C’è la grande chimica, quella delle torri di distillazione, dei reattori catalitici e, nei laboratori, quella che scopre le strutture ultime della materia e della vita, con raffinati strumenti di indagine. Ma esiste ancora una chimica umile che risolve piccoli importanti problemi, come quelli dell’analisi del vino o del latte, silenziosi colleghi che usano strumenti antichi ma sempre utili; uno di questi è il butirrometro “di Gerber”. Chi era costui? Il chimico svizzero Niklaus Gerber era nato nel 1850 a Thun; dopo aver frequentato le Università di Berna e Zurigo, aveva studiato chimica a Parigi e Monaco e aveva passato due anni come specialista dell’analisi e del trattamento del latte, nella Swiss-American Milk Company a Little Falls, nello stato di New York. Anche allora commercianti disonesti annacquavano il latte che veniva venduto a volume e non sulla base di caratteristiche merceologiche definite e la lotta alle frodi era necessario nella pubblica amministrazione e nell’industria.
Mezzo secolo prima, nel 1841, il chimico francese Théodore August Quevenne (1805-1885) aveva descritto, in una “Mémoire sur le lait”, pubblicata negli “Annales d’Hygiène Publique et de Médecine Légal” HPML, vol. 26, pagina 5, uno speciale densimetro che permetteva di riconoscere, abbastanza accuratamente, se un latte era stato addizionato con acqua a fine di frode, ma le frodi, in quella età dell’industrializzazione, continuavano. Il latte di mucca ha un peso specifico di circa 1,033 a 15 gradi Celsius e un contenuto di grasso di circa 3-3,5 %; i vari stati avevano stabilito che il latte genuino doveva avere un contenuto minimo di grasso (oggi è del 3,2 %); un valore inferiore avrebbe svelato la frode per annacquamento. Prima di Gerber altri avevano proposto dei metodi per la misura del contenuto di grasso del latte, ma il suo “acidobutirrometro”, inventato e brevettato nel 1891, avrebbe risolto il problema.
L’acidobutirrometro consiste in una specie di provetta con un corpo più grande, aperto ad una estremità, e una colonnina più sottile e chiusa, Dalla bocca della provetta vengono introdotti 11 millilitri di latte, 10 ml di acido solforico di densità 1,82 e 1 ml di alcol amilico. Si ha una reazione esotermica che provoca la separazione del grasso dal latte; la provetta viene chiusa con un tappo e viene posta, col tappo in basso, in un bagnomaria a 65-70°C. L’alcol amilico ha la funzione di assicurare la rottura dell’emulsione che si forma nell’interfaccia fra grasso e liquido sottostante e la separazione del grasso dal liquido acquoso. La provetta viene posta in una centrifuga riscaldata e viene centrifugata per 10 minuti a 1200 giri al minuto. Questa serie di operazioni assicura la raccolta dello straterello limpido di grasso nella parte sottile della provetta, graduata con numeri da 2 a 4 se si analizza il latte di mucca, da 2 a 6 se si analizza il latte di pecora. Regolando il tappo, si fa coincidere il livello inferiore dello strato di grasso con lo zero della taratura; la gradazione a cui arriva il livello superiore del grasso corrisponde alla concentrazione del grasso in grammi per 100 ml di latte; quello che si misura effettivamente è il volume del grasso, ma la gradazione tiene conto del peso specifico del grasso che è circa 0,8.
Il metodo Gerber è seguito ancora oggi in tutto il mondo; negli Stati Uniti viene usata anche una variante, basata sullo stesso principio, proposta nel 1890 dal chimico Stephen Babcock (1845-1931), un professore della Stazione Agraria Sperimentale del Wisconsin, il quale non brevettò la sua invenzione e si accontentò della gloria che gli venne dai suoi concittadini. Gerber invece brevettò il suo metodo e il suo butirrometro e fece anche fortuna. Nel 1904 creò a Lipsia una società “Dr.N.Gerber Ltd.”, che è poi migrata fra la Germania e la Svizzera per sfuggire alle due guerre mondiali. Gerber nel frattempo era morto nel 1914; la multinazionale che porta il suo nome vende ancora oggi apparecchi da laboratorio.
Con l’acidobutirrometro è possibile misurare il contenuto in grasso non solo del latte, ma anche del formaggio che, a seconda della qualità, contiene da 30 a 45 grammi di grasso per 100 g di formaggio tale e quale (per esprimere, come vuole la legge, il contenuto di grasso in % in peso sul secco occorre ovviamente misurare l’umidità del formaggio con uno dei metodi ufficiali di analisi o con l’ingegnoso metodo di distillazione azeotropica dell’acqua che si raccoglie e misura nella “trappola” di E.W. Dean e D.D. Stark o di Bidwell-Sterling). La misura del contenuto in grasso del formaggio utilizza una variante del metodo Gerber messa a punto dal chimico tedesco M. Siegfeld. (quanta gente !). Nella solita provetta del butirrometro si introducono 2,5 g di formaggio grattugiato, 1,5 g di acqua e i soliti 10 ml di acido solforico e 1 ml di alcol amilico, e si procede come già detto, tenendo conto della differenza di peso fra 11 ml di latte e 2,5 g di formaggio. Per inciso il latte non è poi tanto umile perché nel mondo se ne producono ogni anno circa 600 milioni di t, la metà della quantità di acciaio prodotta nello stesso periodo nel mondo.