Ambiente Tecnica Società. Rivista digitale fondata da Giorgio Nebbia

Virtù ecologica della semplicità

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Mi chiedevo un giorno se potesse esserci qualche ricetta per risolvere, o almeno alleggerire, molti guai ambientali, quando mi sono imbattuto in un trattato di ecologia – figurarsi! – nel frate francescano inglese Guglielmo di Occam, vissuto nella prima metà del 1300. Molti (la maggior parte dei) fenomeni della natura e della vita, infatti, appaiono guidati dal principio di economia logica, o parsimonia – il “rasoio” di Occam – che viene formulato proprio dicendo che non bisogna fare, con di più, quello che si può fare con meno (quia frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora). È lo stesso criterio per cui la luce si muove secondo la via che può percorrere nel minor tempo, come spiega il principio di Fermat, e che si incontra in alcuni fenomeni sociali illustrati da George Zipf nel suo libro sul “principio del minimo sforzo”.

Eppure la società moderna adotta proprio il contrario di questi saggi principi e, nel fare cose sempre nuove e diverse e più complicate, provoca una gigantesca dissipazione di materiali, di energia, di sforzi intellettuali, per ottenere effetti che sarebbero altrettanto soddisfacenti con  minore sforzo.

Consideriamo i materiali che “attraversano” l’ecosistema domestico e diventano, dopo breve tempo, rifiuti. Tali materiali comprendono carta, vetro, materie plastiche, lattine: i fabbricanti fanno ogni sforzo per produrre materiali e merci tutti differenti fra loro: la carta dei giornali e delle riviste patinate e i cartoni, sono fabbricati con additivi, miscele, trattamenti, differenti, che rendono difficilmente riutilizzabile il prodotto finale.

Da qui la disperazione di chi pratica, nelle case e nelle scuole, la raccolta separata della carta nella speranza che sia riciclata e che si possano risparmiare alberi e energia. Niente affatto. La carta così faticosamente raccolta finisce negli inceneritori o nelle discariche, mescolata a tutti gli altri ingredienti del pattume, perché la “carta straccia” della raccolta familiare è troppo eterogenea e le cartiere la rifiutano. Le cartiere che producono carta riciclata trovano più conveniente e utile acquistare carta straccia – magari importata da Francia, Germania e perfino Stati Uniti – omogenea, come è per esempio la carta delle “rese” dei quotidiani invenduti.

In questo modo, degli otto milioni di tonnellate di carta e cartoni usati ogni anno in Italia, sei vanno perduti, e solo due sono trasformati in nuovi carta e cartone, insieme ad un altro milione di t/anno di carta straccia di importazione. Eppure basterebbe che venissero fissati degli standards di qualità della carta per renderne più facile e commercialmente e tecnicamente attraente il riciclo.

Lo stesso discorso vale per i contenitori di vetro o di plastica. L’applicazione pratica ed ecologicamente corretta del “rasoio di Occam” si chiama unificazione, un’operazione praticata per molti manufatti di interesse industriale, ma che non riesce ad entrare nelle merci destinate al consumo finale, la principale fonte dei rifiuti. Qui domina la moda, la fantasia, la varietà – tutte virtù che impediscono il riutilizzo, richiedono un rapido ricambio dei prodotti e “garantiscono” la moltiplicazione delle discariche, degli inceneritori, delle importazioni di crescenti quantità di materie prime.

Lo stesso discorso vale per molti macchinari di uso domestico, dai frigoriferi, alle lavatrici, alle automobili. Ogni fabbricante si sforza di introdurre varianti, di personalizzare, come si dice, i prodotti, in modo che, dopo qualche tempo, ognuno venga buttato via completamente e nessuna parte sia riutilizzabile.

Al “rasoio di Occam” sembra ispirata la normativa europea e italiana sui rifiuti quando stabilisce che “le autorità competenti” devono promuovere l’immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da contribuire il meno possibile all’aumento dei rifiuti. Finora questo nobile principio è rimasto praticamente in applicato: se fosse preso sul serio, davvero si avrebbe una moltiplicazione delle innovazioni, un aumento dell’occupazione, minori importazioni – e meno inquinamento.

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