Il testo che proponiamo è di grande interesse, perché si tratta di una prolusione accademica, dunque di carattere scientifico, elaborata sia per motivare l’istituzione del primo corso nazionale di ecologia un una Facoltà di economia, nell’università di Bari per l’esattezza, sia per tracciare un impegnativo progetto di ricerca che Giorgio Nebbia condurrà per i successivi trent’anni, offrendo un contributo originale al dibattito sul controverso rapporto tra ecologia ed economia. Nebbia spiega come l’economia, basata sulla contabilità monetaria riassunta nel pil o pnl, rappresenti inevitabilmente una realtà distorta e portatrice di conseguenze dannose per la stessa umanità; per evitare ciò, invece, anche per questa fondamentale attività umana sarebbe imprescindibile una contabilità bio-fisica come appunto si fa in ambito biologico da parte dell’ecologia. Questa lezione che occorre apprendere dalla natura porterà Nebbia a impegnarsi nei successivi decenni per rendere esplicita questa nuova contabilità materiale che potrebbe rifondare l’economia umana mettendola in condizione di riconciliarsi il più possibile con l’ecologia e quindi con la natura.
Il lettore potrà apprezzare la portata anticipatrice di tutte le tematiche che rappresentano il cuore della questione ecologica ancora oggi, ovvero il rapporto irrisolto tra economia e biosfera e tra tecnica e natura. Nel contempo, scoprirà con sorpresa che la “moda ecologica” non è di oggi, degli anni di Greta Thunberg, e che l’accorto Nebbia, dopo la breve stagione della “primavera ecologica”(1969-1972), aveva già percepito che, come tutte le mode, sarebbe durata poco.
Marino Ruzzenenti
***
Indice
Ecologia ed economia
di Giorgio Nebbia
Rielaborazione ed aggiornamento della prolusione al corso di Ecologia tenuta nella Facoltà di economia e Commercio dell’Università di Bari il 13 novembre 1972, pubblicata in “Giornale degli economisti e annali di economia”, luglio-agosto 1973, cedam, Padova 1973, pp. 453-455
1. L’economia della natura
L’interesse di un corso di ecologia in una facoltà di economia va al di là del semplice fatto che le due parole hanno in comune la radice che dà un’idea dell’oggetto delle due discipline, rispettivamente lo studio e la gestione dell’«oikos», casa o ambiente e delle relative risorse; di fatto fra le due discipline esistono stretti rapporti.
Quando Haeckel, nel 1866[1], scelse il nome ecologia per lo studio delle relazioni fra organismi vegetali e animali e l’ambiente in cui essi vivono, certamente aveva in mente l’assonanza con l’economia, tanto che lui stesso indicò che l’ecologia rappresentava una forma di studio dell’economia della natura. Gli esseri viventi traggono il propri nutrimento dal mondo circostante, dai gas dell’atmosfera, dai componenti inorganici del terreno, dai composti chimici organici di altri esseri viventi; in questa rete complessa ed armonica di rapporti la stessa morte perde quel che di squallido siamo abituati ad attribuirle, come distruzione delle speranze e delle ambizioni, e diventa un momento dei grandi cicli naturali, fonte di nuova vita.
Per circa un secolo l’ecologia si è andata sviluppando come disciplina essenzialmente naturalistica e i suoi cultori, prevalentemente biologi, botanici e zoologi, hanno accumulato un vasto patrimonio di conoscenze sperimentali; una cattedra universitaria di ecologia agraria è stata istituita a Perugia nel 1924, cinquant’anni fa, e riviste specializzate di ecologia e trattati di ecologia sono stati pubblicati già molti decenni fa. Tutta questa massa imponente di lavoro scientifico ha però ricevuto ben poca popolarità tanto che, quando l’ecologia è diventata di moda, alla fine degli anni 60, la maggior parte delle persone l’hanno scoperta come una disciplina «nuova» e si sono moltiplicati gli ecologi dell’ultima ora, generalmente più queruli di quelli in servizio permanente effettivo; non c’è quindi da meravigliarsi se molti di questi ultimi si sono indignati per la mercificazione (e la mistificazione) che si andava facendo della loro disciplina.
Come tutte le mode, anche quella dell’ecologia sta declinando e dalla sedimentazione di molto chiasso rimane un ripensamento destinato a fornire, quasi certamente, frutti positivi sul piano scientifico e sul piano operativo.
Innanzi tutto gli ecologi tradizionali hanno scoperto l’esistenza di altre discipline e il contributo che esse possono dare alla loro; in secondo luogo molti studiosi di varie discipline, comprese quelle economiche, demografiche, merceologiche, ecc., hanno scoperto l’aiuto che l’ecologia può dare alla comprensione dei loro problemi. Infine, proprio perché l’ecologia è un invito alla sintesi, a riconoscere la solidarietà, sul pianeta, tutti quelli che si sono avvicinati all’ecologia con animo candido ne hanno tratto un desiderio di allargare i propri orizzonti includendo l’attenzione per gli equilibri fra l’uomo e gli altri esseri viventi, l’effetto delle attività umane sull’ambiente, il tutto non con spirito puramente conservazionistico, come si suol dire, ma con la coscienza che tutti siamo legati a tutti gli altri, che la sopravvivenza degli altri[2] esseri viventi e il rispetto per gli equilibri della biosfera è premessa per la sopravvivenza dell’uomo e soprattutto per assicurare all’uomo una vita di qualità dignitosa.
Il considerare l’ecologia come studio dell’economia della natura dà una misura abbastanza precisa di questa disciplina che studia precisamente la contabilità degli scambi fra energia, risorse chimiche inorganiche e organiche e esseri viventi; chi si occupa dell’ecologia di uno stagno misura la quantità di energia (generalmente di energia solare) che arriva in questo stagno, come questa energia è assorbita dagli esseri viventi del primo livello della catena alimentare, i produttori, che fabbricano sostanze organiche attraverso la fotosintesi, utilizzando appunto l’energia solare, e che diventano fonte di alimenti per gli animali, i consumatori, che si nutrono di vegetali produttori. Gli animali di ciascun livello trofico si nutrono inoltre di quelli del livello trofico precedente e diventano alimenti per gli animali del livello trofico successivo, fino all’uomo che si nutre di vegetali e animali e non serve di nutrimento a nessuno. Produttori e consumatori trasformano energia e prodotti chimici in rifiuti e questi vengono trasformati a loro volta nell’ambiente, per via chimica e microbiologica, in composti ancora utilizzabili come nutrimento. Di tutti questi fenomeni si può tenere una contabilità abbastanza accurata, in termini di unità di energia incidente, di unità di peso di materiali prodotti e trasformati, e gli ecologi sono stati capaci di sviluppare tale contabilità per uno stagno, per una foresta, per moltissimi ecosistemi, per l’intera biosfera[3].
Se si guarda bene, anche l’economia fa le stesse operazioni e tiene la stessa contabilità per un ambiente che è, a volta a volta, la comunità domestica, l’azienda, la comunità nazionale, quella internazionale. Economia e ecologia si sono incontrate quando il ragioniere dello stagno o della foresta ha scoperto che gli equilibri oggetto del suo studio erano turbati da immissioni o azioni dovute all’uomo non più in quanto essere vivente, in quanto partecipe delle leggi della biosfera, ma in quanto costruttore di case, fabbricante di merci, modificatore del corso dei fiumi, in quanto agente modificatore dell’ambiente che toglie le risorse naturali dalle loro riserve trasformandole in prodotti non più degradagli e riutilizzabili[4], rompendo i cicli naturali con forze così grandi e rapide da non lasciare tempo alla Terra di rimettersi in equilibrio[5]. Nello stesso tempo il ragioniere delle attività economiche ha scoperto che nella sua contabilità sfuggiva qualcosa e che questo qualcosa aveva degli effetti negativi sull’ambiente, il che significava, in ultima analisi, negativi sulla stessa contabilità economica.
La principale differenza fra i due ragionieri sta forse nel fatto che quello ecologico ha scelto come indicatori delle unità fisiche (quantità di prodotti chimici e di energia scambiati nell’ambiente), mentre il ragioniere economico ha trovato come unico indicatore le unità monetarie[6] e molte cose della nostra vita non sono valutabili in tali unità, per cui il quadro preparato dal secondo è notevolmente distorto. (La cosa è ancora più complicata perché ci sono altri fenomeni che sfuggono sia all’ecologo che all’economista e che non sono traducibili né in unità fisiche né in unità monetarie, e che sono l’amore, la felicità, il silenzio, la libertà, il piacere, la dignità, per i quali per ora nessun indicatore è disponibile).
La teoria dell’economia del benessere ha cercato di approfondire gli effetti esterni, difficilmente contabilizzabili, delle attività umane, da Pigou[7] a numerosi altri studiosi[8]; qui mi limiterò ad un esempio banale per suggerire l’interesse della sintesi fra ecologia e economia. Un soggetto economico taglia una foresta per costruire una casa o per ricavarne cellulosa; queste azioni figurano in forma positiva nella contabilità economica perché aumenta lo spazio abitabile disponibile e la quantità di carta disponibile. Entrambi questi fenomeni figurano nei bilanci nazionali come aumento del reddito del paese e degli individui e noi consideriamo che tale aumento è un bene in senso assoluto.
L’ecologo che osserva il fenomeno fa notare, però, che, in seguito al diboscamento, il suolo è soggetto ad erosione, sarà più difficile piantare altri alberi, i detriti dell’erosione finiranno a valle e disturberanno il corso dei fiumi, gli equilibri naturali e gli animali allo stato naturale che vivevano nel bosco e nel sottobosco saranno disturbati; l’ecologo può mostrare effetti del diboscamento anche più remoti, come l’aumento degli insetti di un certo tipo, magari quelli nocivi, e la diminuzione degli animali utili all’uomo, e così via. Anche se non sa dare una valutazione quantitativa a tali fenomeni e tantomeno una valutazione in termini monetari, l’analisi ecologica mostra che, accanto ad un beneficio per l’individuo che ha potuto vendere la casa o la cellulosa, il taglio del bosco ha comportato dei costi per qualcuno, per colui che un giorno sarà alluvionato in seguito alle frane, per colui che dovrà comprare degli insetticidi per difendersi dall’aumento dei parassiti, e così via. Nella contabilità nazionale, quindi, figurano dei benefici per alcuni individui, ma non figurano i costi per altri individui e quindi non viene riflesso il reale stato di benessere totale del paese.
2. Il paradosso del PNL
La scoperta di più strette correlazioni fra economia e ecologia è il più interessante sottoprodotto della recente collera ecologica – anche se i risultati dell’incontro non sono sempre stati soddisfacenti, in primo luogo perché la differente mentalità disciplinare ha reso difficile il dialogo, poi perché ecologi ed economisti sono stati talvolta portati a semplificazioni non utili all’analisi scientifica del problema.
Fra i risultati più significativi si è avuto il vasto movimento di critica al significato reale, in termini di benessere sociale, di quell’indice economico che chiamiamo prodotto nazionale lordo, accusato di non tenere conto di tutti gli effetti laterali ecologici negativi delle attività umane.
Due spiritosi e più volte citati paradossi del prodotto nazionale lordo sono quello delle due sorelle e quello dell’isola di Nauru. Bertrand de Jouvenel ha scritto[9] che se ci sono due sorelle, una delle quali fa la ballerina e l’altra sta in casa ed educa i figli, la prima contribuisce all’aumento del reddito nazionale pur facendo un lavoro non necessariamente entusiasmante dal punto di vista sociale, mentre la seconda è negativa dal punto di vista dell’aumento del reddito nazionale, pur svolgendo un compito socialmente molto utile. Secondo l’altro paradosso, fra i piccoli paesi, come gli sceiccati del petrolio, che hanno un reddito pro capite superiore ai 5.000 dollari annui degli Stati Uniti, un posto a parte occupa l’isola di Nauru in Oceania[10]; i Nauriani avevano, già alcuni anni fa, un reddito di circa 6.600 dollari all’anno pro capite che deriva loro dal fatto che l’isola è un enorme deposito di minerali fosfatici che i Nauriani esportano con successo, vendendo così pezzo a pezzo il proprio territorio; col reddito ricavato mangiandosi il capitale, i Nauriani possono acquistare più automobili di qualsiasi altro abitante della Terra, pur non avendo strade per farle circolare, hanno più frigoriferi, anche se l’acqua da mettere al fresco viene trasportata con navi cisterne da centinaia di chilometri di distanza. Quando, fra pochi decenni, avranno venduto tutta la loro isola, i Nauriani dovranno prendere i segni della loro opulenza e dovranno trasferirsi da qualche altra parte perché il loro reddito è stato ottenuto a spese della loro stessa casa, del loro stesso territorio.
E i Nauriani sono fortunati perché hanno un altro sito in cui andarsi a rifugiare; se tutti noi terrestri dilapidassimo le risorse del pianeta alla stessa maniera, non avremmo alla fine nessun altro posto dello spazio in cui andare, essendo il pianeta Terra la nostra unica fragile casa.
Probabilmente dobbiamo scoprire dei nuovi indicatori che permettano di determinare non soltanto o non tanto il prodotto nazionale lordo (pnl), quanto il benessere nazionale lordo (bnl), una grandezza che comprenda oltre ai minerali estratti, alle merci prodotte, all’energia consumata, anche la disponibilità di spazi verdi, di silenzio, di animali allo stato naturale, di abitazioni adatte all’uomo. In altre parole dobbiamo imparare ad amministrare il pianeta e le sue risorse con attenzione sia economica che ecologica e per far ciò è opportuno che coloro che amministrano l’economia dei rapporti degli uomini fra loro e con le risorse naturali, prestino attenzione anche agli aspetti ecologici, agli effetti negativi delle attività umane. E proprio questo è lo scopo di questo nuovo corso introdotto nella facoltà economica di Bari.
3. L’economia ambientale
Fortunatamente un numero crescente di economisti[11] sta prestando attenzione a questi problemi e si stanno già delineando vari indirizzi che vanno da coloro che tendono a minimizzare l’importanza dei danni ambientali[12], ai critici, di ideologia radicale, della nostra attuale contabilità sociale[13], a quelli, che potremmo chiamare i riformisti, che auspicano la correzione delle attuali distorsioni ecologiche con strumenti economici come imposte, disincentivi, ecc. Fra questi ultimi vi sono Kneese e coll.[14] , Dales[15] e vari altri[16], fra cui gli italiani Gerelli, Muraro, Romani[17].
L’ultima proposta è quella di porre dei «limiti allo sviluppo» avanzata dal Club di Roma sulla base di indagini condotte al Massachusetts Institute of Technology dal discusso Forrester, uno specialista di analisi dei sistemi[18]. Nonostante la pubblicità, le critiche provenienti sia da ambienti conservatori (sul metodo di indagine), sia da ambienti progressisti (sulle implicazioni reazionarie e politiche) hanno mostrato la limitata validità di tale proposta.
Personalmente non sono favorevole alle soluzioni che suggeriscono di bloccare la produzione anche perché, se è vero che alcuni sulla Terra consumano eccessivamente risorse naturali e inquinano in grado elevato, noi abbiamo bisogno di produrre cibo, case, servizi per coloro che ancora vivono in condizioni sub-umane[19].
Il problema non è di rifiutare la tecnologia, ma di convivere con essa usando innovazioni tecnologiche per ridurre i danni ambientali, per produrre merci meno inquinanti, usando strumenti economici che spingano ad adottare tali tecnologie e indagini ecologiche per verificare se le azioni hanno avuto successo, se si sono verificati effetti secondari imprevedibili, e così via.
Bisogna soltanto ricordare che, come qualsiasi riforma, anche la riforma ecologica comporta dei costi, proprio perché si propone di correggere delle ingiustizie economiche; perché l’inquinato abbia minori costi, occorre che l’inquinatore affronti dei costi e quindi ricavi minori benefici. La valutazione dei costi e dei benefici richiede il lavoro interdisciplinare di ecologi ed economisti, la raccolta di dati finora trascurati, l’invenzione di nuovi metodi di ragionare, per esempio secondo grandi sistemi in cui ogni elemento è interrelato con gli altri.
4. Rifiuti e inquinamento
L’analisi della produzione di rifiuti e dell’inquinamento è un caso relativamente semplice (anche se già molto complesso) di applicazione ai problemi ambientali delle teorie economiche.
Molto schematicamente immaginiamo che un soggetto economico, che chiameremo «l’inquinatore» tenga pulita la propria casa o la propria fabbrica o il proprio campo gettando i propri rifiuti, senza alcuna spesa, «al di fuori» della casa o della fabbrica, scaricandoli, per esempio, se si tratta di composti gassosi, nell’aria, o se si tratta di composti solidi o liquidi in un fiume. Ci sarà qualche altro soggetto, che chiameremo «l’inquinato» il quale sarà costretto a respirare aria poco pulita e che si ammalerà e dovrà spendere dei soldi per il medico e le medicine; oppure l’inquinato che contava di trarre il proprio cibo pescando nel fiume, scoprirà che i pesci sono scomparsi e in seguito all’inquinamento dovrà spendere dei soldi per comprare di che nutrirsi. L’inquinatore ha avuto un vantaggio economico non spendendo i soldi per la depurazione degli effluenti e l’inquinato deve affrontare dei costi senza avere alcun vantaggio.
La teoria economica si è occupata abbastanza estesamente di queste ingiustizie e dei mezzi per correggerle sul terreno dei rapporti privati fra soggetti economici; in via di principio l’inquinatore potrebbe risarcire l’inquinato, ma in pratica ciò è impossibile. L’ecologia inoltre mostra che i rifiuti si diffondono nei corpi riceventi mescolandosi, interferendo fra loro, con aumento o diminuzione della rispettiva nocività per l’uomo e per gli esseri viventi e insegna che gli effetti nocivi si propagano a catena attraverso fenomeni biologici estremamente complessi; la morte biologica di un fiume non si traduce in un danno soltanto per il pescatore, ma fa sì che l’acqua del fiume non possa essere utilizzata come potabile, da parte di una città a valle, o per l’irrigazione, per cui la risoluzione privatistica dei rapporti fra inquinatore e inquinato non è praticamente possibile e per ristabilire una qualche forma di giustizia occorre ricorrere agli strumenti dell’economia pubblica, ad interventi fiscali, e così via.
Qui la letteratura è meno abbondante, ma si sta moltiplicando da qualche anno a questa parte e sta nascendo un nuovo capitolo della scienza economica, quello dell’economia ambientale, destinato ad avere un ruolo teorico e pratico di primaria importanza nell’orientare gli amministratori verso scelte sensate[20].
Anche in questo caso l’ecologia insegna che, per evitare di mettere in moto reazioni a catena negative, è opportuno cercare di prevenire o ridurre l’immissione di rifiuti nell’ambiente; essa indica anche che le riserve di certe risorse naturali non rinnovabili, ma anche di certe risorse rinnovabili, possono essere compromesse da un eccessivo sfruttamento, anche in questo caso non monetizzato dalla contabilità tradizionale[21].
Evidentemente dobbiamo quindi introdurre due nuovi elementi, un costo, equivalente all’ammortamento tradizionale, che tenda a scoraggiare lo spreco delle risorse non rinnovabili, e un costo che tenda a scoraggiare l’immissione di rifiuti nell’ambiente in forma nociva e inquinante.
Tralasciando il primo punto, la cui teoria è ancora rudimentale[22], è invece opportuno soffermarsi sul secondo punto, cioè sulla relazione fra produzione di rifiuti e inquinamento; anche se nel parlare corrente la parola «rifiuti» ha un che di repellente, l’esame oggettivo della realtà ecologica e merceologica mostra che tutte le nostre attività consistono nel sottrarre le risorse naturali dalle loro riserve (di dimensioni finite anche se grandi), nel trasformarle in merci con la nostra tecnologia e, dopo l’uso, nel trasformare le merci in rifiuti. Se si eccettua il materiale immobilizzato in costruzioni come edifici, strade e ponti, tutti gli altri materiali si trasformano in una quantità di rifiuti superiore a quella delle risorse e merci utilizzate; la differenza, come è ben noto, è dovuta all’ossigeno sottratto dall’atmosfera e impiegato per le ossidazioni e combustioni[23]. Per restare ad un esempio banale noi acquistiamo un chilogrammo di benzina e rigettiamo nell’ambiente circa 4 chilogrammi di rifiuti, costituiti da circa 2,3 kg di anidride carbonica, da 1,3 kg di vapore acqueo, da 0,4 kg di ossido di carbonio, più varie quantità di ossidi di azoto, di anidridi dello zolfo e circa mezzo grammo di composti del piombo.
La distinzione fra produzione di rifiuti e inquinamento deriva dalla quantità e dalla natura chimica e fisica del rifiuto, nonché dalla dimensione e dalla natura del corpo ricevente (aria, fiumi, laghi, mare, ecc.), dallo stato in cui il corpo ricevente si trova e dai cicli biologici che in tale corpo ricevente si svolgono e che possono trasformare gli agenti inquinanti nocivi in agenti non nocivi.
La stessa anidride carbonica che viene prodotta nelle combustioni, accumulandosi nell’aria avrebbe effetti disastrosi sulla temperatura del pianeta se, attraverso il ciclo dell’acqua e il ciclo del carbonio, come insegna l’ecologia, non finisse abbastanza rapidamente nei mari; il calore di rifiuto di una centrale termoelettrica può avere effetti molto modesti se è scaricato in un grande fiume, oppure effetti dannosi sulla flora e sulla fauna se è immesso in un piccolo fiume e ne fa aumentare la temperatura delle acque di 10 o 15 gradi.
Ora qualsiasi azione di politica economica ecologicamente attenta deve disporre di una grande massa di informazioni sui cicli produttivi, sulla produzione dei rifiuti, sul loro destino nell’ambiente, sull’effetto inquinante; queste informazioni sono necessarie per stabilire attraverso quali incentivi o disincentivi un inquinatore è indotto a mutare tecnologia o a ridurre l’immissione di rifiuti nell’ambiente, sempre tenendo presente che le operazioni cosiddette di depurazione non distruggono i rifiuti, ma non fanno altro che trasformarli da una forma ad un’altra (presumibilmente) meno inquinante dal punto di vista ecologico.
5. Le «matrici dei rifiuti»
Un contributo relativamente recente alla raccolta, rappresentazione ed elaborazione di dati economici-ecologici è offerta dalla costruzione delle cosiddette «matrici dei rifiuti» che rappresentano sostanzialmente uno sviluppo ed estensione delle ben note matrici intersettoriali dell’economia. Noi siamo più o meno, attualmente, al punto in cui era Leontief col suo gruppo agli inizi degli anni 30 quando cercò di trasformare le tabelle intersettoriali espresse in unità fisiche (quali erano state usate per qualche tempo nell’URSS) in matrici intersettoriali in unità monetarie.
Esistono almeno undici diverse proposte di costruzione di matrici dei rifiuti[24], ma nessuna di queste
è andata al di là della semplice enunciazione o di qualche esercizio numerico molto semplice; qui proverò a proporre una dodicesima formulazione partendo dall’esame (figura 1) delle interrelazioni fra risorse naturali, merci e rifiuti (o residui, se la parola suona meno offensiva).
Lo scopo di una matrice dei rifiuti è quello di rispondere alla seguente domanda: se si vuole ridurre la concentrazione di un certo agente in un certo settore dell’ambiente, su quali settori delle attività economiche occorre agire e quali effetti un’azione su un settore avrà sugli altri settori? Un esempio banale e ultrasemplificato può dare qualche indicazione sulla maniera di procedere. Immaginiamo (figura 2) che la matrice dei rifiuti sia composta di tre quadri. Il primo (A) è sostanzialmente simile a quello tradizionale input-output dell’economia nel quale figurano le transazioni fra un settore e l’altro, in unità monetarie o fisiche; avremo qui i settori produttivi e dei servizi che scambiano beni fra loro e che forniscono beni al settore dei consumi finali. Il secondo quadro (B) indica la quantità di ciascun residuo (di natura fisica o chimica) espressa in unità fisiche, prodotta da ciascun settore produttivo o dal settore dei consumi. Il terzo quadro (C) indica in quale corpo ricevente della biosfera, dell’ambiente, ciascun rifiuto verrà immesso.
Immaginiamo che la matrice della figura 2 illustri la situazione ipotetica della produzione di un solo residuo, l’anidride solforosa, che viene immesso in un solo corpo ricevente, nell’atmosfera. Nel quadro A appaiono non le quantità di beni oggetto di transazione fra i vari settori, ma, fra parentesi quadre, le quantità di anidride solforosa generate come conseguenza di tali transazioni. Apparirà così che il settore dei trasporti quando utilizza come combustibile carbone acquistato dalle miniere produce 50 unità di anidride solforosa mentre produce 200 unità dello stesso agente chimico quando
brucia gasolio o olio combustibile acquistato dalla raffinerie di petrolio: in tutto 250 unità. L’industria metallurgica produce 100 unità di anidride solforosa acquistando minerali dalle miniere e trasformandoli in metalli; le raffinerie di petrolio producono 50 unità di anidride solforosa trattando il petrolio greggio d’importazione e infine il settore dei consumi finali produce 300 unità di anidride solforosa bruciando per il riscaldamento domestico olio combustibile acquistato, come al solito, dalle raffinerie. Il quadro B indica la diversa provenienza del residuo in esame e il quadro C mostra che, complessivamente, 700 unità di anidride solforosa vanno a finire nell’atmosfera.
Adesso immaginiamo che gli ecologi mettano in guardia contro l’eccessiva quantità di anidride solforosa nell’atmosfera e che gli amministratori li ascoltino e decidano di ridurre l’immissione da 700 a 500 unità intervenendo sul settore principale responsabile dell’inquinamento, cioè sul settore dei consumi domestici; anche in questo caso la scelta sarà determinata da considerazioni ecologiche (probabilmente l’inquinamento atmosferico urbano è più concentrato e più nocivo rispetto a quello dovuto ai trasporti o all’industria metallurgica) ed economiche: per esempio la considerazione di applicare incentivi o imposte al settore più facilmente raggiungibile.
L’analisi dei quadri C, B ed A, e soprattutto l’esame delle relazioni intersettoriali del quadro A, mostrerà, per esempio, che un’imposta proporzionale al contenuto in zolfo dei combustibili usati nel riscaldamento domestico, o un incentivo per l’uso di gas naturale o del riscaldamento elettrico avranno come effetto una diminuzione della vendita di olio combustibile da parte delle raffinerie, una modificazione del costo dei prodotti raffinati a basso contenuto in zolfo che si ottengono come coprodotti insieme all’olio combustibile nelle stesse raffinerie, una modificazione nella qualità e nella quantità del petrolio greggio importato, una variazione (forse un aumento, forse una diminuzione) della produzione di anidride solforosa nel processo di raffinazione del greggio, e così via. Può anche capitare che un’azione fiscale diretta a scoraggiare la produzione di anidride solforosa nelle città, abbia come effetto di far aumentare l’inquinamento nelle zone industriali dove sono situate le raffinerie: questi effetti possono essere messi in evidenza attraverso considerazioni ecologiche e merceologiche che integrino le informazioni a disposizione dell’economista.
6. Alla ricerca di una contabilità ambientale
Le matrici dei rifiuti alle quali stiamo lavorando sono in realtà alquanto più complesse (figura 3) e comprendono vari settori di grande importanza ecologica ed economica.
Innanzitutto il quadro A comprende le importazioni nel settore delle attività economiche di beni ambientali (acqua, ossigeno, aria, ecc.) alle quali non è associata alcuna transazione economica, ma il cui uso può avere effetti ecologici negativi; le caldaie di riscaldamento domestico, per bruciare il combustibile, «importano» dall’atmosfera esterna ossigeno che ritroveremo fra i residui del quadro B combinato col carbonio sotto forma di anidride carbonica (o eventualmente sotto forma di ossidi di azoto, come risultato della reazione, alle alte temperature esistenti nel forno, dell’ossigeno con l’azoto pure presente nell’aria, una reazione, questa, laterale che non ha niente a che vedere con la produzione di calore, il bene economico, ma che ha un costo ecologico).
Nel quadro B troveremo, oltre alle voci relative al trasferimento dei vari residui dai settori produttivi e dei consumi, anche le importazioni di rifiuti dai settori esterni al territorio a cui l’analisi si riferisce. Si pensi alle nostre coste sull’Adriatico su cui arrivano come sporcizia gli idrocarburi scaricati dalle petroliere in transito che portano petrolio alle nostre raffinerie, ma anche quelli scaricati nel mare dalle cisterne che portano petrolio greggio alle raffinerie jugoslave o che alimentano, attraverso il TAL, le raffinerie dell’Europa centrale; in questi ultimi casi l’importazione di rifiuti non è associata ad alcuna transazione di beni che interessano l’economia del nostro paese.
Analogamente nel quadro C figurano, oltre all’immissione dei rifiuti nei vari corpi riceventi ambientali del territorio considerato, anche le esportazioni di rifiuti a territori esterni a quello in esame.
Infine è necessario trovare qualche forma per rappresentare le attività di depurazione, trattamento o riciclaggio dei rifiuti; una parte dei rifiuti viene trasferita dal quadro B ad un nuovo quadro D che descrive le operazioni di trattamento dei rifiuti nel corso delle quali, sostanzialmente, il rifiuto non fa altro che cambiare forma.
Prendiamo il caso delle fognature di una città che venivano scaricate in un fiume; se viene adottato un depuratore le sostanze organiche presenti vengono trasformate in composti gassosi che vengono immessi nell’atmosfera, e in un fango che viene immesso nel suolo; non cambia quindi, in generale, la quantità del rifiuto (anzi generalmente tale quantità aumenta), ma ne cambia la composizione chimica e cambia il corpo ricevente finale. Il residuo del trattamento di depurazione può anche essere un prodotto utile (il fango potrebbe essere usato come fertilizzante) e in questo caso si ha un trasferimento di una merce, prodotta nel corso del trattamento dei rifiuti, ad un settore produttivo compreso nel quadro A (per esempio all’agricoltura) e in tale quadro dovrà figurare una voce di «importazione dal trattamento dei rifiuti».
Questa contabilità economica-ecologica può essere sviluppata con diversi gradi di aggregazione, dal livello domestico (al limite) o di fabbrica, a quello di regione geografica, di bacino idrologico, di nazione o di comunità di nazioni. Il confronto fra simili contabilità per i diversi paesi può dare indicazioni sulle differenti produzioni di rifiuti dovute all’uso di differenti materie prime o tecnologie; il confronto fra le contabilità relative ad anni successivi può permettere una verifica del mutamento della quantità e qualità dei rifiuti in seguito all’aumento della popolazione, all’aumento del prodotto nazionale lordo, ai mutamenti tecnologici.
Nella forma in cui la figura 3 è stata presentata siamo certamente davanti ad una semplificazione che fornisce soltanto una base indicativa per iniziare il lavoro di raccolta e di elaborazione dei dati. Inoltre siamo in grado di elaborare qualche caso di contabilità ambientale, secondo la rappresentazione della figura 3, non sotto forma di «matrice», ma, per ora, sotto forma di tabella di unità fisiche la cui trasformazione in forma di matrice, in unità fisiche o in unità monetarie e nei relativi coefficienti tecnici, richiede un’elaborazione lunga e non facile da parte di un gruppo interdisciplinare. Ed ecco, ancora una volta, la necessità dell’incontro fra studiosi di scienze naturali e studiosi di scienze sociali[25], per cui la riscoperta dell’ecologia ha avuto anche un ruolo unificatore delle due o più culture, in una sola cultura, quella della solidarietà e della sopravvivenza, anzi della solidarietà per la sopravvivenza. Se tale incontro finirà poi per porre in discussione tutte le regole del gioco del nostro attuale tipo di società, mettendo in moto tutta una reazione a catena di carattere culturale e politico, è un problema grosso che merita un discorso a parte[26].
[1] Ernst Haeckel, Generelle Morphologie der Organismen, Verlag von Georg Reimer, Berlin 1866. Il primo uso, per quanto mi consta, della parola “ecologia” si trova nel cap. XI del VI libro: «Unter Oecologie verstehen wir die gesamte Wissenschaft von der Beziehungen des Organismus zur umgebenden Aussenwelt», vol. II, p. 286. Il concetto si ritrova, accompagnato dalla definizione di “economia della natura”, nell’opera Storia della creazione naturale, una raccolta di conferenze la cui prima edizione tedesca è del 1868, la settima è del 1879, l’ottava è del 1889. Sulla settima edizione tedesca, comprendente 24 conferenze, è stata fatta una traduzione francese, Histoire de la création des ètres organisés, Reinwald, Paris1884 (3a ediz. francese); «L’oecologie…, la science de l’ensemble des rapports des organismes avec le monde extérieur ambiant, avec les conditions organiques et anorganiques de l’existence; ce qu’on a appelé l’economie de la nature » (24a conferenza: «Objections contre la vérité de la théorie genealogique et preuves de cette théorie», p. 551). Una traduzione italiana comprendente 30 conferenze è stata fatta sulla ottava edizione tedesca e la frase sostanzialmente uguale si trova nella 30a conferenza («Prove in favore della teoria della discendenza», in Storia della creazione naturale, Utet, Torino 1892, p. 457). Il rapporto fra ecologia e «economia» degli organismi e la spiegazione dei relativi fenomeni con la teoria dell’adattamento e dell’eredità sono ripresi nell’opera, sempre dello stesso Haeckel, Antropogenia, o storia dell’evoluzione umana, la cui prima edizione tedesca è del 1874, la quarta è del 1891 e su questa è stata fatta la traduzione italiana, pubblicata, col titolo sopra ricordato, da Utet, Torino, nel 1895 (cfr. quinta conferenza, La moderna filogenesi, p. 75).
[2] In termini un po’ spregiudicati, anche se perfettamente vera scientificamente, è questa la prima legge dell’ecologia secondo Barry Commoner, Il cerchio da chiudere, traduzione italiana, Garzanti, Milano 1972, p. 29-34.
[3] Il termine «ecosistema» è stato introdotto per la prima volta da A.G. Tansley, The use and abuse of vegetationel concepts, in “Ecology”, n. 16, pp.284-307, 1935, anche se il carattere unitario, o di sistema, come diremmo oggi, della natura era già stato riconosciuto da Goethe nel 1780. Il termine «biosfera» è stato introdotto da W.I. Vernadsky, di cui si veda, per es.: The biosphere and the noosphere, in «American Scientist», n. 33, 1945, pp. 1-12. Fra i numerosi trattati di ecologia che il lettore può consultare per approfondire le basi naturalistiche della disciplina si possono ricordare: E.P. Odum, Fundamentals of ecology, 3rd edition, Saunders, Philadelphia 1971; Roger Dajoz, Manuale di ecologia, traduzione italiana, Isedi, Milano 1972; Giorgio Marcuzzi, Ecologia animale, Feltrinelli, Milano 1968. Fra i libri di ecologia a carattere didattico e divulgativo si possono ricordare le due seguenti traduzioni italiane: E.P. Odum, Ecologia, Zanichelli, Bologna 1966 e varie ristampe successive (si tratta di una edizione molto ridotta rispetto ai Fundamentals of ecology, dello stesso autore, sopra ricordati): P. Aguesse, Guida all’ecologia, Feltrinelli, Milano 1972.
[4] W.L. Thomas Jr. (editor), Man’s role in changing the face of the Earth, University of Chicago Press, Chicago 1956; recente ristampa in edizione economica, nel 1970. Si tratta di una raccolta di saggi di grande importanza.
[5] E’ questo il concetto espresso da Commoner nel libro citato nella nota 2; alcuni hanno fatto notare che, in realtà, il ciclo della natura non è mai stato chiuso e che sempre alcune specie animali scompaiono e altre sorgono: il guaio è che la modificazione dei cicli naturali è ora così rapida, e le forze scatenate così potenti (si pensi alla radioattività artificiale), da far temere che questa volta la specie in pericolo possa, essere quella umana.
[6] «La teoria economica tradizionale non si occupa di sostanze fisiche, ma dei servizi che danno luogo ad un flusso di utilità; gli oggetti materiali sono solo dei veicoli con cui vengono trasmessi alcuni di questi servizi e vengono scambiati perché i consumatori desiderano i servizi direttamente associati col loro uso o perché permettono di aggiungere valore al processo produttivo. (E, in nota: «Sia Fisher che Knight hanno avvertito gli economisti che le grandezze a cui si applica il ragionamento economico sono, secondo le parole di Knight, “i servizi e non le merci”». Cfr. I. Fisher, Nature of capital and income, New York 1906, e F. H. Knight, Risk, uncertainty and profit, Boston e New York 1906)». A.V. Kneese e R.C. d’Arce, Pervasive external costs and the response of society, in The analysis and evaluation of public expenditures: the PPB system, Joint Economie Committee, U.S. Congress, 91 Cong. l sess., Washington 1969, vol. 1, pp. 87-115.
[7] A.C. Pigou, Wealth and welfare, 1912; nelle edizioni successive l’opera assunse il titolo di The economics of welfare, MacMillan, London I edizione 1920, IV edizione 1932.
[8] Cfr., per es.: E.J. Mishan, The postwar literature on externalities: an interpretative essay, in «Journal of Economic Literature», n. 9, marzo 1971, pp. 1-28.
[9] Bertrand de Jouvenel, Arcadie. Essais sur le mieux-vivre, Futurible, SEDEIS, Paris 1968. Il paradosso delle due sorelle è nel saggio L’economie politique de la gratuité, datato 1957, pp. 9-23.
[10] World’s richest people live on tiny Pacific isle, in «Washington Post», 3 luglio 1970.
[11] Un intero fascicolo del «Swedish Journal of Economics», vol. 73, n. 1, marzo 1971 (ristampato col titolo: The economics of the environment, P. Bohm e A.V. Kneese (editors), MacMillan, London 1971), è stato dedicato ai problemi di economia ambientale; un volume intitolato Problems of environmental economics, OECD, Paris 1972, contiene gli atti di un seminario tenuto all’OECD nel luglio 1971. In questi ultimi mesi si sono andati moltiplicando i libri e le raccolte di saggi sugli aspetti economici dei problemi ambientali e fra questi si possono ricordare: (a) S. Tsuru (editor), Environmental disruption. Proceedings of International Symposium on environmental disruption, Asahi Evening News, Tokyo 1970; (b) W. A. Johnson e J. Hardesty, Economic growth vs. the environment, Wadsworth Publishing Co., Belmont California 1971; (c) A.M. Freeman III, R.H. Haveman e A.V. Kneese, The economics of environmental policy, Wiley, New York 1973; (d) M.I. Goldman (editor), Ecology and economics: controlling pollution in the 70’s, Prentice-Hall Inc., Englewood Cliffs, New York 1972; (e) R. Dorfman e N.S. Dorfman (editors), Economics of the environment, Norton, New York 1972. Una bibliografia di articoli e libri americani sull’applicazione dell’analisi costi-benefici ai problemi ambientali è contenuta in: Cas ou l’analyse couts/avantages a pu ètre appliquée à des problémes d’environnement: États-Unis, OECD, Paris 1 giugno 1972.
[12] Colin Clark, (a) Population growth and land use, MacMìllan, London 1967; (b) Popolazione e sviluppo, in «Rivista di Politica Economica», a. 3, n. 63, marzo 1973, pp. 307-322. Wilfred Beckerman, (a) Why we need economic growth, in «Lloyds Bank Revìew», ottobre 1971, pp. 1-15; (b) Environmental policy and the challenge to economic theory, in Political economy of environment, Mouton, Paris 1972, pp. 103-111; (e) Economists, scientists and environmental catastrophe, in«Oxford Economic Papers», a. 24, n. 3, novembre 1972, pp. 327-344; (d) «Environment», «needs» and real income comparisions, in«Review of Income and Wealth», a. 18, n.4, dicembre 1972, pp. 333-339. Su una posizione simile si trova, per es., M. De Luca, (a) Ecologia ed economia politica, in«La Provincia di Napoli», n. 2, aprile-giugno 1971, pp. 29-33; (b) Difesa dell’ambiente naturale e scienza economica, in Studi in onore di Giuseppe Ugo Papi, Cedam, Padova 1972, pp. 283-297. Fra i lavori delle diligenti squadre di aziendalisti di ispirazione produttivistica e anti-ecologica si possono ricordare i seguenti: J.H. Bragdon e J.A.T. Marlin, Is pollution profitable? The case of the pulp and paper industry, 19 ottobre 1971; Is pollution profitable? Environmental virtue and reward: must stiffer pollution controls hurt profits?, in«Risk Management», aprile 1972, pp. 9-18; J.T. Marlin, Accounting for pollution, in«Journal of Accountancy», febbraio 1973, pp. 41-46. Si veda anche la letteratura ivi citata per avere un’idea della mercificazione dell’ecologia.
[13] K.W. Kapp, (a) The social cost of private enterprise, 1950, ristampa pubblicata da Schocken Books, New York 1971; (b) Environmental disruption and social costs: a challenge to economics, in«Kyklos», a 23, n.4, 1970, pp. 833-848, anche in: Political economy of environment, Mouton, Paris 1972, pp. 91-102; (e) Environmental disruption: general issues and methodological problems, in«Social Science Information», a. 9, n. 4, 1970, pp. 15-32; (d) Social costs, neo-classical economy, environment, in: Political economy of environment, Mouton, Paris 1972, pp. 113-124. Kenneth Boulding, (a) The economics of the coming spaceship Earth, in H. Jarrett (editor), Environmental quality in a growing economy, Johns Hopkins Press, Baltimore Maryland 1966, pp. 3-14, ristampato anche in altre antologie di scritti ecologici; (b) Economics as an ecological science, cap. 2 del libro dello stesso autore: Economics as a science, McGraw-Hill, New York 1970, pp. 23-52; (e) Fun and games with the Gross National Product: the role of misleading indicators in social policy, in H.W. Helfrich Jr. (editor), The environmental crisis: Man’s struggle to live with himself, Yale University Press, New Haven Connecticut 1970, pp. 157-170. Si veda anche la critica a questa e a simili posizioni fatta da Joel Darmstadter, GNP does matter, in«Bulletin of the Atomic Scientists», a. 27, n. 10, dicembre 1971, pp. 46-48. E.J. Mishan, (a) The costs of economie growth, Pelican Books, London 1969, traduzione italiana col titolo: Il costo dello sviluppo economico, Franco Angeli, Milano 1971; (b) Technology and growth: the price we pay, Praeger, New York 1970; (e) Pangloss on pollution, in «Swedish Journal of Economics», a. 73, n. 1, marzo 1971, pp. 113-120 . J.K. Galbraith, (a) The affluent society, Penguin, 1962; traduzione italiana col titolo: La società opulenta, Etas/Kompass, Milano 1967; (b) L’economia e la qualità della vita, traduzione italiana, Mondadori, Milano 1972. J. Schumacher, (a) Clean air and future energy, National Society for Clean Air, Des Voeux Memorial Lecture, 1967, ristampato col titolo Economici and, conservation in «Manas», a. 22,n.24, 11 giugno 1969, pp. 1, 2, 7 e n. 25, 18 giugno 1969, pp. 1, 2, 7, 8 e riprodotto anche in varie antologie; (b) Buddhist economy, in «Resurgence», a. 1, n. 11, gennaio-febbraio 1968; questo articolo, ristampato in varie antologie di scritti ecologici, è molto importante perché indica le prospettive delle filosofie orientali; (e) The economics of permanence, in «Resurgence», a. 3, n. 1, maggio-giugno 1970; (d) The economics of conservation, in: G. Nebbia (a cura di), L’uomo e l’ambiente, Tamburini, Milano 1971, pp. 60-66. Theodore Roszak, Where the wasteland ends: politics and trascendence in post-industrial society, Faber and Faber, London 1973. Garrett Haroin, (a) The tragedy of the commons, in «Science», n. 162, 13 dicembre 1968, pp. 1243-1248; (b) To trouble a star: the cost of intervention in nature, in«Bulletin of the Atomic Scientists», a. 26, n.1, gennaio 1970, pp. 17-20; cfr. anche il commento di R.B. Coffman, Economics, ecology and politicai decisions, ibid., a. 27,n. 4, aprile 1971, pp. 2-4 e la risposta di Hardin nello stesso fascicolo a p. 4. Gunnar Myrdal, Economics of an improved environment, conferenza tenuta a Stoccolma l’8 giugno 1972; traduzione italiana col titolo: Economia di un ambiente migliore, in «Ecologia», a. 3, n. 8, gennaio 1973, pp. 4-8 e n. 9, marzo 1973, pp. 2-8. Interessante anche il recente libro di N. Georgescu-Roegen, The entropy law and the economie process, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1971; cfr. anche Peter Victor, The macroeconomics of pollution, in «Technology and Society», a.7, n. 4, novembre 1972, pp. 118-121.
[14] (a) A.V. Kneese e B.T. Bower, Managing water quality: economics, technology, institutions, Johns Hopkins Press, Baltimore Maryland 1968; (b) A.V. Kneese e B.T. Bower (editors), Environmental quality analysis: theory and method in the social sciences, Johns Hopkins Press, Baltimore Md. 1972; raccolta di importanti saggi; (c) A.V. Kneese, The economics of environmental pollution in the United States, Atlantic Council, Washington dicembre 1970; (d) A.V. Kneese, E.E. Rolfe e J.W. Harned (editors), Managing the environment: international economic cooperation for pollution control, Praeger, New York 1971: raccolta di saggi preparati per il Consiglio Atlantico degli Stati Uniti. Il saggio di Kneese citato alla nota (c) immediatamente precedente è alle pp. 3-52.
[15] J.H. Dales, (a) Pollution, property and prices. An essay in policy-making and economics, University of Toronto Press, 1968; (b) Straightening out the economics of pollution, in «Industrial Water Engineering», settembre 1969, pp. 38-42; (e) Land, water and ownership, in «Canadian Journal of Economics», a. 1, n. 4, 1968, pp. 791-804, ristampato anche in R.M. Irving e G.B. Priddle, Crisis, MacMillan, London 1972, pp. 293-311.
[16] Peter Bohm, Pollution, purification and the theory of external effects, in«Swedish Journal of Economics», a. 72, n.2, giugno 1970, pp. 153-166. R.M. Solow, The economist’s approach to pollution and its control, in«Science» n. 173,6 agosto 1971, pp. 498-503. A.M. Freeman III e R.H. Haveman, Residual charges for pollution control: a policy evaluation, in «Science», n. 177,28 luglio 1972, pp. 322-329. William J. Baumol, (a) Environmental production, international spillovers and trade, Wicksell Lecture, 1971, Almqvist & Wiksell, Stockholm 1971; (b) Environmental protection and the distribution of income, in: Problems of environmental economics, OECD, Paris 1971, pp. 67-73; (e) On taxation and the control of externalities, in«American Economie Review», a. 62, n. 3, giugno 1972, pp. 307-322. M. Common e D.W. Peaece, Adaptive mechanisms, growth and the environment: the case of natural resources, in«Canadian Journal of Economics», agosto 1973, D.W. Pearce, An incompatibility in planning for a steady state and planning for maximum economic welfare, in«Environment and planning», a. 5, 1973, pp. 267-271.
[17] (a) E. Gerelli, La difesa della natura: problemi economico-finanziari, Ilses, Milano marzo 1970; (b) E. Gerelli, U. Pototschnig e G. Muraro, La tutela delle acque, Angeli, Milano 1970; (e) G. Muraro, Antipollution policy and cost allocation: the issue in practice, in: Problems of environmental economics, OECD, Paris 1972, pp. 41-57; (d) F. Romani, Gli strumenti della politica economica e l’ambiente, Convegno Camera dei Deputati, Roma 18-19 giugno 1973.
[18] D.H. Meadows e altri, I limiti dello sviluppo, Mondadori, Milano 1972 e Club di Roma, La nuova soglia, in D.L. e D.H. Meadows (a cura di), Verso un equilibrio globale, Mondadori, Milano 1973, pp. 433-447; cfr. anche E. Goldsmith e R. Allen, La morte ecologica, traduzione italiana, pubblicata da Laterza, Bari 1972, del Blueprint for survival, «Ecologist», a. 2, n.1, 1972. Nella sua ultima elaborazione, La nuova soglia, il Club di Roma propone (cfr. specialmente le pp. 444-445) l’esercito come modello di struttura politico-organizzativa idonea alla salvezza ambientale, come del resto aveva fatto Edward Bellamy nel suo Look+ing backward, alla fine del secolo scorso, e lo ricorda L. Mumford nel suo Il pentagono del potere, Il Saggiatore, Milano 1973, p. 320.
[19] G. Nebbia, Società stazionaria e risorse, in «Futuribili», a. 4, n. 46, maggio 1972, pp. 11-14.
[20] Sul tipo di questi strumenti e sui loro effetti nei confronti della giustizia sociale la polemica è vivace. Il problema dell’imposta sui rifiuti è trattato a fondo nei citati articoli di Solow e di Freeman e Haveman (nota 16). Cfr. anche G. Nebbia, Per un’economia ambientale, in«Produttività Ionica», n. 1, n. 9/10, Taranto, settembre-ottobre 1972, pp. 16-26. Come evitare che le imposte per la difesa della natura si trasformino in imposte sui poveri è un discorso aperto per gli specialisti di economia pubblica. Sulla maggiore incidenza degli interventi fiscali per la difesa dell’ambiente sul reddito dei poveri cfr. l’articolo di Baumol citato nella nota 16 (b).
[21] E’ questo il caso dell’abbassamento della falda a Milano, o dell’aumento di salinità dovuto all’eccessiva sottrazione di acqua dolce da pozzi «privati».
[22] Un quasi dimenticato tentativo di introdurre, nell’analisi del modello di Walras-Cassel generalizzato, il costo dell’uso delle risorse naturali collettive è quello di K. Schlesinger, Über die Produktionsgleichungen der ökonomischen Wertlehre, in «Ergebnisse eines mathematischen Kolloquiums», n. 6, F. Denticke, Wien 1934, pp. 10-20. La segnalazione si trova a p. 291 nel lavoro di R.U. Ayres e A.V. Kneese, Production, consumption, and externalities, in «American Economic Review», a. 59,giugno 1969, pp. 282-297, che porta avanti tale analisi lungo le linee sopra indicate.
[23] Che la quantità di residui o rifiuti sia superiore alla quantità di beni materiali «consumati» da una società, è discusso nel lavoro di Ayres e Kneese citato alla nota 22, p. 285. Tale lavoro riporta un bilancio materiale delle merci e dei rifiuti negli Stati Uniti (p. 286); un simile bilancio per l’Italia è stato compilato da G. Nebbia, Valutazione sociale ed economica della tecnologia, in: Problemi dell’ecologia, Senato della Repubblica, Roma 1971, Vol. 1, pp. 199-231. Queste considerazioni hanno indotto a proporre che «la nostra sia chiamata invece che società dei consumi, società dei rifiuti». Cfr. G. Nebbia, Tecnica ed economia nella società dei rifiuti, relazione presentata a Pavia il 12 settembre 1970 (Atti del convegno nazionale su la difesa della natura: aspetti economici, urbanistici, giuridici, Camera di Commercio, Pavia 1972, pp. 112-127). Cfr. anche G. Nebbia, in «Il Giorno», 14 settembre 1970. Si tratta, probabilmente, del primo uso di questa espressione, divenuta poi abbastanza popolare e usata come titolo di un libro dell’autore che sarà pubblicato nei prossimi mesi da Laterza, Bari.
[24] (a) R.U. Ayres e A.V. Kneese, Production, consumption and externalities, in «American Economic Review», a. 59,1969, pp. 282-297; (b) A.V. Kneese e R.C. d’Arge, Pervasive external costs and the response of society, in The analysis and evaluation of public expenditures: the PPB system, Joint Economic Committee of the U.S. Congress, Washington 1969, vol. 1, pp. 87-115; (c) A.V. Kneese, R.U. Ayres e R.C. d’Arge, Economics and the environment, Johns Hopkins Press, Baltimore Maryland, 1970; (d) R.U. Ayres, A materials-process-product model, in Kneese e Bower citato alla nota 14 (b), pp. 35-67. (a) J.H. Cumberland, A regional inter-industry model for analysis of
development objectives, in «Regional Sciences Association Papers», a. 17, 1966, pp. 65-95; (b) J.H. Cumberland e J.R. Hibbs, Alternative future environments: some economic aspects, Institute of Management Sciences, 9 marzo 1970; (e) J.H. Cumberland e altri, Model description and worksheet instructions for preliminary demonstration phase of the environmental quality information and planning system (EQUIPS). The effort is oriented toward the development of a Material Balance Externality Trade (MABET), University of Maryland, College Park, Maryland, 23 settembre 1970; (d) J.H. Cumberland, Environmental implications of regional development, Conference of the Canadian Economic Association, novembre 1970: (e) Application of input-output technique to the analysis of environmental problems, Fifth International Conference on Input-Output Techniques, gennaio 1971; (f) The economics of environmental relationships, University of Maryland, 19 maggio 1971. Walter Isard, Ecologic-economic analysis for regional development. The Free Press, New York 1971. H.E. Daly, On economics as a life science, in «The Journal of Political Economy», a. 76 maggio-giugno 1968, pp.392-406. (a) Wassily Leontief, Environmental repercussions and the economic structure: an input-output approach, in «Review of Economics and Statìstics», a. 52, n. 3, agosto 1970, pp. 262-271; anche in: S. Tsuru (editor), Environmental disruption, Asahi Evening News, Tokyo 1970, pp. 114-134; (b) W. Leontief e Daniel Ford, Air pollution and the economic structure: empirical results of input-output computations, gennaio 1971; (e) W. Leontief, National income, economic structure, and environmental externalities, Conference on the measurement of economic and social performance, Princeton University, Princeton novembre 1971. Sulla proposta di Leontief cfr. anche: (d) J. E. Meade, Citizens’ demands for a clean environment, in «Industria», n. 3-4, 1972, pp. 145-152; (e) Richard Stone, The evaluation of pollution: balancing gains and losses, in«Minerva», 1973. Peter Victor, Pollution: economy and environment, Alien & Unwin, London 1972; questo libro presenta anche una rassegna critica dei precedenti contributi. Battelle Geneve Research Center, Elements pour l’elaboration d’un programme input-output Pollution 1980, Geneve, marzo 1972. (a) F.R. Forsund e E.O. Strom, Outline of a macroeconomic analysis of environmental pollution: a multi-sectorial approach, in: Problems of environmental economics, OECD, Paris 1972, pp. 125-141; (b) S. Strom, Dynamics of pollution and waste treatment activities, Institute of Economics Memorandum, University of Oslo, May 1972. G. Nebbia, Economic effects of technology changes in relation to the environment, in Problems of environmental economics, OECD, Paris 1972, pp. 181-197. Leslie Ayres, Ivars Gutmanis e Adele Shapanka, Environmental implications of technological and economic change for the United States, 1967-2000: an input-output analysis, International Research and Technology Corp., Washington, IRT-229-R, giugno 1971. R. E. Overbury, Features of a closed-system economy, in «Nature», n. 242, 27 aprile 1973,pp. 561-565.
[25] In questa operazione trova forse nuovo significato e assume ima certa importanza la merceologia, che sta attualmente attraversando un periodo di crisi. Cfr.: G. Nebbia, Risorse naturali e merci: un contributo alla tecnologia sociale, Cacucci, Bari 1973, 2 edizione.
[26] E’ in corso in vari paesi, e anche in Italia, un vivace dibattito sulla situazione dell’ambiente, ma soprattutto sulla «correggibilità» del deterioramento ambientale nelle società capitalistiche, nelle società socialiste occidentali e in Cina, nonché sulla compatibilità fra ambiente e sviluppo. Per la situazione dell’ambiente nell’Unione Sovietica e nei paesi socialisti occidentali cfr., per esempio, M.I. Goldman, The spoils of progress; environmental pollution in the Soviet Union, MIT Press, Cambridge Mass. 1972; Il rapporto fra l’uomo e la natura in Italia e in URSS, Edizioni Italia-URSS, Roma 1972. Per la situazione dei problemi ambientali in Cina si vedano, anche per la letteratura citata, D. Paccino, L’imbroglio ecologico, Einaudi, Torino 1972, e G. Nebbia, L’ecologia in Cina, in «Ecologia», a. 2, n. 4, marzo-aprile 1972, pp. 47-51. Nel dibattito ecologico la voce dei paesi del terzo mondo ha poco modo di farsi sentire; si possono leggere le dichiarazioni di alcune delegazioni alla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano di Stoccolma, giugno 1972, e la raccolta di saggi: Development and environment, Mouton, Paris 1972. In questi ultimi, però, il problema è trattato prevalentemente da studiosi dei paesi «sviluppati».