L’idea di per se era semplicemente geniale: non hanno sempre detto gli ecologisti che non bisogna perdere niente, che bisogna riciclare tutto? Perché allora non utilizzare i rifiuti di uranio che residuano dalle attività nucleari militari e commerciali, e finora erano rimasti nei depositi? Come è ben noto l’uranio si trova, sia pure a bassa concentrazione, in varie rocce terrestri, in genere sotto forma di sali, in compagnia con i suoi prodotti di decadimento radioattivo, soprattutto radio e radon; la sua estrazione risale al Medioevo e il grande studioso di mineralogia industriale Giorgio Agricola (nei primi del Cinquecento) citava gli spiritelli maligni che si trovavano in certe miniere della Boemia e che facevano ammalare i minatori, probabilmente i gas tossici radioattivi derivati dai giacimenti di uranio.
L’uranio veniva estratto già nell’Ottocento e, per la sua fluorescenza, veniva usato negli orologi e nelle bussole; il minerale più abbondante allora noto era la pechblenda, estratta in Boemia; anzi quando Marie Curie, nel 1898, cercò di capire “che cosa c’era dentro” l’uranio, così potente da impressionare le lastre fotografiche, dovette andare a quasi elemosinare alcune tonnellate di scorie della lavorazione della pechblenda da cui, con grande pazienza, estrasse la misteriosa sostanze che si rivelò poi essere il radio.
Ma la vera importanza merceologica dell’uranio comincia con la scoperta, negli anni trenta, che l’uranio, quando è colpito da neutroni, subisce una scomposizione (fissione) con formazione di atomi più piccoli, con “perdita di massa” e con liberazione di energia in enorme quantità, per unità di massa, secondo quello che aveva previsto Einstein alcuni decenni prima.
La fissione dell’uranio si presentava quindi come una fonte di energia per le industrie e per la più importante industria di tutte, quella della guerra e della morte. “Purtroppo” la parte dell’uranio che subisce fissione – l’isotopo 235 – è minima, nella gran massa dell’uranio che è costituita per oltre il 99 % dall’isotopo “inutile” 238. Le bombe a fissione richiedevano dell’uranio costituito quasi esclusivamente da uranio-235 che doveva essere separato con vari accorgimenti dalla sua zavorra inutile, l’isotopo 238, appunto.
Per ottenere un chilo di uranio adatto per bombe occorre lasciarsi dietro alcuni quintali di uranio “impoverito” del prezioso isotopo fissile. Ma anche per far funzionare le centrali nucleari commerciali occorre uranio “arricchito” nell’isotopo 235; in questo caso basta passare dalla concentrazione originale di U-235 che è dello 0,7% a quella di circa il 3%; ma anche così ogni kg di uranio “buono per le centrali” si lascia dietro una decina di chili di uranio impoverito.
È cominciata così, negli anni Cinquanta, la caccia all’uranio; era così grande la fame di morte che intere squadre di cercatori andavano in giro per il mondo con i contatori Geiger, quelli che rivelano la radioattività del terreno. Le grandi compagnie chimiche, elettriche e degli armamenti si assicurarono concessioni per l’estrazione dell’uranio in Africa, Australia, India (qualcuno racconterà un giorno la storia della “corsa all’uranio” e del sangue e oppressione che si è lasciata dietro).
Per farla breve l’industria nucleare, commerciale e di guerra, ha trattato milioni di tonnellate di minerali di uranio per ricuperare centinaia di migliaia di tonnellate di combustibili per le centrali e di esplosivi per le bombe nucleari. Così a poco a poco si sono accumulate montagne di scorie di uranio impoverito sotto forma di ossidi o di metallo; un gran peccato perché l’uranio è un metallo con straordinarie proprietà: Intanto è molto “pesante”, ha un peso specifico di circa 19 grammi per centimetro cubo, inferiore a quello del platino (21), uguale a quello del tungsteno (19), molto inferiore a quello del piombo (11) e del ferro (8, sempre grammi per centimetro cubo).
Per ragioni di penetrazione i proiettili di artiglieria “è bene” che siano fatti di metalli ad alto peso specifico e per questo è stato usato su larga scala tungsteno. Ma il tungsteno costa troppo e la guerra è pure una impresa economica. E così qualcuno, negli anni ottanta, ha pensato di usare quelle scorie di uranio impoverito che stavano lì a occupare spazio nei magazzini. Si è così scoperto che l’uranio impoverito aveva anche l’eccezionale proprietà che, alle elevate temperature che si hanno quando il proiettile del cannone incontra una superficie metallica, come la corazza di un carro armato, l’uranio si incendia (si dice che è piroforico), cioè si trasforma in ossido con liberazione di energia. Durante l’impatto, infine, l’ossido di uranio si libera sotto forma di finissima polvere che finisce per asfissiare i sopravvissuti intrappolati senza scampo nel carro armato, e si spande tutto intorno per centinaia di metri.
Che cosa volete di più? Un metallo efficiente, tossico e anche un po’ radioattivo, il che non guasta per danneggiare il nemico.
I proiettili all’uranio impoverito sono stati impiegati in grande quantità nella guerra del Golfo del 1991 con grande successo, sia per la distruzione dei carri armati nemici, rottami rimasti nel deserto e contaminati di polvere di uranio, sia per il massiccio inquinamento dei suoli del territorio nemico. Nel solo periodo della guerra in Irak sono stati impiegati e lasciati sul suolo, come polvere tossica, 300.000 chilogrammi di uranio impoverito. Ottimi strumenti per il bombardamento con proiettili all’uranio sono gli aerei americani A-10, antitank, che portano un buon cannone a sette canne da 30 millimetri capace di sparare 4.200 proiettili al minuto. Utili anche i cannoni dei carri armati M1 Abrams e Bradley e anche i missili, con proiettili all’uranio arricchito, degli elicotteri Apaches
Purtroppo sul terreno dell’Irak conquistato sono passati anche i soldati americani che, tornati a casa, hanno cominciato a manifestare disturbi che qualcuno ha pensato associati al contatto con polvere di uranio. Alcuni reduci hanno allora deciso di far causa al governo americano che, come sempre succede, ha sostenuto con grande coraggio e determinazione che il contatto con polvere di uranio non è dannoso. E così, con un certo rilievo negli Stati Uniti, ma nel quasi totale silenzio in Italia, l’uranio impoverito (DU, secondo la sigla del nome inglese, depleted uranium) è entrato nel dizionario delle merci oscene.
Chi vuol sapere qualcosa di più su questo ”metallo della vergogna” può procurarsi il libro: “Metal of dishonor. How depleted uranium penetrates steel, radiates people and contaminates the environment”, di Helen Caldicott, pubblicato da: International Action Center, 39 W 14th Street, # 206, New York, NY 10011, USA. È tradotto anche in italiano col titolo: Il metallo del disonore, Trieste, Editore Asterios, 1999. Chi usa Internet può trovare molte altre informazioni nel sito: www.iacenter.org/depleted, in quello www.miltoxproj.org e sotto la voce “depleted uranium”. La Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite ha chiesto (risoluzione 1997/36) al segretario generale delle NU di preparare un rapporto sull’uso dell’uranio impoverito, e di altre armi di distruzione di massa o con effetti indiscriminati, incompatibili con il diritto umanitario internazionale e con le leggi sui diritti umani.
Passano gli anni senza che nessuno sappia se i proiettili all’uranio impoverito sono stati usati in qualche altro dei tanti conflitti degli anni passati, se sono presenti in Italia, fino a che le forze armate americane e Nato hanno dovuto ammettere che i proiettili all’uranio impoverito sono stati usati anche in Jugoslavia nel 1998-99 benché il loro uso viola le convenzioni internazionali e deve essere vietato, come sostiene l’appello internazionale redatto da Ramsey Clark, già procuratore generale degli Stati Uniti.
“Le armi all’uranio impoverito non sono armi convenzionali in quanto altamente tossiche e radioattive. Tutte le leggi internazionali di guerra si propongono di limitare la violenza ai combattenti e di impedire l’uso di armi crudeli e indiscriminate. Gli accordi e le convenzioni internazionali si propongono di proteggere i civili e i non combattenti dagli effetti della guerra e vietano la distruzione dell’ambiente e delle riserve alimentari per salvaguardare la vita sulla Terra. Pertanto le armi all’uranio impoverito violano la legge internazionale per la loro intrinseca crudeltà e i loro effetti mortali che non hanno confini; esse mettono in pericolo la popolazione civile ora e nelle generazioni future e sono proprio le armi vietate da oltre un secolo dalle leggi internazionali, compresa la convenzione di Ginevra e i protocolli aggiuntivi del 1977”.