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Una resurrezione del nucleare?

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C’è stata una generazione, oggi, all’inizio del XXI secolo, di settantenni, che è cresciuta con il mito che l’energia nucleare avrebbe risolto tutti i problemi umani; è la generazione che fece scrivere al governi dei primi anni settanta del Novecento un piano energetico che prevedeva la costruzione di oltre quaranta centrali nucleari da 1000 megawatt ciascuna; che indusse i governi a investire migliaia di miliardi di lire del tempo nella costruzione della centrale francese Superphenix, quella che avrebbe dovuto produrre più energia di quella consumata. Questa generazione ha assistito all’incidente del reattore americano di Three Mile Island, alla catastrofe al reattore ucraino di Chernobyl, alle fughe di materiali radioattivi dei vari impianti nucleari nel mondo, alla fine ingloriosa del reattore Superphenix e dei tanti soldi, tratti dalle nostre tasse, dissipati in quella avventura. È la generazione che ha tirato un sospiro di sollievo quando due scienziati hanno annunciato la scoperta della “fusione fredda”, che avrebbe dato energia illimitata senza tutti gli inconvenienti dei reattori a uranio e plutonio, scoperta poi rivelatasi infondata. È la generazione che ha rincorso il sogno di ottenere elettricità commerciale dalla fusione dei nuclei di idrogeno, una reazione che effettivamente libera energia, ma utile solo per le bombe nucleari.

Questi sogni si sono volatilizzati non per colpa di una pattuglia di “ecologisti” ignoranti, di petulanti “antinucleari”, non per l’esito del referendum del 1987, o per la diminuzione (allora) del prezzo del petrolio, ma perché la possibilità di ottenere elettricità commerciale dalla fissione dei nuclei atomici si scontra con problemi tecnici ed economici e sociali che non hanno soluzione. Non fa meraviglia che la generazione delusa e i potenti gruppi finanziari e industriali che si illudono di trarre vantaggi da una resurrezione del nucleare si ripresentino adesso proponendo le centrali nucleari come soluzione agli inconvenienti che derivano dal crescente consumo di combustibili fossili, primo fra tutti l’effetto serra responsabile dei mutamenti climatici che stanno affliggendo tanti paesi.

È vero che la produzione di elettricità nucleare avviene senza formazione dei gas responsabili dell’effetto serra, anche perché permette di evitare l’inquinamento atmosferico derivante da quella parte di carbone, petrolio e metano che adesso è impiegata per le centrali termoelettriche. È vero che le riserve mondiali di petrolio e di gas naturale si impoveriscono rapidamente e che un numero crescente di pozzi di idrocarburi si sta esaurendo.

Ma in questo quadro la soluzione non può essere cercata – a parere mio e di molti altri – nel ricorso alla costruzione delle centrali nucleari. Tali centrali funzionano con un complesso ciclo che prevede l’estrazione di minerali di uranio, con formazione di scorie radioattive inquinanti, con la trasformazione dell’uranio naturale nell’”uranio arricchito” che subisce fissione nei reattori nucleari (con formazione di residui radioattivi di uranio “impoverito” che finora hanno trovato impiego nei proiettili di cannoni).

L’uranio arricchito viene poi sottoposto a fissione nei reattori con liberazione di calore e con formazione di atomi radioattivi (stronzio, cesio, iodio e altri) e di plutonio, tossico e radioattivo. Dopo vari mesi la “carica” del reattore viene estratta, con tutto il suo carico di elementi radioattivi, e viene lasciata a se per mesi o anni, con elevati costi di sorveglianza. Quando le piscine e i magazzini sono pieni degli elementi di “combustibile nucleare” esaurito, una parte viene sottoposta a delicate operazioni di separazione degli elementi radioattivi che devono essere tenuti isolati dalle acque e da qualsiasi forma di vita per decenni o secoli. C’è, all’insaputa di tutti, un traffico internazionale di residui radioattivi, alcuni destinati alla preparazione di armi nucleari, altri esposti a furti o ad azioni criminali; una parte finisce nei rottami e poi in materiali industriali.

Quando poi la vita utile di un reattore è finita, dopo una trentina di anni, tutte le parti interne contengono elementi radioattivi e la bonifica di un reattore, per evitare che le componenti radioattive finiscano nell’ambiente, comporta costi inimmaginabili perché nessuna soluzione convincente è stata finora trovata.

Così come non esiste alcuna soluzione per la sepoltura, ripeto per secoli, di tutti i materiali radioattivi formatisi durante il funzionamento e alla “morte” del reattore. Alcuni propongono di gettarne gradualmente una parte negli oceani, altri di sotterrarli in miniere di sale, o in posti isolati: il problema che le regioni italiane stanno affrontando adesso che il governo vuole sistemare le scorie radioattive esistenti in Italia in un “sito nazionale”, dove? in Puglia? in Sardegna?

La critica alla resurrezione del nucleare in Italia ha anche altri aspetti: se si fanno correttamente i conti si vede che le centrali nucleari producono elettricità ad un costo “superiore” a quello delle centrali tradizionali, nonostante le volonterose dichiarazioni del contrario da parte dei sostenitori del nucleare. Le centrali nucleari, durante il loro funzionamento “normale”, sono fonti di un sia pur limitato ma continuo inquinamento radioattivo e inoltre di un inquinamento termico dell’aria e delle acque superiore a quello delle altre centrali. Le centrali nucleari sono esposte a incidenti: quella di Chernobyl fu una catastrofe, ma altri incidenti sono avvenuti e sono possibili, con pericolo per le popolazioni, tanto che le norme internazionali impongono che le centrali siano collocate a distanza di sicurezza da centri abitati, industrie, installazioni militari.

No: le centrali nucleari non sono economiche, non sono sicure, non sono pulite e, con i materiali radioattivi che inevitabilmente generano, condannano decine di generazioni future a far la guardia a pericolosi depositi che esse si troveranno intorno, senza neanche sapere perché la nostra generazione ha voluto correre l’avventura nucleare.

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