Alcuni studiosi del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Napoli hanno di recente reso noto che sono stati in grado di produrre un materiale con le proprietà della plastica, dalle … bucce di pomodoro. È un interessante esempio di quello che la ricerca scientifica può fare per utilizzare gli scarti e i residui che siamo abituati a “rifiutare”.
Intanto due parole sulla materia prima: il pomodoro è originario dell’America centrale dove era conosciuto e usato dagli Aztechi e dagli Incas già nel 700 dopo Cristo. Gli europei l’hanno conosciuto quando i “conquistadores” hanno raggiunto il Messico e l’America centrale nel XVI secolo; i suoi semi sono stati trasportati in Europa e la coltivazione si è estesa nei paesi del Mediterraneo, specialmente in Portogallo, Spagna, Italia. Per molto tempo il pomodoro è stato considerato una pianta ornamentale più che alimentare e l’uso dei frutti come alimenti risale al 1700. Quando si è scoperto che il succo poteva essere cotto e concentrato è cominciata la strada gloriosa di questo frutto. Nel 1809 il francese Nicolas Appert ha scoperto che vari prodotti vegetali, fra cui il pomodoro, potevano essere conservate a lungo se inscatolate e poi sterilizzate. Nasceva così l’industria della trasformazione del pomodoro, un frutto di elevato alimentare, ricco di vitamina A, di vitamina C e di licopene, una sostanza di colore rosso, chimicamente simile al carotene che è giallo ed è la provitamina A. Il licopene è dotato di proprietà antiossidanti.
Le bucce di pomodoro sono il sottoprodotto dei processi di conservazione del pomodoro e rappresentano dall’uno al 2 % del peso del pomodoro fresco, il quale a sua volta è costituito da quasi il 90 % di acqua. La produzione mondiale di pomodoro ammonta a 100 milioni di tonnellate all’anno; il primo produttore è la Cina, con 28 milioni di tonnellate all’anno; seguono gli Stati Uniti, la Turchia e l’India; al quinto posto l’Italia con 6 milioni e mezzo di t/anno, per circa la metà prodotti in Campania.
Della produzione italiana di pomodori una parte va al consumo diretto, ma oltre 5 milioni di tonnellate vanno ogni anno all’industria delle conserve che produce circa 2 milioni e mezzo di tonnellate di derivati – pelati, polpa, concentrato, passata di pomodoro – di cui l’Italia è il principale produttore in Europa (per un valore di oltre due miliardi di euro), seconda nel mondo soltanto agli Stati Uniti.
Si può calcolare che ogni anno, dalla trasformazione dei pomodori, residuino oltre 50 mila tonnellate di bucce; non si sa esattamente come vengano smaltite: in parte nelle discariche, in parte sono sottoposte a trattamenti che producono del “compost”, miscele di rifiuti organici che possono essere aggiunte ai terreni.
Ma fermiamoci un momento a considerare queste bucce: le conosciamo tutti perché sono le pellicole esterne con cui veniamo a contatto quando preleviamo i pomodori dai banchi di vendita e quando mangiamo i pomodori freschi: si tratta di pellicole lucide che, ad un esame più attento, appaiono dei veri capolavori della natura. La natura, a cui sta a cuore tutto quello che viene prodotto e che è destinato alla riproduzione delle specie, come appunto la polpa e i semi dei frutti, ha capito che la parte interna del frutto doveva essere protetta dagli agenti esterni, a cominciare dall’acqua delle piogge; a tal fine la natura ha provveduto a coprire la buccia, dei pomodori ma anche di tutti i frutti, con sostanze cerose che l’acqua non scioglie e su cui l’acqua scorre senza entrare all’interno del frutto.
La buccia è costituita, perciò, di materiale cellulosico rivestito da cutina, una miscela di resine e cere che la rendono, appunto, impermeabile all’acqua. Ma la buccia non deve essere perfettamente impermeabile perché, durante la formazione e la crescita, le sostanze organiche del frutto devono “respirare”, assorbendo gas dall’atmosfera e emettendo nell’atmosfera i gas che si formano nelle complesse reazioni interne. La botanica – la meravigliosa scienza della vita vegetale – spiega bene i delicati meccanismi esistenti sulla buccia di ogni frutto, capaci di regolare gli scambi di gas con l’atmosfera. Purtroppo se i frutti sono trattati con pesticidi è proprio sulla buccia che alcuni di questi si depositano.
Quando la chimica ha cominciato a guardare in faccia il “funzionamento” della vita vegetale ha scoperto che proprio la buccia era un deposito di materie che avrebbero potuto avere interesse merceologico e commerciale. Ho già ricordato che alcuni studiosi italiani hanno estratto dalle bucce di pomodoro alcuni polisaccaridi che si prestano per la preparazione di pellicole plastiche biodegradabili e resistenti; altri studiosi hanno scoperto che le sostanze cerose della cutina potevano essere impiegate come ingredienti di cosmetici.
C’è una crescente richiesta commerciale di licopene, la cui estrazione è stata studiata presso la Stazione Sperimentale per l’industria delle conserve alimentari di Parma; anche in questo caso la materia prima è costituita dalle bucce che contengono licopene in ragione di mezzo grammo per ogni chilo di buccia; un processo di estrazione con anidride carbonica potrebbe fornire 5.000 chilogrammi all’anno di licopene che viene usato come sostanza farmaceutica ed è quotato (2005) a circa 50.000 euro al grammo.