tavola intersettoriale in unità fisiche. La elaborazione relativa all’anno 2000 è pubblicata nella rivista Statistica, 63, (2), 397-409 (2003). Una elaborazione abbreviata è stata pubblicata col titolo: “Produzione di merci a mezzo di natura”, in altronovecento, vol. 9, n. 12, 2007.
Si tratta di “tavole” i cui valori sono afflitti dalle incertezze dovute a molte “stime”, ma forniscono almeno un ordine di grandezza della quantità di materiali che attraversano l’economia italiana, dalla natura, ai processi di produzione e di consumo, fino al ritorno nei corpi riceventi ambientali. Tali quantità sono molto grandi, dell’ordine di circa 6.200 milioni di tonnellate all’anno, un valore da cui è esclusa la quantità di acqua, circa 50.000 milioni di tonnellate all’anno, usata nei campi, nelle fabbriche e nelle città.
Per depurare la massa totale lorda di materiali che attraversano l’economia italiana, quello che in un certo senso è il “costo fisico” totale dell’economia del paese, dalle numerose duplicazioni contabili, è stata proposta la misura di un “prodotto interno materiale lordo”, calcolato con accorgimenti simili a quelli con cui viene calcolato il PIL in unità monetarie.
Il prodotto interno materiale lordo, cioè la massa di materiali che alimenti i consumi finali e i servizi, tenuto conto delle importazioni e delle esportazioni, ammonta, per l’Italia del 2000, a circa 893 milioni di tonnellate all’anno, poco più di 760 tonnellate per milione di euro di PIL, circa 15 tonnellate per persona all’anno.
Questo significa che ogni persona in Italia per mangiare, abitare, muoversi, lavorare, guardare la televisione, o consultare Internet, richiede ogni anno 15.000 chili di materiali, oltre duecento volte il proprio peso, provenienti dall’aria, dalle miniere, dalle attività agricole e industriali e dalle importazioni, poi restituiti come gas, liquidi o rifiuti solidi, nell’ambiente naturale.
Una volta fatta una opportuna suddivisione dei flussi materiali fra le varie branche di attività, scelte uguali a quelle usate nelle tavole intersettoriali in unità monetarie dell’economia italiana, pubblicate dall’Istat, si può ottenere una tavola intersettoriale in unità fisiche sovrapponibile a quella in unità monetarie. Il confronto fra le due permette, fra l’altro, di riconoscere quante risorse naturali vengono assorbite dallo scambio di una unità di denaro fra ciascuna coppia di settori di attività, o quante scorie e rifiuti accompagnano la stessa unità monetaria di scambio fra gli stessi settori.
Un altro sistema per evitare le duplicazioni contabili consiste nell’esprimere in qualche unità fisica omogenea, per esempio in tonnellate, le masse di un particolare elemento chimico – il carbonio, o il fosforo, o l’azoto, o il ferro – “contenute” nel materiale scambiato da un settore economico o naturale all’altro.
Gli ecologi – questi ragionieri della natura – misurano il “ciclo del carbonio”, o del fosforo, o dell’azoto, negli ecosistemi; la misura del ciclo del carbonio, o del fosforo, o dell’azoto, attraverso la tecnosfera – l’universo degli oggetti fabbricati e usati dagli esseri umani – fornisce direttamente utili informazioni, per esempio, sulla provenienza delle emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra, o sulle origini dei fenomeni di eutrofizzazione delle acque.
Nel caso, ad esempio, della carbon tax, l’imposta sulle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra e dei mutamenti climatici, il confronto fra la contabilità monetaria e quella materiale consente di capire quanti milioni di tonnellate di gas serra ciascun settore economico genera e di quanto, per esempio, una imposta sui consumi di carburanti del settore dei trasporti, fa aumentare il costo della mobilità dei cittadini, o la competitività fra trasporto su strada e ferroviario, o di quanto fa aumentare il prezzo dei manufatti. E di capire molte altre cose; se il contenimento dei consumi di combustibili fossili da parte dei settori più tassati, spinge all’introduzione di processi alternativi, quali investimenti – monetari, ma anche materiali, di metalli e prodotti chimici – sono richiesti e quali effetti si possono avere sull’occupazione ? Una imposta sulle emissioni di anidride carbonica di quanto farà aumentare il costo del cemento, delle costruzioni, delle abitazioni ?
E ancora: la normativa italiana ed europea sui rifiuti prevede un crescente ricupero di materiali dai circa cento milioni di tonnellate di rifiuti solidi prodotti ogni anno in Italia dai vari settori economici (circa 35 milioni di tonnellate solo dai settori dei consumi finali).
Dei circa 12 milioni di t di carta e cartoni prodotti nel 2007 in Italia circa sei vanno a finire nelle discariche e negli inceneritori; tale sperpero di ricchezze materiali potrebbe essere diminuito intervenendo sulla coltivazione agricola di piante da cellulosa o sulla tecnologia della carta. Il confronto fra le due contabilità, monetaria ed ambientale, consente anche in questo caso di capire quali investimenti, in quale settore, agricolo, forestale, industriale, sono richiesti per diminuire, per esempio, di un milione di tonnellate all’anno la carta usata oggi “perduta”, quale occupazione ciascuna di queste operazioni genererebbe, come potrebbe diminuire l’esborso di denaro per l’importazione di materie prime cellulosiche o addirittura di carta straccia.
E infine: la “rottamazione” di autoveicoli, motociclette, elettrodomestici usati, certamente crea occupazione nei settori che fabbricano gli stessi manufatti nuovi, ma quanti rifiuti metallici genera? può far diminuire i costi delle importazioni di rottami metallici ? quanta occupazione, in quali settori, viene indotta per lo smaltimento dei macchinari usati, in forma non inquinante e sopportabile dall’ambiente ?
Tenendo anche conto che una parte rilevante della massa di materiali che entra nell’economia viene immobilizzata per tempi lunghi o lunghissimi come macchinari, edifici, strade; si osserva così che la tecnosfera si rigonfia continuamente e ci si comincia a chiedere se ci sarà un giorno una scarsità di spazio decentemente occupabile da nuove strade e nuovi quartieri, una scarsità di strade occupabili dalla popolazione di autoveicoli in continuo aumento.
La redazione di una contabilità economica e ambientale insieme, per poter dare una risposta alle precedenti, e a molte altre domande, richiede ancora molto lavoro in almeno tre settori.
Il primo è quello del miglioramento delle informazioni statistiche; le statistiche ufficiali italiane, le “Statistiche ambientali”, pubblicate dall’Istat ha apprezzabilmente pubblicato già cinque volumi, le “Relazioni sullo stato dell’ambiente” pubblicate dal Ministero dell’ambiente e dall’Agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, mostrano impressionanti lacune nei dati relativi, per esempio, alle quantità di pietre e ghiaia estratti dalle cave, alle emissioni di agenti inquinanti, e perfino al peso dei rifiuti solidi, che si formano nei processi di produzione e di consumo e che finiscono nell’ambiente.
Il secondo lavoro riguarda la necessità di costruire degli attendibili bilanci di materia e di energia in entrata e in uscita nei singoli processi di produzione agricola e industriale, dei consumi e dei servizi. Sarebbe auspicabile redigere una specie di “enciclopedia dei processi produttivi” da utilizzare come base per riconoscere il “contenuto” in materia e in energia dei singoli beni e servizi e dei corrispondenti scambi monetari: siamo forse alle soglie di una nuova teoria del valore, espresso, ora in unità fisiche.
C’è infine un bel po’ di lavoro per la trattazione econometrica dei dati raccolti sui fenomeni economici e sui relativi effetti ambientali, ricorrendo, per esempio, a perfezionamenti delle tecniche di programmazione lineare che assicurarono il successo, negli anni trenta e quaranta, del XX secolo, delle attuali rappresentazioni della contabilità economica nazionale.
La soluzione dei molti problemi ancora aperti potrebbe fornire ai governi delle informazioni (abbastanza) corrette con cui condurre una corretta politica ambientale, e permetterebbe anche di identificare nuovi processi produttivi che valorizzino al meglio le risorse naturali nel rispetto dei vincoli imposti dall’ambiente e creino nuova duratura occupazione e un reale benessere.
Sembra di vedere un tempo in cui i contabili della natura e quelli dei soldi cammineranno insieme su una strada che promette, all’orizzonte, uno sviluppo sociale capace di soddisfare i bisogni umani nel rispetto di valori – la salute, la bellezza della natura, una vita decente e più sicura per l’attuale e le future generazioni – che sono altrettanto, se non più, importanti delle merci e del denaro.