In questo gran parlare di energie e di materie prime rinnovabili forse qualche soluzione può essere cercata proprio sulla porta di casa: è il caso della ginestra che si trova, con i suoi arbusti spontanei perenni, nelle valli italiane e specialmente nel Mezzogiorno, nelle quali un mare di fiori gialli accoglie, da maggio a ottobre, i viaggiatori. Sembra che il Sole, dopo aver fatto crescere la pianta, abbia voluto, per sovrappiù aggiungere i carotinoidi per rendere ancora più belli e splendenti i suoi fiori, e un attraente profumo.
Il principale genere di ginestra diffuso in Italia ha il nome botanico Spartium junceum. La ginestra è citata dal botanico greco Teofrasto (371-187 avanti Cristo) e dal naturalista romano Plinio (23-79 dopo Cristo) il quale addirittura credeva che le ceneri della pianta contenessero oro, chi sa?, forse ispirato dal colore oro dei fiori. La ginestra ha molte virtù ecologiche: è una leguminosa e come tale cresce fissando direttamente l’azoto atmosferico, senza bisogno di apporto di concimi azotati sintetici.
La ginestra, con le sue radici, ha un effetto stabilizzante sulle scarpate e sui fianchi delle valle e fornisce un contributo diretto e gratuito alla difesa del suolo contro l’erosione che continua a distruggere ricchezza provocando frane e alluvioni. Almeno una parte dei costi e dei dolori provocati dalle frane e dalle alluvioni, specialmente nel Mezzogiorno, avrebbero potuto e potrebbero essere evitati se si ricoprissero i fianchi delle valli con le piante che trattengono il suolo, come appunto la ginestra o la robinia. La ginestra è una interessante fonte di fibre tessili naturali rinnovabili; i Fenici, i Cartaginesi, i Greci e i Romani avevano capito che in suoi steli potevano essere utilizzati per farne canestri e che potevano fornire una fibra tessile adatta per corde; negli scavi di Pompei sono state trovate degli stoppini per lucerne fatti di fibre di ginestra.
L’utilizzazione degli steli delle ginestre a fini tessili è però rimasta limitata per molti secoli a livello artigianale e familiare, anche se fibre di ginestra sono state presentate nella Fiera Campionaria di Napoli del 1821, nelle Esposizioni di Firenze e di Napoli del 1850, 1857, 1864 e in quella di Parigi del 1878. L’interesse per le fibre di ginestra è aumentato nel periodo dell’autarchia fascista (si veda il recente libro di Marino Ruzzenenti, pubblicato dall’editore Jacabook, 2010) in quanto potevano sostituire, per la produzione di tele, corde e sacchi, le fibre di iuta che dovevano essere importate. Negli anni trenta del Novecento furono approfondite le conoscenze sulla coltivazione della ginestra e furono perfezionati i sistemi di produzione delle fibre. Nel 1940 funzionavano una sessantina di ginestrifici, soprattutto in Toscana, con una produzione di 700.000 tonnellate all’anno.
Dopo la Liberazione sono tornate disponibili le fibre di iuta di importazione e subito dopo c’è stato l’avvento delle fibre sintetiche che hanno oscurato l’interesse per le fibre di ginestra la cui produzione è sopravvissuta su piccola scala in poche comunità della Basilicata e della Calabria; musei della lavorazione della ginestra si possono visitare a Longobucco (Cosenza) e a San Paolo Albanese (Potenza), a testimonianza del lavoro di molte generazioni con queste fibre. La nuova attenzione “ecologica” per le fibre naturali rinnovabili ha spinto molti studiosi, anche in Italia, a riscoprire quanto era noto sulla produzione delle fibre di ginestra e sui suoi usi; un ulteriore spinta si è avuta con il lancio, all’inizio del 2009, dell’Anno mondiale delle fibre naturali da parte della FAO, l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione (http://www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/articolo.aspx?id_articolo=14&tipo_articolo=d_cose&id=57).
Le fibre di ginestra si ottengono dai rami nuovi, o al più di uno o due anni, detti verbene. Le verbene devono essere sottoposte ad un processo di macerazione che decompone le sostanze pectiche che tengono “incollate” fra loro le fibre che, dopo la macerazione, vengono staccate per trattamento meccanico. Si ottengono circa 5 chili di fibre da 100 chili di verbene, la cui resa arriva a 10 tonnellate per ettaro; come sottoprodotto si ottiene un materiale adatto per la produzione della carta. Siamo quindi di fronte ad un sistema integrato che consente la difesa del suolo e la produzione di fibre tessile e carta. Le fibre di ginestra sono state utilizzate in molti campi industriali che vanno da pannelli isolanti, a componenti delle carrozzerie di automobili. È in corso una nuova attenzione della moda per oggetti “ecologici” a base di ginestra, come scarpe, borse, tessuti. Con i perfezionamenti tecnici già disponibili e con quelli che possono essere sviluppati, la ginestra può avere un ruolo economico e merceologico importante, con prospettive di occupazione nel Mezzogiorno.
Non sono certo solo ad amare e ammirare la ginestra. Giacomo Leopardi (1798-1837) nel 1836 osservandola sulle falde del Vesuvio le ha dedicato una celebre poesia, “ecologica” anch’essa: “Tu, lenta ginestra/che di selve odorate/ queste campagne dispogliate adorni”, riconoscendo la paziente resistenza della pianta nelle condizioni avverse di una arida natura, nel nome della forza della vita. E Gabriele d’Annunzio (1863-1938) nella poesia “La pioggia nel pineto” chiama le ginestre “fulgenti /di fiori accolti”. La ginestra deve essere stata amata anche da tutti gli abitanti delle valli italiane se se ne si trova così diffuso il nome in tanti paesi e villaggi. Un nome tristemente noto è quello di Portella della Ginestra in provincia di Palermo, l’altopiano in cui i banditi di Salvatore Giuliano tesero un agguato ai contadini che celebravano pacificamente e festosamente il primo maggio del 1947, uccidendone undici, fra cui due bambini. Gli altri sono nomi gioiosi come quelli di due paesi in provincia di Benevento e di Potenza, di Ginestra degli Schiavoni anch’essa in provincia di Benevento, del torrente Ginestra nel bacino idrografico del Calore, eccetera.
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