Biosfera e tecnosfera
Una corretta soluzione dei problemi umani in armonia con i valori della natura e della storia va cercata osservando che i fenomeni della vita naturale e quelli della vita tecnico-economica in un territorio presentano molte analogie, anzi possono essere descritti con lo stesso metodo.
Le analogie fra ecologia ed economia, infatti, vanno al di la della comune radici delle parole che indicano, rispettivamente, la conoscenza e l’amministrazione di ciò che avviene in un oikos, cioè in una “casa”, in una comunità, in una città, in un territorio. Tutti e due i campi di indagine presuppongono la misura del flusso, dello scambio di materia e di energia in, e attraverso un territorio, tanto è vero che Ernst Haeckel, l’“inventore”, nel 1866, della parola “ecologia”, ha definito la nuova disciplina proprio come l’“economia della natura”.
Del resto gli ecologi, quando hanno voluto descrivere gli organismi vegetali che “fabbricano” la propria materia organica per via fotosintetica, utilizzando l’energia solare, li hanno chiamati, con un termine squisitamente manifatturiero, organismi “produttori” e hanno chiamato “consumatori”, ancora con un termine preso in prestito dall’economia, gli organismi animali che si nutrono dei produttori.
Entro certi limiti, imposti soltanto dalle difficoltà delle rilevazioni, gli ecologi redigono una contabilità naturale per i fenomeni che si svolgono nella biosfera, quando misurano il flusso di materia e di energia nei territori di loro interesse: un lago, un fiume, un bosco, un terreno coltivato, il mare, l’intero pianeta.
Anche i fenomeni economici che si svolgono nella tecnosfera, nell’universo degli oggetti fabbricati dagli esseri umani – la produzione di merci, i fenomeni di “consumo”, i servizi – comportano lo scambio di beni materiali, fisici, naturali, fra i soggetti economici e l’ambiente, tanto che si può correttamente dire che anche le merci hanno una loro “storia naturale”. È pertanto possibile, sempre entro certi limiti, redigere una contabilità, in unità fisiche, dei flussi di materia e di energia per alcuni ecosistemi artificiali che possono andare dall’intera tecnosfera planetaria, ad una città, ad una fabbrica, ad una singola abitazione 1G. Nebbia, “La bioeconomia: somiglianze e diversità fra fatti economici e fatti biologici”, Rassegna Economica (Napoli), 52, (3), 521-544 (luglio-settembre 1988) (con una bibliografia delle precedenti ricerche dell’autore).2G. Nebbia, “Storia naturale delle merci”, Rassegna Chimica (Roma), 43, (6), 241-249 (novembre-dicembre 1991).
Merci ecologiche e merci economiche
Sfortunatamente tutte le contabilità redatte finora per i fenomeni che si svolgono nella tecnosfera e nei suoi sottosistemi, si limitano alla misura e alla descrizione degli scambi di merci e servizi che sono accompagnati da scambi di denaro; i flussi di merci e servizi sono perciò descritti soltanto in unità monetarie e non in unità fisiche. È questo un grosso limite perché molti fenomeni che si svolgono nella tecnosfera sfuggono così alle statistiche economiche e, proprio a questa mancanza di informazioni, può essere fatta risalire in parte la crisi ambientale e quella delle materie prime, degli alimenti, dell’energia, della congestione delle città, della perdita dei beni culturali e del paesaggio.
La contabilità in unità monetarie infatti è incapace di riconoscere l’esistenza e i vincoli della principale caratteristica di qualsiasi ecosistema, naturale o artificiale che sia, l’esistenza di una capacità ricettiva – o carrying capacity – limitata nei confronti dei fenomeni vitali – della presenza e dei flussi di esseri viventi e dei beni che essi usano e delle loro scorie – che vi si svolgono.
Un passo avanti verso l’analisi unitaria dei fenomeni economici e di quelli ecologici potrebbe essere fatto integrando la contabilità monetaria – cioè la descrizione del flusso di denaro che accompagna alcuni degli scambi di materia e di energia che hanno luogo fra i soggetti economici nella tecnosfera – con una contabilità “naturale”, cioè con la descrizione del flusso di materia e di energia attraverso un territorio, una città, i singoli processi produttivi.
Si tratta di redigere delle tavole in cui, per ciascun territorio, o città, o bacino idrografico, o processo, figurino gli scambi di materia e di energia associati sia alle “merci” acquistate dall’ambiente naturale – l’aria, o l’acqua, o l’energia solare, per le quali non si paga niente – sia ai flussi di merci economiche e di rifiuti che ritornano nell’ambiente. I flussi dei rifiuti sono assimilabili alla vendita di “merci”, anche se negative, indesiderabili, ai fiumi, all’atmosfera, al mare, al terreno.
I cicli economici differiscono, però, da quelli “natural” o “ecologici” perché funzionano con l’aggiunta di fattori specificamente umani, come il lavoro, la tecnica, l’informazione, il progetto che, a loro volta, incorporano esperienza, memoria e abilità cresciute e conservate attraverso la storia umana.
La città come ecosistema artificiale
Un laboratorio ideale per riconoscere e misurare le analogie fra attività umane ed economiche e processi ecologici è costituito dalla città che, per la sua relativamente piccola e delimitata dimensione, per l’elevata densità di popolazione e di attività e per l’elevata intensità di consumi e di produzione di rifiuti, si presta ad essere analizzata come modello più generale delle interazioni fra attività umane e ambiente. Una migliore conoscenza di questo modello ha anche qualche utilità pratica perché permette di comprendere come migliorare la salute e il benessere degli abitanti umani, come conservare meglio le testimonianze del passato, come amministrare correttamente la città e il territorio circostante.
L’idea che la città sia un sistema vivente, un vero e proprio ecosistema, sia pure artificiale, non è nuova. Essa era implicita già nelle opere di Geddes 3P. Geddes, “Città in evoluzione” (1915), Milano, Il Saggiatore, 1970 e di Mumford 4L. Mumford, “La cultura delle città” (1938), Milano, Edizioni di Comunità, 1953. In occasione del centenario della nascita di Lewis Mumford (1895-1990) il fascicolo di marzo 1995 della rivista Capitalismo Natura Socialismo, è stato in gran parte dedicato al pensiero di questo autore. 5L. Mumford, “The natural history of urbanization”, in: W.L. Thomas Jr. (editor), “Man’s role in changing the face of the Earth”, Chicago, University of Chicago Press, 1956, Vol. I, 382-398; Piccinato già nel 1942 parlava della “città come organismo” 6L. Piccinato, “La progettazione urbanistica. La città come organismo” (1942), ristampa, Firenze, Marsilio, 1988. Si veda anche: F. Malusardi, “Luigi Piccinato e l’urbanistica moderna”, Roma, Officina, 1993.; Abel Wolman nel 1965 aveva descritto il “metabolismo delle città” 7A. Wolman, “The metabolism of cities”, Scientific American, 213, (3), 178-190 (settembre 1965); “ecosistema urbano” è il titolo di un libro di Nicoletti 8M. Nicoletti, (a cura di), “L’ecosistema urbano”, Bari, Dedalo Libri, 1978, 398 pp.; alla “città come sistema”, dedicò uno dei suoi convegni annuali, nel 1981, a Lecce, la Società Italiana per il Progresso delle Scienze 9“La città come sistema”, Roma, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, 1982; il problema è stato trattato in un volume di Virginio Bettini 10Virginio Bettini, “Ecologia urbana”, Torino, Utet Libreria, 2004, 648 pp.; alcuni caratteri della città come ecosistema sono stati analizzati in alcuni lavori precedenti dell’autore 11G. Nebbia, “L’ambiente urbano come base potenziale di conflitto e di violenza”, Città e Regione (Firenze), 3, ((G. Nebbia, “Merci ed energia nell’ecosistema città”, in: SIPS, “La città come sistema”, Roma, Società Italiana per il Progresso delle Scienze, 1982, 147-162, 129-142 (ottobre novembre 1977)))-(16a).
L’importanza dell’analisi dell’ecosistema città è stata riconosciuta fin dal 1973 dal programma “Man and biosphere” (MAB) dell’ UNESCO che ha lanciato un progetto di studi, indicato col n. 11, proprio sul tema della città come ecosistema artificiale 12Sulle finalità del progetto 11 del programma “Man and Biosphere” dell’UNESCO, cfr., fra l’altro: (a) MAB Report Series n. 13 (ottobre 1973, n. 31; (b), MAB Report Series n. 42 (giugno 1976); (c) S. Boyden e J. Celecia, “The ecology of megalopolis”, The Unesco Courier, 34, (4), 24-27 (aprile 1981); (d) per dati successivi cfr.: “Man and Biosphere (MAB) Programme. Biennial Report 1987-1988’, Paris, Unesco, 1989, p. 19-21.13Sull’applicazione del Programma MAB alla città di Roma cfr.: “Urban ecology applied to the city of Rome”, MAB Project 11, Progress Report n. 2, Istituto di Botanica, Università, Roma, settembre 1981, 280 pp. Sempre nell’ambito della stessa ricerca si veda anche il successivo: “L’ambiente nel centro storico e a Roma”, Comune di Roma, Ufficio speciale interventi sul centro storico, Roma, 1989, 204 pp..
Nella città la materia e l’energia sono “importate” sia dall’ambiente naturale “esterno” alla città, sia dalle attività produttive, pure esterne alla città. La materia e l’energia che entrano in una città alimentano sia le attività che si svolgono all’interno della città (negozi, officine, uffici), sia le attività di consumo delle famiglie e dei servizi: trasporti, riscaldamento e illuminazione degli edifici, eccetera.
Sia le attività produttive, sia quelle di “consumo” trasformano la materia e l’energia entrate nel sistema – cioè le “merci” ambientali ed economiche – in residui e rifiuti, cioè in “merci negative” che finiscono, più o meno rapidamente, nell’ambiente esterno. I residui e i rifiuti, nel loro passaggio attraverso la città prima di ritornare nell’ambiente esterno, provocano effetti negativi sulla salute degli abitanti, sugli edifici, sulle opere d’arte all’interno della città. Una parte dei residui e dei rifiuti può alimentare delle attività di trattamento e riciclo, che si possono considerare anch’esse attività produttive, all’interno della città.
Può essere interessante a questo punto rilevare una prima differenza fra l’ecosistema città e gli ecosistemi naturali. Gli ecosistemi naturali, in genere, producono e rielaborano al proprio interno i rifiuti e i residui delle attività vitali che vi si svolgono. I rifiuti ridiventano, cioè, materiali in entrata per gli stessi cicli naturali. L’ecosistema città utilizza, metabolizza e rielabora invece materiali che sono sostanzialmente estranei alla vita che si svolge all’interno delle città stesse. I rifiuti della città devono perciò essere portati all’esterno o trattati con processi tecnici e i rifiuti finali sono profondamente differenti dai materiali utili che sono entrati nella città e da cui i rifiuti si sono formati. La produzione di rifiuti “dentro” un ecosistema urbano è quindi generalmente accompagnata da effetti ambientali negativi, da un peggioramento della qualità dell’ambiente, da un inquinamento.
La conoscenza dei flussi di materia e di energia negli ecosistemi delle varie città è molto arretrata e spesso inesistente. Eppure tale conoscenza è importante per identificare gli effetti delle attività che si svolgono all’interno dell’ecosistema urbano sulla salute umana, sulla corrosione dei monumenti e delle strutture all’aperto, sulla vegetazione.
Una contabilità dell’ecosistema urbano come strumento di pianificazione
La conoscenze di tali flussi consentirebbe di risolvere anche alcuni problemi di pianificazione urbana: per esempio consente un confronto fra i vantaggi economici dovuti alla presenza in una città di attività produttive, commerciali e di trasporti, e i costi ambientali dovuti alla degradazione dei valori naturalistici (per esempio la scomparsa del verde), culturali, umani.
Un caso è rappresentato da Venezia, in cui l’ecosistema della città storica convive con l’ecosistema laguna, insieme all’ecosistema industriale Marghera. Ciascun sottosistema è ugualmente importante per la sopravvivenza ecologica e umana degli altri due e, a sua volta, contribuisce al degrado degli altri due. Il funzionamento delle tre unità potrebbe essere meglio regolato se si avessero corrette informazioni economiche e ecologiche sulle loro interazioni. Taranto è un altro esempio di una città lagunare in cui convivono un centro storico, una affollata città moderna e varie attività produttive e di servizi. Una analisi dell’ecosistema urbano è (sarebbe) utile, comunque, per qualsiasi città.
Anche le città, in quanto ecosistemi, sia pure artificiali, hanno, come si è già ricordato, una carrying capacity che, a sua volta, dipende dalla carrying capacity delle strade, degli spazi verdi, del territorio esterno in cui ciascuna città si trova. Dalla carrying capacity di una città dipende la quantità massima di popolazione, di traffico, di merci e rifiuti, di attività, che la città e il territorio possono sopportare. Se ci si avvicina o si supera la carrying capacity, una città va incontro ad un rapido aumento delle malattie, del malessere urbano, della congestione, delle tensioni sociali (9). Empiricamente alcune città – è il caso di Bologna – hanno deciso di porre un limite alla popolazione e agli insediamenti produttivi al proprio interno.
Ai fini della redazione di una contabilità fisica degli scambi che si verificano in una città sono probabilmente utili anche migliori conoscenze sulla contabilità fisica delle migliaia di edifici in essa esistenti, ciascuno dei quali “funziona” come un processo autonomo con le sue attività di consumi e di servizi, ma anche talvolta di produzione di merci: consumi delle famiglie e degli uffici, riscaldamenti e illuminazione, fabbriche, eccetera. Nel caso particolare delle città i flussi di materia e di energia variano nelle stagioni dell’anno, il che complica la loro analisi e descrizione.
Vediamo ora quali conoscenze dovrebbero essere approfondite per poter descrivere il funzionamento, lo stato di “salute”, il metabolismo di una città.
I confini dell’ecosistema urbano
Per redigere una contabilità dei flussi di materia e di energia – misurati proprio come numero di autoveicoli, tonnellate di merci, metri cubi di acqua, kilogrammi di agenti inquinanti, unità di energia, tutti per unità di tempo – attraverso una città occorre, prima di tutto, definire i confini fisici e geografici, ecologicamente significativi, della città.
In alcune città – originariamente centri medievali delimitati da cerchia di mura e con alcune strade radiali di accesso – il confine del “centro storico” è comodo ai fini dell’analisi e le “porte” di accesso rappresentano i punti, limitati come numero, in cui si potrebbero misurare bene i flussi dei materiali e delle persone in entrata e in uscita.
Bologna dentro le mura ha la dimensione ideale per uno studio del genere; altre città murate – per esempio Lucca – si presterebbero bene all’analisi, ma sono relativamente piccole e i risultati che potrebbero fornire sono più difficilmente applicabili ad altri ecosistemi urbani; Roma ha una cerchia di mura in cui si sono aperti troppi punti di accesso, il che rende più difficile lo studio.
In altre città il tessuto urbano è diffuso e addirittura è frammentato in quartieri che rappresentano sottosistemi dell’ecosistema complessivo: i quartieri sono spesso collegati fra loro e con il centro mediante dei “cordoni ombelicali”, vie di traffico soggette a particolare congestione, ma anche relativamente comode per i rilevamenti da parte degli analisti dell’ecosistema urbano.
In altri casi si hanno delle conurbazioni (anche questo termine è stato “inventato” da Geddes [3]), un territorio urbanizzato in forma quasi continua che si estende attraverso i confini amministrativi di vari comuni, più o meno quella che si chiama città metropolitana, che rappresenta un solo grande ecosistema. Lungo l’Adriatico si hanno alcuni esempi di tali conurbazioni: una è rappresentata dalla zona fra Cervia, Rimini e Gabicce; un’altra è la fascia costiera pugliese che si estende, in modo praticamente continuo, per circa 140 km da Barletta, attraverso molti altri paesi fino a Bari e, a sud-est, fino a Monopoli: un sistema che si potrebbe chiamare BA-BA-MO, interessato al trasporto di merci e al pendolarismo dei lavoratori e degli studenti.
Lungo il Tirreno una conurbazione lunga 50 km attraversa tre province – da Bocca di Magra a Carrara, Massa, Forte dei Marmi, Viareggio – con comuni problemi di congestione, erosione delle spiagge, inquinamento industriale, irrisolti perché ciascuna unità amministrativa è incapace di riconoscere che si tratta di un unico ecosistema e pertanto di lavorare con quelle vicine per la sua gestione unitaria. La “gestione” dell’ecosistema urbano in questi casi richiederebbe un coordinamento fra gli enti locali: l’ente provincia potrebbe forse trovare, in questo coordinamento, una sua nuova funzione coerente con i compiti di difesa ambientale che le sono parzialmente attribuiti. Ai fini della delimitazione del territorio dell’ecosistema città è importante anche avere informazioni sulla storia e l’evoluzione del territorio.
Notevole interesse, per l’analisi dei flussi di merci e rifiuti, ha la presenza, nell’ecosistema urbano, di un fiume – è il caso di Firenze o Roma – o di un reticolo di antichi canali sotterranei, come a Milano o Bologna, che rappresentano i corpi riceventi, in continuo naturale movimento, delle acque di fogna.
Una volta definito il confine dell’ecosistema urbano occorre avere informazioni sulla sua popolazione: di esseri umani, in primo luogo, ma anche di animali domestici e magari anche di parassiti. La popolazione umana di una città, naturalmente, varia lentamente col tempo e nella sua struttura per età: varia addirittura dalla mattina alla sera per il flusso dei lavoratori pendolari. È come se, alla mattina, una città si gonfiasse – di persone, di merci, di rifiuti – raggiungendo nelle ore centrali della giornata la massima densità, per sgonfiarsi lentamente verso la sera fino a raggiungere una situazione di riposo nelle ore della notte, per ricominciare la mattina dopo. Nel caso delle città turistiche si ha un aumento, molto intenso, della popolazione in una breve stagione, d’inverno o d’estate.
Le variazioni della popolazione hanno effetti rilevanti ai fini della progettazione degli impianti che assicurano i servizi essenziali, come l’approvvigionamento idrico o le fognature e i depuratori. Nelle città turistiche, per esempio, acquedotti e fognature o trasporti, in grado di soddisfare le richieste nel periodo di massimo affollamento, restano largamente sottoutilizzati per i rimanenti mesi dell’anno; d’altra parte gli stessi servizi sufficienti per la popolazione “normale” sono insufficienti nei periodi di punta della presenza turistica.
Stabiliti i confini geografici e la popolazione dell’ecosistema-città che si vuole studiare, occorre misurare la quantità di materiali e di energia che entrano nella, ed escono dalla, città. Un problema abbastanza complicato perché interessa conoscere sia le quantità di merci che entrano – e la quantità di scorie che escono – da ciascuno dei settori vitali della città (abitazioni, negozi, trasporti, uffici, fabbriche, attività artigianali, ospedali, eccetera), sia gli effetti generati da ciascun settore. Si vedrà che gli effetti negativi talvolta sono dovuti ad agenti chimici immessi nell’aria, o nelle fogne, o ai rifiuti solidi; talvolta la nocività urbana viene dal rumore, dalla congestione del traffico.
In queste brevi considerazioni non si può offrire nessuna soluzione, ma viene presentato soltanto un elenco dei problemi e delle carenze di informazione.
Ad esempio in alcune città, anzi in alcune zone di alcune città, viene misurata la concentrazione di alcuni gas nell’atmosfera, talvolta l’intensità del rumore, e su queste informazioni vengono talvolta prese delle decisioni amministrative: limitazione del traffico, limitazione delle ore di riscaldamento.
Questo modo di procedere ha due inconvenienti: il primo è che viene misurata la concentrazione nell’aria soltanto di alcune delle sostanze critiche ai fini della salute e della qualità dell’ambiente. Altre sostanze (ugualmente pericolose, come idrocarburi aromatici cancerogeni, solventi, nitroderivati aromatici, metalli) non vengono analizzate. Il secondo inconveniente è che non è possibile conoscere la provenienza di ciascun agente inquinante: se viene dal traffico, dal riscaldamento urbano, dalle industrie che si trovano alla periferia fuori dai confini dell’ecosistema urbano, ma i cui agenti inquinanti sono portati dai venti all’interno.
Lo stesso vale, come vedremo, per i rifiuti solidi: nel flusso complessivo vengono miscelati quelli della vita domestica, quelli dei mercati generali, quelli dei negozi e quelli degli uffici, ciascuno dei quali ha composizione merceologica molto diversa e diversa suscettibilità alla raccolta separata e al riciclo.
Merci ed energia
Le merci in entrata in un ecosistema urbano sono diversissime: acqua, alimenti (verdura, carne, cereali, alimenti in scatola, eccetera), carta, materie plastiche e imballaggi, mobili, carburanti, materiali da costruzione, materie prime industriali, nel caso esistano attività produttive entro il tessuto urbano.
Oltre all’energia solare, l’elettricità è la principale fonte di energia,generata al di fuori delle città e importata come tale. Non va dimenticato che le reti di distribuzione ad alta e media tensione dell’elettricità spesso penetrano nel tessuto urbano e che è in corso un vivace dibattito sulla pericolosità dei campi magnetici generati intorno a tali reti per le popolazioni che vivono nelle vicinanze (19). I carburanti vengono importati come materiali e liberano energia dentro l’ecosistema. Una parte dei materiali importati resta “immobilizzata” entro la città: mobili, libri, materiali da costruzione. Fenomeni analoghi del resto avvengono, sia pure con altri materiali, negli ecosistemi naturali.
La maggior parte dei materiali in entrata viene però rapidamente “consumata”, trasformata in varie sostanze di rifiuto: anidride carbonica, ossido di carbonio, polveri, anidride solforosa, ossidi di azoto e altri gas che finiscono per lo più nell’atmosfera; rifiuti organici e inorganici, avanzi di cibo e detersivi, che finiscono nelle acque e fuoriescono dalla città con i fiumi o le fognature.
In qualche caso i rifiuti immessi nelle acqua interagiscono con le acque della falda sotterranea della stessa città; in altri casi la falda acquifera della città contiene rifiuti provenienti dall’esterno, “importati”, per esempio provenienti dallo scarico nel sottosuolo di rifiuti prodotti da attività lontane, industriali o agricole. Un esempio è rappresentato dal cromo o dai solventi clorurati che sono stati identificati nella falda acquifera sotto la città di Milano, provenienti da attività produttive insediate anche a diecine di chilometri “a monte” della città Oppure dalla presenza di pesticidi usati in agricoltura e che si sono dispersi fino a contaminare le falde acquifere che alimentano gli acquedotti di varie città della valle padana. Una certa quantità di “rifiuti”, infine, viene trasportata fuori dalla città in forma solida.
La valutazione delle quantità di materiali in entrata e in uscita nell’ecosistema urbano deve essere fatta riferendosi ad una unità di tempo determinata. La loro quantità, infatti, varia da mese a mese e talvolta da settimana a settimana. Nei mesi invernali, per esempio, a causa del riscaldamento degli edifici, è più elevata l’immissione nell’atmosfera dell’anidride solforosa e delle polveri e del calore di rifiuto.
Nel caso di gas come l’anidride solforosa e gli ossidi di azoto, le piogge reagiscono con la massa totale di gas presenti nell’atmosfera e formano sostanze acide e corrosive che vengono trascinate a terra e sono responsabili, per esempio, dei fenomeni di corrosione dei monumenti, delle strutture, e anche dei beni privati all’aperto. Bisogna perciò disporre anche di accurate informazioni sulla frequenza e intensità delle piogge e sulla loro composizione chimica da cui dipende l’acidità.
I rifiuti solidi
I rifiuti solidi costituiscono una delle più vistose ed ingombranti forme in cui si presentano le scorie della trasformazione e dell’uso delle merci nella vita urbana. Una città italiana di centomila abitanti produce circa 150 tonnellate al giorno di rifiuti solidi domestici, a cui vanno aggiunti i rifiuti dei macelli, dei mercati generali, delle industrie, la spazzatura delle strade, i copertoni usati, le automobili usate.
La qualità merceologica dei rifiuti varia da mese a mese, da quartiere a quartiere, dipende dal tipo di alimentazione, dalla presenza in un quartiere di uffici e di attività commerciali (è allora maggiore la quantità di carte e di imballaggi), di macelli e mercati, e così via.
Benché esistano leggi che prescrivono come vanno smaltiti razionalmente, i rifiuti solidi urbani spesso vengono lasciati in mucchi all’aperto nelle strade o nelle periferie, oppure vengono sepolti in cave (discariche più o meno impermeabilizzate): in molti casi l’acqua che percola attraverso i mucchi di rifiuti dilava sostanze solubili e talvolta nocive che vanno ad inquinare le falde idriche sotterranee.
Talvolta i rifiuti vengono frazionati in qualche modo per recuperare materiali riutilizzabili (carta, vetro, alluminio, metalli ferrosi, materie plastiche), ma tale separazione è difficile e inefficiente quando si tratta di separare i materiali riciclabili dai rifiuti misti, di composizione e provenienza molto eterogenea, ed è efficace soltanto se fatta prima della raccolta, nelle singole abitazioni o uffici o negozi o officine. Dai materiali ottenuti attraverso la raccolta differenziata è possibile ottenere altre materie utili, anche se le bizzarrie del mercato spesso vanificano lo sforzo fatto per evitare la pura e semplice discarica, costosa e ecologicamente dannosa (20).
Infine i rifiuti solidi urbani vengono talvolta bruciati in impianti di incenerimento che possono anche fornire calore recuperabile, per esempio per produrre elettricità o per scaldare edifici. Gli impianti di incenerimento possono causare l’inquinamento dell’atmosfera, attraverso i gas che fuoriescono dai camini, o l’inquinamento del terreno e delle acque dovuto al fatto che le piogge sciolgono e trascinano nel terreno le sostanze solubili presenti nelle ceneri che residuano, in quantità di circa il 30 % dei rifiuti bruciati, spesso immesse nelle discariche all’aperto. Ciascuna di queste operazioni di smaltimento dei rifiuti funziona come un vero e proprio “processo” produttivo, con un suo bilancio economico ed ecologico su cui si sa ancora ben poco.
Vediamo ora gli effetti di alcune attività urbane come consumatrici di merci e generatrici di nocività.
Trasporti
Si è già accennato come il trasporto di merci e di persone, soprattutto il traffico automobilistico, pubblico e privato, provocano l’immissione nell’atmosfera di numerose sostanze: polveri, ossido di carbonio, ossidi di azoto, idrocarburi e molte altre.
Le emissioni di agenti inquinanti ed i rumori variano in modo difficilmente prevedibile nelle varie ore del giorno, nei vari giorni della settimana: hanno però generalmente un andamento ciclico, con massimi in certe ore e in certi giorni. Il miglioramento delle indagini statistiche su questi aspetti dell’ecosistema urbano – numero di veicoli per ora nelle varie strade o punti di accesso, tempi di percorrenza e di fermata, velocità media dei mezzi di trasporto pubblici e privati – consentirebbe di prevedere i periodi di crisi. Una partita di calcio, le manifestazioni fieristiche, le feste natalizie sono momenti di punta delle nocività e della congestione ed occorre cercare di capire di quanto tali nocività aumentano rispetto ai giorni “normali”.
I mezzi di trasporto, oltre a contribuire all’inquinamento e al rumore nelle città, occupano una grande porzione della carrying capacity delle strade e dei parcheggi, e talvolta occupano anche spazi che potrebbero essere usati per altre attività. Quando la sosta degli autoveicoli avviene abusivamente sulle strade, si ha un brusco rallentamento dell’intero traffico e un aumento dell’inquinamento e del consumo di carburante. Addirittura quando gli autoveicoli parcheggiano sui marciapiedi viene impedito il movimento a piedi delle persone. Questi disturbi sono la conseguenza della, già ricordata, limitata carrying capacity delle strade e dello spazio urbano.
Conoscendo i rapporti fra lo spazio percorribile e lo spazio disponibile per la sosta degli autoveicoli, le condizioni dell’inquinamento e l’intensità del rumore, un’amministrazione dovrebbe poter regolare i trasporti privati e pubblici (per esempio migliorando la qualità dei trasporti pubblici) in modo da far sì che il massimo numero di persone entri, esca e circoli dentro la città nel minore tempo possibile e con il minore inquinamento possibile, con il minore consumo di carburanti possibile, e con il minor uso possibile della strada e degli spazi collettivi. Questa ottimizzazione si traduce anche in una ottimizzazione economica.
In una ricerca condotta anni fa a Bari (12) e aggiornata più di recente è stato calcolato che gli ingorghi del traffico dovuti alle soste lungo le strade delle automobili e dovuti alla prevalenza del traffico privato (rappresentato, per lo più da automobili, ciascuna delle quali trasporta in genere una sola persona), rispetto ai trasporti collettivi, comporta la perdita, in media, di un’ora di tempo al giorno per centomila persone al giorno per almeno la metà delle giornate dell’anno. È stato valutato che il disordine del traffico “costi”, nel corso di un anno, ogni centomila abitanti oltre 5 milioni di ore, sottratte alla famiglia, al tempo libero, al lavoro, allo studio. Assegnando a questo tempo, che si sarebbe potuto risparmiare se il traffico fosse stato meglio regolato e se fossero fatte rispettare le leggi, un valore monetario e aggiungendo il costo della perdita di salute associata alla congestione del traffico e all’inquinamento, si può calcolare che centomila persone che devono andare e venire in una città subiscono una perdita di ricchezza equivalente a circa 30 milioni di euro all’anno. Simili calcoli sono stati fatti per alcune città, ogni volta riconoscendo che il costo monetario della congestione del traffico e del mancato rispetto delle leggi esistenti ammonta, per gli abitanti di molte città italiane, a centinaia di milioni di euro all’anno.
Tutte le indagini finora condotte sull’inquinamento, sui consumi di energia e sulla congestione dovuti al traffico sono concordi nell’indicare la necessità di una politica dei trasporti urbani che scoraggi l’uso dei mezzi di trasporto privati e che potenzi la disponibilità e l’efficienza dei mezzi di trasporto pubblici, collettivi. I mezzi di trasporto pubblici consentono infatti di assicurare la mobilità degli abitanti con un consumo di energia e con un inquinamento atmosferico, per passeggero-kilometro, molto minori rispetto ai mezzi di trasporto privati.
Le precedenti considerazioni, ancora semi-quantitative, potrebbero ricevere conferma ed essere rafforzate proprio da una analisi del funzionamento almeno di alcuni degli ecosistemi urbani italiani.
Attività produttive
Nel tessuto urbano e intorno ad una città sono in genere insediate delle attività produttive. Dentro le stesse città si trovano attività artigiane – lavanderie a secco, verniciatori, officine di riparazione e rottamazione di autoveicoli, distributori di benzina, depositi di copertoni usati, eccetera – e le attività dell’edilizia. Vicino alle città spesso sorgono delle zone industriali. In Italia l’insediamento delle attività produttive nelle, o vicino alle, città è regolata ancora da norme inadeguate. Un giudizio sulla compatibilità della presenza di una attività produttiva in una città presuppone la conoscenza, nell’ambito di ciascun ciclo produttivo che interagisce con il sistema urbano, dei flussi di materia e di energia. La presente proposta di una contabilità fisica nell’ecosistema urbano consentirebbe anche di fare un passo avanti rispetto all’attuale legge sulle industrie pericolose, basata sul recepimento delle varie “direttive Severo” le quali stabiliscono la pericolosità soltanto sulla base della quantità di certe sostanze pericolose presenti in uno stabilimento.
Si è già accennato che le industrie e le attività artigianali contribuiscono, spesso in modo sensibile, all’inquinamento atmosferico prodotto dalle altre attività urbane. La vicinanza agli, o la presenza negli, ecosistemi urbani di attività produttive, ciascuna con i suoi rifiuti liquidi e solidi, spesso di composizione diversissima da quella dei rifiuti delle attività domestiche, rendono più difficili anche le operazioni di trattamento, depurazione, smaltimento.
Per un governo dell’ecosistema urbano
L’idea di analizzare una città come un ecosistema non ha soltanto interesse intellettuale e scientifico, ma è essenziale per una efficace politica della città. Essa è utile, per esempio, per stabilire quali limitazioni vanno poste al traffico e alla sosta degli autoveicoli, dove localizzare le attività produttive, quali combustibili si possono usare per il riscaldamento, quali servizi collettivi vanno potenziati, quali prezzi vanno chiesti ai privati per avere dei benefici collettivi, come la diminuzione delle malattie, minore corrosione, minori costi di manutenzione, la possibilità di incontrarsi e comunicare.
La conoscenza dello “stato di salute” ecologica di una città, acquistata attraverso un inventario dei dati noti e di quelli che occorre misurare e attraverso una analisi complessiva dell’ecosistema urbano, consentirebbe di avviare finalmente, una politica urbana capace di far diventare più umana – o, forse, soltanto umana – “civile”, la vita nelle nostre città.
Chi sa che in una delle nostre città amministratori e studiosi si uniscano per accettare la sfida di una analisi dell’ecosistema urbano, per scoprire, magari, che i vantaggi, in termini di miglioramento della qualità della vita urbana e di aumento del consenso, giustificavano la fatica fatta. Ne guadagnerebbe la scienza ecologica e anche il buongoverno della città.
Note