La vita consiste sostanzialmente in un gigantesco flusso di materia ed energia dalla natura agli esseri viventi, che possono essere batteri, alghe, vegetali, mosche o mucche, i quali trasformano, col metabolismo, le sostanze chimiche, gassose, liquide o solide, degli “alimenti” presi dalla natura, liberando l’energia vitale e altre sostanze chimiche, gassose, liquide o solide, di scarto o rifiuto. Gli alimenti, compresa l’acqua, possono essere tratti soltanto dallo spazio, dall’“ambiente”, circostante che può essere il terreno, le acque dolci, le acque oceaniche, l’atmosfera, e le scorie e le spoglie della vita possono essere immesse soltanto nello stesso ambiente circostante e diventano nutrimento per altri esseri viventi attraverso le catene alimentari. Nel parlare degli scambi di materia che hanno luogo nell’ambiente da parte degli esseri viventi userò i termini “acquistare” e “vendere”; naturalmente si tratta di scambi non accompagnati da denaro, o da premi o da guadagni perché nella vita non c’è nessun profitto per nessuno e l’unico fine di tutti questi traffici è la propagazione della vita stessa. A rigore non c’è neanche la morte, come la intendiamo noi umani, perché gli atomi degli organismi, alla fine della loro vita utile, ridiventano fonte di vita per altri.
Alla base di tutto sta la formazione delle innumerevoli specie che chiamiamo vegetali e che si formano con la fotosintesi; la radiazione solare fornisce l’energia con la quale gli organismi vegetali acquistano anidride carbonica (per lo più dall’aria) e acqua dall’aria e dal suolo e le combinano formando molecole organiche contenenti carbonio, idrogeno e ossigeno e liberando ossigeno gassoso che viene “venduto” come scoria (per lo più all’aria); nei processi metabolici intervengono anche minori quantità di elementi come azoto e fosforo e molti altri.
La massa dei vegetali aumenta fino a quando alcuni finiscono la propria vita utile e decadono nell’ambiente circostante dove vengono decomposti, ad opera di microrganismi che “acquistano” ossigeno dall’ambiente e trasformano le molecole organiche delle spoglie in anidride carbonica e acqua che vengono “vendute” all’ambiente circostante e che saranno utilizzate per la formazione di altri vegetali, in un ciclo sostanzialmente chiuso.
Alcuni esseri viventi, che chiamerò, semplificando al massimo, animali, possono ricavare l’energia metabolica soltanto scomponendo, con liberazione di energia, molecole più complesse, dei vegetali e di altri animali, mediante l’ossigeno acquistato dall’aria, e liberando anidride carbonica e acqua (che finiscono nell’atmosfera) e altre sostanze che finiscono come escrementi nel suolo; qui altri organismi decompositori trasformano gli escrementi ancora in anidride carbonica e acqua. A differenza dei vegetali, capaci di nutrirsi da soli e che perciò i biologi chiamano produttori, o autotrofi, gli animali possono acquistare cibo soltanto da altri organismi e vengono chiamati perciò eterotrofi, che si nutrono di altri, o consumatori.
Questa grande circolazione di “vita”, dalla natura ai vegetali, agli animali, ai decompositori, alla natura, può essere descritta con una contabilità fisica, cioè sulla base dei grammi o dei chili di materiali prelevati dall’ambiente, trasformati e reimmessi nell’ambiente, un bilancio che ubbidisce al principio di conservazione della massa, per cui la massa, il peso, della materia entrata in ciascun processo deve essere rigorosamente uguale alla massa della materia che ne esce.
Nel grande palcoscenico della vita, nel corso di tremila milioni di anni, a seconda delle condizioni ambientali, della temperatura, della disponibilità di cibo, alcune specie vegetali e animali si sono moltiplicate di numero, altre sono scomparse. Fra le grandi estinzioni di specie animali quella dei dinosauri ha ricevuto la maggiore pubblicità mediatica e, se non altro, ha contribuito a popolarizzare una pagina della storia naturale.
Si potrebbe essere indotti a pensare che ogni essere vivente desideri crescere, desideri avere una numerosa progenie senza fine, ma una specie vivente potrebbe continuare ad aumentare di massa e di numero ? La risposta è “no” perché la massa di sostanze nutritive presenti nell’ambiente è limitata. L’“ambiente”, il pianeta, con le sue distese di aria, di oceani, di continenti, con i suoi 500 milioni di chilometri quadrati di superficie (150 milioni di chilometri quadrati di terre emerse), con i suoi 1.400 milioni di miliardi di tonnellate di acqua, quasi tutta salata negli oceani, con i suoi 5.000 miliardi di tonnellate di gas nell’atmosfera, è un serbatoio di materia grande, anzi grandissimo, ma non infinito. Se una specie si appropriasse di tutte le sostanze nutritive disponibili in un ambiente o sull’intero pianeta, così com’è, arriverebbe un momento in cui il cibo verrebbe a mancare e la stessa specie in espansione dovrebbe rallentare la propria crescita e scomparire.
Quanti animali di una certa specie possono abitare un certo ambiente naturale ? Un bel problema a cui si sono dedicati numerosi studiosi soprattutto nell’“età dell’oro” dell’ecologia, gli anni trenta del secolo scorso. Vari giganti intellettuali hanno elaborato una descrizione matematica della lotta per la vita: in un ambiente di dimensione e risorse limitate una specie vivente, per esempio una specie animale, può aumentare di numero dapprima rapidamente – quando il numero degli individui è piccolo e il cibo e lo spazio sono abbondanti – poi cresce più lentamente fino a raggiungere uno stato tale che i morti uguagliano i nuovi nati e la popolazione ha sufficiente cibo per riprodursi e vivere, con un numero di individui che è stazionario..
In forma matematica l’aumento del numero di individui per unità di tempo, dP/dt, è proporzionale al numero di individui esistenti P, con un coefficiente di crescita r (numero di individui per unità di tempo, cioè coefficiente di natalità meno coefficiente di mortalità); l’incremento effettivo diminuisce a mano a mano che aumenta il numero di individui:
dP/dt = r(1 – P/K)
Gli ecologi chiamano K la “capacità portante” (in inglese “carrying capacity”) di un ambiente, cioè il massimo numero di individui la cui presenza un ambiente può accogliere, sopportare, sfamare. A mano a mano che P si avvicina a K e che quindi l’espressione
rP(1 – P/K)
si avvicina a zero, anche dP/dt diventa zero e nel sistema il numero di individui della popolazione resta costante e uguale a K.
Ci sono altre complicazioni, perché le variazioni dell’età degli individui, della loro fertilità, eccetera, influenzano il coefficiente di crescita, ma molti dati sperimentali hanno mostrato che il numero di individui di una specie, P, in uno spazio limitato, in funzione del tempo t, segue davvero una curva più o meno a “esse”, con rapido aumento iniziale, rallentamento col passare del tempo e alla fine stabilizzazione. Si tratta della curva “logistica” riportata in tutti i trattatelli di ecologia e ben studiata dall’americano Alfred Lotka, dall’italiano Vito Volterra, dal russo Giorgi Gause.
Questi tre autori sono poi andati avanti con l’analisi matematica anche per descrivere come varia il numero di individui di una specie (predatori) che si nutre di un’altra specie (prede), di specie che convivono nello stesso territorio spartendosi lo stesso cibo, di specie che scambiano molecole con un’altra specie (simbiosi), che crescono uccidendo un’altra specie (parassiti), come i parassiti, dopo essere aumentati di numero, si estinguono (sotto l’azione di predatori, un fenomeno che sta alla base della “lotta biologica”, o sotto l’azione di agenti chimici), e tanti altri fenomeni della vita.
A questo punto Vladimir Kostitzin, un russo che era emigrato dall’Urss a Parigi, salta fuori dicendo: “nossignori”. Se guardate bene, la popolazione di una specie non può continuare ad esistere, sia pur senza crescere di numero, in una situazione stazionaria; molti fenomeni sperimentali mostrano che in uno spazio limitato, sia pure con cibo sufficiente, una popolazione, dopo aver raggiunto quel massimo numero di individui consentito dal parametro K, di cui si parlava prima, comincia a diminuire perché nell’ambiente si accumulano le scorie del metabolismo che risultano tossiche per la specie e ne avvelenano gli individui.
Ha ragione, ammise Volterra; l’equazione di crescita di una popolazione di viventi in un ambiente di dimensioni e risorse limitate deve essere completata con un fattore che tiene conto della “intossicazione del mezzo ambiente” e che fa diminuire la popolazione, nella forma
dP/dt = rP(1 – P/K – A)
una equazione integro-differenziale in cui A è proporzionale alla massa di escrementi e scorie generati dalla popolazione P, dal suo inizio fino al tempo t e accumulati nel mezzo stesso. Con un poco di pazienza analitica si vede che, con l’aumentare di P e quindi di A, alla fine, ad un tempo t infinito, la popolazione P si estingue.
Anche in questo caso si tratta di una semplificazione di fenomeni più complicati, utile peraltro per spiegare due principi fondamentali: (a) in un ambiente di dimensioni limitate e quindi di alimenti limitati una popolazione P non può crescere al di là di un certo numero K di individui, quelli che l’ambiente può “sfamare”; (b) in un ambiente di dimensioni limitate, nel quale si accumulano le scorie del metabolismo degli individui di una popolazione, il numero di individui, dopo aver raggiunto un massimo, declina fino all’estinzione della popolazione.
Chi legge con un briciolo di attenzione il libro “I limiti alla crescita” del Club di Roma, del 1972, non fa fatica a riconoscere che le equazioni di crescita e declino (di popolazione mondiale, produzione agricola e industriale, inquinamento) basate sulla “analisi dei sistemi” di Forrester, non sono altro che rielaborazioni dei due principi sopra indicati e che risalgono alla metà degli anni trenta del Novecento.
La precedente esposizione presenta interesse non solo biologico, ma anche per le analogie che i fenomeni considerati hanno con quelli che riguardano quella specialissima specie vivente che è rappresentata dagli umani. Gli umani si comportano come organismi animali consumatori, eterotrofi, che si nutrono di vegetali ed animali (esclusi (quasi sempre) quelli della loro stessa specie). Acquistano ossigeno dall’aria per il proprio metabolismo e vendono all’ambiente le scorie del metabolismo sotto forma di gas (nell’aria) o di escrementi.
Peraltro gli umani, in quanto animali speciali, hanno dei bisogni per i quali estraggono dall’ambiente sostanze differenti da quelle richieste dal puro e semplice metabolismo biologico. Fra tali sostanze vi sono minerali e rocce utilizzati per produrre metalli o costruire edifici, fonti di energia fossili come petrolio o gas o carbone, e l’uso e la trasformazione di ciascuno di questi materiali si svolge con un “metabolismo” che genera scorie differenti da quelle dei processi biologici, che finiscono nell’ambiente secondo cicli natura-merci-natura.
Esistono innumerevoli processi di trasformazione non biologici, il cui bilancio può essere redatto in unità fisiche. Un altoforno “compra” minerale di ferro e carbone coke e ossigeno e “vende” gas e metallo ferroso e scorie; peraltro, mentre la contabilità fisica dei processi tecnici è uguale a quella dei processi non umani, per i quali sono stati ugualmente usati i termini “comprare” e “vendere”, nei processi tecnici gli scambi sono mediati dal denaro. Una automobile compra aria (bene ambientale, senza pagare denaro) dall’atmosfera e benzina (pagandola in denaro al distributore) e vende all’atmosfera esterna anidride carbonica, ossido di carbonio e vari altri gas (mali ambientali, senza spendere denaro). In ciascun processo la massa dei materiali in entrata e di quelli in uscita è rigorosamente uguale, ma la composizione dei materiali in uscita è tale da alterare la utilizzabilità biologica del corpo ricevente, per cui le azioni tecniche e merceologiche umane impoveriscono alcuni territori dell’ambiente e contaminano altri territori.
I processi umani, a differenza di quelli non umani, fanno aumentare la massa di materiali che entrano nella biosfera (portandoli via da cave e miniere), provocando un rigonfiamento della tecnosfera (l’universo degli oggetti fabbricati) e fanno aumentare l’immissione nell’ambiente delle scorie in quantità e di composizione chimica che le rende non utilizzabili da altri esseri viventi e dagli stessi umani.
Non c’è quindi da meravigliarsi che durante i, e in seguito ai, processi umani ci si scontri con problemi di scarsità, di intossicazione dell’ambiente e di decrescita con pericolo addirittura di estinzione di alcuni componenti nella biosfera e della tecnosfera.
L’estinzione si è verificata varie volte nella storia umana sotto forma di scomparsa di specie animali a causa dell’eccessivo sfruttamento o della caccia o della pesca, di specie vegetali a causa dell’eccessivo taglio dei boschi, di specie di piante alimentari, abbandonate perché non erano abbastanza profittevoli per gli agricoltori.
Ma le società umane “si nutrono” di altre sostanze non biologiche, ma ugualmente essenziali per la vita economica: si pensi al petrolio che viene portato via dalla viscere della Terra per alimentare centrali e industrie e raffinerie, a molti minerali, eccetera. Anche questi “alimenti” non biologici in molti casi hanno subito fenomeni di impoverimento e di estinzione: si sono avuti l’esaurimento di giacimenti di petrolio, di minerali di zolfo e di nitrati, eccetera.
Le società umane sono sopravvissute andando a cercare gli stessi “alimenti” da altre parte, o dei sostituti, a loro volta destinati ad impoverirsi; in altri casi per evitare l’intossicazione del mezzo ambiente, le società umane sono state costrette a cambiare processi e tecnologie e beni materiali.
Un esempio è offerto dal cosiddetto “effetto serra”: un crescente consumo di combustibili fossili ha generato, dal secolo passato in avanti, grandi quantità di anidride carbonica che si è andata accumulando nell’atmosfera provocando alterazioni nell’equilibrio energetico del pianeta con conseguenti mutamenti climatici; per rallentare l’intossicazione dell’atmosfera ad opera dell’anidride carbonica di origine antropica gli umani sono costretti a mettersi d’accordo per rallentare il consumo di combustibili fossili; per ora si tratta di un rallentamento e non di una estinzione, ma gli effetti dell’intossicazione dell’ambiente ad opera dei metaboliti antropici sono riconoscibili.
Ancora più in generale, anche il numero di oggetti in circolazione, fabbricati dagli umani col solito ciclo natura-oggetti-natura, ubbidisce alle leggi della dinamica della popolazioni animali. Una merce si affaccia in un mercato, viene acquistata in un certo numero di esemplari, poi la richiesta degli acquirenti, la capacità ricettiva del mercato, si stabilizza, poi la stessa merce in circolazione declina e alla fine si estingue la sua produzione e il suo uso. I dischi fonografici di vinile si sono estinti quando sono stati inventate le cassette da registrazione a nastro, che si sono estinte quando il mercato è stato invaso dai CD; le penne stilografiche si sono praticamente estinte quando il mercato degli strumenti di scrittura è stato invaso dalle penne a sfera; le macchine per scrivere si sono quasi estinte, soppiantate dai personal computer. La produzione di zolfo da miniera si è praticamente estinta con l’invasione del mercato da parte dello zolfo recuperato dalla depurazione degli idrocarburi, un caso in cui la spinta ecologica ha ucciso una popolazione di merci sostituita da un’altra popolazione di merci concorrenti.
Si potrebbe scrivere una storia della tecnica e della merceologia seguendo la concorrenza che una popolazione di merci ha fatto, in un mercato, ad un’altra popolazione di merci, con andamenti che ben possono essere descritti con le equazioni di Lotka e Volterra.
Possiamo andare avanti in questo modo o l’analogia fra processi tecnico-merceologici e processi naturali può indurci a cambiare comportamento, ad anticipare i mutamenti e attenuare i costi e i danni dei mutamenti stessi ? Gli inviti al cambiamento di produzioni e di consumi, ci sono da tempo. Nel 1970 il biologo Paul Ehrlich scrisse un articolo sulla necessità di una decrescita, in alternativa al dovere della crescita considerato dogma dagli economisti; nel 1972 Nicholas Georgescu-Roegen ironizzò sulle proposte del Club di Roma di arrivare ad una società stazionaria, sottolineando l’impossibilità, proprio per le ragioni biologiche prima esposte, di attuazione di una società stazionaria e la prospettive di una decrescita. Con il termine “La decrescita” lo svizzero Jacques Grinevald curò una edizione francese di alcuni scritti di Georgescu-Roegen; il francese Serge Latouche ha riscoperto le virtù di una decrescita economica e il tema è stato ripreso dall’italiano Mauro Bonaiuti con un libro intitolato “Obiettivo decrescita”, pubblicato dalla EMI.
Dopo le mode dell’“ecologia” e della “sostenibilità”, adesso è arrivata la “decrescita” che rischia di diventare anch’essa una moda, bandiera di una nuova ondata di movimenti ecologisti, un po’ come nuova contestazione dell’“economia” che ha la crescita come suo dogma, un po’ come aspirazione romantica ad una vita semplice e amorevole. In tutti questi fermenti mi pare che troppo poca attenzione sia stata dedicata al fatto che il rischio di rallentamento della crescita e addirittura di estinzione non è un capriccio, ma è intrinsecamente legato ai fenomeni della vita e all’esistenza dei limiti fisici del pianeta Terra. Forse qualche buona lettura di genuina biologia e ecologia può aiutare sociologi e governanti a capire come soddisfare bisogni umani, vitali, senza sfidare le leggi che la natura impone e che non possono essere violate.